di Giovanni Giovannetti
Che fare, in solidarietà a Roberto Saviano, in forma concreta e utile? Fare come lui. Dieci cento mille scrittori, giornalisti e intellettuali che raccontino le pratiche e le culture mafiose nei luoghi in cui vivono, ognuno con gli strumenti a sua disposizione. Un’inchiesta collettiva condotta sotto un cartello comune, per denunciare le metastasi delle mafie e della cultura mafiosa dentro la politica, l’economia, la finanza – al nord più che al sud – e in tutti gli altri centri di potere istituzionali e culturali, senza tacere nomi e cognomi. Sporcarsi le mani, condividere il rischio, praticare l’assunzione di responsabilità. Nel nostro piccolo, qualcuno di noi lo sta già facendo. Non potranno ucciderci tutti.
18 ottobre 2008 alle 16:15 |
e se tutt’a un tratto decidi che non ce la fai?
.che non ce la fai a sopportare le atrocità che non sono più tali perché sono diventate quotidianità,
e in quanto quotidianità si è svalutato e trasformato il loro essere atrocità agli occhi della gente.
Quando ti diventa chiaro che è questo, mescolato alla paura, aggiunta una buona manciata di indifferenza e una bella spolverata di sano individualism_o_pportunist_a_ll’italiana, che legittima lo sfornare delle nostre piccole/grandi tortemafie.
Quando ti accorgi che non puoi essere un fornaio, provi a fare il lavapentole. E l’unico sgrassante in grado di tirar via queste orride croste nere, molto più simili per proprietà intrinseche al viscoso petrolio che ai resti bruciacchiati di un babà, è la parola. Quella della parola, continua, costante, capillare, insistente, è l’unica battaglia che dimostrano di non essere preparati a combattere.
Non me ne voglia De Andrè, ma oggi in Italia dal letame i fiori che nascono sono sempre più rari, e non dobbiamo lasciarli più calpestare.
Nicola Signorini
18 ottobre 2008 alle 18:00 |
questa “esortazione” mi ha fatto pensare…
…che tutto questo si trasformerebbe automaticamente e istantaneamente in Solidarietà verso quelli che non ci sono dentro
ma anche fra quelli che ne stanno fuori
(e scoperta o ri-scoperta del senso e della forza della solidarietà)
e poi
…che è la nostra solidarietà ad essere nel mirino di chi spara, per ora è solo ferita gravemente.
Con le loro pallottole (i pensieri, le parole e le omissioni) riusciranno ad ucciderla?
e ancora
…che Roberto Saviano è vivo, in tutti i sensi.
Ed è come se la sua esperienza ci stesse esortando ad essere vivi, in tutti i sensi…
(pensieri, parole, opere e omissioni)
18 ottobre 2008 alle 19:30 |
caro Giovanni,
mi piace moltissimo l’idea che hai avuto e quello che hai scritto. Sul sito ilprimoamore.com ho rilanciato la tua proposta, cercando di allargarla.
Perché non basta dichiarare solidarietà a Roberto Saviano, non basta leggere in piazza pagine di Gomorra. Non basta nemmeno dire che egli è tutti noi. Ogni parola, anche sincera e intensa che noi possiamo pronunciare o scrivere in sua difesa o in sua lode è certo una cosa buona, ma non è proporzionale al rischio che egli sta correndo e continua a correre per aver osato sognare un paese diverso da questo, per aver avuto il coraggio e la libertà di appellarsi alla responsabilità civile e umana dei suoi concittadini.
L’unica cosa proporzionata al suo fare è fare come lui.
18 ottobre 2008 alle 19:32 |
Scusa, nel commento precedente ho dimenticato di firmarmi
Carla Benedetti