di Giovanni Giovannetti
L’altra sera a Pavia, in Santa Maria Gualtieri, alcuni studiosi hanno presentato l’ottimo libro Il caso zingari (Leonardo International) a cura della Comunità di Sant’Egidio. Anna Rita Calabrò ha tratteggiato la storia tzigana, a partire dalle prime testimonianze sul loro arrivo in Europa (intorno all’anno 1000) e in Italia (nel XIV secolo), fino alle recenti ondate migratorie tra il dopoguerra e gli anni Novanta. Arrivano dalle regioni balcaniche – in fuga dalla guerra – e dalla Romania, in fuga dalla fame. Calabrò ha ripercorso il lento processo di sedentarizzazione e di perdita delle identità culturali zingare negli anni Cinquanta e Sessanta, il loro progressivo avvicinamento alle città, e la ghettizzazione in periferici “campi per i nomadi”: sono aberranti luoghi di convivenza forzata, che hanno contenuto i processi di integrazione e il pieno accesso al sistema dei diritti. Una grande occasione sprecata. Finita l’epoca romantica del nomade giostraio o dedito al riciclo dei materiali di recupero, si sarebbe dovuto investire su scuola e lavoro. Invece hanno avuto spazio i pregiudizi e i processi di marginalizzazione.
Trent’anni fa, ma sembra ieri: Pavia, ex Snia; un sindaco impedisce l’accesso alla scuola dei bambini perché sarebbe un «incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio»; un vicesindaco sostiene che «i Rom non esistono»; un assessore ai disservizi sociali – uno che alla Snia non ci ha mai messo piede – dichiara che «con l’arrivo delle ruspe scapperanno tutti» (uomini o topi?).
Sessant’anni fa, ma sembra ieri. Nel suo intervento, Ariel dello Strologo ha ricordato il Porrajmos, la Shoà zingara, e cioè l’uccisione nei campi di sterminio di circa 500 mila Rom e Sinti, ai quali bisogna aggiungere un numero imprecisato di persone passate per le armi nei villaggi balcanici. Zingari, omosessuali, ebrei: nessuno li ha difesi, nessuno si è opposto al razzismo e alla xenofobia che si erano trasferiti nel senso comune; un percorso ben descritto da Shoà, lo straordinario film-documentario di Lanzmann, che torna attuale di fronte alla deriva populista di questa classe dirigente.
Dopo mons. Giovanni Giudici – intervenuto sulla «Pastorale gitana» – Paolo Morozzo della Rocca ha concluso, richiamando le istituzioni ad un patto di reciprocità: casa, salute, istruzione e lavoro per questi cittadini comunitari, venuti alla ricerca di un territorio di accoglienza, malauguratamente considerati nomadi e cioè di passaggio, costretti a vivere in bidonville, mal sopportati da chi invece dovrebbe favorirne l’inclusione. Come ha ammonito Morozzo della Rocca, «Non ci può essere legalità, se non si lavora per la dignità delle persone». La strategia del rifiuto e dell’abbandono, insieme allo sgombero dei campi senza nessun paracadute, può solo spostare il problema, poiché nega loro un futuro e li spinge a marce forzate tra i «perdenti radicali» di cui ci ha parlato Enzensberger.
Un anno fa, ma sembra ieri. Come «rifiuti umani», l’anno scorso a Pavia 222 Rom sono stati abbandonati tra i rifiuti urbani della Snia, e infine cacciati (30 agosto 2007) fuori dal loro cortile dal sindaco Capitelli, dal vicesindaco Filippi e dall’assessore Brendolise. In città ne sono rimasti una settantina, parte dei quali vivono in due edifici pubblici, dimenticati dalla pubblica amministrazione.
Alla presentazione, tra il pubblico, c’era l’assessore ai Servizi sociali, il post-democristiano Brendolise: uno che non vede, non sente, non legge Il caso zingari, ma assiste. Non assiste i bisognosi: lui assiste solo ai dibattiti.
23 ottobre 2008 alle 19:14 |
certo, i voti bisogna controllarli..che bravo assessore
23 ottobre 2008 alle 19:18 |
se la testa è quella diventa difficile anche controllare i voti o noo ? ;-)buona serata :)