Pontevecchio Connection

by
da Pavia, Irene Campari
terza parte
 
 
Qualche settimana fa le Borse mondiali hanno avuto un rialzo medio del 7,7 per cento. Grandi guadagni per MacMafia. Alla Borsa di Francoforte il più grande investitore è la ’ndrangheta. «Niente di vecchio e arcaico, quindi. Ma un soggetto criminale moderno con una borghesia mafiosa, lontana apparentemente da tradizionali logiche militari, come dalla gestione delle più imbarazzanti attività criminali (traffico di droga, armi, esseri umani; tutti settori affidati ormai a gruppi collaterali), inserita progressivamente nei salotti buoni della società; in questo modo si fanno affari, si costituiscono le società miste, si appaltano i servizi pubblici, si scelgono i consulenti di chi governa, per determinare le grandi scelte del territorio. L’inserimento negli organismi elettivi sarebbe già di per sé pericoloso e inquinante, ma esso è a sua volta foriero di ulteriori infiltrazioni: la pratica delle assunzioni clientelari, degli affidamenti di lavori, di forniture e servizi a imprese collegate, consente di allargare sempre di più l’area dell’inquinamento mafioso, sino a stravolgere il mercato del lavoro al pari di quello degli appalti. La ’ndrangheta diventa così oltre che soggetto imprenditoriale anche soggetto sociale, contribuendo a dare risposte drogate ai bisogni insoddisfatti dai limiti e dall’assenza di politiche pubbliche». Così riferiva al Parlamento la Commissione antimafia il 19 febbraio 2008. È la ’ndrangheta di terza generazione, quella dei Ciccio Pelle “Pakistan” per intenderci.
Tre notizie sono apparse sui quotidiani la scorsa settimana: una discarica abusiva di rifiuti tossici in un paese dell’hinterland milanese che risalirebbe alla ’drina dei Iamonte; l’arresto alla clinica Maugeri di Pavia del boss Francesco Pelle della cosca Pelle-Vottari-Romeo di San Luca; un’indagine, in corso, per verificare la collusione tra politici-amministratori e appartenenti alle cosche calabresi in vista degli appalti per l’Expo 2015. Seguendo il loro filo si arriva molto lontano da Ciccio “Pakistan” e dalle cosche. Gli affari sono così, si sa da dove si parte e non si sa dove si finisce.
 
 
Rifiuti tossici
 
La famiglia Iamonte, originaria di Melito di Porto Salvo, è sospettata di gestire una discarica abusiva per rifiuti tossici su cui si sta indagando la Procura di Busto Arsizio. Giuseppe, Antonino e Bartolo Iamonte sono stati condannati nel giugno scorso a vari anni di reclusione per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti. Avevano dalla loro un pool di otto avvocati che ha dato filo da torcere all’accusa, tanto che le condanne di primo grado sono state sostanzialmente ridotte. Il capoclan è Natale Iamonte, in carcere. Nei rapporti della Commissione antimafia risulterebbero impegnati anche nella commercializzazione di carne infetta. Nel corso dell’operazione “Ramo spezzato” di un anno e mezzo fa (culminata il 2 febbraio 2007) è stato scoperto che tra le attività della cosca Iamonte vi era la macellazione di animali ammalati di brucellosi. Gli Iamonte sono veterani del ramo rifiuti. Da anni il traffico e lo smaltimento clandestino di sostanze tossiche e radioattive pare essere, secondo indagini che durano anni e che si sovrappongono, la loro specialità. La praticano, secondo le cronache e gli inquirenti, dall’inizio degli anni Ottanta. Sono arrivati fino a Mogadiscio in Somalia. Allora avrebbero praticato il business insieme alla famiglia Nirta, a quei tempi alleata dei padri e zii di Francesco Pelle “Pakistan”, a cui poi è succeduta la famiglia Romeo, attuale alleata dei Pelle insieme ai Vottari di San Luca. Era, quello del business dei rifiuti, colossale. Si incrociavano commercialisti, società offshore, manovali, organismi internazionali, governi. Le inchieste hanno portato a lambire la morte di Ilaria Alpi. Il 3 giugno 2005, “L’espresso” pubblica un’inchiesta (Così lo Stato pagava la ‘ndrangheta per smaltire i rifiuti) di Riccardo Bocca. Un boss diventato collaboratore di Giustizia parla, e scrive un memoriale. Racconta come le cosche di san Luca gestissero il traffico planetario di rifiuti tossici con la connivenza o l’assenza del Governo e delle istituzioni. Racconta anche di un summit a cui parteciparono i capibastone delle principali famiglie di San Luca, Natale Iamonte, Giuseppe Nirta e Giuseppe Morabito (la cui famiglia poi controllerà i traffici del mercato ortofrutticolo di Milano). Il collaboratore di Giustizia (dal 2004) narra, nei dettagli, come il compito delle cosche fosse quello di far saltare intere navi imbottite di rifiuti velenosi e ospedalieri al largo delle coste somale o interrare i fusti nelle spiagge. Le operazioni però avrebbero riguardato anche suoli del meridione. Per portare a compimento le fasi complicatissime dello smaltimento, si poggiavano su società italiane, svizzere o con sede a Singapore. Per l’interramento del carico di 40 camion, a San Luca sarebbero poi arrivati come compenso 500 milioni passati dalla Banca della Svizzera italiana di Lugano. Avrebbero trattato anche uranio e materiale radioattivo. Nel memoriale dell’ex boss ad un certo punto salta fuori il nome di Giorgio Comerio, nato a Busto Arsiszio, ma allora residente a Garlasco. Il nome di Comerio fu fatto per la prima volta da Greenpeace quando denunciò lo smaltimento illegale di rifiuti radioattivi. Nel memoriale riportato da “L’espresso” è scritto: «Diversi erano i faccendieri che con coperture varie svolgevano questo genere di attività per conto dei governi internazionali […] Uno dei personaggi più importanti che mi sia capitato di conoscere –  si legge nel memoriale – è stato Giorgio Comerio, il quale gestiva il progetto Odm (Ocean disposal management) [fondata nel 1993 e registrata alle Isole Vergini Britanniche, per smaltire scorie nucleari] messo a punto dall’Ocse poi gestito da lui in autonomia per sparare pattumiera radioattiva dentro missili sotto i fondali marini […]. Lui stesso mi raccontò che i fondali della Sierra Leone erano i migliori […]. Preciso che ho conosciuto Comerio a Cetinje, ex capitale del Montenegro, Ci ero andato per incontrarmi con il latitante Giuseppe Giorgio della famiglia di San Luca. Nell’occasione andammo a cena in un ristorante dove per combinazione trovanno Comerio». Giorgio avrebbe riferito all’ex boss che la presenza di Comerio in Montenegro era dovuta a «vari movimenti di armi». «Ci siamo poi rivisti alla metà di aprile [1993] nel ristorante di San Bovio di Garlasco, in provincia di Pavia, dove Comerio abitava in una villa che mi mostrò dall’esterno». Comerio si sarebbe proposto come intermediario con la Thyssen, e gli offrì anche 50 aerei Antonov. Sempre con Comerio la famiglia di san Luca avrebbe concluso nel 1995 un altro affare con il nobio, utilizzato per costruire reattori nucleari. Comerio si sarebbe rivolto anche alla famiglia Iamonte, a Natale il capo, per l’affondamento di navi con materiale radioattivo. Nel frattempo perfezionavano l’acquisto di bar e ristoranti a Milano. Comerio vive a Lugano; in un’intervista a “Panorama”, qualche anno fa ha smentito ogni cosa imputando a Greenpeace, e a coloro che vogliono il petrolio piuttosto che l’energia nucleare, la sua reputazione e quanto è stato scritto su di lui. Lo stesso ha fatto l’armatore Messina, uno dei proprietari delle navi implicate nelle operazioni, nei confronti de “L’espresso”. Una delle navi apparteneva ad una società con sede ad Opera.
Un nome che compare spesso nelle inchieste sulla cooperazione italiana in Somalia è Techint, holding con mission nelle pipeline controllata dalla famiglia Rocca. Sue sono le cliniche “Humanitas” (sono una holding multiutility) compresa quella di Rozzano. Techint ha realizzato pozzi e pipeline in Somalia lungo tutti gli anni Ottanta. Nel 1986 ottiene un’importante commessa che non potrebbe però evadere. La affida alla società parastatale Acquater (Eni) ma il 50per cento dei lavori lo avrebbe eseguito la società Ecologia di Marcellino Gavio. Nella realtà è un’altra società a gestire il tutto, la Emit di Ottavio Pisante, pugliese, socio di fatto della Techint. La holding dei Pisante si chiama Acqua e di acqua ora parleremo.
 
 
Acqua
 
Dove c’è privatizzazione ed esternalizzazione gli appetiti sono di molti. I Pisante e le società collegate (tra le quali la Veolia al 50 per cento francese) sono stati oggetto di un’inchiesta giudiziaria tra basso Lazio e Campania durata 5 anni e non ancora terminata, che ha avuto come oggetto la società Acqualatina (51 per cento pubblica, il restante è di Veolia e Pisante). I Pisante controllano al 75 per cento la società Siciliacque spa attraverso la Sicilia Hydro. Di recente hanno fondato anche Galva proprietaria di due termovalorizzatori in provincia di Messina. Il business dei rifiuti continua, cambia solo la tecnologia. Del gruppo Pisante si era occupata anche la Commissione antimafia. Ad interessarla è stata la società Fineco, con sede a Milano in Via Lampedusa 13, lo stesso indirizzo della Itinera di Gavio che possiede qualche quota di Fineco.
La privatizzazione dell’acqua in Sicilia ha una storia molto interessante. Il liquidatore dell’Eas, Ente acquedotti siciliani, è Marcello Massinelli. Uomo di fiducia del governatore Totò Cuffaro, suo consulente finananziario per i Dpf; membro del cda dell’ex Banco di Sicilia e consulente per la fusione con il Banco di Roma. Tempo fa, sono incappata casualmente nel suo nome seguendo le tracce dell’evoluzione della costruzione dell’ipermercato Carrefour alla Vigentina di Pavia, come informazione non direttamente correlata. Massinelli è nel consiglio di amministrazione anche di Cape Live un gruppo di investimenti che fa capo a Simone Cimino. Gruppo in forte crescita con un capitale sociale di 51 milioni di euro, che ha fondato recentemente anche Cape Sicilia che offre consulenze per la crescita dell’imprenditoria siciliana. Per questo ha vinto un regolare bando regionale. Fondato nel 2006, è legato a Natixis il quarto gruppo finanziario francese. Tramite un fondo (Capital partners) Natixis ha acquistato nel luglio di quest’anno il 49,9per cento della società Cds costruzioni di Brescia, impresa che ha edificato il Carrefour pavese e quello di Collegno, vicino a Torino. Cape Live di Cimino invece ha acquistato quattro mesi fa il 49 per cento della Tieffe di Cura Carpignano (Pv), azienda più che in attiva, settore pipeline e raccordi in acciaio. Il 4,5 per cento di Cape Live è di Banca popolare di Milano. Molti uomini del Cda di Cape sono anche in quello di Toscana Finanza spa come Edoardo Rossetti (ramo abbigliamento) e Lamberto Tacoli, presidente del cantiere navale di Ancona, del Gruppo Ferretti. Il 2per cento di Toscana Finanza è del Monte dei Paschi di Siena.
La privatizzazione dell’acqua siciliana, seguita personalmente dal bocconiano Marcello Massinelli quando già era nel cda di Cape Live, ha poi portato alle società di Pisante la gestione di quel bene comune. A Sciacca si stanno ancora chiedendo di chi siano la Girgenti acque e la Veolia, visto che Massinelli aveva promesso loro che gli utenti sarebbero stati rimborsati di alcuni aggravi non dovuti sulle utenze dell’acqua dopo l’esternalizzazione del servizio. Il nome di Massinelli è anche citato nei verbali di interrogatorio del pentito Campanella, collaboratore degli inquirenti circa la speculazioni e alle tangenti che hanno accompagnato l’insediamento di un centro commerciale a Villabate, terra dove, pare, arrivano gli interessi di Bernardo Provenzano. Massinelli era portatore, secondo Campanella, del punto di vista di Totò Cuffaro in quell’operazione.
 

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