di Giorgio Steimetz
Nel 1972 arriva in libreria Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, una quasi biografia – non autorizzata – del presidente dell’Eni, pubblicata dall’Agenzia Milano Informazioni di Guglielmo Ragozzino, di cui Steimetz è l’alter ego. L’agenzia è finanziata da Graziano Verzotto, uomo di Enrico Mattei ed ex presidente dell’Ente minerario siciliano, nonché informatore di Mauro De Mauro, il giornalista dell’“Ora” di Palermo che fu rapito e ucciso dalla mafia nel 1970. Così come era accaduto a Mattei sette anni prima; così come accadrà a Pier Paolo Pasolini cinque anni dopo.
Questo è Cefis vive solo pochi mesi, poi sparisce. Dalle due sedi della Biblioteca Centrale spariscono anche le copie d’obbligo: se ne trova ancora traccia nel registro di quella fiorentina, ma il libro non c’è.
E si capisce: Steimetz racconta la spregiudicata avventura di uno dei timonieri del pubblico-privato, la mescolanza di poteri tra Stato e potenze occulte. Pier Paolo Pasolini sta lavorando sugli stessi temi e, forse (è il caso di Verzotto), sta utilizzando le stesse fonti; quell’anno comincia a scrivere Petrolio, il grande romanzo incompiuto sul Potere (Einaudi lo pubblicherà postumo nel 1992, 17 anni dopo la sua morte). Un romanzo del quale la critica ha enfatizzato l’aspetto omosessuale – la doppia vita di un ingegnere petrolchimico – mentre la vera sostanza di Petrolio è il «rapporto terribile tra economia e politica, le bombe fasciste e di Stato, la struttura segreta delle società “brulicanti”, come i loro nomi, in beffardi acronimi» (Gianni D’Elia, Il Petrolio delle stragi, p. 22), a partire da Eugenio Cefis, che nel libro è “Troya”.
Il poeta D’Elia ha anche considerato «con una certa sorpresa che l’ultimo Pasolini “corsaro”, quello che potremmo anche chiamare “il poeta delle stragi”, riprende quasi sicuramente dal colorito pamphlet di Steimetz il suo aggettivo più romanzesco, salgariano, fortunato e connotato, come si può leggere in Questo è Cefis: “come corsari sulla filibusta” (p.64)» (D’Elia, Il Petrolio delle stragi, p. 7).
Petrolio è il profetico e incompiuto romanzo-verità sull’Italia del doppio boom: sviluppo e bombe. Bombe stragiste e piduiste. Lo stesso «Stato nello Stato» che ha tolto di mezzo Mattei, De Mauro e lo stesso Pasolini.
Nel corso dell’inchiesta sull’omicidio di Mattei, il sostituto Procuratore Vincenzo Calia coglie per primo le analogie e le simmetrie tra Questo è Cefis e Petrolio e ha il merito d’aver collegato tra loro i fili di questa intricata matassa. Il 27 marzo 2009 l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno depositato alla Procura di Roma un’istanza di riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini. Quarant’anni dopo. Quarant’anni di verità negate. (G. G.)
A partire da oggi, pubblicheremo a puntate il libro di Steimetz. Quelle che seguono sono l’introduzione e il primo capitolo.
Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente
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Questa raccolta di articoli, meglio di servizi speciali apparsi sull’agenzia di stampa «Milano Informazioni» nell’arco di pochi mesi, non è destinata al re del trapezio, ad Eugenio Cefis appunto, ma ai suoi amici, ai suoi fidejussori, ai suoi altissimi complici: politici, industriali, baroni vari dell’economia e del potere in Italia.
Quando l’inchiesta giornalistica prese inizio aprile 1971 il Cefis risultava ancora all’ENI (con un piedone il Girotti già alla vice presidenza della Montedison); oggi assistiamo ad un rovesciamento significativo: Cefis alla presidenza del gigantesco complesso chimico nazionale, Girotti presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi. Dal piedone al braccio, in uno scambio pirandelliano dei ruoli.
Certo il barone per eccellenza della petrolchimica questi servizi li ha già letti, divertendosi probabilmente – tanto può la leggenda che i misfatti contribuiscono a indorare – e ammettendone il rigore, come affermano taluni bene informati; ma letteralmente sorvolandoli, come si conviene alle deità consacrate dalla fama e dal favore dei potenti. Rammaricandosi magari se dobbiamo stare ad altre versioni non meno attendibili – che non si sia voluto cercare un accomodamento preliminare: offrendo alle fiamme, insomma, il tutto, in cambio d’un conveniente indennizzo per la fatica sprecata nel mettere insieme il carteggio; tacitando in anticipo con un modesto assegno di parecchi zeri.
L’uomo, misura di uno stile. Rovesciamo la celebre equivalenza. La presunzione fa aggio sulla tecnica e questa ne rimorchia in porto le ambizioni. Le accuse infatti non toccano l’epidermide di Eugenio Cefis. Per suo conto le ignora, irrobustendo invece le proprie contro gli altri, i suoi predecessori: cosa pensare della spudorata misura con cui si è presentato al magistrato romano, nel gennaio 1972, per essere interrogato e rilasciare, magari, spietate dichiarazioni, sul caso Valerio? Si assicura infatti che la Giustizia gli abbia chiesto una copiosa documentazione per mettere alle corde l’ex manager della Montecatini, e di certo Cefis non perderà l’occasione per magnificare il nuovo corso con le ombre riflesse e ingigantite del vecchio.
Incidentalmente potremmo aggiungere che un collega del magistrato di Roma possiede una altrettanto copiosa documentazione, stavolta fornita da noi senza secondi fini né richieste specifiche, sulle malefatte di Cefis. Ma nessuna inchiesta prende l’avvio contro di lui.
Che Giustizia sarebbe questa? Spadolini, per portar acqua al mulino non sempre efficiente di Montanelli, in giudizio a Milano per i noti servizi diffamatori su Venezia, arriva ad affermare che «il diritto di critica di un giornale appartiene alle caratteristiche essenziali e irrinunciabili di una società civile, organizzata democraticamente». Appunto: ma lo stesso «Corriere della Sera» sapeva della denuncia clamorosa portata dall’agenzia Milano Informazioni sul conto di Eugenio Cefis. Perché dunque, in nome di un sacrosanto e fondamentale diritto di critica non l’ha neppure ripresa? Critica sì, ma a senso unico, dove fa comodo (Montanelli e Venezia). Ma dove essa comporta una preclusione di incassi pubblicitari (ENI, Montedison, Cefis), silenzio assoluto.
In linea, ovviamente, con certa Giustizia che intenta processi ai Presidenti decaduti – il Giorgio Valerio lasciando perdere sui Presidenti in carica, anche se lestofanti.
Eugenio Cefis: un personaggio inquietante, integrazione perfetta del sistema. Sfrenato nelle sue mire, freddo nella connessione scoperta dei suoi intrighi privati con gli impegni della sua gestione pubblica.
Lo abbiamo scritto a chiare lettere, riportate in questo dossier. Ma anche un leggendario mafioso: e lo scriviamo ora, per vedere se l’accusa così configurata si attaglia alla disarmante descrizione che ne andremo ritessendo su queste pagine. Ad esse n
on aggiungiamo nessun supplemento, non aggiorniamo alcun fatto. Lasciando il signor Cefis presidente all’ENI; in tale veste tratteggiandone diverse vicende curiose ed edificanti tutt’altro che passate in giudicato. Adombrando ancora il sospetto che la famosa «L.S.P.N» (Linea Società Pubblicità Nazionale) la quale lavora pubblicità extra come certe campagne per «cercar casa» chiaramente lasciano intendere – appartenga a Cefis: mentre successive indagini ci hanno rivelato conglobata nell’ENI aggravando le accuse da noi formulate.
È questa l’avventura veridica vissuta a capo di uno e dell’altro dei colossi dell’economia di stato italiana dal boss più illustre (e distraente) della mafia industriale e politica del nostro Paese. Un’avventura che l’interessato ha scorso e ingoiato anche se il boccone non può essergli andato di traverso.
Altri invece – è la ragione di questa raccolta hanno ancora senso di responsabilità e rispetto per la Legge che rappresentano. Deontologia coerente che il silenzio della stampa rende per mortificante contrasto maggiormente isolata e competente a rendere giustizia: non al signor Cefis o a noi ma alla verità.
La guerra di Liberazione è finita da cinque lustri. Ufficialmente almeno. Ma la resistenza, nei suoi aspetti più pittoreschi, continua. Obiettivi precisi, mestiere consumato, assenza di scrupoli: diverso è unicamente il bersaglio. Non più il nazifascismo da combattere alla macchia con le formazioni partigiane, nel ruolo oscuro, magari, dell’addetto alla sussistenza. Più sfuggente il nuovo nemico: chiamato capitalismo, società borghese, civiltà dei consumi, democrazia aberrante, dittatura dei partiti, rivolta (sindacale) delle masse.
Non sono granché mutate le alleanze, siamo quasi ai tempi del CLN. Cattolici coi marxisti, a fare l’ibrido garofano biancorosso. Repubblicani (storici) con eredi irrequieti del sol nascente. Un mucchio di retorica da ardere sulle piazze, promesse solenni come un peana di guerra: libertà dei popoli, trionfo del popolo, giustizia per il popolo, pace fra i popoli.
Il popolo: misura e ragione di tutte le attese sovrane del dopoguerra, inquadrate sul tabellone degli anni ’80, il famoso Piano Decennale al quale han posto mano tecnici e politici, capicorrente e sindacati. Gli economisti in loggione, i finanzieri nella coulisse dietro le quinte, a far la corte ad un cervello miliardario: «Lui», Ombra di Banco in tutto l’affare. Elegante e temuto tecnocrate, Egli siede dietro lo scrittoio sgombro di carte, avvolto nel clima soffice di nature morte d’eletta firma, alternate ad arcadiche visioni di paesaggi.
Il clima di Milano ha una tale dimensione disumana in qualsiasi stagione, un volto d’ospitalità così mostruoso da rendere indispensabile la ricerca d’un confortevole romitaggio fuori porta. Ritorno alla natura, tra croste insigni e fresche zaffate del condizionatore d’aria, intimità d’un caminetto d’angolo nell’ampio studio a separè, tappeti di classe e mobili di stile.
Il fascismo l’abbiamo sconfitto, dicono i manuali di Storia, da un quarto di secolo. Ai benemeriti, la riconoscenza di tutti gli onesti democratici, con qualche riconoscimento ad personam: Enrico Mattei, investito ufficialmente dell’AGIP, uno dei più ambiti collari dell’Annunziata, da porre in liquidazione, saprà riscattarlo; i pozzi del regime e le trivelle di ottimi tecnici scopriranno quel poco di metano e di petrolio per la potenza e il successo di un uomo.
Cefis, luogotenente, e Enrico Mattei. Dopo Bascapè, passate le gramaglie da vedovo inconsolabile il vice non ha scrupoli per riconoscere che certe presenze sono ingombranti. L’impero del petrolio italiano, morto il fondatore, è nelle mani sicure d’un pretoriano destinato alla demiurgia. Un breve, emblematico trapasso di poteri – Marcello Boldrini – e poi, Finito l’interregno di un pigmeo gentiluomo, l’inevitabile investitura al vice, in dialettica opposizione con Mattei negli ultimi due anni di vita del fondatore.
Eugenio Cefis s’insedia al quartier generale di Via Chiossetto a Milano. Non all’ultimo piano del grattacielo di Metanopoli. Là c’è spazio per generali, colonnelli, battaglioni interi di truppa e le tele naives di Fiorenzo Tomea. Qui un autista distinto e stilizzato da un’argentea chioma, carrozzata per la veloce Citroen DSFB di rappresentanza, quadretti anonimi di vedute e vivaci nature morte, un paio di segretarie turniste, quasi 24 ore su 24. Una questione di personalità: come vivere nel decoro dell’«altro»? In comune i due magnati dell’ENI non avevano che l’estro di dominio: una vocazione esclusiva. In via Chiossetto funzionano gli stessi bottoni di chiamata, le pubbliche (e private) relazioni coi potenti, le riservatissime veline, il motto: voglio, ergo posso e comando. Resterebbe incidentalmente da chiedersi su quale libro-paga sono iscritti l’autista Breda, la signora Franca Micheli e la signorina Carla Radini Tedeschi, visto che esercitano distaccate per gli affari privati del Capo. Ma la domanda è appena ingenua oltre che intempestiva. Ne parleremo, e assai diffusamente, in un altro successivo servizio.
Le vite parallele
Macchiavelli? Chissà se Eugenio Cefis neppure si preoccupa dei ricorsi storici e delle tare analogiche di rito. Più semplicemente è la logica della guerra. Certo che ai tempi del Segretario Fiorentino, tanto Cefis che Mattei sarebbero entrati a testa alta nella personale dell’autore delle Deche.
Per il resto, i due capitani di ventura non si somigliano affatto. Mattei era per i primi piani, Cefis ama le posizioni di terza, quarta fila. L’uno amava guadagnarsi un nemico al giorno, come Orazio Coclite, per affrontarli, annientandoli; l’altro disprezza la strategia del ragno, ama il miele, addormenta e disinnesca gli avversari che casualmente gli capitano. Dal petrolio si ricava di tutto: anche la morfina per distendere i nervi agli esagitati e comprare, all’occorrenza, un silenzio (d’oro). L’uomo di Matelica sfondava sul video e sui rotocalchi ogni giorno; l’erede (sorto dalle robuste genti di Cividale, il Forum Julii della antica provincia romana), è come Gustavo Thoeni: vince ma non rilascia interviste, domina sulle nevi, non sulle gazzette.
Castigato e temperante, Mattei non fumava. Questo invece non teme le Cassandre dei tumori, è un patito delle Marlboro che offre con larghezza all’interlocutore, non potendo né sapendo sacrificargli un sorriso per la quasi totale assenza di comunicativa. Una sigaretta accesa insieme, al coperto delle nature morte sulla parete, lucido lo sguardo come la canizie. A tre passi dalla Madonnina, a due dalla LSPN, in galleria Passerella quartiere signorile e borghese , a quattro dall’altro quartier generale di Via Borgonuovo, l’ex partigiano che spartisce soltanto col governatore Carli la supremazia economica in Italia, è appena arrivato col jet personale da una faticosa missione, ma il viso è disteso, l’aggressività dello sguardo inalterata, il ritmo della conversazione rapidissimo e monocorde.
Di là, nella stanza accanto, la segretaria provvede a bloccare alcune telefonate: non è il caso di arrecare disturbo al dottore, dice lei. Di qua, al numero confidenziale noto soltanto a pochi privilegiati, il telefono interrompe la fredda facondia di Cefis; un’altra Marlboro all’interlocutore, un battito di ci
glia a scusarsi, un personaggio importante (tutti diventano importanti con lui, novello Mida) al microfono.
La conversazione è costellata di monosillabi, c’è l’intruso proprio davanti. Costui può agevolmente inquadrare l’uomo d’oro: a vederlo non si direbbe proprio che è una sorta di potenza atomica nell’economia italiana con quell’aspetto da robusto mandriano e l’andatura d’un mediatore di bestiame, orecchie a sventola e viso rubizzo. Non e detto che un idolo debba essere uscito dalle mani di Fidia; anche al Budda dell’ ENI e concesso sorvolare sulle vanita del mondo.
La telefonata è presto finita: appena riappeso sembra soddisfatto; forse Pietro Sette per qualche ora non si rifarà vivo, o Girotti, o Mattioli. Per quanto concerne l’occasionale visitatore, la battuta conclusiva “a Colombo ci penso io” suggella l’incontro: un problema qualsiasi e per il Presidente dell’ENI una semplice inezia: basta passare, per filo direttissimo, da Emilio Colombo col quale egli sembra permettersi di trattare da pari a pari. Più su, il cielo.
Dosi per il silenzio ipnotico
L’uomo potente, arrivato. Fin nella stanza dei bottoni dello Stato: quello vuole, può staccare la corrente o provocare un corto circuito, come nel caso della Montecatini Edison. Il Cavaliere del Lavoro Eugenio Cefis ha fatto un mucchio di strada dai tempi di Raffaele Cadorna. Nell’anno centenario della Breccia, Cadorna è doppiamente un simbolo. Perché il loico Cefis sa che sul mercato politico non rimane impossibile neppure farsi sentire dietro il Portone di Bronzo.
Le vie del Signore sono infinite, e sapremo indicarne alcune lungo le quali agile e dinamico il Presidente dell’ENI amministra i talenti ricevuti dalla Provvidenza e dalla sorte. Difficile resistergli, perchè sa condizionare, anzi è uno dei pochi in Italia che possa permettersi un lusso così insolito. Ci hanno provato, e ci prova no, le unità da sbarco della stampa: con il «Giorno» e l’Agenzia Italia – i gialli a sei zampe – egli fa piazza pulita, scatena attacchi frontali di singolare efficacia (data la strategia politica ambivalente dei due strumenti d’informazione), lanciando nel frattempo, come un Piano Marshall, merci (leggi: pubblicità) e mezzi persuasivi (leggi: contributi) per sanare gli inevitabili danni del conflitto.
E’ sintomatico che lo stesso «Borghese», fascista e libertino indomabile, tradizionale avversario dell’ENI sua vittima settimanale, da qualche anno abbia steso un velo di silenzio, fregiandosi di un più remunerativo richiamo acritico, qual è la pubblicità Agip. Decisamente oggi in Italia nessuno può permettersi il suicidio a rate, parlando male dell’ENI o del suo Presidente. I pamphlet di circostanza sono ancora rintracciabili sulle bancarelle di libri usati. Neppure l’indocile e scatenato Montanelli può infrangere gli ordini di scuderia: tanto allo Spadolini e ai Crespi giova di più la biada pubblicitaria dell’emirato petrolifero nazionale che una carica dimostrativa contro il pachiderma.
Il silenzio si paga. In buoni benzina o controcopertine col cane a sei zampe. Si richiede soltanto mansuetudine, discrezione – specie nella lettura dei bilanci dell’ENI – , deferenza per il gigante di Metanopoli. Soprattutto ignorando, in bene e in male, Eugenio Cefis. Bisogna chiudere gli occhi, graziosamente, sui criteri di gestione, sugli appalti, sulle concessioni, sulla politica estera, sui contributi, sui finanziamenti, sulle partecipazioni morali dell’Ente Idrocarburi.
Aureole su legno
Cefis non è Mattei. Meno se ne parla e più gli si riesce graditi. A Metanopoli ci va di rado. I suoi luogotenenti provvedono a soddisfarne i voleri. Si accontenta dell’aereo personale, d’un soggiorno di tre giorni a Roma, di qualche numero segreto al telefono. Trova il tempo di fare lo sci d’acqua – assicurano – davanti alla villa rivierasca sul Lago Maggiore durante l’week-end, ritemprando il tono muscolare e la forma.
Enrico Mattei, si sa, amava la pesca nell’alta valle di Antholz, in Pusteria. Eugenio Cefis ha un diverso hobby, più raffinato, quello degli ex-voto che i suoi fidi gli scovano in cento parrocchie d’Italia e all’estero. Raccoglie insomma gli atti di fede degli altri, riportandoli al primitivo nitore, accostandoli in serie parallele fino a riempire le pareti della sala d’attesa di Via Chiossetto.
Si tratta naturalmente delle (un tempo) usuali manifestazioni grafiche di riconoscenza per qualche beneficio ottenuto grazie all’intercessione di un santo; sovente opera dell’interessato, costituiscono un capitolo simpatico di ingenuità coloristica e di fumetti espressivi. La collezione di queste tavolette policrome è però abbastanza insolita, sia per la difficoltà di una merce fuori corso (il possesso abusivo di testimonianze del genere rasenta il sacrilegio, come una raccolta di lapidi funerarie o di croci astili), sia per il prezzo e la relativa rarità del materiale in circolazione. Ad ogni buon conto, una ricca mania che farebbe la gioia d’uno psicanalista come testo d’indagine psicologica.
Un modo arioso per mettere a disagio l’ospite (di riguardo, per essere ammesso davanti al Capo), con queste ingenue raffigurazioni di brevi di cronaca ricche di tratti anatomici, di spaventose sciagure (evitate), di eloquenza elementare. L’ospite si trova un po’ come nei sotterranei di un convento di Palermo o San Bernardino alle Ossa a Milano, in mezzo ad una sorta di colorita danza macabra: è lui comunque ad aver bisogno del dottore che sta di là, con un tavolo sgombro davanti e qualche natura morta intorno.
Enrico Mattei al quale Cefis intende assolutamente non assomigliare amava ingraziarsi il potere religioso, assumendo la Presidenza di qualche alto ente morale, in cui imporsi con larga disponibilità personale, affinché gli uomini vedessero – giustamente – quale strumento della Provvidenza si sdoppiasse nel grande finanziere. Il successore non sarà da meno (noblesse oblige): inserirsi a quote diverse, ma sempre dominanti.
Dominanti col fascino inossidabile d’una altissima carica pubblica: i divi – al giorno d’oggi – brillano per il ruolo, non per la venustà (e Cefis, manco dirlo, è un divo integrale). Con l’ascendente su qualche privato industriale, uno dei pochi che mendicasse di lui qualche commessa o un patto di non aggressione. Con la schiera di uomini dell’entourage che gli possono assicurare una duratura leggenda e qual tanto di aureola che non guasta affatto.
Al petto possente dell’ex partigiano si appuntano altre medaglie e la libertà di azione e di potere diventa sempre più larga, dato che a valle la diga delle opere di bene è assolutamente garantita a tenuta perfetta. Quanto servano di credito tali benemerenze, è facile intuirlo.
Mattei e Cefis: un riscontro inevitabile, anche se il primo per incidente o altra causa misteriosa appartiene alla storia. Ad incorniciare il secondo non bastano le iniziative ardite, il movimento imprevedibile, la vasta rete d’interessi, di amicizie, di intrighi; la complicità della stampa, asservita o emarginata, il silenzio di Ministri, del Governo, del Parlamento.
Come un personaggio di Simenon, anche Eugenio Cefis ha la tipologia coerente dell’eroe da narrativa psicologica: la doppia personalità va indagata, colta sul vivo, intuita attraverso particolari spesso sfuggenti, accantonati come pettegolezzo; la privacy, le indiscrezioni, le voci di corridoio, certi episodi sintomatici. Elementi che valgono – per un ritratto – più delle luci dei riflettori, il trionfalismo e la statura. La sua cre
atura, quel Piano ’80 che noi abbiamo così battezzato perché è anonimo e segreto, dispone di un potenziale sicuro, di traguardi elastici ma seducenti, di indulgenze e consensi a iosa.
Le ragnatele politiche
Il caminetto nell’angolo non rivela di Cefis solo il tranquillo e rassicurante aspetto borghese in un uomo naturaliter socialista. Sotto le ceneri della Liberazione ’45, cova il fuoco della grande riforma sociale, probabilmente incruenta – Cefis non ama i bagni di sangue, le purghe, il lie-detector, ma la mano guantata, la rivoluzione interna, la liquidazione pacifica -. Un compito messianico: ribaltare verbo a lui congeniale, un tic lessicale della sua conversazione una Società, col metodo aureo dell’economia mista. Realista più del Re, il Presidente non teme l’orso siberiano, sicuro d’averlo già domato dentro la cortina di casa. Dunque non ci può essere altra alternativa: i comunisti in pool al governo, appunto per l’esperimento audace e senza precedenti di un congiungimento in orbita tra il sistema capitalistico occidentale e l’economia socialista.
Più astuto di Mattei? I due si trovarono ad operare in una dialettica storica diversa. ma una convergenza c’è: la rivalità nell’amicizia, la distinzione nella comunione; Mattei ha sfondato, Cefis è subentrato in potenza e abilità. Nessuno dei due, domani, passerà agli annali come superman come un Donegani. La resistenza è la scena dove hanno recitato davanti a platee di bocca buona, prima di affrontare le acrobazie politiche dei palcoscenici più in vista.
Temperamento .avventuroso Mattei; tipo d’avventuriero illuministico, Cefis. Dal confronto esce ingigantito il primo. Realizzatore nato, fondatore, capo dinastia. Invece l’attuale Presidente, se gli togli i bilanci, i beni patrimoniali, i crediti a medio e lungo termine, i titoli azionari i residui attivi e passivi, è alle corde.
Eppure non hanno mai brigato per la medaglietta parlamentare – anzi Mattei che ne era in possesso, optò per la Presidenza ENI al tempo dell’incompatibilità e lasciò Montecitorio -, per una consacrazione politica che se togli il calcio e le canzoni sembra l’unica strada per l’eternità in questo mondo.
Uomini come Cefis condizionano interi settori del Parlamento, azionano leve e ingranaggi nei Ministeri, forniscono livree ad una schiera di servi sciocchi ma fedeli; potrebbero d’un colpo comprare un’intera squadra di calcio e farle vincere il campionato, porre un’ipoteca sul Festival di San Remo, acquistare catene di giornali e case discografiche.
Le buone azioni di mister Hyde
Che Mattei sia morto povero, è leggenda, per di più meschina. Come quella dello stipendio versato puntualmente alle suore di clausura di Matelica. Ha lasciato miliardi, spartiti regolarmente vedova tra e i fratelli. Il disinteresse dei grandi uomini appartiene alla produzione biografica su misura. In un certo senso essi non sono legati al danaro, si conducono in pubblico (e talvolta anche in privato) con sobrietà, distacco, semplicità. Doti tassative di un uomo d’affari impegnato. Anche se non giungono all’avarizia sordida dei celebri finanzieri non solo ebrei del passato, affettano solitamente disprezzo e noncuranza per i beni di questo mondo, assicurandosi nel contempo il conforto (non disprezzabile) della gloria, con tutte le indennità accessorie e i frutti pendenti. Quanto basta insomma per garantirsi un avvenire tranquillo.
In fondo troviamo comprensibile che chi serve alla causa debba pur vivere della causa. Il jet personale, i tappeti di Persia, i tableaux primitivi per grazia ricevuta, un lago in proprietà, non sono (e non erano) che accidenti scolastici del ruolo, come la parrucca per i giudici inglesi o i guanti bianchi dell’autista. Tutte cianfrusaglie annesse al rito, alla funzione, alla carica.
Così è una convenzione di comodo, una battuta di spirito abbastanza agra quella che vede in Cefis un funzionario dello Stato. I1 friulano prestato all’ENI ha i suoi bravi ed onesti interessi nazionali, come dimostreremo, che manda avanti personalmente e ricorre alla procura, con un colpo di telefono della «Chioscasadieci» per quelli delle piantagioni all’estero. Se il Piano ’80, nel conto profitti-perdite, andasse a pallino e lo stipendio del Presidente dovesse venir tagliato, occorre ben garantirsi qualcos’altro oltre la collezione di ex-voto.
Del resto, tolte queste elementari previdenze, Eugenio Cefis è tutto dedito alla guerriglia: è il suo mestiere antico. La sua staff di assistenti e strateghi lavora con discrezione decisa, si serve di consulenze eccellenti e di esperti politici esemplari.
Siamo all’inizio di un discorso: è ovvio. Appena un’introduzione, la nostra, anzi una premessa: sull’ENI come forza d’urto, come strumento e avallo finanziario. Quello che Cefis sa benissimo è che tutto non si può comprare. I nostri (ex) voti ed altri non di sicuro. Ma lui è saggio e oculato, come un crociato sotto non di sicuro. Ma lui è saggio e oculato, come un crociato sotto le mura assediate di Gerusalemme…
Questo è Cefis 1 – continua
7 aprile 2009 alle 18:18 |
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=342189
Cefis, Pasolini e l’Italia dei misteri. Torna il libro scomparso di Steimetz
di Luigi Mascheroni – 18:44
Nel 1972 uscì un volume subito ritirato dal mercato. Parlava di poteri e di petrolio… A quel testo si ispirò Pasolini per il suo ultimo romanzo. A causa del quale, si dice, fu ucciso. Ora quel libro-maledetto riappare. E si annuncia un film sulla morte delo scrittore
La storia dei libri è piena di roghi, distruzioni, censure. Ci sono autori e titoli pericolosi: idee sulle quali (per qualcuno) è meglio stendere un velo di silenzio. Cancellarle per dimenticarle. Far calare il buio.
Fra questi libri “maledetti”, uno particolarmente scomodo e curioso, del nostro recentissimo passato, s’intitola “Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente”. Fu scritto da un ‘enigmatico’ Giorgio Steimetz (in realtà pseudonimo di Corrado Ragozzino), fu pubblicato nel 1972 dall’Agenzia Milano Informazioni (finanziata da Graziano Verzotto, uomo di Enrico Mattei nonché informatore di Mauro De Mauro, il giornalista dell'”Ora” di Palermo ucciso dalla mafia nel 1970) e venne subito – misteriosamente – ritirato dal mercato e da tutte le biblioteche italiane, sparendo di fatto dalla circolazione. Perché tanta paura? Cosa contengono quelle pagine? Parecchie cose. Interessanti ancora oggi, a quasi quarant’anni di distanza. Ma andiamo con ordine.
Il libro “Questo è Cefis” è una sorta di biografia, ovviamente non autorizzata e con parecchie rivelazioni scottanti, di Eugenio Cefis (1921-2004), dirigente d’azienda e imprenditore italiano, consigliere dell’AGIP, presidente dell’ENI nel 1967 e poi presidente della Montedison, nel 1971. L’autore lo descrive come un temuto e vorace uomo di potere, un “burattinaio” che trama nell’ombra per ottenere la presidenza dell’ENI e neutralizzare l’azione fortemente indipendente di Mattei per ricondurre l’Italia nell’orbita atlantica, con una politica gradita alle multinazionali angloamericane del petrolio. Non solo. Steimetz/Ragozzino avanza l’ipotesi che Cefis abbia avuto un ruolo nella tragica fine di Mattei – a cui succedete alla guida dell’Eni – morto il 27 ottobre 1962 precipitando con il suo aereo nelle campagne di Bascapè, vicino Pavia. Incidente sul quale non è mai stata fatta completa chiarezza.
Il libro, come detto, sparisce ben presto dal mercato. Addirittura risulta irreperibile nella Biblioteca nazionale di Roma e in quella di Firenze (alle quali, per legge, deve essere inviata una copia di ogni libro stampato in Italia). Ma ora – questa è la notizia – sta per ritornare. Una piccola casa editrice, guarda caso di Pavia, Effigie, dell’editore e fotografo Giovanni Giovanetti (uno dei pochi possessori di una copia superstite), sta pensando di rimetterlo in commercio. Intanto da qualche giorno lo sta ripubblicando, a puntate, capitolo per capitolo, sul sito http://www.sconfinamenti.splinder.com. Una scelta che coincide (un caso?) con un’altra notizia: lo scorso 27 marzo l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno depositato alla Procura di Roma un’istanza di riapertura delle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, ucciso all’Idroscalo di Ostia nella notte fra il 1° e il 2 novembre 1975. L’istanza si basa su dichiarazioni rese lo scorso 12 settembre da Pino Pelosi – come è noto condannato in via definitiva per l’omicidio dello scrittore – il quale, per la prima volta dopo più di trent’anni dal fatto, ha ammesso che quel giorno non era solo con Pasolini a Ostia, e che altre tre persone, siciliani a suo dire, avevano partecipato al massacro. «Quello che abbiamo richiesto agli investigatori – ha detto l’avvocato Maccioni – può essere riassunto in due punti. Anzitutto analizzare compiutamente quanto contenuto nelle indagini svolte dal pm Vincenzo Calia in relazione alla morte di Enrico Mattei, in particolare quanto emerso con riferimento al manoscritto “Petrolio” di Pasolini e al libro “Questo è Cefis” di Giorgio Steimetz; ovvero la tesi secondo la quale lo scrittore ucciso sarebbe venuto a conoscenza dei mandanti dell’omicidio Mattei indicandoli nel proprio romanzo “Petrolio”; ed accertare pertanto se sussista un collegamento tra gli assassini di Mattei, De Mauro e Pasolini».
Quando viene ucciso, infatti, Pasolini sta lavorando sugli stessi temi del libro di Steimetz- Ragozzino (testo che ben conosce), ossia il ruolo oscuro di Eugenio Cefis nella politica italiana e gli ambigui rapporti tra Stato e potenze occulte. Nel ’75 comincia a scrivere “Petrolio”, il suo grande romanzo sul Potere (preannunciato di 2000 pagine e destinato a rimanere incompiuto, sarà pubblicato postumo da Einaudi nel 1992, 17 anni dopo la sua morte): un romanzo che scava dentro il rapporto tra economia e politica, le bombe fasciste e di Stato e le società “segrete”, a partire da Eugenio Cefis, che in “Petrolio” viene ribattezzato “Troya”. “Petrolio” è il profetico e incompiuto romanzo-verità sull’Italia del doppio boom: sviluppo e bombe. Quello “Stato nello Stato” che – secondo alcuni, non sempre da condannare come dietrologi – ha deciso la sorte di Mattei, di De Mauro e dello stesso Pasolini.
Da ricordare, tra l’altro, che dopo la morte violenta di Pasolini si scopre che parte di un capitolo di “Petrolio” è sparito: quello intitolato “Lampi sull’Eni”, dove si ipotizza che Cefis-Troya avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. E proprio indagando sulla morte di Mattei, presidente dell’Eni prima di Cefis, un giudice pavese – Vincenzo Calia – ha constatato la lucidità dello scrittore “corsaro” nel ricostruire il degrado e la mostruosità italiana identificando il burattinaio principale in Eugenio Cefis, affarista e “liberista” tanto quanto Enrico Mattei era utopista e statalista. «Forse Pasolini non è stato ucciso da un ragazzo di vita perché omosessuale, ma da sicari prezzolati dai poteri occulti in quanto oppositore a conoscenza di verità scottanti», ipotizza Giovanni Giovannetti. Sta di fatto che Calia legge “Petrolio”, e poi riesce fortunosamente a reperire una copia anche del libro misterioso “Questo è Cefis”. E per primo coglie tutte le analogie e le simmetrie tra il testo di Steimetz/Ragozzino e il romanzo incompiuto di Pasolini.
Di questo e di molto altro ancora si parla ne “Il Petrolio delle stragi” di Gianni D’Elia, un saggio-inchiesta pubblicato nel 2006 dalle stesse edizioni Effigie, ora ripreso – in insieme al dossier di Carlo Lucarelli e Gianni Borgna “Così morì Pasolini” pubblicato sul numero 6 di “Micromega” del 2005 – da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in “Profondo nero” (Chiarelettere, 2009), lo stesso titolo dato a uno dei capitoli dell’inchiesta di D’Elia.
A margine di tutto ciò, vale infine segnalare che in base a un appunto del Sismi rintracciato dallo stesso Calia, la Loggia P2 sarebbe stata fondata in realtà da Cefis, che l’avrebbe diretta sino a quando fu presidente della Montedison; poi sarebbe subentrato il duo Umberto Ortolani-Licio Gelli… E qui le “trame” d’Italia si ingarbugliano ulteriormente, forse troppo.
Per fortuna, comunque, ancora tanto si continua a parlare di Pasolini, probabilmente l’ultimo vero grande “intellettuale” nel senso vero e positivo della parola che l’Italia abbia avuto. Mentre Garzanti da qualche mese sta ripubblicando in un’apposita collana tutti i titoli più imporntanti dello scrittore-poeta-regista (finora sono apparsi “Una vita violenta”, “Ragazzi di vita”, “L’odore dell’India”, “Scritti corsari”, “Passione e ideologia”, “Le ceneri di Gramsci”, “Il sogno di una cosa” e “Teorema”) arriva la notizia che Massimo Ranieri sarà il protagonista di un film intitolato “Pasolini, la verità nascosta” diretto da Federico Bruno, sceneggiato da Massimiliano Moccia e incentrato proprio sulla stesura del libro incompiuto “Petrolio”. sarà girato il larga parte nella torre medievale di Chia, frazione di Soriano nel Cimino, in provincia di Viterbo (acquistata dallo scrittore nel 1970 e trasformata nella sua seco
nda residenza), dove Pasolini avrebbe dovuto incontrarsi con alcuni amici la mattina del 2 novembre 1975. Il giorno della sua morte.
22 ottobre 2009 alle 00:48 |
Per favore, lasciate un file in PDF x scaricare tutto il libro da poterlo far girare, penso sia importante!
Grazie,
Alessio
22 ottobre 2009 alle 11:56 |
Di "Questo è Cefis" si prevede la ristampa presso le edizioni Effiie e l’uscita in libreria entro la prossima primavera. GG
30 marzo 2010 alle 11:43 |
qualcuno sa se verrà ristampato "L'Uragano Cefis" ?
7 aprile 2010 alle 09:03 |
Perchè, onde agevolare la lettura, non inserite in cima ed in fondo ad ogni puntata i link alle altre, o per lo meno alla precedente e alla successiva?