di Giorgio Steimetz
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Quando si asserisce che componendo i dissidi, le diaspore, le avversità all’interno del partito dei cattolici si avvierebbe anche quel processo di chiarificazione politica e di comprensione fra i partiti dell attuale maggioranza di governo dando così un significato e una rivalutazione concreti allo stesso concetto di democrazia, piuttosto scaduto sia agli occhi dell’opinione pubblica che ad un esame oggettivo , non ci si dà conto evidentemente di tanti intrighi e condizionamenti, ai quali va fatta risalire la responsabilità nelle incrinature e nei dissapori intestini al partito di maggioranza relativa.
Non ci si dà conto nemmeno di chiedere fin troppo. Come quando si invoca ad esempio la soluzione pacifica dei (veri o presunti) stati di polemica interna nella Chiesa cattolica, tra tradizionalisti e riformisti, per seguire la nomenclatura pittoresca in vigore; unione che Si auspica in nome del Suo stesso fondatore. Esigenze spericolate, quasi: come reclamare, ancora, un patto di tolleranza fra i due sistemi in cui oggi, di fatto, il mondo è diviso il comunismo e la democrazia liberale, o se si preferisce il materialismo e l’umanesimo , sia pure in nome della pace o della sopravvivenza della specie.
Non è che l’auspicio all’unità (nei cattolici, nei democratici, nel consesso di popoli) sia erroneo o appena strumentale. Non è chi non veda, per esempio, come la contrattazione all’interno della nostra compagine di governo e, all’esterno, una coerente, robusta, leale opposizione ad ogni forma totalitaria, sarebbero un toccasana e costituirebbero un rilancio sicuro per questa precaria e traballante democrazia italiana. Allo stesso modo il superamento delle contrapposizioni fra Stati e fra correnti nella Chiesa.
Ma occorre realismo e minor superficialità nel giudicare all’interno di un partito o nel seno delle varie comunità internazionali – il travaglio, l’antagonismo, le polemiche. Non basta chiedere un taglio netto con i frazionamenti: bisogna rimuovere le cause che lihanno generati, tagliare le fonti di finanziamento ad ogni livello di sospetto. Non basta reclamare la fine dei personalismi e delle clientele: occorre guardare anche a monte e indagare sulle origini e le coperture.
I punti franchi da doppiare
L’on. Andreotti, l’inarrivabile enfant terrible dello scudo crociato, uno dei personaggi più in vista dell’intera assemblea di Montecitorio, e tanto convinto che mancando la benzina le grandi macchine personali e organizzative delle correnti democristiane sarebbero costrette a segnare il passo, fors’ anche a sciogliersi, che è arrivato.l proporre un sistema di finanziamento pubblico ai partiti, in piena luce del sole.
Don Sturzo, che vedeva lontano più del suo (rispettabile) naso, era arrivato alla stessa conclusione qualche decennio prima, esattamente quando s’accorse che proprio l’Ente Idrocarburi, con Mattei condizionava di fatto uomini della democrazia cristiana attraverso altri uomini dc, raccolti in una corrente dall’ENI cospiquamente foraggiata.
Storia di ieri. Da non dimenticare tuttavia perché nel frattempo i finanziamenti ENI si son resi più fluidi ma più consistenti, irrorandosi ad altre correnti democristiane (e non), valicando l’argine per sfociare presso altre segreterie e correnti, di governo o all’opposizione Non solo. Il metodo Mattei ha fatto scuola (o ha rispolverato antiche, abusate norme didattiche).
In parecchi enti pubblici, retti da democristiani, da socialisti (delle due tendenze), da repubblicani per restare nel centrosinistra – ci si finanzia allo stesso modo, ossia (per non usare pietosi quanto stupidi eufemismi) rubando dai bilanci o traendo vantaggiosi interessi da gestioni extra-bilancio degli enti stessi.
Il cannibalismo interno scudocrociato è favorito dalla corsa (per arrivare primi) a certi grossi centri di potere, a certe poltrone ministeriali che assicurano a correnti e uomini la sussistenza, la taglia, gli utili. Per mantenere in vita gli apparati, i giornali, per pagare gli addetti, per lanciare campagne, per sostenere ingenti spese elettorali degli aderenti, e necessario attingere a questa partita di giro, senza riscontro e senza reversale.
Diamoci conto di questa realtà prima di auspicare l’unità, Ia smobilitazione delle correnti. Diversamente, passeremmo per ingenui e basta.
Malcostume, forse consueto, forse congeniale. Ma non crediamo che la proposta Andreotti, se accolta, riuscirà a risolvere l’odioso aspetto di questo parassitismo di uomini e strutture.
Ci vorrebbe, ad esempio, che ogni nomina dello Stato presso Enti Pubblici fosse ispirata da ragioni tecniche anziché politiche, analogamente al criterio uniforme adottato dalle imprese e aziende private. Si dovrebbero rimuovere quindi tutti quei falsi tecnici che hanno ottenuto la nomina per meriti squisitamente di partito.
Per vincere il male alle radici e per garantire un margine di attendibilità a certe riforme (come quella appunto auspicata), occorre risalire a questi punti franchi, rimuovendoli in blocco e sostituendovi una vera e propria epurazione, dando il posto ai migliori nel senso professionale del termine.
La politica dell’“impera et divide”
Non è una terapia da medicastri. Come nei nostri bilanci esistono spese prevedibili e spese impossibili; come ci vediamo noi costretti a tenere in garage l’automobile se c’è lo sciopero dei benzinai o ci mancano i soldi per il pieno, così dovrebbe risultare possibile tagliare alla radice quel sistema diffuso che consiste neI vivere alle spalle dello Stato adoprando i soldi dello Stato stesso, in tutte le forme immaginabili.
Dicevamo dell’odioso ma produttivo criterio adottato da Mattei per ingraziarsi, condizionare e quasi paralizzare l’autorità democristiana (perché di fatto un gradimento ad ogni operazione interna o internazionale era di sua spettanza).
Mattei andò più oltre, incuneando una spina nel fianco del partito DC, cioè quel gruppo di parlamentari di Base, che usava la fronda e riferì il verbo del Capo: si chiamasse esclusiva di ricerca petrolifera o alleanza con i socialisti o avallo allo sperpero di denaro nei bilanci ENI, come i passivi ad esempio de “Il Giorno”. Il suo successore, Eugenio Cefis, ha fatto di meglio. Ha finanziato ogni altro settore democristiano: non ostenti distaccato stupore il Piccoli, doroteo (non ne ha tessuto infatti l’elogio, mandandolo anche alla Montedison?) e non finga di aversene a male Mister X il quale non avrebbe fermato l’interrogazione Simonacci su certe rivelazioni ENI-Cefis, qualora fosse risultata infondata o inoffensiva la conseguente accusa.
Il Cefis ha adottato per gli altri partiti una politica non difforme. Quello che non era riuscito a Mattei avere dalla sua parte la maggioranza delle azioni democristiane e il controllo più o meno larvato di pressoché tutti gli altri schieramenti politici e riuscito al suo successore. Il quale pur non godendo della stima dell’ex Presidente dell’ENI, alla sua morte o poco dopo è salito proprio su quella poltrona e ha mostrato una plateale affinità di metodi col predecessore, almeno in questo campo.
A parte la questione sul gusto e la misura tra i due massimi esponenti dell’apparato petrolifero italiano, la loro abilità consisteva non già nel dividere gli avversari per dominarli, ma in una versione tete-beche dell’assioma: dominare, per poi (eventualmente) dividere (nel senso di spartire).
Si dice che l’ex signora Mattei goda di una rendita di cinquanta milioni l’anno, dopo le spartizioni e le querelles con i fratelli deldefunto. Mancando domani Cefis, a quanto ammonterebbero le rendite ai superstiti? Probabilmente i cinquanta milioni diventerebbero (inflazione a parte) cinquecento, o di più ancora.
Personalmente ci siamo cimentati in una disamina degli interessi privati dell’attuale Presidente della Montedison; altri potrebbero meglio di noi arrivare ad un edificante e ineccepibile inventario.
Il metodo così applicato un tempo sarebbe parso temerario e le voci che lo segnalavano sarebbero suonate fioche e stonate. Oggi no. Quasi quasi tale sistema di autofinanziamento a catena di Sant’Antonio diventa legalizzato, quantomeno tollerato come rispondente ad un mass-media. I beneficiati non disdegnano di apparire in societa per azioni come membri del consiglio di amministrazione, sicchè la carica e risaputa e il servizio di dipendenza reso noto.
L’ombra del super-presidente
Povero Sturzo che dall’allora libero e intemerato Giornale d’Italia tuonava contro codeste corruzioni del potere politico ed economico. Cosa farebbe oggi: meglio, dove troverebbe ospitalità per elevare le sue accuse?
Chi gli darebbe retta, visto che negli ultimi tempi passava per matto, avendo la temerarietà di chiedere severi controlli perché non scivolassero i milioni del contribuente dai bilanci di enti di Stato, guidati da insigni e stimati lestofanti con tanto di cavalierato del lavoro?
Ma riprendiamo la nostra analisi sul tema, così ampio, delle attività paraprofessionali, immobiliari o meno, del capitano d’industria Eugenio Cefis.
Si inseriscono, tali attività, nel calderone ENI: perché pare che attualmente il Presidente sia ancora lui. Un Presidente saper, se vogliamo, ombra paterna di Girotti.
Cercheremo di attenerci, quasi invitati dal lettore – che nel nostro caso e una sorta di giurato in aula di tribunale , ai fatti. Ne abbiamo parecchi da delineare. Non tutti, forse, ma abbastanza per far intendere che non è pura malignità o diffamazione gratuita la nostra.
Altri, prima di noi, hanno segnalato che alcuni familiari del ministro (fanfaniano) Lorenzo Natali sono titolari di concessioni Agip (Agipgas o Snam, è un po’ la stessa cosa) in Abruzzo, essendo l’on. Natali figlio di quella terra; concessionario per le Puglie è l’on. Vincenzo (Vincenzino, quando era un modesto dipendente del cane a sei zampe) Russo; interessato agli stessi prodotti per la Liguria è il senatore Giorgio Bo, ex ministro, per lungo tempo, delle Partecipazioni Statali; incarico che lo ha portato, appunto, dalle statali, alle personali.
Voci che riportiamo senza aver affatto la pretesa di avvalorarne o meno la veridicità, per titolo di semplice (e istruttiva) cronaca, ma che meriterebbero di andare severamente sondate (non con le trivelle della “Nuova Pignone” o altre celebratissime armi d’indagine tipo commissioni parlamentari di inchiesta, capaci solo di riempire cartelle d’archivio e di favorire gradevoli trasferte ai membri, invitati a conoscere ma non a raccontare). Sondate, si diceva, dagli organi competenti. Ai quali sembra di cattivo gusto continuar ad augurare felice riposo, ma tanto non cambia il ritmo.
Riepilogo sommario ma edificante
Per nostro conto, preferiamo una carrellata, discretamente ampia, di immagini, guardando ai personaggi e radiografando con buonavolontà le connessioni tra questi e l’“Anonima Petroli >> o “l’Anonima Metano”: la mafia politica, senza eccezioni in quanto mafia, s’è pur aggregata ad uno di questi due carrozzoni.
Nei servizi sin qui pubblicati abbiamo avuto l’occasione di sgrossare le società e gli uomini in due distinte ramificazioni: quelli che trattavano gli affari (più o meno leciti, più o meno loschi) per conto di Cefis, e quelli che si muovevano, per loro conto, nella perimetrazione-Cefis.
La distinzione non è ripetibile se non in parte: è astruso pretendere d’attribuire con certezza a Caio quel che potrebbe essere di Tizio, o viceversa, intendendo per Tizio il protagonista del nostro racconto edificante.
L’inevitabile confusione un po’ deriva dalla natura stessa delle attività finanziarie, un po’ all’impulso mimetizzante favorito dal direttore d’orchestra, un po’ dal consueto sottofondo italico di certe faccende.
Comunque le implicazioni restano. Con società-fantasma o di comodo; con paraventi rispettabili o teste di turco che assomigliano da vicino al Capo (strana fisionomia, da mandriano l’avevamo definita, per un cognome che nell’etimologia non laboriosa richiama proprio l’accezione greca khefal).
Dunque è naturale che egli si spinga verso le frontiere più varie, alla ricerca di popolarità diretta e immediata, cioè per reper
ire membri di collegi sindacali e di consigli d’amministrazione anche tra i personaggi minori, senza badare se siano Ministri o poveri agricoltori (si fa per dire).
Nei servizi precedenti abbiamo ancora tracciato la fisionomia essenziale di molti tra i più accessibili personaggi del cast, passando infine in rassegna le società nelle quali risultavano o si supponevano (con esauriente approssimazione) implicati
Parlando delle due anonime metano e petrolio non potremo conservare la distinzione in oggetti e strumenti. Ci limiteremo per tanto e citare i fatti, come escono dal voluminoso dossier, collezionato con snervanti ricerche, documenti, fotocopie, appunti, estratti e fogli in quantità. Il lavoro, durato molti mesi, non si può dire tuttavia esaurito e si potrà arricchire di appetitosi supplementi appena collocate al loro posto altre tessere-guida.
Se dovessimo comprendere in questa rassegna anche le voci, non raccolte da altri ma emerse proprio nel corso della nostra inchiesta giornalistica (non ci riguarda affatto l’eventuale pubblico o privato dominio di dette voci), potremmo, in aggiunta all’on.le Natali e al sen. Bo, citare ad esempio un Verzotto Graziano e un Mattei Italo, fratello del defunto Presidente.
Intermezzo di accidentali “rumori”
Potremmo allora vedere il primo, oscuro dipendente dell’ENI e fornito di un buon passato partigiano, divenire concessionario Agipgas a Siracusa, segretario nazionale, provinciale e regionale della DC in Sicilia, terra che ha tanto interessato l’ENI per concessioni, esecuzione di impianti, esclusive.
Si sa quanto il potere politico democristiano possa a tale proposito risultare proficuo; infatti dopo aver reso tanti servigi, il Graziano Verzotto te lo troviamo oggi presidente di una società con mezzo miliardo di capitale (la “Sarp” Azionaria Raffineria di Palermo per la lavorazione di oli minerali), società che non sapremmo bene a chi attribuire se all’ENI solo, o agli Idrocarburi e associati, o ad altre consorterie di partiti e della regione siciliana. La vita parallela di Verzotto – nella DC e all’ENI – se non è coperta di tenebrose implicazioni, è abbastanza esemplare per meritare un cenno, appunto, incidentale.
Quanto all’Italo Mattei, battezzato da qualcuno piagnone pubblico dopo la scomparsa del fratello Presidente, irrequieto in politica al punto che se la DC non gli offre un posto in lista se ne passa tranquillamente ad altro partito, sempre nel centro-sinistra, tanto per conservare vantaggi che all’opposizione non avrebbe, è conosciuto come coautore d’un memoriale che suggerisce tante ipotesi sulla fine del Mattei n. 1, delle quali (ipotesi) nemmeno una appare credibile.
Litigioso (con la vedova, signora Margherita, dell’ex Presidente, con gli stessi fratelli suoi) per spartire la non indifferente eredità dell’Enrico, è concessionario Agip sulle piazze dell’Italia Centrale, e per diversi prodotti. Non ha certo titoli per lagnarsi dell’ENI, al quale deve, in una con gli anni felici della stagione Mattei, anche buoni guadagni.
Voci, ripetiamo, che facciamo rimbalzare tanto per alleggerire la tensione di questa storia, nella quale abbiamo accolto soltanto risultanze, rifiutando tutti i pettegolezzi e le chiacchiere di circostanza.
La potenza finanziaria del metano
Il sottosuolo italiano, come tutti ormai convengono, non è ricco né di metano né di petrolio. Il primo, anzi, dopo gli eccezionali ritrovamenti di questo dopoguerra, ha rivelato di non essere né sufficiente né inesauribile.
Comunque sia l’uno che l’altro arrivano in Italia e come ogni altro Paese non dotato di falde petrolifere o di sorgenti ricchissime di gas naturali, lo importiamo dall’estero per la maggior parte: dall’Iran e dall’America l’oro nero, dall’Urss e dall’Olanda quello rarefatto. Per quanto poveri di codesti minerali, abbiamo in Italia una grande azienda che in larga misura provvede a tutto: a mettere il metano in condutture, a distribuirlo, a venderlo (e, naturalmente, a cercarlo). Allo stesso modo l’ENI – questa enorme impresa del leggendario supercarburante italiano – fabbrica trivelle, trasporta petrolio, lo ricerca, lo smercia, lo lavora.
Esiste tutta una serie di imprese sussidiarie, le quali potrebbero— se andiamo avanti così—fornire quasi interamente un supermercato, tanto vasto è il raggio di produzione e commercio di prodotti. Il fatto di malcostume alligna da tempo all’ombra del gigante metanpetrolifero di Stato. Noi le chiameremo appunto con il termine allusivo di Anonima.
Le insospettabili squadre mafiose che costituiscono società, realizzano centinaia e centinaia di milioni di utili; in parte se li spartiscono (anzi in certe situazioni vale unicamente la suddivisione fra compari); in parte li cedono come tangenti, o al grande Capo o al partito o a delle correnti (e segreterie): come farebbe il federale di Milano, senatore Giovanni Marcora, a compensare i voti preferenziali dati a determinati uomini (nella corrente di Base) nella lista? Così si spiega l’autoritarismo e la proliferazione delle correnti. Occorreva trovare un punto su cui reggere la terra: il nostro l’ha individuato in queste regalie che lasciano tutti soddisfatti del bene (reciproco) compiuto o da compiersi in prospettiva. Non mangiate le margherite, e le margherite (de stercore Herrici) non mangeranno voi: anzi, vi lasceranno in tripudio e operosa digestione continuare per la vostra strada.
Quali e quante sono le società ad intrallazzo misto s.a.i.m. se ci è consentito dall’allegra vicenda coniare una ragione sociale, tutta ispirata dal settore metano-petrolifero del cavaliere del lavoro Eugenio Cefis, dei suoi amici, oppure amministrate fiduciariamente per longa manus del partito?
Passiamole un poco in rassegna, senza pretendere che l’inventario sia esaurito. Noteremo almeno che la potenza di queste sorgenti di energia (e di danaro) è notevolissima anche quando è adatta a riscaldare le vivande sui piatti degli uomini politici.
“Metanifera Alta Italia”
È la capogruppo; la prima forse anche in ordine cronologico di costituzione; quella che dà allalavorazione del metano per conto dell’onorevole associazione il significato più estensivo, il quale vadalle operazioni di ricerche minerarie, allo sfruttainento di idrocarburi alla costruzione diimpianti, alla distribuzione di gas liquidi e gassosi, alla compravendita, ai trasporti, al commerciodegli apparecchi.
È la società, ancora, che raccoglie o che ha visto nel suo seno fiorire e passare) gli uomini piùfidati e rappresentativi del ras. Costituita neI giugno 1952 dal notaio dott. Cellina (l’altro notaio, dott.Neri, si occupa appena delle immobiliari), ad opera di Umberto Salanti coinquilino fino a qualchetempo fa di Cefis in Via Dandolo, consigliere della Banca Manusardi, della “Formenti”, della Rimoldi ; consigliere in numerose società, eminenza grigia di Cefis);.Maffei Giuseppe (parentedell’Alberto, interessato alla “System Italia” di Adolfo Cefis? e dell’Antenore della “MetaniferaMartesana”?); Visconti di Sanvito nob. avv. Alberto (socio del Salanti in affari e società, titolare diimmobiliari); ing. Domenico Fabiani forse l’unico competente); Gaetano Carcano (interessante tipomisto che avrà l’incarico di curare decine di società del metano).
Nel 1954 entrano Giovanni Besana, altro amico del Salanti col quale era interessato alla “Dell’Orto”; Naselli Orlando e quell’Ernesto Vigevani, un geometra del quale ci occuperemodiffusamente in seguito, inserendolo accanto al ministro in carica, Sen. Camillo Ripamonti. Nel ’58entrano Umberto Garbagnati della “Fingraf” e Rimoldi, Silvio Sardi, l’uomo di Cernusco sulNaviglio, anche lui fertile come il Carcano di numerose e attive ge
nerazioni d’azione metanifera,aggiungendovi un cospicuo e quasi inusitato pacchetto di immobiliari. Tra il ’65 e il ’67 il Sardi Silvio,nominato amministratore unico, fa entrare i due Salvatore – Calise e Piredda e la Maria Malegori, i quali costituiscono, come vedremo in dettaglio, il trio di fiducia del Sardi stesso.
Nel ’68 si affacciano Wahan Pasargiklian e Meda Filippo (figlio del Luigi e nipote dell’omonimo Filippo: il grande, perché ebbe interesse solo verso la politica tout court, anziché per la politica infunzione dell’economia come il figlio, o dell’economia senza la politica, come il nipote). Troviamo inoltre un certo Mario Gentile mentre la procura va a Barracchia Vittorio e Antonio Vaccari, i cui nomi troveremo più avanti e più volte.
Nel collegio sindacale non emergono figure interessanti, in quanto gente sempre rispettabile come Edoardo Astolfi, Pietro Bignami e Pietro De Rocchi non pesano né contro né a favore di (eventuali) centri di potere a disponibilità illimitata.
Di chi è dunque la “Metanifera Alta Italia”? Di Meda e Pasargiklian no. Di Gentile, Vaccari, Barracchia, Malegori, Calise e Piredda neppure. Essi sono soltanto uomini di fiduciaria rappresentanza, ottimi garanti se si vuole ed integerrimi personaggi. Forse l’azienda è passata dal Salanti (delegato di terzi) al Silvio Sardi. Costui per quanto potente e miliardario non dovrebbe essere il padrone assoluto: forse subisce delle taglie, forse gli controllano i bilanci per cavarne delle tangenti. Quello che si può affermare con una certa tranquillità è che la “Metanifera Alta Italia” appare stranamente inquinata di interessi privati e politici.
Nel clan dell’attuale consiglio di amministrazione e tra i nomi che vi son passati risalta la “anonima metano” al gran completo. Ne manca qualcuno ma lo ritroveremo addossato ad altre metanifere, come si vedrà più avanti. Dietro i nomi si agitano discretamente le ombre, che hanno tuttavia già da qui una denominazione anagrafica completa, un simbolo, uno scudo dietro il quale sentirsi al coperto e prosperare in un magnifico silenzio.
“Metanifera Ambrosiana”
Geograficamente non potevamo non trasferirci a questa società, per quanto essa non risulti una affiliata alla “Metanifera Alta Italia”. Diciamo che vi è collegata, che rientra nel cartello generato dalla casa madre.
Costituita come società a responsabilità limitata nell’agosto 1953 con il consueto remunerativo scopo sociale da Milano Pirola, di Cernusco sul Naviglio (conosce bene gli uomini della piazza il Silvio Sardi), in unione ad Angelo Sirtori, Giuseppe Morandi e Massimo Bernini. Gente la cui età oscilla tra i sessanta, come vuole l’antica tradizione dell’esperienza nel disbrigo e nella conduzione degli affari.
Nel 1956 colpo a sorpresa. Vengono nominati due amministratori. L’uno è Ripamonti Camillo, Sindaco (a vita) di Gorgonzola, uomo di stretta osservanza nella corrente DC di “Base”, fedelissimo dell’Ente Nazionale Idrocarburi, parlamentare vivace e scalpitante che miete voti nel lodigiano, ministro attualmente per la Ricerca Scientifica, dopo essere stato parlato alla Sanità, lui, ingegnere anche se non praticante.
L’altro è Ernesto Vigevani, consigliere di tante società del metano ad intrallazzo misto, buono in tutte le salse suggerite dalla fantasia fervida di qualcuno: da quelle rette dal Sardi a quelle rette da Bruno Manenti, sino a quelle pilotate in sordina dal Ripamonti: segno palese che una derivazione, un ascendente comune deve esistere tra questi personaggi che sembrano sempre in cerca d’autore o ne suggeriscono il rimando)
Particolare non trascurabile: questi due amministratori sono designati a durare in carica per tutta la durata della società. A distanza di pochi mesi tanti ne vanno dal 4 marzo al 3 maggio di quest’anno di grazia metanifera 1956 secondo colpo di scena. Ripamonti e Vigevani danno le dimissioni, nonostante l’investitura a vita (dell’azienda) in precedenza loro assegnata.
perché mai? Un mistero presto svelato: il nome di un Tizio (anche illustre), destinato a raggiungere il dicastero della ricerca scientifica, o di altre menti eccelse, non è sempre opportuno evidenziarlo nel contesto di attività che potrebbero risultare poco smarginate dall’incarico pubblico.
Saggio ripensamento. Tanto più che gli uomini di paglia da coprire il vuoto non mancano davvero sul mercato. Nel 1960 pertanto, e dopo la fugace apparizione di tale Adolfo Zurloni, entrano al posto dei dimissionari la Malegori Maria, fiduciaria del Sardi e, nel ’64, il Sardi Silvio stesso. Questi, inutile dirlo, trasferisce la società nel feudo (più sicuro?) di Cernusco sul Naviglio.
Il Ripamonti ha scelto l’ora e il modo per uscire dalla società, dove avrebbe avuto vita lunga e tranquilla.
Nel nostro zizzagare per la città alla ricerca delle “s.a.i.m.”, siamo giunti ora in via S. Marco, 26, dove per chi non lo sapesse c’è il quartier generale proprio di Camillo Ripamonti, non ministro di ricerca, ma protagonista di (ricerca e) sfruttamento di idrocarburi gassosi. Vediamo le non molte anonime che riusciamo a incontrare.
“Crem-Orobica”
Una società a responsabilità limitata costituita nel 1955 con un capitale irrisorio ma con uno scopo preciso di sicuro investimento: costruzione di reti di metano. Ripamonti, lo si intuisce facilmente, non può scoprirsi troppo. Tanto vale allora esporre inoffensive figure che non hanno volto pubblico, cariche nel partito, velleità di giungere magari alla poltrona ministeriale. Un Vanelli Enzo in qualità di Amministratore Unico può andare egregiamente. Tanto più se è già addentro nel mestiere risultando consigliere già della “Sime Impianti metano” di Crema (anche di essa ci occuperemo).
Il Ministro specializzato nella ricerca sembra aver preso gusto alla distribuzione e compravendita deI prezioso minerale tanto è vero che ci prova, magati col Vanelli) a costruire metanodotti, una attivita che deve senz’altro considerarsi produttiva e di sicuro avvenire. Allo stesso indirizzo, infatti, ne sorge un’altra
“VI – MA”
È appunto con questa sigla un po’ insolita che agisce una società per Ia distribuzione, rivendita di carburanti e lubrificanti (anche questi ultimi entrano nel raggio d’interesse deI metano).
L’azienda avrebbe dovuto magari chiamarsi “Ri-Vi-Ma” (Ripamonti, Aligevani, Manenti). Invece Camillo Ripamonti ha preferito estraniarsene. Nel marchio appaiono (sottintesi) soltanto il Manenti per quanto amministratore unico figuri il solo Ernesto Vigevani.
La “VI – Ma” è una s.r.l. costituita nel ’55 e collocata a quell’epoca al quartiere, appunto, Ripamonti (ricerca metanifera), in via S. Marco. Capitale: lire 500.000. Nel 1960 la società si trasferisce in via Brera, amministratore unico sempre il Vigevani, ombra – sicuramente – del Ripamonti, e che agisce anche per conto di Bruno Manenti.
Molteni – Industria Combustibili Fluidi, liquidi e solidi
Che coraggio: stavolta la società è per azioni. Sorta nel ’64, aveva sede a Busto Arsizio. Si propone anche l’esercizio di officine per il gas e risulta abbastanza consistente (200 milioni di azioni: chi mai ne avrà la maggioranza? ).
L’hanno escogitata per primi i signori Ghidoli (Pasquale e Tullio) di Vittuone; il solito Giuseppe Maffei (della capintesta Metaniferi Alta Italia); Ernesto Vigevani di Cortemaggiore, dove in un tempo favoloso sgorgò il petrolio italiano, (ora esaurito), socio del Ripamonti (per quante stagioni?); Bruno Manenti che seguitiamo a citare senza specifiche qualific
azioni, dovendo più in là incontrarlo in diretta.
Nel 1967, esaurita la funzione, escono Maffei e Ghidoli: il primo magari si prepara ad altre sortite, mentre il secondo torna nel nulla, la penombra che abbiamo attraversato e dalla quale siamo partiti. Nel 1969 il superstite dei Ghidoli, Pasquale, diventa Presidente con il Manenti Bruno consigliere delegato e l’Ernesto Vigevani procuratore. Nel collegio sindacale: Aldo Ferrazzi, Leonardo di Clemente, Giuseppe Locati.
A questo punto lasceremo il metano (che fa marciare le industrie italiane e tanta (troppa) gente dietro facili guadagni) di Ripamonti, che non perderemo tuttavia di vista. Ci capita ora di incontrare gli aItri gruppi di questa ricca ricerca di giacimenti e distribuzione. Primo fra tutti, quello di Salanti e compagni, sempre nell’offensiva metano.
Metanifera Sommese
La costituisce sempre il notaio Cellina nel 1958, con appena un milione di capitale, destinato a salire agli attuali 100 milioni. L’oggetto è qui dilatato. Non si accenna più soltanto a compravendita di idrocarburi, ma del loro trasporto e della relativa distribuzione, con l’aggiunta di generici affini. Gli impianti sorgono a Somma Lombardo.
La società è ideata e composta dai signori Salanti Umberto nome e garanzia , nobile (ma realista) Visconti di Sanvito Alberto (vecchia conoscenza), oltre all’immancabile Giuseppe Maffei, l’uomo di Pinzolo, giunto sulla soglia dei settanta. Nel 1961 il posto deI Maffei lo occupa Enrico AristoAureggi, il quale fa salire il capitale, appunto, a cento milioni.
L’Aureggi è titolare di parecchie immobiliari ed è socio in affari -tra Aristo(cratici) e Visconti – conil Sanvito; garantisce per lui il Salanti. Nel 1961 si fa avanti Ermes Visconti, figlio dell’Alberto einteressato con l’Aureggi nel “Consorzio Produzione Latte” di Gallarate.
Nel 1963 la società si sposta in via Dandolo, dove abitano – casualmente – Cefis Eugenio e SalantiUmberto. Entrano poi nel ’66 Bruno Manenti, Ernesto Vigevani (e Turati Francesco). Nuovo trasloco,stavolta nel quartiere Ripamonti, in Via San Marco; si provvede (ed è facile arguire chi sia il deus exmachina della faccenda) ad anonimizzare il consiglio di amministrazione, affidandolo a certi LoffiBruno di Trento, Pietro Rainoldi di Milano, Macconi Corrado di Piadena.
Infine la società è trasferita a Cremona. Operazione che non si avvale del placet del collegio deisindaci, composto da Aldo Ferrazzi, Francesco Branduardi e Luigi Olmi.
I terzi delegati
Getteremo adesso uno sguardo alle strutture e ai quadri dirigenti di altre attività metanifere, legateal nostro assunto da trasparenti legami di continuità logica (e finanziaria). Saranno i terzi, ai quali si rivolge l’azione accessoria e di rincalzo della nobile società.
“Metanifera Martesana”
Vecchia azienda che si chiamava nel 1926 “Anonima Gas Santa e Villa San Fiorano”, per laproduzione e distribuzione di gas. Ed è con certi notissimi protagonisti Tronconi, Fontana, Pessina,Cereda al di fuori deI nostro spazio di intervento, che troviamo un Antenore Maffei, d’ufficioimparentabile con il nostro Giuseppe (Maffei).
Trascuriamo gli anni che vanno sino al 1945, del tutto assenti da questa storia così recente. Nel ’46 appare Silvio Sardi quale amministratore Evidentemente le sueconoscenze con Cefis (e Mattei e la DC) risalgono a quel tempo e si riveleranno preziose.
Nel ’55 l’“Anonima Gas” cambia denominazione e diventa “Industria del Gas”. Una autenticaindustria che esce – si fa per dire – dall’anonimato, accomandatario il Sardi stesso e accomandantela moglie, Rosalia Corazzi. Nel medesimo anno questa “Industria Gas” si fonde con la “Metanifera Agratese” e con la Metanifera di Carugate, dando origine all’ultima metanifera, la“Martesana”, con sede tassativa a Cernusco sul Naviglio. Nel 1962 primo colpo di timone: entra la“Sarfin” (dello stesso Sardi, società per “le partecipazioni industriali e commerciali”, cui siassoceranno in seguito Meda, Piredda e compagni; la “Sarfin” diventa accomandante).
Due anni più tardi aItra impennata: subentra quale accomandatario la “Metanifera Milanese”dell’israeliano (deceduto nel 1969) Navoc Isaac, non sappiamo per conto di chi. Altre notevolivariazioni: nel ’64 entra d’Orta Gaetano, con procura di Salvatore Calise (persona di fiducia delSardi); nel ’66 e nel ’68 entrano Piredda Salvatore, Malegori Maria, Starace Ercole, GugliottaEdoardo, Jaretti Mario e Galbiati Giuseppe. Nel ’69 si dà favore e procura al solito Vaccari Antonioe Matteo Albanese, mentre cambiano aria il Galbiati e altri.
Le tappe societarie sono dunque complesse, tutte curiosamente condotte tra il Naviglio (che toccaCernusco) e la Martesana (ora coperta) a Milano. Il gas tanto ricercato e distribuito viaggia peròtranquillamente lungo i suoi tracciati, incanalato bravamente e regolarmente introdotto nelle case enelle fabbriche. Il prodotto è ottimo, dicono, la rete di consegna e recapito funziona a perfezione. Gliaffari, nel campo degli idrocarburi gassosi, prosperano come non mai.
Bisogna però rendersi conto dell’aspetto istrionesco di una gestione polivalente che imponepassaggi di proprietà, rilascia e ritira procure, scegliendo con oculata astuzia uomini, quadri eindirizzi, ampliando i capitali, fissando le quote e il dosaggio di accomandatari e accomandanti. Iltutto senza che nulla di sostanziale sfugga di mano o senza che le cose mutino più che tanto.
È la legge risaputa della mafia economica, per assicurare stabilità e discrezione alle proprie imprese, garantendo tangenzialmente agli addentellati quei contributi che si rivelano vitali almeno nel campo dei partiti politici, nella DC in ispecie.
Il gas c’è, anche se non basta e bisogna importarne dal Marocco o dalla steppa russa. Bisogna saperlo sfruttare ed estenderne i benefici nel più largo sistema di distribuzione politica possibile.
Il discorso è piuttosto lungo, la rete di società è assai vasta. Le implicazioni – cioè il tema che conta agli effetti della nostra inchiesta – interessanti, tanto da doverle riprendere.
Questo è Cefis (pp. 221-238) – segue
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