In morte di Denis
di Giovanni Giovannetti
Denis Istraila, 9 anni, se l’è portato via un tumore al fegato. Lo ricordiamo bimbetto nel 2007 alla Snia di Pavia e, dopo lo sgombero, di nuovo a Slatina, quartiere Progresu, nella sua baracchina di legno, fango e senz’acqua, con il padre Tanase Fanel, la mamma Narcisa e i numerosi fratelli. Il padre Tanase aveva guidato lo sciopero della fame in piazzetta Maggi nei giorni successivi allo sgombero dalla storica fabbrica pavese; per gravi motivi di salute aveva poi accettato 250 euro offerti dalla Caritas per conto del Gruppo Zunino (uno dei proprietari della ex Snia) ed era tornato in Romania con la famiglia. Pochi mesi dopo il nostro incontro a Slatina, nel marzo 2008 Tanase è tornato a Pavia: manovale in nero per 3 euro e 50 l’ora e una vita di merda, lontana dagli affetti famigliari. Troppa nostalgia, troppa malinconia… così nell’estate scorsa viene nuovamente raggiunto in Italia dalla famiglia e, non avendo altro, hanno bivaccato abusivamente tra i capannoni dell’ex Necchi: Denis ha frequentato le elementari all’“Ada Negri”, fino a quando…
…fino a quando il 25 settembre scorso Il sindaco di Pavia ha allontanato “al buio” 17 Rom rumeni dall’area Necchi. “Al buio” significa senza prevedere alcuna sistemazione d’emergenza per la notte: 11 adulti e 6 bambini hanno così dovuto bivaccare sotto un ponte. Motivo: «s’impone il ripristino della legalità», come ha più volte ripetuto. Nello stesso giorno, lo stesso sindaco era accorso scodinzolante ad applaudire le lacrime dell’assessore provinciale Rosanna Gariboldi, moglie del suo referente politico on. Giancarlo Abelli, da poco in carcere dopo aver riciclato denaro sporco per anni e anni.
Pattume e rumeni, scarti urbani e scarti umani. Nella Città dei Saperi nonché capitale del gioco d’azzardo, degli sportelli bancari e delle mafie sommerse quella notte le istituzioni hanno lasciato che 6 bambini dormissero all’aperto in riva al Ticino. Quattro di loro erano i figli di Narcisa e Tanase, che fino al giorno prima andavano a scuola. Tanase poteva finalmente esibire un regolare contratto di lavoro, al quale ha dovuto rinunciare per stare vicino alla sua famiglia in mezzo a una strada. Tanase – che pure sarebbe stato in grado di pagare un affitto – dai locatori pavesi si era sentito rispondere «Albanesi e marocchini sì, rumeni no»: somiglia tanto a quel sinistro «vietato l’ingresso ai cani e agli italiani» o all’analogo «non si affitta ai meridionali» di cui si parla nei libri di storia, quando i rumeni eravamo noi. Così Narcisa, Tanase e i loro bimbi hanno dovuto fare precipitoso ritorno in Romania, inconsapevoli della malattia di Denis (sembra che a Pavia l’avessero visitato, senza che i medici se n’avvedessero). Stamane è morto all’ospedale di Bucarest. Una dolce carezza, piccolo angelomio.
Quali miopie, quali ipocrisie si celano dietro a tutto questo? Mi torna alla mente l’emergenza umanitaria dei Rom alla Snia, tre anni fa: la chiesa era lì a due passi, e il parroco ha negato loro l’acqua; chiedevano un tetto, e nessuno che abbia concesso una vecchia canonica disabitata, nonostante l’appello del Vescovo, né altri un qualche rudere dismesso. Come a Gesù, duemila anni prima: «avevo sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete dato ospitalità» (Matteo, 25).
Certi cattolici della domenica sono proprio fortunati. Sono fortunati, perché Dio non esiste. Se Dio esistesse li avrebbe già fulminati, inceneriti, schiacciati, squartati, trapassati con spade di fuoco. Se Dio esistesse li avrebbe aspettati alle porte dell’aldilà per rispedirli a pedate nell’aldiquà a patire le pene patite da un mendicante o da un immigrato, a sopportare l’umiliazione di un Rom o di un rifugiato, per la vita eterna.
Purtroppo per loro è esistito Gesù: «Allora quelli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato, straniero o nudo, malato o in prigione, e non ti abbiamo aiutato?” Ed egli risponderà: “Tutto quello che non avete fatto per aiutare anche l’ultimo di questi miei fratelli, non l’avete fatto neanche per me!”».
17 febbraio 2010 alle 23:55 |
Ciao Denis.
Hai avuto due genitori splendidi: tua madre sempre piena di attenzioni ‘per te, definite "povere" e "gravemente carenti" da chi l’affetto lo può contare, per capacità sua cerebrale, soltanto con una grande casa pulita ed accogliente (che lo stato, brutta invenzione, ti vieta) ed attenzioni materiali.
Tuo padre è stato combattivo, ha dimostrato quanto lui e tutto il suo, il vostro, popolo non abbia imposto istituzioni, leggi, codici, comportamenti, abbigliamento a nessuno mai.
In una terra "libera" e "democratica", come ama definirla chi la amministra sguazzando nella propria merda fatta di potere, soldi, potere ed ancora soldi, avresti avuto ogni tipo di cura e tutela, da quella contro il razzismo e l’indifferenza a quella per alleviare e forse guarire la tua complessa malattia.
Qui nessuna madre o padre, anche ammesso che sappia cosa ti è successo, piangerà mai per te, scaraventando pietre d’odio contro chi è simile a te per cultura, tradizioni, usi e costumi.
Sapranno solamente inveire contro la cattiveria di chi non ha mai leso nessuna delle altrui libertà, contraddicendosi ancora una volta e finendo dentro i vicoli bui che accompagnano le loro vite represse, sorrette da un dissenso vòlto nel verso sbagliato.
Qualcuno storcerà la bocca, con un gesto comandato da un’indignazione artificiale ed artefatta: non fraintenderli, piccolo Denis, è solo lo stanco esercizio di chi si crede migliore e cosmopolita, di chi dimentica presto occhi e mani come le tue, dipinte di avventura e altre cento, cangianti, gitane libertà: cento simboli tutti uguali rappresentano, per tutti noi gaggè, una uguale superficialità che ascolta la campana d’allarme ma non vede oltre il viso.
Dall’odio aperto che ha nascosto i tuoi padri, le tue madri, i tuoi nonni, i tuoi zii, è subentrata un’agghiacciante indifferenza generale, capace di riprendere a dialogare ancora ed ancora con le bestie di questa società, animali che quando carezzano sanno unicamente fare male.
Piccolo Denis, pazienta ancora qualche secolo, ed il tuo volto sarà finalmente accettato da questo baraccone, carico di cimiteri culturali e sociali. Credo che da questa massa di letame possa ancora nascere qualche fiore; diversamente, non sarei ancora qui a salutarti. Buona continuazione, Denis.
Mattia L.
"Poserò la testa sulla tua spalla/ e farò/ un sogno di mare/ e domani un fuoco di legna/ perchè l’aria azzurra/ diventi casa/ chi sarà a raccontare/ chi sarà chi rimane/ io seguirò questo migrare/ seguirò/ questa corrente di ali"
(Fabrizio De Andrè – Khorakhanè (a forza di essere vento)- 1996)