Inciucio

by
di Giovanni Giovannetti

Tutta colpa di Mino Fucillo che, intervistando Massimo D’Alema, nel 1995 non seppe come altro definire l’informale spartizione sottobanco del potere tra D’Alema e Berlusconi, ovvero tra forze politiche opposte eppure unite da comuni intenti.
Quali intenti? L’inciucio è l’accordo sottobanco tra coloro che perseguono solo interessi personali; è la negazione della conflittualità intesa come sale della democrazia; è l’anticamera della corruzione (una tassa aggiuntiva di 60 miliardi l’anno per gli italiani); è la nomina di tesserati incompetenti nei ben remunerati pubblici Consigli di amministrazione; è la zona grigia in cui si incontrano politici imbonitori e mestieranti, un luogo di reciproche omertà dove tutto ha un costo: il costo della politica.
19 ottobre 2009. In Consiglio comunale di Pavia, la maggioranza di centrodestra e la minoranza che fa riferimento al Partito democratico hanno congiuntamente approvato l’illegittima cementificazione di una parte non edificabile della Valle della Vernavola: è la cosiddetta “GreenWay” di Montemaino (2 condomini e 18 villette) a pochi passi dal torrente, in deroga a leggi e regolamenti, sopra un terreno che vede tra i proprietari alcuni parenti di Alberto Pio Artuso, influente ex consigliere comunale di centrosinistra nonché ex presidente della Commissione Territorio ai tempi della Giunta Capitelli. Artuso oggi siede nel cda dell’Asm, così come ha voluto Andrea Albergati (Pd), accolto a braccia aperte da Alessandro Cattaneo (Pdl).
L’hanno chiamata «perequazione», ovvero la cessione al Comune di aree pregiate in cambio del diritto a costruire da qualche altra parte: un diritto negato per le aree a valenza storica, ambientale e paesaggistica, e tali sono il Parco Visconteo, la Valle della Vernavola e il Navigliaccio. È la ‘politica del fare’ l’interesse collettivo o è la ‘politica del fare’ inciuci, peraltro in continuità con il recente passato?
Settembre 2006, prima edizione del Festival dei Saperi, fiore all’occhiello dell’amministrazione Capitelli (centrosinistra): un fiore di plastica, perché una parte del pubblico denaro speso per il Festival (oltre un milione di euro per cinque giorni di conferenze: quattro o cinque volte più del necessario) è andato a ingrossare le tasche di alcune aziende d’area, di amici di amici e di Stefano Francesca, un funzionario diesse chiamato a Pavia per fare pratica. Sono gli stessi ‘amici’ che un anno prima avevano suggerito idee e lavorato ‘gratuitamente’ e nell’ombra alla privatissima campagna elettorale del futuro sindaco. Una volta eletta, Capitelli ha finalmente saldato i sospesi, usando però i soldi dei contribuenti, e cioè una parte rilevante del pubblico denaro speso impunemente per la prima edizione del Festival. A scoprirlo è la consigliera Irene Campari, allora in maggioranza; a coprirlo è la blanda opposizione della minoranza di destra, che sa e tace. Scampato alla Procura pavese (nonostante delibere manipolate, travasi di denaro, rendicontazioni lacunose, ecc.) nel maggio 2008 Francesca verrà arrestato a Genova con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta.
25 Luglio 2007. L’amministrazione Capitelli ordina l’abbattimento di uno dei quattro fabbricati Snia sotto tutela, in violazione del Piano regolatore e senza il sostegno di perizie asseverate. Proprietà e pubblica amministrazione lo avevano già deciso da molto tempo: a denunciarlo ancora una volta è Campari che – nel Consiglio comunale del 2 luglio 2007 – rende pubblico il Piano integrato di intervento della proprietà (il gruppo Risanamento di Luigi Zunino), un documento del 2005 da cui, nonostante i vincoli, scompare la fabbrica e al suo posto disegna un bel centro commerciale. Tra i primi a segnalare l’intenzione di abbattere ricorderemo Sandro Assanelli (Pdl e funzionario dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente); Assanelli viene subito tacitato dai maggiorenti del suo partito che lo accusano di aver assunto una posizione «del tutto personale» lontana dalla «linea del gruppo consiliare di Forza Italia» favorevole all’abbattimento.
Stando ai si dice, parrebbe che la bonifica dell’area Snia sarebbe infine andata a Giuseppe Grossi, sodale di Zunino e amico del leader lombardo del Pdl Giancarlo Abelli: è lo stesso Grossi recentemente incarcerato (ora, per motivi di salute, è agli arresti domiciliari) con l’accusa di associazione a delinquere, frode fiscale, appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, nonché della corruzione di pubblici ufficiali. È lo stesso Grossi che, secondo gli inquirenti, ha costituito presso banche svizzere fondi neri per 22 milioni di euro, il frutto di fatturazioni gonfiate in parte trasferiti, dilavati e asciugati al sole di Hong Kong o di Montecarlo su conti cifrati, come quello monegasco della moglie di Abelli, Rosanna Gariboldi che, incarcerata per riciclaggio, ha patteggiato una condanna a 2 anni e la restituzione di 1.200.000 euro, saldo del conto balneare condiviso con il marito, conto che negli ultimi otto anni ha registrato movimenti per 3,5 milioni di euro: 12 in entrata per 2.350.000 euro e tre in uscita per 1.294.000. Secondo la magistratura milanese, è provato che «tutte le rimesse in entrata e in uscita» provenivano da «conti riferibili direttamente a Grossi o suoi sodali», ovvero Fabrizio Pessina (incarcerato nel febbraio scorso e scarcerato a luglio), l’avvocato che ha disposto i versamenti estero su estero sul conto segreto della signora Abelli.
L’inchiesta era partita dalla bonifica ambientale del nuovo quartiere milanese di Santa Giulia, l’ex area industriale Montedison a Rogoredo di cui è proprietario Luigi Zunino, bonifica affidata alla Green Holding di Grossi. Ma col tempo le indagini hanno preso anche altre strade: a cosa dovevano servire i fondi neri creati dal Grossi, se non a corrompere pubblici amministratori, politici, funzionari? I magistrati della Procura milanese ne sembrano convinti. Fatto è che, in sette anni, ben 275 milioni di pubblico denaro sono passati dalle casse della Regione Lombardia alle tasche del ciellino Giuseppe Grossi.
Nelle carte dei magistrati milanesi che indagano sull’ex Sisas di Pioltello e su Santa Giulia, il nome dell’abelliano Claudio Tedesi (neo-direttore generale di Asm Pavia) è tra quelli che ricorrono con maggiore frequenza: associato a Grossi o a Zunino (oppure ad entrambi) emerge carsicamente da molte pratiche di bonifica delle maggiori aree dismesse, non solo localmente. Ad esempio, la citata ex Montedison di Rogoredo, nonché l’ex Sisas, di cui Tedesi ha diretto i lavori di bonifica. Ad esempio, l’ex zuccherificio di Casei Gerola – 500mila mq – di cui Grossi è tra i proprietari, insieme a Mario Resca, amico di Paolo e Silvio Berlusconi; ma anche la bonifica della Zeta Petroli tra Albaredo e Campospinoso. C’è poi la chiacchierata discarica per rifiuti speciali di Verretto, presso cui hanno operato società di Grossi insieme a società del gruppo Ecodeco.
A Pioltello pagava lo Stato, ovvero noi. Dopo il fallimento della Sisas, Grossi acquista una parte dei terreni accollandosi l’onere della bonifica che il fido Tedesi certifica in 120 milioni di euro; altri ‘esperti’ indicano in 19 milioni il valore fondiario. Tutto sembra filare liscio, fino a quando un creditore della Sisas, il gruppo Air Liquid, decide di vederci chiaro. Si scopre così che per bonificare l’area poteva bastare meno della metà della cifra indicata da Tedesi; e circa 40 milioni per i suoli: il valore sale a 94 milioni se si tiene conto delle varianti urbanistiche già approvate! Da 19 si passa a 94 milioni: sono cifre lontanissime. Com’è possibile? La risposta è contenuta in alcune intercettazioni, dalle quali emerge che il curatore fallimentare della Sisas Vittorio Ottolenghi, ufficialmente garante dei creditori, in realtà agiva nell’esclusivo interesse di Grossi.
Anche a Valle Lomellina i conti non sembrano tornare: secondo l’A.r.p.a. per la bonifica della Sif Furfurolo sarebbero bastati 1.250.000 euro e pochi mesi di lavoro: una soluzione economica e garante della salvaguardia dell’ambiente; secondo l’inossidabile Tedesi – al solito incaricato della progettazione – la semplice messa in sicurezza di ceneri e terreno avrebbe posto l’area al di fuori delle norme di legge e senza sufficienti garanzie ambientali. Chi l’ha spuntata? Ovviamente Tedesi, disdegnando il parere dell’A.r.p.a., l’organismo tecnico al di sopra delle parti. Tedesi per il progetto ha percepito 700.000 euro, ovvero il 5 per cento del costo della bonifica. A quanto somma il 5 per cento di 1.250.000 euro? Se lo domandano all’A.r.p.a., e ce lo domandiamo anche noi. Nel frattempo, i lavori di bonifica se li sono aggiudicati in “associazione temporanea di imprese” la francese Sarp Industries e la bergamasca Cantieri Moderni. Ma è tutto fermo, perché pende un ricorso al Tar: sollevato da chi? Dal re delle bonifiche e dei bonifici Giuseppe Grossi.
Bonifiche a spanne? Sì, come quelle immaginate per la Snia o per la Landini del Borgo Ticino, luoghi dove abbondano le poco tranquillizzanti ‘terre nere’ della Necchi. E proprio all’ex Landini, una delibera della Giunta Capitelli (10 febbraio 2006) aveva autorizzato la costruzione di case e verde pubblico, senza prima verificare se l’«indagine geognostica» – disposta dalla proprietà il 30 settembre 2005, affidata alla Tecnodreni – fosse attendibile o meno. Quel documento sostiene che «l’area non è contaminata».
L’«indagine» appare molto carente: solo 8 i carotaggi ‘a secco’; non si specificano le differenti tipologie né le caratteristiche chimiche dei cosiddetti «materiali di riporto»; nessuna verifica sulla contaminazione del terreno sottostante. Inoltre l’inquinamento della falda acquifera viene dichiarato «entro i limiti», nonostante l’assenza di un’adeguata analisi a monte e a valle. Si pone l’accento solo sulle due cisterne interrate, per il combustibile da riscaldamento, che i proprietari hanno provveduto a rimuovere nel luglio 2007.
Ha così inizio il braccio di ferro: da una parte le proprietà e il Comune, a prendere tempo; dall’altra l’A.r.p.a. a incalzarli con la richiesta di 29 ‘carotaggi’ e di verifiche in profondità (lettera del 14 dicembre 2007). Le nuove e più circostanziate indagini hanno infine denunciato la presenza di piombo, rame, zinco, idrocarburi e antracene in quantità ben superiori alla norma. Sono sostanze estremamente nocive per la salute. Insomma: a noi i sali dei metalli pesanti e i rifiuti a base di idrocarburi e policitrici aromatici; a loro i proventi dell’urbanistica creativa, con la silenziosa benedizione di una opposizione consiliare destrorsa distratta e complice.
E l’iperspeculazione Carrefour? È una storia nata male e finita peggio. Nata male perché il terreno agricolo limitrofo all’area Fiat sul quale ora sorge il Carrefour venne acquistato nel dicembre 2001 da Pietro Guagnini – già membro della commissione edile – dal commercialista ed ex assessore della Giunta leghista dI Jannaccone Pazzi Augusto Pagani e da Arturo Marazza (soci nella Vernavola Srl) per 500 milioni di lire e rivenduto subito dopo alla società GS per 830 milioni: una speculazione.
Finita peggio perché il 10 gennaio 2008 Carrefour ha venduto i negozi della galleria alla tedesca Union Investment. Due settimane prima dell’inaugurazione e a lavori quasi ultimati, il 19 novembre 2007 la Giunta fa propria una richiesta di Carrefour per l’ampliamento del parcheggio e dell’area commerciale (portata a oltre 15.000 mq calpestabili) e approva una variante – l’ennesima – al Piano di lottizzazione (delibera n. 254). Subito dopo il gruppo Carrefour ha venduto la ‘galleria’ al Fondo Unilmmo di Union Investment per 74 milioni di euro (ancora una volta, la scoperta è di Irene Campari).
Il parcheggio di 14.950 mq sul tetto dell’iper è sceso a terra quel 19 novembre: il 18 luglio 2007 il Comune ha autorizzato l’aumento della «superficie di incremento delle aree per attrezzature di interesse comune e parcheggi» da 43.400 a 60.500 mq (45.076 dei quali destinati al parcheggio), ad uso pubblico, in comodato per 90 anni alle società Demeter e SSC, entrambe del Gruppo Carrefour.
Uno che se ne intende, un addetto ai lavori, ammette che nemmeno ai tempi di Tangentopoli si erano viste porcherie così sfacciate: e racconta storie di insospettabili untori, di consiglieri corrotti, di dirigenti a libro paga, di fatture taroccate e di società lussemburghesi costituite ad hoc per movimentare il denaro delle tangenti. Il ‘nero’ sarebbe passato anche dai subappalti gonfiati.
Il business funzionava così: alcune ditte compiacenti emettevano fatture apportando un cospicuo sovrapprezzo, il 20 per cento del quale andava ad arricchire il tesoretto a disposizione di… di un insospettabile intermediario, un uomo cerniera con vistose entrature nella massoneria locale. ‘Golaprofonda’ riferisce di un noto esponente ‘progressista’ che avrebbe ricevuto 200.000 euro dall’«intermediario» per favorire la riapertura del supermercato di via Torretta, e una cifra ancora maggiore per la pratica Carrefour.
A cento passi dal Carrefour c’è la "GreenWay". A quanti passi la Procura?

Una Risposta to “Inciucio”

  1. insiemePerPavia Says:

    Se la delibera favorevole al Piano attuativo della “Green Way” di Montemaino è palesemente illegittima, allora perché l’hanno votata? Non sorprende l’approvazione da parte dei vari Albergati, Pezza, Ruffinazzi, Castagna (i compagni di merende di Alberto Pio Artuso, nonché responsabili della cementificazione cittadina); non stupisce nemmeno l’adesione degli oppositori “democratici” di fresca nomina, proni di fronte alle indicazioni del partito anche quando è in danno del pubblico interesse (quel 19 ottobre 2009 non è rimasta inosservata l’assenza in aula del silente consigliere Massimo De Paoli, iscritto sia a legambiente che al Pd). Stupisce invece l’approvazione del “Piano” da parte del centrodestra, in particolare da parte della Lega Nord, che della difesa del territorio ne fa una bandiera. Dai giornali apprendiamo che il leghista Fabrizio Fracassi (a parole fiero oppositore della cementificazione e della “GreenWay”), diventato assessore all’Urbanistica ora si «tura il naso». Tra i neo-favorevoli incontriamo anche il capogruppo Pdl Sandro Bruni. Eppure, quando era all’opposizione riversava parole di fuoco – e solo parole – sulle «Giunte di centrosinistra e sui verdi» che «favorendo la speculazione edilizia, stanno distruggendo la Vernavola». E Dante Labate? L’attuale mite presidente della Commissione Territorio sembra meno risoluto di quando, dall’opposizione, allusivamente si domandava per quale fine reale il centrosinistra volesse «realizzare edifici in aree che rappresentano una ricchezza ambientale per i cittadini».
    Secondo Fracassi, la mancata approvazione del piano di lottizzazione avrebbe potuto esporre il Comune ad azioni legali dei proprietari. Una motivazione ridicola, come del resto rileva l’avvocato Giuseppe Franco Ferrari, a cui il Comune si era rivolto: «nel caso di specie, appare difficilmente verificabile, con significativi margini di certezza l’eventuale sussistenza di un legittimo affidamento in capo al privato circa la sussistenza in suo favore di una determinata capacità edificatoria», aggiungendo che gli interventi non sono possibili quando «si ravvisino incompatibilità tra le proposte avanzate dal soggetto privato e la disciplina urbanistica vigente».
    È inequivocabile che sia stata violata la normativa. Ma pensare che i Consiglieri non sappiano leggere o non conoscano la legislazione urbanistica sarebbe un’offesa alle loro intelligenze. Non rimane che una sola spiegazione: sui banchi del Mezzabarba probabilmente siedono persone condizionabili.

    Walter Veltri

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