di Carla Benedetti
Il 1° aprile su "La stampa", Marco Belpoliti ci ha invitati a non parlare più dell’omicidio di Pasolini. È uno strano invito, per me abbastanza inquietante. Sarebbe come se qualcuno sostenesse che è inutile farsi troppe domande sulla morte di John Kennedy, tanto si sa già tutto. In America sarebbe ridicolo. In Italia lo si fa spesso per la morte di Pasolini. Ogni volta che sui giornali se ne torna a parlare, immancabilmente si alza una voce per dire che non c’è nulla più da scoprire. Così fanno da anni Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), Graziella Chiarcossi (erede di Pasolini e moglie di Vincenzo Cerami) e altri. Ora anche Belpoliti. E proprio nei giorni in cui, in seguito a nuovi fatti, la Procura di Roma ha deciso di riaprire il caso.
Perché lo fanno? Sinceramente non lo capisco. A chi o a che cosa potrebbero nuocere ulteriori indagini? Non sta anche a loro a cuore la verità? Certo, Pasolini era un "poeta". Ma forse che la ricostruzione di un omicidio può essere più approssimativa quando la vittima è un "poeta"? Gli assassini non sono ugualmente assassini? E la verità sulla morte di un poeta non è altrettanto sacra di quella sulla morte di un qualsiasi altro uomo o donna?
Nella replica a Mario Martone su "La Stampa", e gia’ prima nella versione pubbicata su Nazione Indiana, Belpoliti sostiene anche che non c’era alcuna ragione per eliminare Pasolini, e cerca di portarne un "prova" filologica. Scrive che le fonti di Petrolio (il romanzo a cui Pasolini stava lavorando al momento della morte) sono tutte note e quindi Pasolini non sapeva niente di più di ciò che altri sapevano. Pasolini ha infatti ripreso molti materiali da articoli di giornale e dalle fotocopie di Questo è Cefis (uno strano libro, scritto da qualche nemico dell’ex presidente dell’Eni, e poi ritirato dalla circolazione – ora lo si può leggere anche qui, e su ilprimoamore.com), che gli aveva passato Elvio Fachinelli.
È vero. Tutte quelle carte sono visibili all’archivio Vieusseux di Firenze. Però Belpoliti omette di dire che quelle sono le fonti del Petrolio edito. Ma nessuno sa cosa ci fosse nel capitolo intitolato "Lampi sull’Eni", al cui posto ora non resta che una pagina bianca. E se non se ne sa niente, non si può nemmeno sapere quali ne fossero le "fonti". Come può allora Belpoliti sostenere con tanta perentorietà che Pasolini non avesse ricevuto da qualcuno dei materiali compromettenti sul delitto Mattei o sul suo successore Eugenio Cefis?
Proprio di quelle parti "mancanti" si è tornato a parlare nelle ultime settimane dopo l’annuncio di Dell’Utri. E’ possibile che Pasolini non le avesse ancora scritte. Ma in molti resta il sospetto che invece siano state sottratte. C’è un indizio dentro al testo stesso: in una pagina successiva di Petrolio Pasolini rimanda il lettore proprio a quegli appunti mancanti, come se li avesse già scritti.
Oltre che studiosa di Pasolini, io sono una delle tante persone che vorrebbero si facesse luce su quell’atroce delitto. Nel 2005 la rivista “Il primo amore” lanciò un appello per la riapertura delle indagini. Fu firmato da un migliaio di cittadini italiani e stranieri, tra i quali personalità note della cultura come Andrea Camilleri, Bernard Henri-Lévy, Luca Ronconi e molti altri. Il testo dell’appello non dava alcun adito al complottismo. Semplicemente diceva: «Noi non sappiamo se a far tacere uno degli artisti più fervidi e una delle voci più scomode e tragiche di questo paese sia stata una decisione politica. Quello che però sappiamo – come lo sa chiunque abbia prestato attenzione alla vicenda – è che la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi. Sappiamo che essa è stata solo una copertura servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di delitto».
Quella versione infatti non regge. Non solo perché il reo confesso l’ha ritrattata, ma perché già non reggeva per il Tribunale di Primo grado, che infatti condannò il Pelosi «assieme a ignoti». Naldini, Belpoliti e qualche altro letterato se ne sono invece innamorati. La trovano «poetica». Permette loro di fare molti bei ricami sulla morte sacrificale e sullo «scandalo dell’omosessualità». Un poeta omosessuale ucciso mentre cercava di violentare il suo oggetto di desiderio! Un poeta delle lucciole ucciso da una lucciola mutante… E se non fosse vera? A loro non importa.
Ma se Naldini e Belpoliti sono così certi che la rissa omosessuale spiega il delitto, perché non ci dicono chi erano gli "ignoti" che presero parte all’omicidio? Non ce lo dicono perché ovviamente non lo sanno. Non lo sanno, però sostengono che si sa già tutto.
Per di più tendono a far apparire chi ha dubbi come dei dietrologi fanatici, innamorati dei complotti, stravolgendo i loro argomenti. Belpoliti lo fa anche nei confronti di un mio articolo uscito sull’"Espresso" del 31 marzo e leggibile anche qui. Fa persino passare per incontro "notturno" la conversazione che ebbi nel 2003 con il giudice Vincenzo Calia alla Casa delle Letterature di Roma, al termine di un convegno su Pasolini, a cui presero parte anche Gianni D’Elia e Gianni Borgna. Perché tanta fretta di mettere in ridicolo chi vorrebbe la verità? Non la vogliono forse anche loro?
10 aprile 2010 alle 19:50 |
Pasolini, è ora di seppellire il complotto di Marco BelpolitiDietro le speculazioni sul delitto politico la resistenza della sinistraa accettare la particolare omosessualità dello scrittoreForse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini. I maestri si mangiano in salsa piccante, dice il Corvo in Uccellacci e uccellini, rivolto a Ninetto e a Totò. Dimenticare Pasolini, per ricordarlo davvero. Forse si può partire da qui, e la richiesta di riaprire le indagini sulla sua morte, che contiene ancora molti punti oscuri, potrebbe essere davvero l’atto finale per fare finalmente i conti con lui.Uscendo così dalla cronaca, anche giudiziaria, per entrare finalmente nella storia.Walter Veltroni ha indirizzato una lettera al ministro Alfano, per chiedere una nuova istruttoria. Carla Benedetti ha scritto sull’Espresso un articolo per ripetere che il delitto Pasolini è legato a un capitolo scomparso di Petrolio, il suo romanzo postumo, uscito nel 1992, «Lampi sull’Eni». Il poeta avrebbe scoperto il legame tra la morte di Mattei, presidente dell’Eni, e la figura di Eugenio Cefis, capo della Montedison, personaggio oscuro e potente. Un libro, Profondo nero (Chiarelettere), di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, sostiene la medesima tesi. Tutto ruota intorno a un libro scomparso, Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, edito da Ami a Milano nel 1972. Il libro è stato avvistato da Carla Benedetti in una bacheca della Mostra del Libro Antico promossa a Milano dal senatore Marcello Dell’Utri, intimo di Silvio Berlusconi, che qualche settimana prima aveva dichiarato di essere in possesso del capitolo rubato (si dice) dalla casa di Pasolini dopo la sua morte; la medesima sorte subita dal libro su Cefis, scomparso dalla circolazione dopo la pubblicazione. Ieri, di nuovo, Carlo Lucarelli, scrittore di gialli e studioso di delitti oscuri, ha ribadito sulle pagine della Repubblica la tesi del delitto politico, maturato nel clima stragista e di violenza degli anni Settanta, anche se poi, alla fine dell’articolo, affermava di non sapere con certezza come siano andate le cose.Cosa sapeva davvero Pasolini? Come ha mostrato Silvia De Laude nelle note dell’edizione economica di Petrolio – apparsa nel 2005, ignorata da quasi tutti gli scriventi -, i documenti, gli articoli, i libri a cui si è ispirato Pasolini per scrivere il suo romanzo postumo non sono altro che ritagli di giornale, dell’Espresso in particolare, o provengono dal libro su Cefis, opera di un sedicente Giorgio Steimetz, che gli fu fotocopiato da uno psicoanalista milanese, Elvio Fachinelli, animatore della rivista L’Erba Voglio. Fachinelli aveva fornito vari testi a Pasolini che ora si trovano conservati in una cartellina di lavoro, insieme al dattiloscritto di Petrolio, al Gabinetto Vieusseux di Firenze. Si tratta perciò di materiale già noto, citato anche da altri, pubblicato sui giornali, non di rivelazioni segrete, su cui lo scrittore ha intessuto la sua complessa trama narrativa che, per quanto realistica, sconfina nella particolare visionarietà che possiedono le sue pagine, una visionarietà più vera del vero. Tutto questo sarebbe il materiale che giustifica il delitto del più famoso intellettuale italiano?La risposta è no. In realtà l’articolo della Benedetti funziona come un sintomo, a sua volta veritiero, di un problema rimosso. Lo dice con evidenza la chiusa stessa del suo pezzo: «Non ci sarà pace finché il mondo resterà così fuori dai suoi cardini, con i colpevoli impuniti e le storie letterarie che raccontano di Pasolini ucciso mentre tentava di violentare un ragazzo». La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua attrazione per i ragazzi eterosessuali. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo. L’omosessualità di Pasolini costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l’elemento estetico, su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi. Le lucciole, scomparse per via dell’inquinamento di fiumi e rogge, non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all’incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi.In un libro, Breve vita di Pasolini (Guanda), il cugino di Pier Paolo, Nico Naldini, ha raccontato cosa potrebbe essere successo la notte in cui fu ucciso. La trascorse al ristorante con Ninetto e sua moglie; poi incontrò Pino Pelosi che gli rammentava le fisionomie delle sue amicizie borgatare. Questo accese il desiderio: «Se il desiderio è solo libidine, esige un rapido appagamento. Ma se esso si allunga in aspettative voluttuose e se l’immaginazione è colpita dal ritorno del “sopravvissuto”, gli atti che si sono succeduti in quella sera trovano una collocazione». I due siedono al ristorante. Pasolini comincia a far domande. Si sente senza dubbio attratto e questo «gli fa perdere il senso del pericolo proveniente da una generazione che si è smarrita nei confini tra il bene e il male».Nell’auto avviene il primo scambio sessuale. In quella sera «la disponibilità del ragazzo è fatale per Pasolini»; l’ha sentita probabilmente come un’apertura a un altro genere di complicità, e proprio questo ha spinto l’uomo a compiere un gesto inequivocabile il quale ha indotto nel ragazzo un elemento di terrore, «come una rivelazione implicita o l’atto offensivo di una supposizione», scrive Naldini. Questa è la situazione «in cui si accetta il proprio destino o lo si rifiuta; ma c’è una sospensione tra le due cose, la violenza diventa tanto maggiore». In Pelosi si scatena una violenza inaudita: non solo violenza contro l’incubo dell’altro, ma «pura hybris di fuggire da se stesso».Una visione, non una certezza processuale. Ma cosa può fare un poeta, uno scrittore, se non muoversi tra le visioni? Questo era il metodo stesso di Pasolini. La sorpresa è dunque scoprire che non solo la sua particolare omosessualità, la predilezione per i giovani etero, venga rimossa dalla sinistra, ma che la sua lezione poetica e intellettuale sia disattesa da seguaci e difensori. Il delitto Pasolini è un delitto politico non perché operato per far tacere uno che «sapeva» la verità su un attentato o una strage, ma perché è stato ucciso un poeta che diceva verità scomode, uno che praticava lo scandalo di contraddirsi, che non scopriva segreti occulti, ma che rivelava tutto quello che era già evidente, e che nessuno voleva davvero vedere: «Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere»."La Stampa", 1° aprile 2010
10 aprile 2010 alle 19:55 |
Seppellire Pasolini? di Mario MartoneLo scrittore e regista omosessuale ucciso nel 1975 continua a dividere gli intellettuali italiani. una nuova inchiesta potrebbe aiutare tutti a conoscere la veritàCaro direttore, ho letto con rammarico il pezzo che Marco Belpoliti ha dedicato sulla Stampa agli sforzi di quanti stanno cercando di far riaprire il processo per la morte di Pasolini. Rammarico per l'impossibilità che persiste in Italia di trovarsi d'accordo su punti essenziali della vita civile, una frantumazione che rende via via sempre più faticoso il procedere delle idee e dell'agire politico. La posizione di Belpoliti, la sua idea sul perché Pasolini sia stato assassinato è non solo legittima, ma benissimo espressa ed anche profonda: riprende quella, nota da sempre, di Nico Naldini, che da poeta creò uno scenario di grandissima verosimiglianza, immaginando che tutto andasse spiegato esclusivamente all'interno della dinamica omosessuale e del rapporto di Pasolini con i ragazzi. Ma ciò che davvero non si spiega è come Belpoliti possa pensare che la verosimiglianza di questo scenario possa essere sfuggita a persone come Laura Betti o Sergio Citti, che ho conosciuto bene (di Citti ho filmato la testimonianza raccolta dall’avvocato Calvi), e che si rivolterebbero nella tomba a sentirsi accusati di «voler rimuovere la particolare omosessualità di Pasolini».Betti e Citti erano convintissimi che il delitto di Pasolini avesse una matrice politica, e la loro posizione, allo stato dei fatti, resta profonda e verosimile quanto quella di Nico Naldini: è un'ipotesi. Infatti, come scrive Belpoliti, «che nel delitto di Pasolini vi siano molti punti oscuri è senza dubbio vero. Che le indagini non furono condotte in modo scrupolose è altrettanto vero, ed è anche possibile che con gli strumenti scientifici attuali si sarebbero chiariti molti punti oscuri». Ecco tutto. Non c'è da contrapporre nessuna visione, i due scenari sono perfettamente integrabili, ed è proprio la verosimiglianza dello scenario omosessuale che rende verosimile lo scenario politico: chi uccide segretamente lo fa, come è ovvio, tentando di creare scenari verosimili.La cosa che dovrebbe essere a cuore di noi tutti è che la verosimiglianza cessi di essere tale e diventi verità. Ora, per carità, so bene che una verità processuale non è tutta la verità, e che la verità in quanto tale forse nemmeno esiste, e che nella nostra Italia bizantina possiamo scavare molto a fondo nei termini e nei distinguo, ma insomma, se è palese, come pare proprio che sia, che ad assassinare Pasolini siano stati in tanti e non il solo Pelosi, non sarà legittimo desiderare di sapere questi altri chi erano? E non si potrebbe per una volta essere uniti e determinati come società «intellettuale» nel desiderare che la giustizia faccia finalmente il suo corso? Se ad uccidere Pasolini sia stato un branco di ragazzi presi dalla furia o dei picchiatori fascisti o degli agenti segreti, questo lo si vedrà. Intanto ci si potrebbe accontentare di una giustizia che indaghi e che magari faccia affiorare dei nomi e delle responsabilità. Cordiali saluti."La Stampa", 8 aprile 2010