Il tamburo di lotta

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A trent’anni dagli scioperi del Baltico – Decima parte
Le storie. Tadeusz Pruchnicki (1936)
di Giovanni Giovannetti

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Tadeusz Pruchnicki, classe 1936, abita in una casa-alveare di periferia, nel quartiere Zaspa di Danzica. A pochi isolati, fino a vent’anni fa, in una casa anche peggiore abitava Lech Wałęsa. Anche lui ha una storia da raccontare. Nel 1943, è deportato dai tedeschi nel campo di concentramento di Dachau con la madre e la sorella. Se la cava perché la madre parla un buon tedesco e viene spesso utilizzata come interprete.
Dopo la liberazione alleata, nell’ottobre 1945 i tre tornano a casa. Nel marzo 1963, Tadeusz trova lavoro ai cantieri Remontowa, adiacenti ai Lenin, come fabbro, specializzato nei montacarichi navali.


È abbastanza anziano da ricordare lo sciopero del dicembre 1970, quando esercito e polizia aprono il fuoco sugli operai: «Ho sentito le pallottole fischiarmi intorno, ma fortunatamente l’ho scampata». Nei primi giorni, i militari non possono reagire e usare le armi; addirittura, Pruchnicki e altri operai si impossessano di un carro armato e per divertimento vanno a spasso per Danzica fino a che il carburante finisce. Poi l’autorizzazione a sparare e la tragedia, i morti a Danzica e Gdynia. Anche gli operai si armano con qualche pistola sottratta alla Milicja, acciottolato divelto dalle strade e bombe molotov.
Durante lo stato di guerra del 1981, Pruchnicki è tra i 500 operai (su 6700) che per tre giorni occupano i Remontowa. Invalido, il 29 aprile 1993 ottiene il prepensionamento (1100 złoty mensili). L’ultima busta paga di Tadeusz è stata di 4 milioni di vecchi złoty, equivalenti a circa 4000 attuali (900 euro). Nelle presidenziali del 1995 e del 2000 ha votato per Kwasniewski e la sinistra; nel 1990 ha votato Wałęsa e Solidarność, ma, da presidente, Wałęsa «non ha voluto firmare la legge sul pensionamento anticipato, obbligandomi così a lavorare altri due anni. Noi dobbiamo vivere con poco ma c’è chi tra i dirigenti di Solidarność ha accumulato molto. Una casa costa ormai più di 2000 złoty al metro quadro e un operaio non è più in grado di comprarsela».

Tadeusz Pruchnicki (1936). «Vede queste medaglie? Sono riconoscimenti alla mia laboriosità: croce d’oro, croce al merito, medaglia per i 35 anni di lavoro…Avevano valore ai tempi del regime, ora non contano più niente, ma per me contano ancora. Non sono mai stato iscritto al partito. Ho fatto solo parte delle organizzazioni giovanili. Dunque le mie medaglie me le sono guadagnate davvero.
Nel 1980 avevo 44 anni. Lavoravo al cantiere Remontowa, adiacente al Lenin, dal marzo 1963. Ero fabbro. Aggiustavo i montacarichi delle navi. La mia famiglia è del sud, veniamo da Wieruszowa. A quel tempo l’Istituto professionale apriva la strada al lavoro. Ma voglio fare un passo indietro, al 1943, perché in quell’anno io mia madre e mia sorella siamo finiti nel campo di concentramento di Dachau. I tedeschi consideravano Wieruszowa territorio germanico, così ci hanno internati. Dachau era un campo di passaggio, io ero molto piccolo e non ricordo bene. Mia madre parlava il tedesco: lavorava nelle cucine del campo e occasionalmente faceva da interprete. Ero rinchiuso in una baracca, ma ogni tanto potevo stare con lei nel palazzo delle SS.
Sette mesi più tardi, con l’avvicinarsi della prima linea, ci hanno portati in Baviera. Nel nuovo campo si stava meglio: avevo otto anni e facevo il giardiniere. Poi sono arrivati gli americani. Sei mesi in un loro campo. Nell’ottobre 1945 siamo tornati a Wieruszowa.
Mio padre ha preso lavoro alle acciaierie Krupp. Io nel 1954 ho ceduto al fascino del mare e mi sono spinto fino a Gdansk. Per qualche hanno ho fatto il geologo, poi sono entrato in cantiere.
Ricordo lo sciopero del 1970. Mi hanno anche sparato addosso, durante una manifestazione, davanti alla stazione ferroviaria: tutti scappavano, mi hanno puntato, ho sentito le pallottole fischiarmi intorno, ma fortunatamente l’ho scampata. Da poche ore l’esercito era stato autorizzato ad usare le armi. Prima c’erano stati anche momenti di puro divertimento come quando, approfittando del fatto che loro non potevano reagire, abbiamo sequestrato un carro armato e girato per la città fino all’esaurimento del carburante. Poi la tragedia, morti a Gdansk e Gdynia. Anche gli operai avevano qualche arma: pistole prese alla Milicja.
Il passaggio del potere tra Gomulka e Gierek aveva offerto nuove speranze. Ma le condizioni materiali di vita non sono migliorate: guadagnavo tremila zloty e mi era difficile mantenere la famiglia.
Io stavo coi sindacati ufficiali. Mi occupavo di vacanze gratuite per i figli dei lavoratori, assistenza medica, case, eccetera. Nel dicembre 1980 sono entrato in Solidarnosc e devo dire che lì lavoro pratico zero: Se dai sindacati ufficiali riuscivo ad ottenere qualcosa – e se non ottenevo dal sindacato andavo al partito – con Solidarnosc niente.

Quando il 16 agosto 1980 Walesa ha firmato l’accordo solo per il cantiere Lenin, noi del cantiere Remontowa e del cantiere Nord eravamo proprio arrabbiati. I cantieri Lenin sono separati dai nostri da un solo cancello. Verso le ore 18 noi stavamo a quel cancello e abbiamo visto quelli del Lenin che tornavano a casa. E noi? Eravamo rimasti soli. Allora abbiamo organizzato un nostro comitato di sciopero che ha continuato l’occupazione. Anche tra i lavoratori del Lenin c’era chi voleva continuare. Walesa lo ha saputo e lo sciopero è ripreso anche da loro. Il 17 agosto Walesa ha tentato di entrare nel nostro cantiere. Noi gli abbiamo chiuso il cancello in faccia. Allora è salito su un carrello, ci invitava a unirci a loro. Che ipocrita! Uno di noi più arrabbiato degli altri lo ha raggiunto e lo ha picchiato a sangue. Solo tre giorni dopo, con la mediazione di Andrzej Gwiazda, abbiamo aderito al loro comitato di sciopero.Da noi la situazione era più calda: dal mare erano arrivate alcune navi militari: due o tre volte al giorno entravano in canale. Una volta ne ho contate cinque. Noi siamo marinai della riserva: in 2500 con la divisa da marinai, ci siamo messi uno accanto all’altro lungo la riva del canale. Gridavamo ai militari delle navi di unirsi a noi. Da quel giorno le navi non sono più venute.
Ho lavorato al cantiere fino al 29 aprile 1993: 30 anni e 29 giorni. Ero invalido e mi hanno dato il prepensionam
ento.
Durante lo stato di guerra abbiamo occupato il cantiere. Eravamo in pochi, circa 500. Purtroppo gli altri, oltre 6000 persone, impauriti, sono scappati. Siamo rimasti lì dentro fino a mercoledì, poi sono arrivati gli Zomo, le riserve militanti della Milicja: erano tremila. Ci hanno portati al cantiere Lenin e segregati in due stanze. Poi, dieci per volta, ci hanno lasciati andare. Qualcuno ha detto che quegli Zomo erano delinquenti comuni prelevati dalle carceri e messi in divisa.
Quando mi sono dimesso guadagnavo 4 milioni di zloty, equivalenti a circa 4000 zloty della vecchia moneta. Adesso ho una pensione di 1100 zloty.
Ho i miei buoni motivi per avercela con Walesa: quando era presidente non ha voluto firmare la legge sulle pensioni anticipate obbligandomi così a lavorare altri due anni; e poi tutti sanno che negli anni Settanta collaborava con i Servizi speciali. C’erano le prove, che, guarda caso, sono sparite negli anni della sua presidenza.
Nelle elezioni presidenziali del 1990 ho votato per Walesa; cinque e dieci anni dopo per Kwasniewski e la sinistra. In Polonia migliaia di persone devono procurarsi da mangiare tra i rifiuti. Una legge sull’aborto molto restrittiva costringe le donne ad abortire illegalmente. Non si fa così. Noi dobbiamo vivere con poco ma c’è chi accumula molto. Una casa costa ormai più di 2000 zloty al metroquadro, e un operaio non è più in grado di comprarsela».

(decima parte – continua)

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