Il tamburo di lotta

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A trent’anni dagli scioperi del Baltico – undicesima parte
Le storie. Zbigniew Lis (1948)
di Giovanni Giovannetti

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Durante gli scioperi dell’agosto 1980, Zbigniew Lis è il responsabile del servizio d’ordine. Zbigniew, tecnico disegnatore, è stato assunto ai cantieri nel 1969, a 21 anni. Non ha mai avuto contatti con i sindacati liberi, ma le sue capacità organizzative sono preziose nei giorni più caldi delle trattative: dentro i cantieri ci sono anche i rappresentanti di partito e Governo, e tocca al servizio d’ordine operaio garantirne l’incolumità: «bastava una provocazione, anche piccola, e tutto sarebbe finito», ricorda Lis.


In affari fuori dai cantieri

Gli agenti dei servizi di scorta alla delegazione governativa forniscono loro alcune nozioni-base: a che distanza tenere le persone dai ministri e quali precauzioni mantenere durante il breve tragitto dei rappresentanti di partito e Governo dal pullman alla sala delle trattative. Se tutto è filato liscio, buona parte del merito va a Lis e ai suoi uomini.
Nel territorio libero dei cantieri in sciopero c’è più disciplina che in una caserma: niente alcol, niente risse, tutti leggono ”Solidarność” (il bollettino del Comitato di sciopero) e ascoltano le trattative attraverso l’impianto interno di amplificazione. Al suo primo arrivo in fabbrica, il 23 agosto, la delegazione ufficiale è accolta al cancello 2 nel più rigoroso silenzio. È un’idea di Lis, e mai silenzio è parso più rumoroso. In quel clima surreale la delegazione governativa sfila tra due mute ali di folla dal cancello 2 alla sede delle trattative, la saletta attigua alla mensa, dove la aspettano i rappresentanti operai guidati da Wałęsa. Dal giorno seguente la delegazione entrerà in fabbrica da un altro cancello senza scendere dal pullman.

«L’entusiasmo era così forte che potevamo fare di tutto. Qualcuno la sera ha proposto di disegnare un progetto per il monumento ai caduti del 1970 e la mattina seguente i carpentieri hanno portato un modello pronto, in legno. Un momento magico della storia, una leva in massa. Proprio per questo ci è riuscita quella Solidarność».
Zbigniew esce dai cantieri nell’aprile 1997, con la lettera di licenziamento in mano e la voglia di provare la libera professione: «Oggi ho una avviata ditta di consulenza nel campo delle ristrutturazioni industriali. E, come in passato, continuo a progettare navi». Quanto a Solidarność, Zbigniew non nasconde la propria amarezza: «Noi di Solidarność abbiamo perso. Perché ci siamo illusi di poter continuare a fare politica come durante lo sciopero, che bastasse osare, volere. Non ci rendevamo conto che, dopo la vittoria, avremmo dovuto misurarci con una realtà grande e complessa e sfidare le ambizioni personali di molti di noi. Così abbiamo fatto un bel regalo ai comunisti».

Zbigniew Lis (1948). «La prima volta che ho messo piede nel Cantiere avevo 14 anni. Frequentavo la scuola interna di formazione professionale. Dopo sei anni di studio e lavoro insieme, nel 1969, a 21 anni, mi hanno assunto: tecnico disegnatore ai progetti delle navi. Ho svolto questo incarico fino al dicembre 1981, fino al colpo di stato, quando sono finito in prigione per sette mesi seguiti da altri sette mesi. Ma ero in buona compagnia.
Nell’ agosto 1980 ero il responsabile del servizio d’ordine. Non avevo mai avuto contatti con i sindacati liberi, ma quando è nata Solidarnosc io sono diventato uno di loro. Nessuno di noi aveva previsto un tale salto di qualità, dunque eravamo impreparati. Quelli con più capacità organizzativa hanno allora preso in mano la situazione, ma tutto avveniva come per caso. Era aumentato l’interesse, anche internazionale, verso lo sciopero. Arrivavano giornalisti dall’estero e questo ci rassicurava e ci dava coraggio. Io e altri eravamo anche passati per gli scioperi del 1970, quando gli studenti non avevano aderito dopo che, due anni prima, gli operai non avevano appoggiato la protesta studentesca. Nel 1968 io ero uno studente lavoratore. E non sapevo cosa fare. Nel 1980 sapevo benissimo cosa fare, ad esempio aprire il cancello agli studenti.
Poi il colpo di stato, la galera, il campo di internamento, la restaurazione, la crisi acuta della cantieristica sul Baltico. Solo pochi di noi lavorano ancora nei Cantieri. Dopo la chiusura del 1997 ci sono stati molti prepensionamenti. Altri, come me, lavorano nel privato o hanno cambiato mansioni. Quella dell’80 era una classe operaia dotata di un forte spirito di iniziativa. Risorse che sono venute buone anche dopo, con la chiusura della fabbrica. Io, ad esempio, dopo il licenziamento ho avviato una mia ditta di consulenza: continuo a progettare navi e offrire consulenze per le ristrutturazioni industriali. Ho lavorato anche con le ditte dei Cantieri».

(undicesimaparte – continua)

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