Il tamburo di lotta

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A trent’anni dagli scioperi del Baltico – quattordicesima parte
Le storie. Jurek Michalski (1974)
di Giovanni Giovannetti

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Jurek Michalski ha 6 anni quando il padre Stanisław, attore, direttore artistico e segretario del Poup nel Teatro Wybrzeże, lo porta nei cantieri in sciopero.
Il 29 agosto Stanisław Michalski è a casa in vacanza e deve occuparsi del figlio in assenza della madre. Passa ugualmente dal teatro. Qui i colleghi gli riferiscono la loro visita ai cantieri del giorno prima e lo informano che gli operai hanno chiesto di lui. I Michalski vivono a Żabianka, un quartiere popolare dove abitano molti lavoratori dei cantieri. Dunque, gli operai lo conoscono bene: «Che altro potevo fare? Ho preso Jureczek e siamo tornati ai cantieri». Come il giorno precedente, ha luogo un recital improvvisato. Stanisław sceglie un frammmento di Pan Tadeusz, opera di Adam Mickiewicz. «Mentre recito “Che viva il popolo, che vivano i soldati, che vivano gli Stati” gli spettatori cominciano ad applaudire. Poi si alzano in piedi e intonano l’inno nazionale. Avevo le lacrime agli occhi. Un entusiasmo, una fede così non li ho ritrovati mai più, perché tutto è scoppiato come una bolla di sapone. Succede sempre così, a noi polacchi. Quando la patria è in pericolo, corriamo come matti con la baionetta in canna. Poi vincono le gelosie e cominciano le lotte fratricide».


Mettere le dita a V

Su quel palco, davanti agli operai dei cantieri, Stanisław, controllando una fortissima emozione, aiuta il piccolo Jurek nel saluto finale alle delegazioni operaie: gli alza la mano con le dita a V, nel segno della vittoria. Il figlio non capisce la ragione delle due dita alzate e non una, come gli hanno insegnato all’asilo.
Dopo gli scioperi Stanisław Michalski si iscrive al nuovo sindacato, come il 95 per cento della sua compagnia teatrale. Nel dicembre 1981, quando il generale Jaruzelski proclama lo stato di guerra, Stanislaw ha in tasca le tessere del Poup e del Nszz Solidarność.
Nel 1982, l’anno più buio dello stato di guerra, Michalski viene eletto delegato al congresso straordinario del partito. Nel modulo di accredito al congresso si chiede di indicare l’appartenenza ad altre organizzazioni: Stanisław scrive “Solidarność”, un atto di coraggio del quale ancora oggi va fiero. Nel Poup rimarrà fino allo scioglimento del 1990.
Jurek, oggi trentenne, ha un vivido ricordo di quel giorno: «Non capivo, li vedevo di profilo, a me sembrava che levassero al cielo un dito. E li ho imitati. Mio padre mi ha corretto alzando anche il dito medio, nel segno di vittoria. Non avevo alcuna percezione dello sciopero e di quanto stava accadendo. C’era una sala affollata e un palco sul quale io giocavo: saltellavo, mi infilavo sotto il tavolo, imitavo i grandi. Mio padre mi ha rimproverato: “Siediti qui e stai zitto e buono”. Solo da grande, per conto mio, ho potuto capire la portata di quegli eventi dentro e fuori i cantieri».
Jurek lavora nel teatro musicale fondato dalla nonna. È un attore e cantante di successo.

Jurek Michalski (1974).«Quel giorno di fine agosto 1980 io c’ero, unico bambino passato lì dentro. Ero su quel palco con mio padre e gli attori del Teatr Wybrzeze per un saluto ai rappresentanti operai riuniti nei Cantieri. Mia madre aveva da fare, così mio padre, dovendo badare a me, mi ha portato con sé ai cantieri. Provengo da una famiglia di attori. Negli anni Sessanta mia nonna ha introdotto il Musical in Polonia, mio padre e mia madre sono attori e anch’io recito e canto.
Dopo aver cantato l’inno nazionale gli attori intorno a me hanno alzato la mano. Non capivo, li vedevo di profilo e a me sembrava che levassero al cielo un dito. E li ho imitati. Mio padre mi ha corretto alzando anche il dito medio, nel segno di vittoria. Non avevo alcuna percezione dello sciopero e di quanto stava accadendo. C’era una sala affollata e un palco sul quale io giocavo: saltellavo, mi infilavo sotto il tavolo, imitavo i grandi. Mio padre mi ha rimproverato: “siediti qui e stai zitto e buono”. Solo da grande, per conto mio, ho potuto capire la portata di quegli eventi dentro e fuori il Cantiere.
Oggi lavoro come attore nel teatro fondato da mia nonna, teatro musicale. Canto e recito nei Musical: attualmente sono Gesù Cristo nella versione polacca di “Jesus Christ Superstar”, un grosso passo avanti nella mia carriera. Porto in scena anche un altro spettacolo sulla vita dei montanari. Per me la scelta di calcare le scene è stata del tutto naturale. Tutti in famiglia fanno teatro. Ci sto ogni giorno. Che altro potevo fare nella vita? Così ho frequentato la scuola di recitazione e canto. Non mi voglio imporre obiettivi, col teatro voglio andare avanti più che posso.
Naturalmente del comunismo non so molto. Ma limitandomi all’ambiente del teatro ritengo che gli attori stessero molto meglio ai tempi del regime nonostante la censura. Presa alla lettera la teoria comunista, l’idea, non è poi tanto male: il mondo cambia e forse alla democrazia o a un comunismo dal volto umano ci saremmo arrivati anche senza Solidarnosc. Oggi i teatri sopravvivono con le sovvenzioni comunali, veramente pochi soldi, ma sono liberi di rappresentare quello che vogliono.
Si è creato un mercato degli artisti, che girano da una città all’altra, affittano i teatri o fanno spettacoli all’aperto. Così guadagnano.
Ai tempi del comunismo il tipico Musical americano non poteva andare in scena. C’erano dei surrogati, degli spettacoli musical-teatrali, ma il Musical vero e proprio in Polonia è arrivato solo nel 1983, con “Il violinista sul tetto”, andato in scena al teatro di Gdynia. Proprio in questi giorni quello spettacolo è arrivato alla sua cinquecentesima rappresentazione».

(quattordicesima parte – continua)

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