Come corsari sulla filibusta 5

by

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

..

La scia del sangue

Il 4 settembre 1998 Graziano Verzotto – interrogato a Pavia – confida a Calia che per Mauro De Mauro «il sabotaggio del Morane Saulnier [il bireattore su cui è morto Mattei] si spiegava con una pista esclusivamente italiana. Tale pista, secondo De Mauro, portava direttamente ad Eugenio Cefis e a Vito Guarrasi», avvocato palermitano in odore di mafia, già componente del cda della s. a. “l’Ora” di Palermo – il quotidiano vicino al Pci presso cui lavorava De Mauro – e braccio destro di Cefis in Sicilia.[57] È un tardivo riscontro della testimonianza di Junia De Mauro al giudice istruttore di Palermo Mario Fratantonio il 17 marzo 1971: «Sono in grado di affermare con sicurezza che mio padre addossava precise responsabilità per la morte di Mattei all’attuale presidente dell’Eni Eugenio Cefis».
Un rapporto del 1944 custodito a Washington nell’archivio del Dipartimento di Stato, indica Vito Guarrasi tra i componenti di spicco di Cosa nostra nell’isola. Dal 1948 al 1950 Guarrasi ha avuto Alfredo Dell’Utri (padre di Marcello) quale socio nella Ra.Spe.Me. Spa, azienda che operava nel settore medico. Secondo il giornalista di “Epoca” Pietro Zullino, «Cefis aveva forti cointeressenze nelle raffinerie Sarom di Ravenna e Mediterranea di Gaeta. Queste raffinerie sono tra le principali rifornitrici del sistema difensivo Nato per il sud-Europa e della Sesta Flotta americana; raffinano e vendono petrolio Esso e Shell. Mattei cercava di obbligare la Nato mediterranea a diventare cliente dell’Eni; Cefis si opponeva a questo progetto, per via delle sue cointeressenze».[58]
C’è poi il progetto del metanodotto tra la Sicilia e l’Algeria, del valore di 500 miliardi in lire, caldeggiato da Nino Rovelli e Verzotto, appoggiato dalla Regione Sicilia e avversato da Cefis (che possedeva azioni della società proprietaria delle navi metaniere) , oltre che dai petrolieri Angelo Moratti (proprietario della società armatrice delle metaniere, che aveva il trasporto del gas liquefatto in appalto da Esso e Eni) e Vincenzo Cazzaniga, presidente di Esso Italia.[59] Per loro era più redditizio il trasporto via mare dall’Africa fino a Panigaglia presso La Spezia. Verzotto lamentava che «Quasi tutta la stampa nazionale era allineata sulle posizioni dell’Eni perché direttamente o indirettamente finanziata dall’ente»: Eugenio Cefis era infatti chiamato dal presidente della Sir[60] Nino Rovelli «il grande elemosiniere». Rovelli era politicamente sostenuto da Giulio Andreotti, dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli e da Giovanni Leone, e «ambiva a rimpiazzare Cefis nel controllo dei finanziamenti ai partiti. Rovelli e i politici che lo sostenevano ritenevano infatti Cefis troppo potente, in quanto controllava direttamente la Montedison e gestiva l’Eni tramite Girotti».[62]
A Palermo il quotidiano “l’Ora” smise presto di occuparsi del metanodotto. Verzotto: «Le mie informazioni dell’epoca mi indussero a ritenere che il mutamento di condotta da parte de “l’Ora” fosse stato direttamente ispirato da ‘Botteghe Oscure’, cui faceva comodo l’esclusivo rapporto centralizzato con i finanziamenti dell’Eni, escludendo eventuali finanziamenti periferici difficilmente controllabili dalla direzione del partito». Il progetto del metanodotto «e la nostra posizione politica erano sostenuti dall’agenzia “Roma Informazioni” di Matteo Tocco, non so se collegata a “Milano Informazioni” [di Corrado Ragozzino]. Tale agenzia era la sola che in quel momento non riceveva sussidi dall’Eni, essendo invece finanziata dall’Ente minerario siciliano». Verzotto parla di De Mauro: con il giornalista «c’era una intesa consolidatasi nel tempo. Da ultimo, io gli avevo chiesto di darmi una mano nel sostenere il progetto del metanodotto e nel contrastare chi vi si opponeva. Era inteso che tale aiuto – che De Mauro mi offriva di buon grado – doveva risolversi in articoli e servizi contro l’Eni e il suo vertice e a favore del metanodotto». Secondo Verzotto, per comprendere i motivi del suo sequestro-assassinio è prima «necessario chiarire perché Mauro – apparentemente senza ragione – fosse stato spostato dalla cronaca allo sport, pochi mesi prima».[62]
Mauro De Mauro viene “prelevato” a Palermo il 17 settembre 1970. Le indagini portano presto al fermo del commercialista Antonino Buttafuoco, un massone iscritto alla loggia palermitana Armando Diaz (ne faceva parte anche l’amico di Guarrasi Stefano Bontade, il mandante), loggia collegata alla P2. In città si dà ormai per imminente l’arresto di Vito Guarrasi, «tanto che la sede della Rai di Palermo – lo ricorda Giampaolo Pansa – era già stata allertata affinché potesse preparare una scheda biografica filmata del personaggio». Ma ecco il colpo di scena: dopo aver annunciato il 2 novembre l’imminente arresto del «puparo», il questore di Palermo Ferdinando Li Donni fa una tanto repentina quanto apparentemente inspiegabile marcia indietro. Si scoprirà che il 10 novembre 1970 Guarrasi ha incontrato segretamente il comandante della legione Carabinieri di Palermo, il colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa. Pura coincidenza, ma il 17 novembre 1970, poche ore dopo l’incontro «senza apparente ragione le indagini si arrestarono. La squadra mobile abbandonò la “pista Mattei” e, di fatto, le stesse indagini sulla scomparsa di Mauro De Mauro».[63]
Sin dal primo Rapporto del 6 ottobre 1970 l’Arma cerca di depistare le indagini, dall’omicidio Mattei al narcotraffico, ignorando sistematicamente Vito Guarrasi – il cui nome non figurerà mai nei rapporti dei Carabinieri – al contrario della Polizia, che in due indagini parallele (della Squadra mobile e dell’Ufficio politico) perseguiva con decisione la pista Mattei. Mario Fratantonio è il giudice istruttore che segue l’inchiesta sulla scomparsa di De Mauro: «Il col. Dalla Chiesa assunse direttamente a verbale Graziano Verzotto. Il comportamento dell’ufficiale era assolutamente anomalo perché era una ingerenza sull’istruttoria in corso». Ugo Saito è il sostituto procuratore palermitano incaricato dell’indagine: il rapporto dei Carabinieri «almeno nella sua prima stesura, a giudizio sia mio che di Scaglione,[64] non era nemmeno sufficiente ad avviare delle misure di prevenzione […]. Ricordo che il colonnello Dalla Chiesa mi portò personalmente il Rapporto in udienza, accompagnato da operatori della televisione. Rammento che feci presente a Dalla Chiesa che io ero in udienza e che il Rapporto dovev
a essere depositato, come è norma, nella segreteria della Procura».[65]

Come lamenta Saito:

Improvvisamente non ho visto più nessuno.[…] Ebbi successivamente occasione di incontrare in procura Boris Giuliano e siccome i nostri rapporti erano molto cordiali, gli chiesi come procedevano le indagini sulla vicenda De Mauro e come mai, improvvisamente, nessuno pareva più interessarsi a tali investigazioni. Boris Giuliano manifestò il suo stupore per il fatto che io non ero a conoscenza della circostanza che a ‘Villa Boscogrande’, un Night Club in località Cardillo, vi era stata una riunione alla quale avevano partecipato i vertici dei servizi segreti e i responsabili della polizia giudiziaria palermitana. In tale riunione fu impartito l’ordine di ‘annacquare’ le indagini […]. Giuliano mi precisò anche che era presente il direttore dei servizi segreti, facendomene anche il nome: oggi non sono più certo se si trattasse di Miceli o Santovito. Si trattava comunque di colui che in quel momento era al vertice dei servizi segreti[66][…]. Prima dell’interruzione delle indagini di cui le ho appena fatto cenno, l’istruttoria era giunta a focalizzare delle responsabilità molto elevate e noi prevedevamo che quando avessimo assunto i provvedimenti opportuni, sarebbe successo un finimondo. Noi con la Polizia ritenevamo infatti, con assoluta certezza, che De Mauro era stato eliminato perché aveva scoperto qualcosa di eccezionalmente rilevante relativamente alla morte di Enrico Mattei. Ritenevamo inoltre che il rag. Buttafuoco non era altro che l’ultimo anello di una catena che faceva capo ad Amintore Fanfani e alla sua corrente… naturalmente quando parlo di questa linea investigativa e di queste decisioni, parlo di decisioni cui eravamo giunti, in pieno accordo, il Procuratore Scaglione e io.[67]

Come ricorda Antonio Zaccagni, funzionario dell’ufficio politico della questura di Palermo, «la nostra attività era stata sospesa per espressa richiesta del Questore […]. Da quel momento non ci siamo più interessati del caso DeMauro».[68]
Interrogata da Calia, il 22 maggio 1996 la moglie di De Mauro Elda Barbieri ricorda una visita di Dalla Chiesa dieci giorni dopo il sequestro: «il colonnello insisteva nel sostenere che De Mauro era stato sequestrato per aver scoperto dove sbarcava la droga destinata alla mafia». La signora replicò sottolineando che il marito «si occupava da oltre un mese esclusivamente della ricostruzione degli ultimi giorni di vita di Enrico Mattei. Fu a quel punto che Dalla Chiesa mi disse: “signora, non insista su questa tesi, perché, se così fosse, ci troveremmo dinnanzi a un delitto di Stato e io non vado contro lo Stato”. Io mi indignai e invitai il colonnello a uscire di casa».[69]
Rispondendo a Calia il 4 settembre 1998, Graziano Verzotto riferisce di aver avuto l’impressione «che De Mauro fosse stato sequestrato anche per spaventarmi e per convincermi ad abbandonare il progetto del metanodotto».[70] Coinvolto nello scandalo dei “fondi neri” dell’Ente minerario siciliano (depositati presso l’istituto di credito del banchiere della mafia Michele Sindona) , nel 1975 Verzotto fugge a Beirut e infine a Parigi sotto falso nome, “coperto” dai Servizi segreti francesi. Farà ritorno in Italia 16 anni dopo, grazie a un indulto. Pietro Scaglione, 65 anni, viene assassinato il 5 maggio 1971, qualche ora prima della sua partenza per Milano: il giorno successivo era atteso in tribunale per testimoniare sulla «telefonata compromettente» di Buttafuoco a Guarrasi poco dopo il rapimento di De Mauro, telefonata che incastrava l’avvocato consulente di Cefis in Sicilia.[71]
Il Cavalier Antonino Buttafuoco verrà scarcerato e poi assolto. Alcuni anni dopo, il questore Ferdinando Li Donni sarà nominato vice capo della polizia. Il colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo (l’ideatore del depistaggio sulla droga)[72] nel 1977 verrà ucciso dalla mafia. Morte violenta anche per Emanuele D’Agostino, Stefano Giaconia, Nino Grado e Mimmo Teresi, i killer al soldo di Bontade che i “pentiti” Francesco Di Carlo e Gaetano Grado hanno indicato come i sicari di De Mauro. Nel 1973 Carlo Alberto Dalla Chiesa è promosso Generale di brigata. Nominato Prefetto di Palermo nove anni dopo, il 3 settembre 1982 viene ucciso in un agguato mafioso.[73]
Scrive Steimetz: «Sarebbe giusto trovare un nuovo De Mauro a prova di lupara. Per risapere quali rivelazioni la mafia ha vietato al giornalista che intendeva far luce sulla fine di Mattei. Peccato davvero che l’uomo di Matelica sia finito così, e così presto. Con lui vivo, Cefis sarebbe appena un funzionario, un vice, anche se con la smania delle immobiliari. O forse Mattei l’avrebbe dopo la prima cacciata, definitivamente estromesso. Invece l’araba fenice è risorta dalle ceneri (altrui) , anche se ai funerali di Enrico Mattei l’Eugenio Cefis (che non l’amava in vita) era simpaticamente assente, pur dovendogli tutto: prima e specialmente dopo».[74]

(dall’introduzione a Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, edito da Effigie nella collana Saggi e documenti)

[57] Dal luglio al dicembre 1957 Guarrasi è stato membro del Cda de “l’Ora” e dal 1957 al 1964 del Cda dell’Immobiliare “l’Ora”, la tipografia del quotidiano; «Il rapporto tra Guarrasi e “l’Ora” è la sintesi del rapporto di vicinanza che il Pci, improvvisamente cooptato all’interno del sistema di potere della Regione Sicilia, tenta di costruire con sponde politiche assai lontane. Punto di arrivo di questa operazione è il governo di Silvio ilazzo, pianificato dallo stesso Guarrasi, nel quale dal 1958 al 1960 destra e sinistra si coalizzano lasciando per la prima volta la Dc all’opposizione» (Lo Bianco-Rizza, Profondo nero, pp.132-33).
[58] Scrive Zullino,  «Cefis aveva facilitato una importantissima commessa Eni alla ditta Lenci (bambolotti reclamistici della benzina Super Cortemaggiore) essendo in relazione intima con una signora Lenci; Mattei aveva trovato spropositato il prezzo da pagare e ne era nato uno scontro molto antipatico con tale arvelli, marito della detta signora Lenci (un locale di proprietà Eni al quartiere Eur di Roma risultava affittato alla stessa signora, che vi aveva installato una boutique)» (Richiesta di archiviazione, pp.378-79).
[59] Secondo Verzotto, Cazzaniga era un socio occulto di Moratti (Richiesta di Archiviazione, p.365).
[60] Società italiana resine, il terzo gruppo chimico italiano dopo Eni e Montedison.
[62] Richiesta di archiviazione,  p. 366.  Raffaele Girotti è stato vicepresidente di Montedison.  Nel 1971 prende il posto di Cefis alla guida dell’Eni, carica da cui si dimetterà nel 1975.
[62] Testimonianza resa il 4 settembre 1998, Richiesta di archiviazione, pp.341 sgg. Verzotto pagava De Mauro «Era tra noi inteso che tale collaborazione sarebbe stata retribuita dall’Ente minerario siciliano. Ci si era regolati così anche in altre precedenti occasioni. La giustificazione formale dell’esborso da parte dell’Ems (o di una società collegata)  a favore di De Mauro,  sarebbe stato un incarico per una ricerca sociologica affidata ufficialmente al giornalista».
[63] Richiesta di archiviazione, p.299
[64] Pietro Scaglione, procuratore capo di Palermo.
[65] Richiesta di archiviazione, p.332
[66] Il 18 ottobre 1970 Eugenio Henke lascia la guida dei servizi segreti al trapanese Vito Miceli.
[67] Nel 1971 l’indagine sulla morte di Mauro De Mauro dei giudici Saito e Fratantonio vide emergere la responsabilità di Fanfani, di Cefis e di una terza persona rimasta ignota quali mandanti della morte di Mattei. I due magistrati trasmisero a Pavia le parti in cui si ipotizzavano «responsabilità a carico di alcuni personaggi di rilievo della vita italiana  Fanfani,  Cefis e un altro,  di cui non ho adesso memoria». (Fratantonio a Calia il 20 febbraio 1998). I documenti non sono mai giunti alla Procura pavese, e tantomeno si trova traccia della loro trasmissione nel fascicolo processuale di Palermo (Richiesta di archiviazione, p.332).

[68] Richiesta di archiviazione, p.358

[69] Richiesta di archiviazione, p.297

[70] Richiesta di archiviazione,  p. 349.  Da quel momento migliorano i rapporti economici di Verzotto con Guarrasi.  Come si legge nella Relazione della Commissione parlamentare antimafia, «la Banca Loria, già del gruppo Sindona[…], passò nel febbraio 1972 sotto il controllo di una finanziaria, la Gefi, che ne acquistò il pacchetto di maggioranza. Del Consiglio di amministrazione della Gefi faceva parte, già prima dell’acquisto del pacchetto di maggioranza della Banca Loria, l’avvocato Vito Guarrasi. Due mesi dopo l’operazione, il 28 aprile 1972, entrò anche il senatore Graziano Verzotto».
[71] La trascrizione della telefonata sparisce dal fascicolo giudiziario dell’inchiesta De Mauro. Dagli archivi del Tribunale di Palermo sparisce anche il nastro con la registrazione, insieme a cinque faldoni sulla prima indagine. Scomparse anche le impronte digitali lasciate dai rapitori sull’auto di De Mauro. La notizia è ripresa da una informativa di Polizia, segnalata in Lo Bianco-Rizza, Profondo nero, p.184.
[72] Secondo il commissario della Questura di Palermo Bruno Contrada, l’ex partigiano della Brigata Osoppo Giuseppe Russo era in «rapporti con i Servizi segreti militari» (Richiesta di archiviazione, p.333)
[73] Sul futuro Prefetto di Palermo resta l’ombra della P2. Secondo Francesco Cossiga, «Dalla Chiesa era sempre stato massone, lui, il padre e il fratello…» E infatti il nome di Romolo Dalla Chiesa risulta (tessera P2 n. 1611).  Ma, prosegue l’ex capo dello Stato, «la P2 con la sua carriera non c’entra» (intervista di Giovanni Minoli a Cossiga, Rai 3, 16 gennaio 2006). L’affiliazione risalirebbe al 1976, su invito del generale dell’Arma Franco Picchiotti (tessera P2 n. 1745). Dagli elenchi degli iscritti alla P2 (ritrovati il 17 maggio 1981 nella casa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo) sarebbe stata sottratta la pagina che conteneva il nome del Generale e di suo fratello (l’episodio è risolutamente negato dai parenti di Dalla Chiesa).  Nel maggio 1982 il ministro degli Interni Virginio Rognoni lo nomina prefetto di Palermo. Isolato e «disarmato» («mi mandano in realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì») Carlo Alberto Dalla Chiesa muore il 3 settembre 1982, ucciso dalla mafia insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro. Nella sentenza di condanna degli assassini Vincenzo Garatolo e Antonino adonia si legge «Si può convenire con chi sostiene che persistono ampie zone d’ombra concernenti sia le modalità dell’invio in Sicilia del generale, sia la coesistenza di specifici interessi all’interno delle stesse istituzioni alla sua eliminazione».
[74] Qui, p.129

(5 – continua)

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: