Sprofondo nord 12

by
Attenzione: potresti essere contaminato dal virus social-democratico, i cui principali sintomi sono: usare metodi di destra per ottenere conquiste di sinistra e, in caso di conflitto, scontentare i piccoli per non fare cattiva figura con i grandi (Frei Betto)

Settembre 2006, prima edizione del Festival dei Saperi, fiore all’occhiello dell’amministrazione di centrosinistra Capitelli: un fiore di plastica, perché una parte del pubblico denaro speso per il Festival (oltre un milione di euro per cinque giorni di conferenze: quattro volte più del necessario) è andato a ingrossare le tasche di alcune aziende d’area, di amici di amici e di Stefano Francesca, incarcerato a Genova nel maggio 2008 con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta.[94] Sono gli stessi “amici” che un anno prima avevano suggerito idee e lavorato “gratuitamente” e nell’ombra alla privatissima campagna elettorale del futuro sindaco. Una volta eletta, Capitelli ha finalmente saldato i sospesi, usando però i soldi dei contribuenti, e cioè una parte rilevante del pubblico denaro speso impunemente per la prima edizione del Festival. Al solito a scoprirlo è la consigliera Campari, allora in maggioranza; a coprirlo è la blanda opposizione della minoranza di destra, che sa e tace.
In una intercettazione ambientale Massimo Casagrande (uno dei genovesi incarcerati, avvocato e sodale di Francesca) riferisce di aver incontrato il Procuratore capo reggente di Pavia Salvatore Sinagra «…che conosco. Sono stato un’ora lì, mi ha detto… risolvo» (Sinagra ha ammesso l’incontro). Infatti qualcuno ha risolto: l’esposto di Elio Veltri sull’operato di Francesca è stato archiviato.
18 Luglio 2007. L’amministrazione Capitelli dispone l’abbattimento di uno dei quattro fabbricati Snia sotto tutela, ignorando il vincolo del Piano regolatore (successivamente anche della Soprintendenza ai Beni monumentali) e senza il sostegno di perizie asseverate. Nonostante una tempestiva segnalazione, la Procura interviene a danno ormai fatto. Pochi giorni dopo, in contrasto con una sentenza della Cassazione, la Snia viene dissequestrata. Si ha notizia di una telefonata di Sinagra a Capitelli, cioè il giudice telefona all’indagata. E lei, il sindaco, promette al Procuratore capo reggente «di non farlo più». Proprietà e pubblica amministrazione lo avevano già deciso da molto tempo, già nel corso dell’amministrazione Albergati (sindaco dal 1996 al 2005), ben prima dell’emergenza Rom che – numerosi – alla Snia mantenevano una temporanea nonché abusiva dimora (c’erano anche italiani). Anzi, ancora una volta sono state le vittime, l’appiglio che ha giustificato le ruspe: criminalizzare i Rom rumeni per poi invocare «l’ordine la sicurezza e la legalità»; distruggere la storica fabbrica, far lievitare la rendita dei suoli e utilizzare una parte dell’area per costruire un Centro commerciale. A denunciarlo ancora una volta è Campari che – nel Consiglio comunale del 2 luglio 2007 – rende pubblico il Piano integrato di intervento della proprietà (Risanamento di Luigi Zunino, lo stesso della discussa lottizzazione milanese di Santa Giulia), un documento del 2004 da cui, nonostante i vincoli, scompare la fabbrica e al suo posto disegna un bel Centro commerciale. Tra i primi a segnalare l’intenzione di abbattere ricorderemo il consigliere comunale nonché funzionario dell’Arpa Sandro Assanelli (Forza Italia), ma viene subito tacitato dai maggiorenti del suo partito, in particolare da Pietro Trivi e da Sandro Bruni (nominato assessore nel 2010 in sostituzione di Trivi), che lo accusano di aver assunto una posizione «del tutto personale» lontana dalla «linea del gruppo consiliare di Forza Italia» favorevole all’abbattimento. Ordinando la demolizione, Capitelli è andata ben oltre i suoi poteri. Lo ha confermato la perizia chiesta dal Pm Luisa Rossi all’architetto Roberto Maccabruni e all’ingegner Giovanni Contini[95]: un vero e proprio atto d’accusa contro l’operato del sindaco.[96] Dalla relazione emerge con evidenza il proposito di abbattere tre dei quattro edifici storici sotto tutela, millantando il pericolo di crolli.
I due consulenti della Procura pavese vanno oltre: ipotizzano un complotto, che assocerebbe le diverse proprietà al sindaco e a Gregorio Praderio, dirigente Ambiente e Territorio del Comune.[97] Secondo i periti, l’indebita demolizione «era stata programmata dalle proprietà dell’area ex Snia già nel 2004, come documenta il Programma Integrato di Intervento» che presuppone l’abbattimento: infatti gli edifici attuali «sono incompatibili con l’articolazione planivolumetrica proposta». Nel novembre 2004 la proprietà aveva provveduto per conto suo alla parziale demolizione di uno dei fabbricati sotto vincolo «mentre il Prg ne prescriveva la totale conservazione».
Il documento di Contini e Maccabruni prosegue in un crescendo incalzante: «Dall’esame degli atti oggetto di analisi, appare del tutto evidente che il Piano Integrato di Intervento» proposto dalla proprietà e adottato senza riserve dal Comune[98] «non intendeva rispettare le indicazioni del Prg e ciò è testimoniato anche dal “taglio speculativo” impresso al Piano stesso con la proposta – avallata dalla Giunta comunale – di incrementare le destinazioni d’uso economicamente più pregiate a discapito di quelle di minor valore aggiunto». Ad esempio, viene incrementata fino a 15.000 mq l’area a edilizia residenziale; contestualmente cala quella per le attività produttive, mentre aumenta da 3.500 mq a 9.000 mq la superficie lorda di pavimento destinata alle attività commerciali.
Non finisce qui. Secondo i due tecnici, «è significativo osservare che il primo atto compiuto dalla proprietà, dopo il parere favorevole della Giunta comunale sul Piano Integrato di Intervento sia stato quello di richiedere la demolizione degli edifici siti in fregio a viale Montegrappa.[99] Dopodiché è iniziato, da parte del Comune, lo stillicidio di sopralluoghi, tutti finalizzati a dimostrare la necessità di “togliere di mezzo” i fabbricati vincolati dal Prg vigente. […] Tale modo di agire risulta addirittura risibile allorquando, nei tre rapporti a firma dell’arch. Rognoni, si cita, a giustificazione della necessità di eliminare i “fastidiosi” fabbricati storici su viale Montegrappa, la Relazione sullo stato di fatto e verifiche strutturali redatta dall’ing. Paolo Bacci, professionista incaricato dalla proprietà, da colei, cioè che come sopra dimostrato aveva tutto l’interesse a togliere di mezzo i suddetti edifici».

Del lavoro di Giovanni Contini e Roberto Maccabruni il Pm Luisa Rossi non ha voluto tenere conto,
preferendo l’archiviazione.
Stando ai si dice, parrebbe che la bonifica dell’area Snia sarebbe infine andata a Giuseppe Grossi, sodale di Zunino e amico del deputato Pdl Abelli, quel Grossi incarcerato con l’accusa di associazione a delinquere, frode fiscale, appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, nonché della corruzione di pubblici ufficiali. È lo stesso Grossi che, secondo gli inquirenti, ha costituito presso banche svizzere fondi neri per 22 milioni di euro, il frutto di fatturazioni gonfiate in parte trasferiti, dilavati e asciugati al sole di Hong Kong o di Montecarlo su conti cifrati, come quello monegasco della moglie di Abelli, Rosanna Gariboldi che, arrestata per riciclaggio, ha patteggiato una condanna a 2 anni e la restituzione di 1.200.000 euro, saldo del conto “balneare” condiviso con il marito, conto che negli ultimi otto anni ha registrato movimenti per 3,5 milioni di euro: 12 in entrata per 2.350.000 euro e tre in uscita per 1.294.000. Secondo la magistratura milanese, è provato che «tutte le rimesse in entrata e in uscita» provenivano da «conti riferibili direttamente a Grossi o suoi sodali» come Fabrizio Pessina (incarcerato dal febbraio al luglio 2009), l’avvocato che ha disposto i versamenti estero su estero sul conto segreto della signora Abelli.
L’inchiesta era partita dalla bonifica ambientale di Santa Giulia, affidata alla Green Holding di Grossi. Ma col tempo le indagini hanno preso anche altre strade: a cosa dovevano servire i fondi neri creati dal Grossi, se non a corrompere pubblici amministratori, politici, funzionari? I magistrati della Procura milanese ne sembrano convinti. Fatto è che, in sette anni, ben 275 milioni di pubblico denaro sono passati dalle casse della Regione Lombardia alle tasche del ciellino Giuseppe Grossi.
Nelle carte dei magistrati milanesi che indagano sull’ex Sisas di Pioltello e su Santa Giulia, il nome dell’abelliano Claudio Tedesi è tra quelli che ricorrono con maggiore frequenza: associato a Grossi o a Zunino (oppure ad entrambi) emerge carsicamente da molte pratiche di bonifica delle maggiori aree dismesse, non solo localmente. Ad esempio, la citata ex Montedison di Rogoredo, nonché l’ex Sisas, di cui Tedesi ha diretto i lavori di bonifica. Ad esempio, l’ex zuccherificio di Casei Gerola – 500mila mq – di cui Grossi è proprietario attraverso la Sadi, proprietà condivisa con Mario Resca (l’ex amministratore delegato della McDonald’s Italia, amico di Paolo e Silvio Berlusconi, direttore generale del Ministero dei Beni Culturali); ma anche la bonifica della Zeta Petroli tra Albaredo e Campospinoso. C’è poi la chiacchierata discarica per rifiuti speciali di Verretto, presso cui hanno operato società di Grossi insieme a società del gruppo Ecodeco. A Pioltello pagava lo Stato, ovvero noi. Dopo il fallimento della Sisas, Grossi acquista una parte dei terreni accollandosi l’onere della bonifica che il fido Tedesi certifica in 120 milioni di euro; altri “esperti” indicano in 19 milioni il valore fondiario. Tutto sembra filare liscio, fino a quando un creditore della Sisas, il gruppo Air Liquid, decide di vederci chiaro. Si scopre così che per bonificare l’area poteva bastare meno della metà della cifra indicata da Tedesi; e circa 40 milioni per i suoli: il valore sale a 94 milioni se si tiene conto delle varianti urbanistiche già approvate! Da 19 milioni si sale a 94: sono cifre lontanissime. Com’è possibile? La risposta è contenuta in alcune intercettazioni, dalle quali emerge che il curatore fallimentare della Sisas Vittorio Ottolenghi, ufficialmente garante dei creditori, in realtà agiva nell’esclusivo interesse di Grossi.
Anche a Valle Lomellina in provincia di Pavia, i conti non sembrano tornare: secondo l’Arpa per la bonifica della Sif Furfurolo sarebbero bastati 1.250.000 euro e pochi mesi di lavoro: una soluzione economica e garante della salvaguardia dell’ambiente; secondo l’inossidabile Tedesi – al solito incaricato della progettazione – la semplice messa in sicurezza di ceneri e terreno avrebbe posto l’area al di fuori delle norme di legge e senza sufficienti garanzie ambientali. Chi l’ha spuntata? Ovviamente Tedesi, disdegnando il parere dell’Arpa, l’organismo tecnico al di sopra delle parti. Tedesi per il progetto ha percepito 700.000 euro, ovvero il 5 per cento del costo della bonifica. A quanto somma il 5 per cento di 1.250.000 euro? Nel frattempo, i lavori di bonifica se li sono aggiudicati in “associazione temporanea di imprese” la francese Sarp Industries e la bergamasca Cantieri Moderni. Ma è tutto fermo, perché pende un ricorso al Tar: sollevato da chi? Dal re delle bonifiche e dei bonifici Giuseppe Grossi.

(12 – continua)
capitoli precedenti [1]·[2]·[3]·[4]·[5]·[6]·[7]·[8]·[9]·[10]·[11]

NOTE

[94] Nell’aprile 2010 Francesca è stato condannato in primo grado a un anno e mezzo di reclusione per corruzione.
[95] Contini e Maccabruni sono due conosciuti professionisti milanesi; Contini è uno dei più affermati tecnici strutturisti italiani.
[96] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia. “Incarico di consulenza relativo all’accertamento tecnico afferente la demolizione di edifici storici di matrice industriale facenti parte dell'area produttiva dismessa ex Snia di viale Montegrappa in Comune di Pavia”. Relazione di C.T.U. [Consulenti tecnici dell’Ufficio], Milano, settembre 2008.
[97] Praderio aveva sostenuto l’urgenza dell’abbattimento con tre comunicazioni scritte. Il 3 luglio 2007 (22 giorni prima della demolizione) Praderio scrive di «strutture gravemente ammalorate e fatiscenti, con cedimenti delle parti strutturali» e comunica l’intenzione di «intimare alla proprietà [sic] l’ordine di abbattimento» di quelle «pericolanti». Praderio cita a modo suo una “relazio
ne” dell’ing. Paolo Bacci per conto della proprietà e cioè – come rilevano Contini e Maccabruni – per chi avrebbe ricavato notevoli vantaggi economici dall’abbattimento. Nelle altre lettere, cita anche i tre “rapporti” al Comune dell'arch. Vittorio Rognoni. Non si segnalano perizie asseverate ma – singolarmente – l’analisi delle «prove di carico» contenute nella “relazione” di Bacci dimostrano l’assoluta assenza del pericolo di crolli.
[98] Delibera 9159 del 24 marzo 2006
[99] Lettera del 21 maggio 2007

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: