Le carceri italiane fanno schifo

by
di Giovanni Giovannetti

A Carlo Chiriaco è stato finalmente riconosciuto almeno il diritto al ricovero in un centro clinico, e questo è un bene. La nuova disposizione del Tribunale prende atto che, da quando è stato trasferito nel carcere di Monza, Chiriaco non ha ricevuto cure (il 22 settembre per la prima volta, dopo ben 50 giorni, lo ha visitato una psicologa e c’è stato un prelievo del sangue). Per il Tribunale milanese fanno testo le conclusioni dell’ultima perizia Scaglione (8 agosto); anche se le condizioni di Chiriaco sono intanto peggiorate; anche se lo stato di salute del presunto mafioso apparivano difficili già al suo trasferimento a Monza da Torino, un carcere il cui centro medico è citato a modello (fra l’altro, il peso corporeo di Chiriaco era sceso da 85 a 58 kg.).
Da martedì 27 settembre il processo milanese alla ‘Ndrangheta galopperà al ritmo di tre udienze la settimana. Intanto, dal penitenziario di Viterbo è arrivato a Monza il capo della Locale milanese Cosimo Barranca, per avvicinarlo al processo. E sapete in quale cella si è ritrovato? Insieme a Carlo Chiriaco! (ma non andavano mantenuti a distanza fra loro?). Intanto, in città, il nostro appello in favore degli arresti domiciliari per Chiriaco sta provocando accese discussioni (vorrebbe aderire persino Pino Neri…)
Se certa sinistra ruggisce dalla forca, a sua volta la destra bela o rimane silente. Di fronte al dramma umano e alla malattia di Chiriaco, i leoni destrorsi, sodali nei bei tempi, si rivelano ora opportunisti conigli: dopo l’arresto del presunto mafioso, nessun componente la banda Abelli (la più beneficiata dagli aiutini elettorali dell’ex direttore sanitario dell’Asl pavese) ha avuto animo e cuore tale da mandare solidarietà umana all’amico sofferente, a sua moglie e alla figlia. Nessun segnale pubblico o personale, nemmeno ora, isolando così la famiglia nella cupa solitudine.
Nessuna visita al carcere di Torino o di Monza – quest’ultimo tra i più indecenti – da parte dei locali deputati o consiglieri regionali “azzurri”. In una lettera dal carcere brianzolo, gli stessi reclusi denunciano una situazione «che ha ormai oltrepassato ogni limite di sopportazione e di decenza, uccidendo l’unica e ultima cosa che rimane a un detenuto: la dignità di essere uomo». E così proseguono: «viviamo ammassati in tre per ogni cella ovvero con un letto a castello per due persone ed una brandina volante per la notte con spazi di movimento che non superano il metro quadro per detenuto … l’acqua calda non esiste se non di tanto in tanto in due docce, mal funzionanti, per settanta persone … Le celle dell’ultimo piano sono incrostate d’umidità, come le altre, ma con un optional in più: piove dentro ad ogni temporale e si dorme con teli di plastica addosso … Gli oltre 900 detenuti, cioè il doppio di quelli per cui questa “galera” è stata costruita, sono costretti per 20 ore in 7,5 metri quadri tutto compreso. Il rapporto con il personale di sorveglianza è gerarchicamente malsano. Nessuno è responsabile di niente tranne che della sua funzione di schiavettare mille volte al giorno come se da questa parte delle sbarre ci fossero animali».
Contando poche eccezioni (ad esempio, il carcere di Bollate), la condizione dei 67.900 detenuti non migliora negli altri 207 istituti di pena italiani (ne potrebbero contenere 45.681), in deroga ad alcuni diritti costituzionalmente garantiti: il carattere rieducativo della pena (art. 27); il diritto alla salute (art. 32); il diritto a non subire violenze fisiche o morali delle persone sottoposte a restrizioni di libertà (art. 13).
Le carceri italiane sembrano ormai sfuggire ad ogni ordinamento penitenziale e costituzionale. Come leggiamo in un rapporto dell’associazione Antigone, nel primo semestre 2011 hanno già perso la vita oltre 100 detenuti. Ragazzi come il romano Stefano Cucchi, 31 anni, morto nell’ottobre 2009 dopo essere stato malmenato in carcere; o come Luca Campanale, 28 anni, impiccatosi con un lenzuolo ad una grata il 12 agosto 2009 nel carcere milanese di San Vittore; persone come il varesino Giuseppe Uva, 43 anni, morto in ospedale nel giugno 2008 dopo aver trascorso la notte in una caserma per una semplice contravvenzione; immigrati come Sami Ben Garci, 41 anni, che si è lasciato morire il 5 settembre 2009 nel carcere di Pavia, dopo 52 giorni di sciopero della fame contro una condanna a 8 anni per violenza sessuale, da lui ritenuta ingiusta. Sono solo alcuni dei 1.800 detenuti morti nelle carceri italiane dal 2000 a oggi, luoghi dove il 40 per cento dei reclusi è in attesa di giudizio e gli stranieri sono il 35 per cento.
Che fare? Si calcola in 280 euro quotidiani il costo della carcerazione per ogni detenuto; come è ovvio, i costi del reinserimento sarebbero notevolmente inferiori. Che fare dunque? Ad esempio, la “depenalizzazione ragionata”, l’indulto o la riduzione di un 15 per cento della pena per i reati minori già consentirebbero notevoli passi avanti, contenendo altresì la ricaduta sociale (secondo il Ministero di Grazia e Giustizia, solo il 29 per cento dei beneficiati dall’indulto ha nuovamente commesso reati, contro il 70 per cento di chi esce a fine pena).
Quanto ai reati minori, è il caso di guardare a forme alternative di detenzione, specie per chi è punito per il semplice consumo di droga (dal 2005, la “Fini-Giovanardi” sostanzialmente pone sullo stesso piano spacciatori e consumatori) o per i numerosi stranieri “clandestini”, ma solo dopo la “Bossi-Fini”.

3 Risposte to “Le carceri italiane fanno schifo”

  1. utente anonimo Says:

    …Le carceri italiane fanno schifo? No, sono semplicemente e tristemente l'immagine di un popolo incivile che nasconde,protegge e vota il peggio dell'essere umano…

  2. GGiovannetti Says:

    Sarà, ma il sistema carcerario faceva schifo anche prima del berlusconismo, come racconta Irene Invernizzi nel suo "Carcere come scuola di rivoluzione", pubblicato da Einaudi nel 1973 o Arrigo Cavallina in "Distruggere il mostro" (collettivo editoriale Librirossi, 1977) o Francesco Maranta nel più recente "Vito il recluso" (Sensibili alle foglie, 2005) 

  3. GGiovannetti Says:

    Da don Gallo a Zanotelli, appello per Chiriaco, direttore Asl detenuto per mafia: “E’ malato”
    di Luca Rinaldi ("il fatto quotidiano online", 24 settembre 2011)

    Un'inattesa campagna di solidarietà per il manager della sanità di Pavia che nelle intercettazioni si vantava di essere un "capo della 'ndrangheta". In un anno ha perso 27 chili e i suoi avvocati ne chiedono la libertà. Ma il Tribunale di Milano si oppone
    Carlo Antonio Chiriaco, ex direttore dell’Asl di Pavia, attualmente detenuto e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa si troverebbe addirittura in pericolo di vita. Da poco più di un anno Chiriaco, uno degli imputati celebri del processo (ripreso oggi nell’aula bunker del carcere di San Vittore) scaturito dall’operazione “Crimine-Infinito” che ha portato agli arresti di 174 presunti affiliati alla ‘ndrangheta in Lombardia, è detenuto. Prima presso il carcere di Torino, poi una breve parentesi a Vigevano, per poi arrivare a Monza, destinazione ottimale vista la distanza da Milano e Pavia dove si stanno celebrando i processi a carico dello stesso Chiriaco.
    Dall’inizio della detenzione nel luglio 2010, l’ex direttore dell’Asl, accusato di aver favorito consapevolmente le mosse dell’organizzazione criminale della ‘ndrangheta, ha perso 27 chili, è in uno stato depressivo cronico ed è affetto da numerose patologie. Il tutto aggravato dal fatto che la struttura carceraria di Monza non dispone di un centro medico interno al carcere.
    E’ il perito nominato dal Tribunale di Milano, Marco Scaglione, a segnalare il peggioramento delle condizioni di Chiriaco, che con le sue dichiarazioni nel processo ripreso dopo la pausa estiva potrebbe fare luce su fatti e misfatti della sanità pavese e lombarda, e sui rapporti di queste con le organizzazioni mafiose presenti sul territorio. A metà agosto i legali della difesa Oliviero Mazza e Nico D’Ascola avevano presentato, proprio in virtù della relazione del perito del tribunale, istanza di libertà al tribunale stesso, che però ha rifiutato, concordando con le conclusione del perito, che individuava una “forte necessità di una seria presa in carico da parte di uno specialista clinico, interno o esterno alla struttura”, ma “le attuali condizioni di salute di Chiriaco non sono comunque tali da controindicarne in assoluto la prosecuzione del regime carcerario”.
    Inoltre a preoccupare sono le condizione psicologiche del detenuto, che rifiuta di alimentarsi. Scrive il perito nella relazione, che Chiriaco rifiuta il cibo “non tanto in maniera consapevole, quanto per un disinteresse nei confronti della vita”. E’ partito anche un appello per chiedere gli arresti domiciliari. Il promotore dell’appello, a cui hanno aderito personalità come Luigi Manconi, don Andrea Gallo e padre Alex Zanotelli è Giovanni Giovannetti, autore del libro “Sprofondo Nord” che ha narrato molti dei misfatti pavesi entrati nell’inchiesta ‘Infinito’.
    “Siamo giornalisti, scrittori, studiosi, preti e operatori che in questi anni non hanno mai fatto mancare appoggio all’operato della magistratura – si legge nell’appello – e in particolare a chi è schierato in prima linea sul fronte dell’antimafia”. Ma, conclude l’appello: “Gentili magistrati, restiamo convinti che il principio di giustizia debba nutrirsi anche di umanità, la stessa che ci porta a sentire ormai giunta – se non varcata – la soglia oltre la quale, anche per Chiriaco, la detenzione è da ritenere assolutamente incompatibile con il regime carcerario; e più che mai urgente il passaggio a misure meno afflittive, come a noi paiono gli arresti domiciliari”.
    Una richiesta che ha sorpreso anche la figlia di Carlo Chiriaco, Eva, che non ha potuto fare a meno di notare come questo appello sarebbe dovuto partire dalle personalità vicine al padre, che invece lo hanno scaricato immediatamente. Soprattutto quei politici locali e non che in passato sono sempre rimasti in stretti contatti con l’ex direttore dell’Asl di Pavia.
    Chiriaco è imputato insieme ad altre 33 persone per reati di mafia, e il processo è un’occasione per capire, oltre i meccanismi delle famiglie di ‘ndrangheta in Lombardia, anche alcuni aspetti poco chiari sulla gestione della sanità lombarda. La testimonianza di Chiriaco è preziosa e importante, anche per fare luce sul suicidio di Pasquale Libri, 37 anni, dirigente del settore appalti del San Paolo di Milano, anche lui indagato nella stessa inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nella sanità lombarda e in contatti stretti proprio con Carlo Chiriaco.
    Altro fronte aperto per Chiriaco è il processo che si celebra a Pavia, in cui è coinvolto anche l’ex assessore comunale al commercio Pietro Trivi. L’accusa è di corruzione elettorale e la sentenza potrebbe arrivare lo stesso 12 ottobre alla ripresa del processo, dopo la testimonianza dell’attuale sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo.

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