Chiriaco è ancora recluso nel carcere di Monza

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Ma non c’era un ordine del Tribunale
che ne imponeva l’«immediato» ricovero in un Centro clinico?

«Il 50 per cento delle carceri va chiuso … il nostro sistema è fuori dalla Costituzione». E chi lo denuncia? Giovannetti? Pannella? No, l’affermazione è per bocca del ministro della Giustizia Angelino Alfano. E come dargli torto. La soluzione? Il taglio del 50 per cento ai fondi destinati al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria da cui dipende la gestione delle carceri: se da un lato aumentano i detenuti (67.900 – il 40 per cento di loro è in attesa di giudizio – quando i penitenziari ne potrebbero contenere non più di 48.000) dall’altro si registra una carenza di organico calcolata in 3.000 fra educatori e assistenti sociali, con buona pace del carattere rieducativo della pena (art. 27 della Costituzione).
Il 22 settembre 2011 il Tribunale di Milano ha disposto che Carlo Chiriaco – gravemente ammalato – fosse «immediatamente trasferito» dal carcere di Monza (dove era arrivato il 2 agosto dal carcere di Torino, dopo una brevissima tappa a Vigevano) ad «un Istituto penitenziario dotato di centro clinico». “Immediatamente” significa «senza il benché minimo indugio» (Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli). Dall’Ordinanza sono intanto trascorse due settimane, ma nulla è stato fatto: Chiriaco lo ritroviamo sempre più male in arnese a Monza, uno dei peggiori, in una cella di 7 mq per tre persone (angusto spazio incredibilmente condiviso con il capo della Locale milanese Cosimo Barranca, ai vertici della ‘Ndrangheta lombarda): lo stesso carcere in cui, per oltre due mesi, Chiriaco non ha ricevuto alcuna assistenza medica, abbandonato a se stesso nonostante le disposizioni del Tribunale estivo.
Un’ultima annotazione: secondo l’Alta corte dei diritti dell’uomo, 7 mq è lo spazio minimo a persona oltre il quale la pena declina in tortura. Con tanti saluti ai diritti costituzionali inalienabili anche, se non soprattutto, per i detenuti. (G. G.)

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