Di là il Cappellaio matto

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di Mauro Vanetti

Ecco più o meno quel che ho detto alla bellissima piazza “alternativa” del 25 Aprile 2012 a Pavia.
In piazza Italia parlavano il sindaco (del PdL) e un prete (pure ammanicato col PdL) all’orazione ufficiale. Abbiamo deciso di staccarci dalle ipocrite celebrazioni ufficiali e fare qualcosa di autenticamente antifascista, con un partigiano, un antifascista degli anni Sessanta-Settanta, esponenti delle comunità immigrata e omosessuale, No TAV, compagni di tutta l’area anticapitalista e di sinistra.
Il corteo è stato il più grande degli ultimi anni. Gran parte dei presenti e in particolare i giovani sono venuti alla nostra celebrazione in piazza Guicciardi, lasciando sindaco e prete con un palmo di naso.
 Io ho parlato a nome di Rifondazione Comunista. (M. V.)

Come prima cosa vorrei chiedere a chi sta reggendo il gonfalone dell’Associazione Nazionale Ex Deportati di venire avanti, in prima fila. La presenza del gonfalone in questa piazza è per noi un orgoglio come lo è stata quella del partigiano Respizzi, perché sono anche questi i nostri martiri che oggi vogliamo ricordare.
In Alice nel Paese delle Meraviglie il Cappellaio Matto festeggia 364 giorni all’anno il suo non-compleanno, ovvero una festa che non ha nulla a che vedere con la sua biografia. Mi dicono che in piazza Italia in questo momento ci sono dei cappellai matti che stanno parlando di cose che non c’entrano niente con la loro storia personale. Noi invece preferiamo festeggiare il nostro compleanno, e il 25 Aprile è senz’altro una festa di compleanno per tutti noi. 
Festeggiamo, sì, ma con mestizia. 
Se la Resistenza è stata un fenomeno europeo (e per certi versi anche mondiale), non si può certo dire che la crisi del capitalismo oggi in corso ci consegni un’Europa che realizza i valori del 25 Aprile.
Le gigantesche contraddizioni sociali che dilaniano il nostro continente creano le condizioni per il riemergere della minaccia del neofascismo e del razzismo.
Pensiamo a quel che è successo a Firenze, dove un fascista iscritto a Casapound ha ucciso due senegalesi e ne ha feriti altre due. Di questi, uno è riemerso da poco dal coma e resterà invalido tutta la vita perché ha la pelle nera.
Ma naturalmente il pensiero va alla strage di Oslo, dove un estremista di destra ha ucciso settanta giovani – anzi, fatemeli chiamare così, settanta compagni della Gioventù Laburista Norvegese, inseguendoli con un fucile uno per uno, dicendo poi che lo ha fatto per combattere il marxismo.
Anche in Francia, dove le ultime elezioni presidenziali mostrano un’avanzata della sinistra che considero molto importante e positiva, il Fronte Nazionale, un partito xenofobo e fascista, continua ad essere votato da quasi un francese su cinque.
Non sono però questi gli ostacoli principali che contraddicono i valori dell’antifascismo. Si tratta tutto sommato ancora di fenomeni pericolosissimi ma in qualche modo patologici.
 Quello che trovo più preoccupante è il funzionamento fisiologico dell’Europa in questa fase. L’indebitamento pubblico e privato attribuisce ai creditori e in particolare ai creditori degli Stati, ossia alle grandi istituzioni bancarie e assicurative, in breve al grande capitale finanziario, uno potere decisivo, che svuota il senso dei diritti democratici.
 Lo vediamo nel nostro stesso Paese, di fatto sottoposto ad una dittatura dei tecnici in cui il parlamento e gli altri organi della democrazia rappresentativa fanno solo da passacarte al volere delle Borse e dei “mercati”.
Come possiamo chiamare se non fascista una riforma del lavoro che dice che un lavoratore può essere licenziato anche in mancanza di una valida motivazione?
 Come possiamo chiamare se non fascista il comportamento di un governo che reprime i lavoratori in lotta per il loro posto di lavoro, come è avvenuto di recente anche nella nostra regione per esempio all’Alfa di Arese, alla Jabil di Cassina de’ Pecchi ecc.?
Come possiamo chiamare se non fascista l’occupazione militare della Val Susa che questo governo ha proseguito e intensificato? Il caso più estremo di questa politica lo vediamo in Grecia, dove il dominio della BCE si è espresso in particolare come una forma di colonialismo finanziario a guida tedesca. Non è un caso se molti greci paragonano le ingerenze tedesche in Grecia all’invasione nazista.
Siamo arrivati al punto che se le banche non trovano in Grecia un governo capace di portare avanti le misure di austerità con la dovuta decisione, rimpiazzano il governo; ne hanno cambiati già tre in pochissimo tempo.
E quando qualcuno ha proposto di fare un referendum sull’austerity, l’Europa ha impedito che si svolgesse il referendum.
Hanno messo nella Costituzione greca il diritto dei creditori del debito pubblico ad essere rimborsati come se gli interessi economici delle banche fossero un diritto umano basilare al pari della salute, del lavoro, della libertà. Tra non molto diranno come la battuta di Brecht: «Se il popolo non approva il governo, si cambi il popolo». E in effetti il popolo lo stanno cambiando, uccidendolo un po’ alla volta. In Grecia è in atto una vera guerra del grande capitale contro la massa della popolazione e tra i caduti di questa guerra vanno contati coloro che si tolgono la vita per la crisi economica. A questo proposito, lasciatemi leggere una lettera che il pensionato Dimitris Christoulas ha scritto prima di togliersi la vita in piazza Syntagma ad Atene il 4 aprile scorso:

«Il governo di occupazione di Tsolakoglou ha letteralmente annullato la mia capacità di sopravvivere con una pensione dignitosa, per la quale avevo già pagato (senza aiuti pubblici) per 35 anni. La mia età mi impedisce di dare una risposta decente individuale (senza ovviamente escludere la possibilità di essere la seconda persona a prendere le armi se qualcun altro dovesse decidere di farlo), non trovo altra soluzione che una fine dignitosa, prima di dover ricorrere alla spazzatura per sopperire alle mie esigenze alimentari. Un giorno, credo, i giovani senza futuro prenderanno le armi e appenderanno i traditori del Paese a piazza Syntagma, proprio come gli italiani hanno fatto con Mussolini nel 1945 (a Milano in Piazzale Loreto)».

Viviamo in tempi asperrimi.
 Chi vorrebbe che sul 25 Aprile si facessero dei bei dibattiti di carattere storico, seduti comodamente in salotto, si deve mettere l’anima in pace: questa è una giornata di lotta, come lo è stata il 25 Aprile 1945.
D’altronde, è proprio in tempi come questi che vale il motto Ora e sempre Resistenza.

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