di Pino Neri
Quanto segue è la trascrizione dell’ “arringa difensiva” (31 luglio 2012) in viva voce di Pino Neri, attualmente a giudizio per associazione a delinquere di stampo mafioso nel processo milanese alla ‘Ndrangheta. L’avvocato tributarista calabro-pavese traccia un suo personalissimo profilo biografico. Dimentica tuttavia i nove anni trascorsi agli arresti dopo una condanna per narcotraffico; dimentica di avere avuto quale socio in affari tale Salvatore Pizzata, imprenditore edile pavese condannato il 24 settembre 1997 a due anni e dieci mesi di galera per associazione mafiosa e successivamente (14 maggio 1998) per narotraffico. Il Neri minimizza la portata di quel summit ‘ndrangetista che vide riunirsi, per suo comando, un supergruppo criminale al Circolo “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, dopo che, il 14 luglio 2007 al bar “Reduci e combattenti” di San Vittore Olona, il “pentito” Antonino Belnome e Michel Panajia avevano ammazzato Carmelo Novella; quel summit, dopo il “commissariamento” da parte dei mammasantissima calabresi, segue la consegna de La Lombardia alla sua stessa reggenza. Allora era il 31 ottobre 2009; brindando alla ritrovata pax mafiosa, a Paderno si riproposero «i medesimi personaggi, i medesimi luoghi di ritrovo, la stessa simbologia, terminologia, doti, cariche» dell’analogo incontro tenuto a Novate Milanese il 30 maggio 1998, subito dopo il sequestro di Alessandra Sgarella, quando i rapimenti servivano a finanziare l’acquisto della coca dai narcos colombiani, pagandola cash. L’imputato per mafia Pino Neri difende poi l’attuale classe dirigente pavese, la stessa con cui aveva mercanteggiato candidati e voti alle ultime elezioni amministrative, già che «a Pavia la mafia non esiste», e dunque non esistono contaminazioni tra colui che sedeva ai vertici della ‘Ndrangheta lombarda e la pubblica amministrazione pavese.
Infine, lui che è innocente fino a prova contraria, dedica a noi un ghiotto siparietto. Nella stessa aula già lo fece tale Ettore Filippi. Stessa faccia, stessa… (G. G.)
Imputato Giuseppe Antonio Neri – Signor Presidente ho scelto il rito ordinario perché sin dall’inizio ho inteso affrontare questo Processo con l’intenzione di fare piena luce su tutto quello che è successo, su tutte quelle che sono le emergenze investigative.
Avrei voluto, dico la verità, sottopormi ad interrogatorio, però il tutto si è verificato in un momento particolare quando è arrivato il mio turno e Lei mi ha chiesto se intendessi sottopormi ad interrogatorio e ho detto no, perché era un particolare momento non stavo psicologicamente a posto, viste le mie patologie, anzi devo ringraziare che per tutto l’arco di questo Procedimento sono riuscito a resistere e spero di poterlo fare anche nel prosieguo perché mi voglio energicamente difendere.
Ora lo so che è irrituale, ma io sono disposto anche a rispondere ad eventuali domande della accusa e del Presidente. Comunque io, signor Presidente, mi scusi ma sono un po’ emozionato, sono accusato di un gravissimo reato, di essere al vertice di una organizzazione di stampo mafioso del tempo ‘ndrangheta in Lombardia, che secondo l’impostazione accusatoria avrebbe nel corso degli anni controllato il territorio della Lombardia per raggiungere le finalità tipiche previste dalla Norma incriminatrice. Ho rifiutato energicamente questa impostazione, io signor Presidente non sono un criminale, non sono un delinquente, non mi sono mai associato con alcuno al fine di perseguire fini illeciti e neanche di raggiungere scopi apparentemente leciti con il metodo mafioso. Non c’è un fatto che sia uno che mi venga imputato e di ciò ne sono fiero perché non poteva essere altrimenti. Sono stato indagato, sono stato controllato per anni e mai è emerso che io mi sia trovato con qualcuno per organizzare fatti di natura illecita, neanche con Panetta o con Mandalari, sarò forse reo di avere creduto, di avere portato avanti i miei principi, i miei valori secondo una tradizione antica, ma nulla secondo me, nulla di più. Mi si deve provare che io abbia intenzionalmente riunito qualcuno o organizzato qualcosa per perseguire le finalità che mi vengono impostate. Io non ho accettato, ripeto, quella impostazione accusatoria della Procura perché è una impostazione accusatoria che è infondata e meno male, dico meno male che io abbia scelto il rito ordinario, perché in quest’aula durante l’istruttoria dibattimentale, lunga, è emersa, dico la verità, questa operazione è venuta fuori in tutta la sua inconsistenza rispetto a come era stata presentata all’inizio e ancora si sostiene. Se questa è la ‘ndrangheta, l’organizzazione di stampo mafioso che si crede di avere scoperto la Procura della Repubblica, io credo che se realmente esiste, ed esiste, la ‘ndrangheta si sta strofinando le mani, perché in questo Processo ci sono posizioni che nulla hanno a che vedere con il crimine organizzato. Si è parlato a lungo e ci sono migliaia di intercettazioni telefoniche che evidenziano signor Presidente, è vero, rituali, cerimonie, doti, parole, un Processo che io definisco di chiacchiere, però le chiacchiere si pagano, perché altrimenti non si fanno e questo lo devo imparare anche io. Signor Presidente sono un po’… Però arriverò sicuramente al dunque, secondo l’impostazione della Accusa in Lombardia esisterebbe una ‘ndrangheta che con il passare del tempo si è data una organizzazione di tipo verticistico, dice la Procura, secondo il modello mafioso siciliano, l’operazione Crimine e Infinito sull’asse Milano Reggio Calabria ha in effetti evidenziato innumerevoli incontri, innumerevoli chiacchierate, parole mangiate, che evocano non altro che tradizioni che si perpetuano dai primi dell’Ottocento, basta ricordare le prime Sentenze che documentano la tradizione di Polsi, è una delle Sentenze del 1888 mi sembra, della Corte delle Calabrie e così nei primi del Novecento, nulla di nuovo è stato scoperto, se non una ritualità nel perpetuare tradizioni fondate sul rispetto reciproco, sulla solidarietà, che vedono al centro l’uomo in quanto tale e un aspetto di tipo sociologico e a volte anche folcloristico; ma, si dice dietro questo aspetto folcloristico si nasconde invece la criminalità organizzata di tipo calabrese che è di tipo autoctono rispetto alle altre siciliane, e che quindi attraverso questa ritualità che mantiene nel tempo manifesta quella coesione interna che altrimenti non avrebbe mantenuto. Signor Presidente ci sono vari livelli, ora non sto dunque ad elencare quante persone io nell’arco degli anni ho conosciuto e conosco, e non faccio qui nomi perché altrimenti potrebbero essere chiamati in questo Procedimento, che vivono questa sua tradizione senza nessuna intenzione, senza fare parte di nessun agglomerato sociale, di un agglomerato mafioso. Allora io dico signor Presidente che tutte queste cose sono emerse nell’ambito del Processo e ci sono delle Sentenze che fanno emergere anche nella motivazione tutto questo, nella indagine Crimine di Reggio Calabria non a caso 120 imputati su 120 nessuno era colpito da reati fine, ed allora se questa è l’associazione di stampo mafioso che si vuole colpire, e se questa è l’ndrangheta di tipo unitario tutto ciò che qui non è compreso non è ‘ndrangheta, non sono qui comprese, e nel nostro contro-esame spesso il mio Avvocato ha fatto domande di questo tipo: «Come mai non sono presenti determinate realtà sociali notoriamente conosciute come dedite al crimine organizzato?». È venuto fuori in questo Procedimento che altro non è quello di cui stiamo parlando che un retaggio culturale che purtroppo oggi a noi tutti ci costa caro. Io vorrei porre l’attenzione, e credo che questo Collegio coglierà questo aspetto, perché è importante che colga questo aspetto, questo non è e non deve essere, non può essere il Processo alla Mafia di stampo calabrese, ma deve essere il Processo agli uomini, alle persone, in base alle loro responsabilità individuali, in base a quello che hanno commesso. Io Presidente non ho commesso alcunché, io, Panetta, Mandalari, Lucà, cito le persone che ho conosciuto e con le quali mi sono rapportato, Coluccio, il mio amico Coluccio, Bertucca, qualche altro, non ho mai con loro, e non era nelle nostre intenzioni, né nelle nostre corde, e né nella nostra indole commettere alcunché di illecito neanche nella forma minima della minaccia, non abbiamo previsto neanche questo in questo nostro muoverci, in questo nostro vederci, io tra l’altro da venti anni che sono completamente, per le mie ragioni di salute, e per tutto il resto, è da venti anni che sono completamente… Io sono il singolo Pino Neri, non associato a nessuno, non faccio parte di una Locale di Pavia, che non c’è, abbiamo visto, e poi ritornerò su questo punto, io, ripeto, non ho mai, e poi mai, e rifiuto qualsiasi atteggiamento violento prevaricatorio, il mondo che ha descritto Belnome, quello è il suo mondo, non ha nulla a che vedere con il mio mondo e credo di potere interpretare il sentimento degli altri, con buona parte e quasi tutti gli imputati di questo procedimento. Avrei voluto in questo Processo tutti gli altri, credo, quelli che hanno scelto il rito abbreviato, sono scelte loro, perché avremmo avuto in questa sede a differenza di quel rito, che è un rito cosiddetto a prova contratta, qui avremmo avuto la possibilità di fare emergere tutto quello che grazie a Dio è emerso, tutto quell’intreccio politico, affaristico, mafioso, imprenditoriale che nella impostazione accusatoria è il punto di battaglia, dice: «Abbiamo finalmente scoperto – dice la Procura della Repubblica nella persona più rappresentativa, la dottoressa Boccassini – una ‘ndrangheta che si è data una struttura verticistica del tipo siciliano, una ‘ndrangheta che controlla il territorio, che controlla, cerca di infiltrarsi e si è infiltrata nel mondo politico, nel mondo imprenditoriale», se l’infiltrazione, Presidente, nel mondo politico è quello che è emerso in questa aula, cioè rapporti tra me, Chiriaco, tra me e Ciocca, occasionale tra l’altro, tra me e Del Prete e Filippi rappresentano quell’intreccio politico, affaristico, mafioso allora possiamo dire alla comunità lombarda e alla comunità pavese di stare tranquilli, che possono sicuramente stare tranquilli. Che poi, ripeto, il mondo descritto da Belnome sia un suo mondo, che Belnome sia un criminale è pacifico, lui ha scelto di collaborare, scelta apprezzabile, è stato definito pentito genuino, per l’amor di Dio, le scelte sono individuali e vanno rispettate, non mi sembra comunque, tra l’altro, così genuino, noi lo abbiamo sentito in quest’aula raccontare a memoria i rituali di ‘ndrangheta, parlare in modo preciso, parlare in modo confuso, direi, e impreciso, costellato di non ricordo, quando si trattava di riferire su circostanze ben precise. Beh, la mia difesa quel giorno pure si è un po’ arrabbiata, ha tentato di fare entrare in questo procedimento i memoriali di Belnome, i memoriali di Belnome associati e quindi ad un saggio del dottor Gratteri, “Fratelli di Sangue”, per provare che quello che Belnome quel giorno ha riferito in aula non è patrimonio conoscitivo solo suo, ma è patrimonio conoscitivo di tutti. E per provare che quello che Belnome ha detto in aula, per la verità poche regole sociali, ma dette a memoria, mi ricordo che l’Avvocato Della Valle quel giorno ha detto: «Ma sta leggendo?». E Lei Presidente ha fatto la domanda al Pentito, il quale rispose: «No, io non sto leggendo, ne posso dire quante ne vuole». È vero, lui non stava leggendo, perché lui conosce quelle regole. Ma noi avremmo voluto che entrasse anche il testo di Gratteri per dimostrare che lui quelle regole le ha imparate a memoria da quel testo, perché conosce solo quelle, quel testo porta i rituali sequestrati, mi sembra, a San Giorgio Morgeto nel ’63 nella Piana, e un altro nel ’90, e conosce quei rituali, si differenziano, è noto, e lo ha detto anche lui, però non c’era bisogno che lo dicesse lui, che a seconda della zona il suo memoriale è uguale anche nella virgola alcuni punti, ma tutto quello che è riportato nel libro… Questo per dire cosa? Non ce ne importa niente, ma per dire che lui ha buona memoria e se ha buona memoria per recitare i rituali di ndrangheta, dovrebbe avere buona memoria su fatti che lui dice di avere partecipato. Comunque non sto qui a soffermarmi, sono affari suoi, ci sono Processi, ma voglio sottolineare che laddove si è trattato di citare le responsabilità degli altri sulla morte di Cristello tre corti territoriali hanno annullato quei provvedimenti ed anche le Cassazioni, poi guarda caso fa trovare il cadavere di uno, di Tedesco e lì dice di non averlo fatto lui, che glielo hanno commesso altri per fare il suo… Per fargli il favore. Non dice nulla sui fatti che riguardano Cristello e pare che lui con Cristello, almeno quello che ha detto, era molto legato, lui nulla riferisce su quello che Cristello portava avanti in quella zona, come affari della Valedil, la società che porta il nome della figlia di Lo Mastro, Valentina e Letizia, e di Cristello e l’operazione del parco del Guigno Torto, dove ci sono stati dei fallimenti, uno dei quali di 58 milioni di euro, l’avvengo di Song, questo per dire che il pentito cosiddetto genuino, e da cui è scaturita l’operazione Bagliore, leggendo gli atti dovrebbe essere definita quella operazione Tenebre, perché non porta luce su un fatto e le attenzioni del Capitano Latino si erano appuntate proprio su queste operazioni, ma è arrivato il pentito, ha nominato tre soggetti, ecco, comunque quel mondo, il mondo di Belnome è un mondo che io condanno senza appello. Non so come mai, ma queste sono scelte della Procura, quel gruppo sia stato portato in questo Procedimento, non vedo quale collegamento ci possa essere tra me e lui, lui per la verità dice di non conoscermi, lo ha detto: «Non l’ho mai conosciuto, però me ne ha parlato Ruga, me ne ha parlato Ruga, mi disse che la moglie è giù di lì, è di un paese vicino, mi disse quello di Guardavalle Gallace, che è un buono cristiano», io non ho conosciuto né Gallace [Vincenzo Gallace, il mandante dell’omicidio del compaesano Novella] e né Ruga. E Ruga io non l’ho mai conosciuto anche se lui è di Monasterace, mia moglie è di Monasterace, lui dice che Ruga gli ha detto: «Neri non viene mai a Monasterace, non è mai venuto a trovarmi». Io a Monasterace ci vado, ci andavo sistematicamente dal 1997 in avanti, a casa della mia famiglia, perché devo dire che quella è attualmente la mia famiglia, non avendo più quella di origine, perché mio padre è morto quando io avevo 2 anni, 2 anni e 3 mesi, e quella famiglia rappresenta la mia famiglia, in quella famiglia sono stato accolto come uno di loro, quella famiglia mi ha onorato, e io ho onorato quella famiglia. La mia famiglia non è una famiglia di indole di antico lignaggio di ‘ndrangheta come si disse da qualche parte, dico questo, perché in questo Procedimento l’accusa ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, quello di fare indagini sull’albero genealogico degli imputati, su di me non è emerso nulla, nessuna indagine è stata fatta. Io ritengo che nel Processo Penale non sia applicabile la proprietà transitiva secondo cui io sono parente di caio, sono un criminale e caio è così un criminale o etc. etc., no, ritengo che ognuno debba rispondere delle proprie azioni, e di quanto personalmente ognuno di noi compie e commette. La mia famiglia, comunque, è bene, lo dico io, non è di indole di ‘ndrangheta, ma la mia famiglia sono tutti Magistrati, devo dire la verità, non faccio nomi, alcuni dei quali primi cugini, figli di fratelli sul fronte antimafia in Calabria, mio cugino l’altro ragazzo, il compianto ufficiale di Marina Natale De Grazia ha sposato Anna, figlia di Anna Neri sorella di mio padre, e così via, altri sostituti sono parenti più lontani, alcuni della giudicante primi cugini e così via. Con questo non voglio trarne merito, né posso trarne nessuna… Però per chiarire qual è la mia indole. Io ho vissuto una infanzia in una famiglia modesta di lavoratori, mio padre è di Reggio Calabria, ecco, le parentele sono queste, tramite mio padre, ha sposato in seconde nozze mia madre, sono cresciuto in un ambiente contadino, Giffone, anche se nato a Taurianova, perché solo lì c’era l’ospedale a quei tempi, ma io sono di Giffone, lì ho svolto la mia attività politica, poi mi sono trasferito a Pavia dove mi sono rimboccato le maniche, perché dovevo tra l’altro anche lavorare, nell’Ottanta ho fatto un periodo di trimestrale, poi ho fatto il concorso nella amministrazione finanziaria, nel 1983 sono stato chiamato di ruolo, ero giù in Calabria perché rivestivo allora la carica di Assessore, me ne sono venuto a Pavia, ho fatto un annetto, poi ho dovuto interrompere per il militare dall’84 all’85, ma dall’85 sono in pianta stabile a Pavia. Io voglio dedicare a Pavia un capitolo, perché io in quella città si può dire sono rinato per una serie di ragioni, in quella città mi sono trasferito motivi di studio, mi sono inserito, devo ringraziare quella città che mi ha dato l’opportunità di inserirmi. Mi sono prima fatto apprezzare all’interno della amministrazione finanziaria, poi piano, piano i miei studi li ho completati con calma, perché lavoravo, non è una giustificazione, ma era così, è stato così, mi sono specializzato nel diritto tributario e ho sempre lavorato, mi sono rapportato con gli altri sempre con umiltà, onestà, correttezza, umiltà ed onestà, ora mi viene in mente la domanda del mio Avvocato a Belnome: «Onestà e umiltà», le risposte di Belnome, il mio è veramente un approccio, è sempre stato così, con onestà ed umiltà nei confronti di tutti, ecco perché sono stato sempre apprezzato e rispettato in ogni ambiente, rispettato, non temuto. Io sono stato e sono rispettato, e di questo ne vado orgoglioso.
Io in quella città ho rispettato le tradizioni e le istituzioni, ho rispettato le persone, nessuno che possa dire che nell’ambito della mia professione o dei rapporti privati io abbia mai usato prevaricazione, arroganza, violenza, io sarei il capo di quella struttura criminale che controlla Pavia? Ma quale era la mia fama a Pavia? Che cosa io facevo a Pavia? Come ero conosciuto a Pavia? Se mi fossi presentato, così come ho detto l’altra volta, da qualche parte con arroganza avrebbero fatto due cose, preso a calci e chiamato i Carabinieri, Pino Neri chi era e chi è? Ancora oggi sono una persona apprezzata, molti si meravigliano e a loro devo una risposta anche, dico di stare tranquilli che forse sarò reo di avere creduto, a mio modo, nelle tradizioni, ma respingo energicamente qualsiasi accusa di associazione di stampo mafioso, io non sono un mafioso. In quella città non è certo Pino Neri, che è presente da trent’anni, che si è trovato nell’arco degli anni presente in affari della pubblica amministrazioni, o di appalti, non è certo Pino Neri, non sono io, né l’associazione mafiosa. In Pavia, così come non vi è chi non veda, che gli affari li fa soltanto e sempre l’élite e il gruppo… Non sono io che devo dire qui, comunque non c’è Pino Neri, se ci fosse la ‘ndrangheta e quella ‘ndrangheta fosse così tremenda e criminale così come la si descrive sicuramente non avrebbero fatto il bello e il cattivo tempo gli altri, sicuramente non sarebbero stati… In Pavia, chi è stato in Pavia, credo forse anche Lei Presidente, il Pubblico Ministero senza altro, in quegli anni ha occupato la stampa il famoso fallimento Gipponi, che comprendeva i migliori palazzi storici di Pavia, quegli affari sicuramente non li ha fatti la’ndrangheta, la mafia, la criminalità organizzata di altra natura, in quegli affari non c’era presente Pino Neri, non c’era presente gli altri, c’erano presenti i soliti noti che hanno fatto fallire poi con il tempo, con il passare del tempo, dopo essersi accaparrati i migliori immobili hanno fatto fallire Gipponi dopo che nessuna azione revocatoria di sorta potesse essere… Ma questo è notorio in Pavia. Io voglio difendermi perché in questa impostazione accusatoria, che io definisco ancora oggi fatta all’ingrosso, io e Chiriaco, e Bertucca, povero Cristo, saremmo quelli che hanno determinato le sorti affaristico criminali, mafiose della città, ma quali fatti? Uno che sia uno che possa essere imputato per metodi e sistemi alla presenza di una associazione mafiosa, uno, veramente non vengono imputati neanche uno. Se quel controllo delle attività economiche si risolverebbe nell’interessamento mio per la vendita di un terreno a Lungavilla, che era sì un ottimo affare di 230.000 euro, 11.000 metri quadrati, sottoscritti sul quale c’era l’opzioni dell’imprenditore Dieni che aveva dato 30.000 euro e non riusciva più a venderlo, e io l’ho proposto a tutti, l’ho proposto a Giorgio De Masi, ed è bene che, perché le intercettazioni evidenziano questo, l’ho proposto a Barranca, il quale a sua volta lo proponeva… Nessuno è riuscito a comprare quel terreno che sarebbe stato in altri momenti sicuramente un ottimo affare, ma il momento particolare del 2009, scarsa liquidità, nessuno, Bertucca persino mi ha detto di no, se significa controllare gli affari avere tentato di vendere il palazzo di Piazza Vittoria affianco al mio studio, e ci sono gli atti, gli operanti hanno anche depositato la scrittura privata che io gli ho consegnato personalmente il giorno dell’arresto, dove si diceva che era scaduto il termine, io avevo 6 mesi di tempo, se controllare gli affari e reinvestire capitali illeciti significa essere interessato ad un acquisto di un terreno di 11.000 metri all’asta, base d’asta 5.000 euro. Asta, e qui voglio fare… Non ho partecipato io a quell’asta, non ho partecipato perché io il grande boss interessandomi, recandomi sul luogo in collina per vedere quale fosse la condizione, di chi fosse quel bene, mi era stato detto che probabilmente un parente del fallito aveva intenzione di riacquistarlo e iniziare di nuovo una attività, io non mi sono neanche presentato, io non voglio approfittare dello stato di bisogno altrui per cercare un facile arricchimento, o per raggiungere facili guadagni, non l’ho fatto, questo è anche Pino Neri. Pino Neri è tante altre cose, perché Pino Neri in tutti questi anni controllato non si è visto solo con Barranca, con Lucà, con Coluccio e così via, Pino Neri si è visto con tutti, io sono stato fotografato quel giorno con Ciocca, ma potevo essere fotografato davanti al Tribunale con qualche mio amico che indossa la toga, ma non è questo, perché non significa nulla, io ho vissuto quella città e l’ho vissuta serenamente con affianco una persona a cui devo tutto nella mia vita, perché è lei che mi ha tirato su, che mi ha preso come un fiore appassito e mi ha fatto risorgere piano, piano in un momento particolare della mia vita, a lei devo tutto e se sono qui con questa carica, con questo brio, con questa energia, pronto ad affrontare tutto Presidente, a viso aperto, io voglio uscire da questo processo con l’onore delle armi perché è giusto che sia così, non nascondere nulla, io quello che ho fatto, dico se sono qui lo devo a lei, perché a casa mia si respira amore e non si respira ndrangheta, a casa mia si respira solidarietà, ma solidarietà quella vera, principi che sono, ripeto, quelli che io ho vissuto e che vivo e che sono pronto a rivivere ancora. Ora signor Presidente se riunirsi, trovarsi, parlare, ma non operare con il metodo mafioso, non commettere quei reati, non porre in essere quegli atteggiamenti che sono descritti dal comma terzo, l’esercitare quella carica intimidatoria autonoma che provoca all’esterno quell’alone di intimidazione diffusa che poi produce assoggettamento ed omertà dove sta l’associazione di stampo mafioso? Io su questo punto voglio porre l’attenzione e credo che questo sia il tema decidendum di questo Processo. Io, ripeto, se riferirsi ai principi, ai riti di Osso, Mastrosso e Carcagnosso significa perciò solo essere mafioso allora sarebbe auspicale de iure condendo che si inserisse una norma un quater, oppure un comma che dicesse che tutto ciò che si riferisce ad osso, mastrosso e carcagnosso perciò solo è associazione di stampo mafioso indipendentemente da ciò che dice il comma terzo. Io questo voglio sottolineare ed energicamente lo sottolineo signor Presidente. Io non conosco nessuno, ripeto non conoscevo nessuno, Paderno Dugnano non va visto, è qui il punto, come il punto di arrivo, se ci fosse stata quella unitarietà sbandierata e difesa a spada tratta dalla Procura sicuramente Paderno Dugnano non ci sarebbe stato, o così come Paderno Dugnano, che si è trattata di una cena, non segreta, ma riservata, su questo voglio mettere il punto, perché all’interno Baldassarre entrava ed usciva, ci serviva ed è venuto qui in aula a dire questo.
L’unitarietà viene sostenuta, e il Pubblico Ministero nell’arringa davanti all’abbreviato ha detto che l’unitarietà della ‘ndrangheta dovrà passare attraverso il vaglio dibattimentale, e diceva bene, della serie citando Battisti, cito le parole, lo scopriremo solo vivendo. Io credo che in quest’aula molti sono i fatti, perché si tratta di processo principalmente, anzi esclusivamente fatto di intercettazioni telefoniche ed ambientali, migliaia di intercettazioni il cui tema era sempre uguale, Compare, Padrino, ci vediamo, qua e là, nulla di illecito. E la cosa mi conforta perché, ripeto, non è mai stata nelle mie corde, nelle mie intenzioni, né in quelle di Panetta, che io Panetta è quello che ho conosciuto tanti anni per primo, uno dei primi, tanti anni fa a Grotteria Mare, non è vero che io gli ho aperto come dice lui in una intercettazione, ho aperto il locale nell’80, nell’80 ero un fanciullino, se poi si vuole credere a quello che… Nell’80 ero in altri lidi, ero impegnato in altre cose, e vivevo la mia gioventù come tutti i giovani, ero pieno di salute, non più adesso, ma allora sì. Non è vero questo, dico io e Panetta mai e poi mai abbiamo avuto queste… Stavo dicendo un’altra cosa e adesso mi è sfuggito, ma ci ritornerò. Dunque, ogni tanto divagando… Va bene, per Pavia, ecco, ritorniamo ancora a Pavia, perché ci sono tante altre cose da dire, io ripeto a Pavia glielo devo, glielo devo alle Istituzioni, glielo devo alle persone che mi conoscono, alle quali dico di stare tranquillo che Pino Neri non è quello, e che in Pavia possono stare tranquilli non vi è la presenza, grazie a Dio, e speriamo che mai si radichi la presenza di criminali che turbano il quieto vivere e il vivere civile della comunità pavese. C’è ancora qualcuno che a distanza di due anni ancora batte, definendo in un libriciattolo, perché poi ognuno fa dei libri, copia e incolla, dovrebbero dare i diritti di autore alla Procura, ancora batte attaccando il Sindaco, gli Assessori, e tutti coloro che hanno avuto l’occasione, l’opportunità di conoscermi o di frequentarmi, la mia generazione in quella città, oggi credo di poterlo dire, rappresenta la classe dirigente, perché allora eravamo studenti, ognuno nelle proprie specialità è cresciuto, si è inserito nell’ambiente, si è inserito nella società, nelle professioni e io conosco tutti. Ora attaccare il Sindaco per essere venuto a casa mia ed avere mangiato la caciotta, paventando chissà quali intrallazzi, ma che ne indicasse uno, altrimenti che tacesse. Questo signore ha definito Pavia, e questo mi dispiace, da capitale dei longobardi a capitale settentrionale della ‘ndrangheta, solo io forse l’ho querelato un sacco di volte, speriamo che prima o poi ci sia un Giudice a Berlino e che non sia, come lui stesso la definisco, un artificio quella Procura dove l’ho presentato, perché questo non ha rispetto per nessuno, non faccio il nome, però l’ho voluto sottolineare perché, ripeto, né io e né Chiriaco, che guardasse altrove, dove sono gli affari, e sono orgoglioso e contento che in questa sede non sia emerso un fatto e credo che se le cose fossero realmente accadute tutto ciò sarebbe venuto fuori, perché le indagini sono proseguite e ancora proseguono ed è giusto che sia così e i soldi lasciano la traccia, non vi è traccia dove ci sono affari della mia presenza o della presenza mafiosa, perché altrimenti due sono le cose, o non si fa il proprio dovere, se ci fossero, oppure veramente non ci sono, è inutile. E io di questo sono…
Io non sono inserito, ripeto, in nessuna locale di ‘ndrangheta, né come quella in nessuna associazione, neanche del tipo da me ventilata, lecito, tradizionale, rispettosa dei principi, per molti sottovalori, sub valori, ma per me valori, neanche in quella. Pavia è stata non compresa tra le 15 Locali che il ROS dei Carabinieri di Monza ha presentato in quest’aula, mi ricordo la slide fatta vedere dal Capitano Latino mi sembra, o dal Colonnello, c’erano 15 Locali e non quella di Pavia. L’operazione “Ticinum” condotta dal Colonnello Sandulli incaricato a verificare l’esistenza in zona di associazione di tipo ndrangheta ha risposto in quest’aula alle domande della Difesa Chiriaco e del mio Difensore assolutamente no, anche se stava per dire anche se poi so che la DIA… Va beh, la DIA è venuta in quest’aula, abbiamo avuto per una settimana gli operanti della DIA di Milano, gli ispettori Vangi, Orsicolo, Carbone, Santurbano, tutti hanno evidenziato, chiarito, che il loro compito era quello di controllare i miei incontri in base a quello che le intercettazioni telefoniche evidenziavano, dovevano verificare se io mi incontrassi con tizio, con caio e sempronio, hanno detto che non esiste, che non hanno loro fatto indagini su associazioni di stampo mafioso. Allora sfatiamo una volta per tutte: la Locale di Pavia non esiste, io non sono il rappresentante della Locale di Pavia, Bertucca non è rappresentante della Locale di Pavia che è inesistente, se ho delle responsabilità sono mie, sole, e esclusivamente mie di Pino Neri in quanto tale, Pino Neri che da venti anni è lì che lotta per la vita con successo, devo dire, Pino Neri che personalmente è comparso nel 2009, e che deve rispondere di un episodio, e che per questo ho voluto chiarire che cosa rappresenta quell’episodio e che cosa è quell’episodio, senza nascondere nulla, questo è quanto. Signor Presidente io, ripeto, da venti anni che lotto per le mie pluripatologie, in alcuni momenti aggravate, mi è dispiaciuto che io sia stato allontanato dalle istituzioni sanitarie pavesi per un periodo e non tanto, sì, anche soprattutto per la mia salute, perché il fatto di essere curato in centri diversi, che molti centri mettano mano sulla fistola arteria venosa che io ho e che è molto delicata e che è l’unico acceso che mi dà la vita e che quindi è negativo per me, di fatti ho avuto una ricaduta, non solo per questo, ma anche per questo, quando nell’ottobre ho dovuto sottopormi, mi sono dovuto sottoporre ad un intervento di microchirurgia vascolare e quindi poi si è accavallato un infarto, quindi mi è dispiaciuto perché quelle strutture sembrava che fossero chissà quale centro di malaffare e di intrallazzi tra me e quelle strutture, allontanarmi da quelle strutture, volutamente, è stato voluto dalla dottoressa Boccassini in persona, mi ricordo, ha detto che in quella struttura finchè ci sarò io… Devo ringraziare il Tribunale che ha compreso, ma a me è dispiaciuto perché quelle strutture sono strutture di eccellenza che non hanno nulla a che vedere con il malaffare, che curano tutti, non solo Pino Neri, ma curano tutti con scienza e coscienza e il fatto di essere sottoposto a piantonamento anche in sala operatoria, ma non per il disturbo che potevano dare a me, ma che potevano dare a quelle strutture la cosa mi è pesata molto, dico la verità, solo questo gettare ombre a strutture di eccellenza francamente l’ho ritenuto forte e ingiusto. Voglio ricordare la giustizia deve essere sì forte, ma deve essere giusta, perché se è solo forte è tirannia, ma se è giusta è anche forte, quello che mi è accaduto, e non sto qui a dire le altre cose, in quei 7 mesi di detenzione, tutte concentrate a farmi stare in galera, nonostante ci fossero delle necessità che io uscissi, perché se potevo stare me la facevo la galera, e dico che è stato solo forte, ma non giusta, anzi lo definisco fortemente ingiusto. Ora a quelle strutture, ripeto, di Pavia, io devo dire solo grazie, perché lì sono rinato, lì ho avuto il primo trapianto venti anni fa, ne dovrò subire un altro, e ci riuscirò perché ho la pellaccia dura e Dio mi aiuterà a resistere e a lottare perché voglio vedere la fine di questo iter, di questo calvario che ha colpito centinaia di persone, molte delle quali ingiustamente, non sono io che devo fare il paladino della giustizia degli altri, ma ne conosco tanti, ho avuto modo di conoscerli in carcere anche ed emergono degli spaccati sociali, signor Presidente, che nulla hanno a che vedere con gli affari, con i soldi, con il capitale rinvestito, se questa fosse l’ndrangheta unitaria, allora non è ndrangheta quella che qui non è, ci dimentichiamo i processi degli anni novanta, tutte quelle indagini laddove c’era succo, come si dice in termini volgari, laddove c’era materiale per dire qui siamo di fronte ad un qualcosa di allarmante, ora non dico che questa sia confortante, quello che è emerso da questa indagine, ma non è allarmante come lo è stato negli anni passati, allora dovremmo definire, se la dottoressa Boccassini, il dottor Pignatone e il dottor Prestipino unica corrente, unica rispetto alle altre, che la ‘ndrangheta sia unitaria e che allora tutto quello che qui non è, non è ‘ndrangheta.
Credo di avere toccato un po’ tutti i punti, mi scuso per avere messo enfasi, ma avevo tante cose dentro, e ho tante cose che poi non riesco a scrivere, in altri momenti ho rifatto degli interi capitoli, ma riguarda me e non sono riuscito a mettere giù neanche una riga, mi sono affidato un po’ alla memoria. Io chiedo, signor Presidente, ne sono convinto che questo sarà il Processo alle persone, che questo sarà il Processo agli individui in base alle loro responsabilità, io ho rifiutato e rifiuto di essere il capo di questa organizzazione, io non ho nulla a che fare con i vari reatuccoli messi lì, si parte all’incontrario dai reati fine per addossarli tutti nell’ambito associativo, che sono reati, e se le persone li hanno commessi questi reati non hanno nulla a che vedere, ed è emerso, con il contesto associativo, ma sono stati complessi prodomo mea, come dire, utisingulis, nell’interesse proprio e non degli altri. Io che cosa ho a che vedere, mi dimenticato, con l’indagine “Tenacia?”, con l’indagine che è l’altro aspetto interessante portato avanti e sottolineato nelle conferenze stampa come l’esempio classico della infiltrazione mafiosa nelle imprese, impresa mafiosa. Il povero Pavone e il povero Perego, Perego soprattutto altro non è che una vittima della crisi finanziaria, vittima di se stesso, di malagestione amministrativa, ma vedere quel ragazzo lì francamente accusato in quest’aula di associazione di stampo mafioso come se lui fosse il titolare che ha prestato o che ha dato la sua azienda nelle mani alla ‘ndrangheta francamente è assurdo ed è assurdo, io lo riprendo questo processo, perché io, ripeto, sono visto come l’apice di questa associazione che comprende anche questi affari e che comprende anche questo aspetto della impostazione accusatoria. Io non ho nulla a che vedere con Perego, non ho nulla a che vedere con Strangio, non ho nulla a che vedere con gli altri, che sono tra l’altro dei fornitori di opera di quella ditta da tanti anni e che altro non hanno fatto che prestare la loro opera a loro modo, quando hanno visto che non c’erano soldi se ne sono tutti andati via, quando pensavano di potere inzuppare si sono avvicinati, ma per lavorare, nessun ingresso di capitali questa ditta si è visto, altrimenti non sarebbe fallita. Nessuna protezione gli sarebbe stata data, nessun incremento negli affari, ed è venuto chiaro e lampante che i cantieri che aveva aperti, circa 60, 64 man mano sono stati chiusi, nessuna commessa ha più avuto, nessuna, ripeto, protezione, perché incendi ed atti intimidatori ne aveva prima e ne ha avuti anche dopo, nessun creditore è stato allontanato con il metodo mafioso, tanto è vero che da lì a pochi mesi le imprese, le ditte del gruppo PEREGO sono tutte fallite, ecco. Ora tutta questa indagine, qui ci sarebbe… Secondo me io e un’altra ventina, trentina di persone, giudicati a parte, tutto il resto niente, si è fatto questo calderone, ecco perché la chiamo indagine all’ingrosso, non me ne vogliano, lo dico, lo confermo, all’ingrosso perché nel dettaglio poi nulla di tutto questo è emerso, non è emersa nessuna di quelle impostazioni accusatorie iniziali, se non una miriade di fatti reato riconducibili alle persone, ma non al contesto della presunta associazione malavitosa. Presidente io la ringrazio, chiudo e mi scuso se ho divagato.
Rispondi