Come si diventa affaristi

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Pavia e le regole violate
di Giovanni Giovannetti

La democrazia non è scontata per sempre. L’abitudine o l’attitudine istituzionale a violare le norme non può che incrinare il tessuto democratico, fino a dargli progressivamente scacco. E lo si vede a Pavia, città ormai soffocata da affarismo, dalle rendite parassitarie e da quella illegalità istituzionale volta alla privatizzazione dei beni comuni. E piovono minacce a chi dalla società civile fronteggia tutto questo. Per arginare una tale deriva, magistratura e forze dell’ordine devono fare la loro parte ma anche i cittadini, chiamati a un fronte comune, quasi un governo-ombra di salute pubblica capace di separare ciò che è lecito da ciò che non lo è, favorendo altresì l’ascesa di una nuova classe dirigente, più attenta ai beni collettivi.

Scrive Luciano Gallino: «La distruzione d’una comunità politica, la fine della democrazia, è sempre possibile; non ci si può minimamente illudere – come troppe volte ritualmente si afferma – che a sbarrare la strada a tale possibilità siano le condizioni storiche affatto differenti, il livello più alto di sviluppo economico, le istituzioni forgiate in Europa dopo il 1945 a difesa della democrazia, una supposta maggior maturità democratica dei cittadini. Oggi come allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi, ma stanno anche dentro di noi, nel perenne conflitto, ch’è a un tempo sociale e psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà; tra l’impulso di ridurre l’angoscia del futuro e del dover scegliere, e la volontà di non sottostare a nessun capo che decida in nostra vece quel che va bene per noi».
Costituzione, regole democratiche e noi. In Come si diventa Nazisti, lo studioso americano William Sheridan Allen analizza minutamente la vita quotidiana in una tranquilla cittadina tedesca chiamata Thalburg (nella realtà Nordheim, presso Hannover in Bassa Sassonia), dall’autore elevata a paradigma politico-morale della Germania colpita dalla depressione economica mondiale che, tra il 1929 e il 1933-34, favorisce la transizione dalla Repubblica socialdemocratica di Weimar al nazifascismo.
A Thalburg (e nel resto del Paese) la crisi economica provoca l’aumento della disoccupazione tra gli operai, angoscia, senso di insicurezza, inedite forme di recrudescenza antisemita, diffuso discredito della classe politica, la convinzione che il nazismo rappresenti il futuro e quel laissez-faire popolare alla progressiva irrisione delle norme civili – a partire dalle più elementari – che, contaminando il senso comune, inavvertitamente fa da brodo di coltura per ogni successivo violento arbitrio, come è avvenuto, solo sessant’anni fa, con lo sterminio di ebrei, zingari, omosessuali, testimoni di Geova, portatori di handicap psichici, oppositori politici. Un riscontro della allucinante “normalità” auto-assolvente esibita da chi aveva assistito in silenzio all’olocausto lo si trova in alcune interviste del film Shoah (1985) – la monumentale opera di Claude Lanzmann – agli abitanti di Oswiecim (Auschwitz) o di Chełmno presso Lódź in Polonia: la signora Michelsohn torna al 1941 e ricorda i camion “a gas”: «Facevano la spola, ma non sono andata a vederli all’interno… con gli ebrei dentro». Un gruppo di donne: «Tutte le case là davanti erano abitate da ebrei […] radunavano gli ebrei là dove adesso c’è il ristorante, oppure su quella piazza, e prendevano il loro oro». Una coppia: «…e prendevano dei bambini piccoli come quelli che si vedono laggiù. Li prendevano per le gambe e li gettavano sui camion». I polacchi sapevano che a Chełmno gli ebrei sarebbero stati gassati. Il signore lo sapeva?, domanda Lanzmann: «Sì».
Si sono voltati dall’altra parte. A una tale inumana deriva può portare la progressiva deroga alle regole della civile convivenza. Senza dimenticare che in alcuni Paesi europei le incivili pratiche eugenetiche di sterilizzazione coatta proseguono ben oltre il nazismo e la «legge sulla sterilizzazione» e sulla «salute coniugale».
A Pavia nel 2007 (e non a Thalburg nel 1934) un sindaco donna e di sinistra (e non della Lega Nord), di professione dirigente scolastico e membro della Commissione etica del Partito democratico (e non del Ku Klux Klan) ha impedito l’accesso alla scuola a decine di bambini Rom precariamente dimorati nell’ex Snia perché sarebbe stato «un incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio» (da una Relazione del Comitato Fuoriluogo, 28 febbraio 2007), disdegnando così la Costituzione, i diritti universali dei minori e il buon senso. E ancora, parlando di sé in terza persona: «Fosse per il sindaco di Pavia i Rom li avrebbe messi sopra un treno e mandati via». Anche per questo sindaco un popolo di troppo si stava aggirando per l’Europa. Anche a sinistra c’è stato chi sconsideratamente ha alluso a «deportazioni» finali per gli “scarti umani”.
All’ex Snia si volevano favorire i privatissimi interessi di un immobiliarista d’area, e hanno usato le persone. Uno scopo odioso, così come la strumentalizzazione della paura del diverso, fiancheggiata da mesi di irresponsabile tambureggiamento mediatico: la via intrapresa per far digerire all’opinione pubblica l’illecita distruzione di una fabbrica monumentale.
Dopo il cambio di latitudine politica, a Pavia la musica non è cambiata: nel settembre 2009 il nuovo sindaco di centrodestra – da poco eletto con il contributo di Pino Neri, il capo della ‘Ndrangheta lombarda – sgombera “al buio” 17 Rom rumeni dall’area Necchi. “Al buio” significa senza prevedere alcuna successiva sistemazione d’emergenza: undici adulti e sei bambini hanno così dovuto bivaccare sotto un ponte. Motivo: «S’impone il ripristino della legalità». I minori fino al giorno prima ogni mattina andavano a scuola. Il padre poteva esibire un regolare contratto di lavoro, al quale ha dovuto rinunciare per stare vicino alla sua famiglia in mezzo a una strada. Lui – che pure sarebbe stato in grado di pagare un affitto – dai locatori pavesi si era sentito rispondere: «Albanesi e marocchini sì, rumeni no»; e somiglia tanto a quel sinistro «vietato l’ingresso ai cani e agli italiani» o all’analogo «non si affitta ai meridionali» di cui si parla nei libri di storia, quando i rumeni eravamo noi.
Sempre in tema di «legalità», l’11 maggio 2010 il Tribunale di Pavia ha accolto il ricorso di Radu Romeo, cittadino rumeno accusato dal sindaco di non essere «immune da precedenti penali e di polizia», di condurre «un tenore di vita non idoneo alla sua situazione» e di non essere «integrato nella società italiana»; dunque, recita un’informativa comunale, «si sospetta che il suddetto possa trarre il proprio sostentamento da attività illecite». Nelle motivazioni del Giudice di pace si legge l’esatto contrario: che Romeo è un «lavoratore autonomo integrato nel tessuto socio economico del Paese, dispone per se stesso e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti per la conduzione di un’esistenza dignitosa, non è un onere a carico dell’assistenza sociale […] e non rappresenta un pericolo per la società». Sono motivi sufficienti per annullare il provvedimento prefettizio, emesso il 12 novembre 2009, dodici giorni prima che Radu – in forza di quella cartastraccia – venisse cacciato per ordine comunale da un centro di accoglienza insieme a moglie e figli.
Non era la prima volta. Il quotidiano “La Provincia Pavese” di venerdì 11 settembre 2009, in prima pagina aveva dato risalto alla notizia di casi di pedofilia tra i minori di etnia Rom ospiti della struttura comunale di via San Carlo. Testualmente, il sindaco ha riferito di «informative dalle quali risultano casi di prostituzione minorile e altri episodi illeciti» esercitati all’interno della struttura comunale.
Si riveleranno tutte bugie, costruite ad arte dal sindaco menzognero per legittimare lo sgombero, il 24 novembre 2009, di otto famiglie, al solito “al buio”: uomini donne e undici bambini (c’erano anziani, una donna al sesto mese di gravidanza, un neonato; tra loro anche la famiglia di Radu Romeo) cacciati dai due centri comunali di San Carlo e Fossarmato; e tra loro anche persone mai raggiunte dall’ordinanza prefettizia, eppure allontanate: «Motivi di ordine pubblico» (ordine mai formalizzato dal sindaco) e in «accordo con la prefettura» (falso: il numero delle famiglie sgomberate fu circa il doppio di quello dei decreti di allontanamento prefettizi).
Buttati in mezzo a una strada nel gelido inverno con la conseguente, e se possibile ancor più terribile, interruzione del percorso scolastico dei figli minori.
Non deve dunque stupire se il nuovo Regolamento di Polizia urbana, voluto dalla Giunta di centrodestra, prevede il reato di accattonaggio, in contrasto con le leggi dello Stato e la Costituzione. Il paragrafo intitolato Comportamenti contrari alla decenza ed al decoro urbano ammannisce multe fino a 400 euro a carico di chi raccoglie «questue, causando disturbo ai passanti anche con la semplice presenza sui marciapiedi» (articolo 17, comma H). Intimidazioni fuorilegge confermate poco oltre, all’art. 52: «È assolutamente vietata sull’intera area pubblica del territorio comunale, anche in cambio di attività quali lavaggio vetri dei veicoli od uso di strumenti musicali, l’attività di chiedere elemosine». Ovvero il Regolamento pavese persegue la mendicità in generale, quando l’ordinamento vigente non vieta affatto la semplice richiesta di aiuto (Corte Costituzionale, 28 dicembre 1995, n. 519) e persegue solo chi minaccia l’incolumità delle persone e la sicurezza urbana.
Emergenza accattonaggio a Pavia o in Italia? Una fesseria. Non a caso, persino l’ex ministro lumbàrd Maroni, nel suo “Pacchetto sicurezza”, distingue tra la mendicità in quanto tale (lecita) e quella vessatoria o violenta, oppure favorita dallo sfruttamento di minori (da perseguire). Il “Pacchetto” circoscrive l’intervento dei sindaci alla repressione dell’accattonaggio con l’impiego di minori e disabili (già previsto dall’art. 671 del Codice penale) e ai «comportamenti che possono offendere la pubblica decenza» – come la mendicità vessatoria, quando essa varca il confine della violenza privata – ovvero alle «situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi».
L’accattonaggio come sistema di vita piace poco o punto. Ma un conto è vederla diversamente, altro conto è criminalizzare, proibire e reprimere la libera pratica dell’accattonaggio (un diritto), senza peraltro educare, affrancare, emancipare. Per molti poveri e nuovi poveri – italiani e stranieri – la questua rappresenta l’ultima frontiera, l’unica misera fonte di guadagno.
Cosa inscena il sindaco per sottrarre dalle povertà i questuanti? Articolate politiche di welfare locale? No, sostiene le culture proibizioniste e la criminalizzazione dei miserabili invece delle povertà: poveri da nascondere, spazzatura da spostare sotto qualche altro tappeto, specie quando si tratta di stranieri, quelli ancora più miserabili e digiuni dei diritti come, per l’appunto i Rom rumeni.
Poi ci sono 350 Sinti. Sono zingari, ma anche cittadini pavesi e stanziali da più generazioni. Bivaccano nel lager di via Bramante o più comodamente nel campo di piazza Europa, ai margini del centro storico. Anche per loro il sindaco amico degli amici prevede una nuova allocazione: fuori città, in un campo contiguo al canile. Sempre per ordine del sindaco, dal novembre 2009 è persino vietato dormire in auto («ma anche sui camper»).
L’abitudine o l’attitudine istituzionale agli scarti – a volte minimi e altre volte sotterranei – del mancato rispetto delle regole non può che incrinare il tessuto democratico, fino a dargli scacco. Lo rimarca Luciano Gallino nell’introduzione all’edizione 1994 del libro di Allen, osservando che «nel momento in cui una comunità politica sta procedendo a piccoli passi, tortuosamente, verso l’abisso, nessuno è in grado di prevedere quale forma concreta prenderà il disastro, né in quale punto esso esattamente verrà a collocarsi». E così conclude: «Se ogni passo che facciamo, all’apparenza del tutto insignificante, in realtà può avvicinarci all’abisso, e però anche allontanarcene, la migliore precauzione consiste nell’essere il più possibile consapevoli della doppia direzione in cui qualunque passo può portarci». Un’analisi amara, un avviso di estrema attualità.
Come coniugare allora le libertà e i diritti individuali all’insistita domanda di sicurezza personale, economica ed esistenziale, cui lo stesso Gallino accenna nella citazione in epigrafe a questo articolo? E di quale sicurezza, o insicurezza, stiamo parlando: quella indotta dal presunto aumento dei furti e delle rapine? (bugie: da oltre vent’anni c’è stagnazione) oppure quella reale, legata all’economia criminale o illegale, che sta consegnando il Paese all’oblio? Al dunque: può trovare spazio il pensiero critico in questo Paese?
Dai media sembra scomparire la realtà: non è l’insicurezza ad aumentare, tanto meno la sua percezione; aumenta la manipolazione mediatica alla quale veniamo sottoposti dai giornali e soprattutto dalle tivù. Perché continuano a raccontarci bugie? Zygmunt Bauman risponderebbe che il potere teme proprio l’eccesso di paura, e allora lo indirizza su obiettivi innocui, ad esempio trasformando zingari e stranieri in minacce aliene più temibili delle mafie e più allarmanti della perdita di valore dei salari, o del progressivo aumento delle famiglie in difficoltà economiche.
Registriamo un potere e una politica indifferenti all’etica, rinchiusi in partiti-chiesa invasivi al punto da essersi nel tempo sostituiti alle persone – unico soggetto razionale e morale, direbbe Roberta De Monticelli – allontanandosi così dal dettato costituzionale. Sì. Perché se il bene ultimo di ogni democrazia è la libertà individuale, la necessaria disciplina dei diritti e dei doveri non può che trovare nella Costituzione le sue regole; Costituzione che va difesa applicandola, e non solo con letture alla moda sulle pubbliche piazze.
Non resta allora che camminare insieme verso un possibile nuovo umanesimo, tirando fuori il meglio di noi, la nostra capacità di sentimento e di pensiero e tanta forza rigenerativa e di prefigurazione, così da ridestarne il contenuto dando cittadinanza a parole più che mai “politiche” come salute, fervore, allegria, altruismo, libertà, gratuità, amicizia, grazia, natura, amore, condivisione… Si può fare. Buon Natale ai pavesi perbene.

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