Sistemando carte, è riaffiorata questa mia lettera a “Liberazione” del 16 aprile 2008: rileggendola, ho provato a sostituire Veltroni e Berlusconi con Bersani e Monti, e in più passi l’ho vista tornare d’attualità. Fra una settimana in Camera e Senato tornerà a sedere una sinistra parlamentare, ma a fronte della crisi rimane il rischio della deriva finto-democratica di un governo Monti-Bersani (toglierà solo di torno l’“impresentabile”). Non resta che sperare nel contrappeso offerto da Ingroia, Cinquestelle e forse da chi, dalla maggioranza, proverà a separare gli interessi del Paese reale da quelli di Confindustria, clero, massoneria, trilaterale e cricche varie. E intanto lavorare per tempi migliori. (G. G.)
L’Arcobaleno è rimasto senza deputati e senatori. La fuga a centrodestra del Partito democratico, l’invito al “voto utile” gridato a tutto etere e molta improvvisazione hanno lasciato il Paese senza la sinistra parlamentare, come voleva Veltrusconi. Missione compiuta: fuori l’Arcobaleno, nessuno deve più rompere i coglioni. Una sconfitta netta. È l’amaro verdetto delle più finte elezioni “libere” della storia della Repubblica, quasi un colpo di Stato camuffato, dietro il quale muove un asse politico-finanziario che, a sua tutela, mescola il capitale con il lavoro provando così ad inibire il conflitto sociale, e rispolvera il modello delle corporazioni fasciste. L’asse vuole soffocare ogni forma di dissenso e sostituire la democrazia con la democrazia apparente, la partecipazione apparente, la legalità apparente. Dovevano esorcizzare la crisi del modello neoliberista e la gravosa recessione economica alle porte, che renderà ancora più esigui i salari e più difficile per le famiglie arrivare a fine mese. La conseguente radicalizzazione del conflitto sociale richiederà misure degne di uno Stato autoritario. Tra i due poli, speculari l’uno all’altro, andava cercato un accordo per poi, chi più chi meno, occupare lo spazio.
Punto e a capo. Molti di noi hanno creduto che lo sbilanciamento centrista dell’ex partito di Gramsci Togliatti e Berlinguer a sinistra avrebbe lasciato praterie. Come è evidente, lo spazio sociale non si è convertito in consenso elettorale (in Lombardia, una parte di quei voti è passata alla Lega Nord, che fa cassa anche con la paura della recessione). Per quel che vale, a essere severi con noi stessi, dovremmo ammettere l’evidenza: nelle fabbriche e tra i lavoratori Lega e Popolo delle Libertà hanno ottenuto un consenso molto superiore a quello della sinistra e del Partito democratico. Diciamolo chiaro: senza la capacità di stare pragmaticamente nella società e dentro i movimenti, senza un radicale rinnovamento di mentalità e di quadri dirigenti, senza la volontà di parlare (non solo sotto elezioni) ai moltissimi lavoratori e cittadini che hanno votato Lega e Berlusconi, senza tenere barra a dritta su etica e valori, coniugare il ‘piccolo’ con il ‘grande’, il ‘locale’ ai ‘grandi temi’, senza rinnovare il nostro modo di fare politica, senza conoscenza e radicamento la sinistra è morta e sepolta. Il cambiamento deve partire dal basso, perché se a Roma si piange a Pavia non si ride: fuori dai coglioni i razzisti di pseudosinistra che danno la caccia agli immigrati, gli amministratori finto-ambientalisti che non hanno combattuto gli ecomostri, chi ha solo mendicato assessorati e poltrone nei consigli d’amministrazione, chi nasconde le speculazioni immobiliari, chi anche tra noi disegna le città a misura di mattone o chi tutti questi li sostiene… Non autoassolviamoci, ma autodissolviamoci in una nuova sinistra dei valori, meno dogmatica e più pragmatica. Fuori tutti, liberi tutti.
Giovanni Giovannetti (“Liberazione”, 16 aprile 2008)
Rispondi