di Domenico Brancale
Tocca sentire, soltanto sentire, ancor prima di lasciare al respiro il tentativo di svelare il silenzio che avvolge le sue carte. E in questa costellazione segreta a se stessa, al largo di ogni nostro possibile sguardo, vedere, soltanto vedere il corpo che ci attende lungo la traiettoria della luce scheggiata. Vedere l’avvenire di ciò che un giorno sarà concesso alla nostra carne, quando spegnendosi irrevocabilmente il pensiero, un abbaglio di corolle infuocate cingerà la nostra vita.
Vivi a morte. Morti a vita. Amanti, ritroveremo il mistero del corpo, dopo aver graffiato le pareti della memoria, scavato fino al fondo di qualunque soglia in cui è conficcata la colpa che incatena i desideri riemersi dalle viscere, senza più l’ancora di questo apparire.
Forse finalmente ciechi, qualcosa passerà sulla retina della nostra anima: oasi di pietre nere, saette di animali latranti, processioni di braccia, crepe di vulva, ruote di crani, radici di carne, agavi di pene, cataste di seni, rami d’assedio che sfiorano la lacrima – Soli ancora non nati.
E così che, impresso da un gesto che matura nel buio della traccia,
assisto la pittura di Simone Pellegrini e mi chiedo, se dovrò morire,
che sia il giorno dopo questo avvento, scanno della voce, taglio del
silenzio che tu pittore induci.
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