Malia

by

di Massimo Rizzante

Sono venuta a questo mondo portando
con me molti crimini e soltanto una lacrima
di pudore che in una notte fitta come un porcospino
ha punto il tuo senso di colpa sigillandolo di sale

Nei versetti dei miei antenati nessuno è innocente:
neppure chi scaglia la prima pietra. Infatti, Kamal, solo la pietra
è innocente, e il suo desiderio è già una montagna di orrori
che nei manuali di storia si rincorrono a quattro cifre

Meglio l’indigenza che le orbite vuote di una statua,
meglio la disperazione che il registro con le firme degli invitati,
meglio la cancrena che il fiore appassito tra le pagine di un libro,
meglio i funghi velenosi che essere giudicata

Mio padre una volta lo fece. Ora l’edificio
della sua ragione sta franando sotto il peso
del mio letto vuoto: un vecchio divorato da un branco
di molle che gli sussurrano che l’ora del lupo è alle porte

Ma sono già troppo ubriaca per infilare nel buco
del passato la chiave dei ricordi. Ciò che importa
è che per te non sono ancora un fossile.
Perciò accetto le tue punizioni, anche le più infantili

Lo stile di agosto, dopo un amplesso, è sempre lo stesso:
grilli moribondi, insonnia, torture al ventre, e infine troppe ore
a fissare i crittogrammi delle crepe che il tempo, quel piccolo
burocrate alcolizzato, si diverte a scrivere sui muri

Sulla strada per Ourika siamo come uccelli notturni
che si strappano le ali a vicenda, fino a quando
il becco affonda in un organo cieco per molti,
soprattutto per coloro che sono stati ciechi a lungo

Così l’amore ci chiama. E da uccelli notturni
dobbiamo trasformarci in talpe, e scavare cunicoli nel tempo
e, se necessario, saziarci di tenebre senza poter risalire
in superficie. E questo per un giorno. O per sempre

O in cani che girano su se stessi un numero di volte
pari ai loro anni, moltiplicato per le cagne in calore
che hanno posseduto e che ora ubriachi cercano di ricordare,
prima di trovare una posizione in cui dormire

Massimo Rizzante
Scuola di calore

Effigie. le Ginestre

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