Plagi 3

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Creatività o saccheggio ideologico?
Quando pittori e illustratori copiano fotografie

Nel 1859 Charles Baudelaire aveva definito la fotografia, o meglio l’attività fotografica, «il rifugio di tutti i pittori mancati, troppo mal dotati o troppo pigri per condurre a termine i loro studi». Era vero esattamente il contrario, ma con le sue affermazioni – ha osservato Aaron Scharf in Art and Photography (1974) – il poeta francese indirettamente sottolineava il nuovo e potente ruolo che la fotografia aveva conquistato nel mondo dell’arte. Seppur contrari alle immagini ottiche, molti affermati pittori dell’epoca usavano la fotografia per sviluppare i soggetti dei propri quadri ma, per ovvi motivi, tale impiego avveniva clandestinamente: a volte, anzi, fotografie e lastre venivano distrutte dopo essere state copiate o ricalcate sulla tela. Il fenomeno sta a indicare che la pura verosimiglianza in pittura e scultura era ormai prossima alla fine e che l’arte tradizionale era libera di seguire la propria «vocazione modernista» (Susan Sontag), cioè l’astrazione. Profeticamente, Delacroix ebbe a definire la fotografia «una benedizione per l’arte», perché essa si faceva finalmente carico della rappresentazione realistica: era finito il dominio dell’arte di pura imitazione e il ritratto fotografico si affermava ormai come status-symbol non solo borghese.

È innegabile – e oggi abbondantemente documentata quanto tristemente occultata – l’influenza che le deformazioni ottiche dei nuovi obbiettivi grandangolari o la fotografia applicata alla ricerca scientifica da talenti come Edweard Muybridge, Etienne-Jules Marey e Ernst Mach ebbero su pittura e scultura dada, futurista e in generale sugli artisti della prima avanguardia: tra gli esempi più macroscopici ricorderemo Nu desendant un escalier nn.1 e 2 di Marcel Duchamp, che riprendono un disegno di Paul Richer, riprodotto in Phisiologie Artistique del l’homme en mouvement (1895), che si ispirava a Marey; ispirata alla cronofotografia e pure la Ragazza che corre di Giacomo Balla; e ancora si nota più di un elemento in comune tra una fotografia sulle onde d’urto di Ernst Mach (1884; un proiettile di fucile, fendendo l’aria forma attorno a sé dei campi triangolari) pubblicata anche in Italia, da “Fotografia Aristica”, nel 1910 e Dinamismo di una automobile di Luigi Russolo (1912); anche la scultura Forma unica e continuità nello spazio di Umberto Boccioni (1913) pare essere la “traduzione plastica” dell’uomo che gira su se stesso di Marey.
Nonostante il “saccheggio ideologico” sulla fotografia da parte dei migliori esponenti delle arti plastiche futuriste e nonostante l’assenza di «una qualsiasi citazione delle fonti fotografiche e concettuali che nutrivano l’ispirazione di base del lavoro» (Lista), nel 1913 in Italia si annoverano una lettera di sconfessione delle “fotodinamiche” dei fratelli Bragaglia e di altri inviata da Boccioni e Giuseppe Sprovieri, direttore della Galleria permanente futurista di Roma e Napoli, e l’avviso di Boccioni, Balla, Carrà, Severini, Russolo e Soffici, pubblicato su “Lacerba” il 1 ottobre, dove si legge che «data l’ignoranza generale in materia di arte, e per evitare equivoci, noi Pittori futuristi dichiariamo che tutto ciò che si riferisce alla “fotodinamica” concerne esclusivamente delle innovazioni nel campo della fotografia. Tali ricerche puramente fotografiche non hanno assolutamente nulla a che fare col Dinamismo plastico da noi inventato, né con qualsiasi ricerca dinamica nel dominio della pittura, della scultura e dell’architettura».

Appunto, data l’ignoranza generale, sì, ma in materia di fotografia. Come documentano le immagini, il “saccheggio ideologico” prosegue ancora oggi per mano di numerosi pittori e illustratori-ritrattisti: una copiatura a volte sfacciata, nonostante alcuni doverosi distinguo. Incontriamo citazioni esplicite (Tullio Pericoli che disegna Kafka tra le sue fotografie private; o come nel ritratto di Lacan, in cui Pericoli riprende una nota fotografia di Sigmund Freud); incontriamo disegni impreziositi dal valore aggiunto della creatività dell’autore (ancora Pericoli, ad esempio nei ritratti di Einstein o Stevenson) o sorretti da una mano particolarmente felice (Dariush Radpour e, al solito, il grande Pericoli), ma è ancora più frequente l’incontro con veri e propri plagi.

[vedi Plagi 1 « e 2 «]

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