La distruzione della città

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Questo Pgt è devastante e da gettare
da Pavia, Enrico Sacchi *

Un Pgt che nega l’unità del centro storico come entità inscindibile da tutelare nella sua interezza e che consente di tutto e di più, a discrezione dell’operatore economico, purché riceva l’avallo degli uffici comunali. Si concretizza come prossima e ineluttabile la distruzione della città antica, cioè della nostra identità e della nostra memoria storica.

Il settore del nuovo Pgt relativo al centro storico della nostra città merita, da parte dei cittadini pavesi, una particolare attenzione in quanto mette in conto grandi cambiamenti della normativa fino a oggi in vigore. Si ha l’impressione che l’Amministrazione in carica abbia voluto cancellare, per motivi che poco hanno a che fare con l’urbanistica, quanto di positivo al riguardo avevano lasciato i precedenti amministratori, peraltro responsabili a loro volta di gravi cedimenti nella tutela ambientale (vedi Valle della Vernavola) e in generale di eccessiva acquiescenza alla richiesta di nuove aree edificabili.
Per rendere evidenti i motivi del mio dissenso nei confronti della nuova normativa, ritengo necessario ricordare e ripercorrere quel lungo processo culturale che ha portato ad una sempre maggiore attenzione nei confronti delle città storiche e successivamente alla consapevolezza della necessità della loro tutela. Questo processo ha coinvolto, anche a Pavia, settori sempre più ampi della opinione pubblica fino a diventare oggi patrimonio comune della maggioranza dei cittadini: è quindi opportuno che i pavesi abbiano ben presente che l’attuale volto del centro storico è frutto anche della loro attiva partecipazione alla sua difesa.
Il tema della salvaguardia del centro storico si sviluppa con vigore a Pavia nella seconda metà degli anni Cinquanta come reazione alla incontrollata attività edilizia in atto dal dopoguerra. Nel 1948 si aprono i primi cantieri all’insegna dell’emergenza ricostruzione e, negli anni seguenti, l’edilizia ha uno sviluppo molto vivace sostenuto dalla ripresa economica che venne poi definita “il miracolo italiano”. In Italia era allora in vigore la Legge urbanistica del 1942, una buona legge, chiara e rigorosa, che, ovviamente, richiedeva da parte della Amministrazioni Comunali l’ottemperanza di una serie di adempimenti (Prg e Piani attuativi) propedeutici al rilascio delle Licenze edilizie. Ma l’emergenza ricostruzione venne ritenuta prioritaria e la L.U. del 1942 fu di fatto accantonata: troppo complicato rispettarne le procedure. I quartieri distrutti dai bombardamenti vennero riedificati sulla base dei Piani di ricostruzione, nelle zone agricole si operò con le cosiddette lottizzazioni che altro non erano che dei semplici frazionamenti catastali, nelle aree urbanizzate l’unico riferimento furono i Regolamenti edilizi. Avvenne così che, completata la ricostruzione delle zone bombardate, anche il centro storico di Pavia risparmiato dagli eventi bellici subì significative trasformazioni: condomini di sei piani furono edificati su orti e giardini o sostituirono edifici di due-tre piani, alcuni di valore architettonico rilevante, il Demetrio fu pesantemente manomesso, e così via.
Di fronte ad una città che cambiava il proprio aspetto violentemente e rapidamente, l’opinione pubblica più sensibile e culturalmente aggiornata diede luogo a una decisa azione di contrasto che trovò in Italia Nostra l’interprete più fattivo. Fu così che il Prg, allora in elaborazione, fu restituito dal Ministero al Comune affinché provvedesse, come richiesto dalle osservazioni di Italia Nostra, a sottoporre a «tutela tutto il centro storico e artistico cittadino per non creare discontinuità nel tessuto urbano». Il Comune abbozzò e il Piano ebbe il decreto del Capo dello Stato (allora si usava così). Si era nel dicembre 1963 e il Piano di Pavia anticipò di pochi mesi il contenuto della Carta del Restauro redatta a conclusione del Congresso internazionale di Venezia (maggio 1964). La Carta di Venezia è un documento importante perché afferma, per la prima volta, che la «nozione di monumento storico comprende … l’ambiente urbano o paesistico … Questa nozione si applica non solo alle grandi opere ma anche alle opere modeste». La nostra città nel 1964 consegue un Prg che, almeno dal punto di vista formale e non certo per decisione autonoma dell’Amministrazione comunale, si ispira al dettato culturale del momento. L’attività edilizia viene però disciplinata da una normativa non all’altezza dei principi enunciati, anche se ha avuto il pregio di evitare la realizzazione di nuovi edifici volumetricamente fuori scala. Purtroppo le aree libere non sono tutelate e quindi alcuni orti e giardini verranno ancora sacrificati e per gli edifici esistenti è ammessa la demolizione totale del fabbricato ad eccezione della facciata su strada, che poi, il più delle volte, cadrà nottetempo per essere sostituita con una cortina in stile.
Se, al momento della sua approvazione, il Prg del 1964 aveva lasciato sperare in una fattiva tutela della città storica, ben presto, di fronte al concreto operare, apparve chiara la sua inadeguatezza e quindi la necessità della sua sostituzione con uno strumento urbanistico più consono. Nel 1972 viene pubblicata la Carta Italiana del Restauro. È un documento di grande significato innovativo in quanto non si limita a stabilire che la salvaguardia e il restauro devono interessare l’intero centro storico, ma fornisce dettagliate istruzioni per ottenere questo obiettivo. La tutela deve prendere in considerazione tutti gli elementi che compongono la città storica e quindi: gli edifici, gli spazi esterni (strade, piazze ecc.), gli spazi interni (orti, giardini, cortili, aree libere in genere ecc.) le mura e altre strutture significative nonché gli elementi naturali che caratterizzano il territorio, in particolare i corsi d’acqua. Gli edifici devono essere rispettati e conservati non solo negli aspetti formali ma anche nei caratteri tipologici. È quindi necessaria una attenta lettura storico-critica degli edifici per poter operare su tutto il complesso definito come centro storico con criteri di intervento graduati in funzione del valore architettonico dei singoli edifici ma tra loro omogenei e sempre ispirati ai principi del restauro e del risanamento conservativo.
Pochi anni più tardi, nel 1975, abbiamo la Carta di Amsterdam e la Dichiarazione di Amsterdam, due documenti strettamente coordinati e che, in effetti, formano un unico testo. La Carta di Amsterdam, insieme alla conferma dei principi della Carta Italiana del Restauro, introduce un tema nuovo e di grande interesse sociale: «La riqualificazione dei quartieri antichi deve essere realizzata … senza sostanziali modifiche della composizione sociale dei residenti» e «non deve comportare l’esodo di tutti gli abitanti di modeste condizioni». A Pavia, in quegli stessi anni (1974-76), viene redatto il Prg Astengo-Campos Venuti. I criteri contenuti nei documenti sopra descritti vengono tradotti con coerenza, chiarezza e originalità in uno strumento urbanistico innovativo che troverà grande apprezzamento nazionale e internazionale. La disciplina del centro storico fu costruita su due principi fondamentali: tutte le aree libere (orti, giardini, cortili, ecc) vennero dichiarate inedificabili e accuratamente individuate sulle tavole; gli edifici, dopo attenta analisi delle loro caratteristiche storico-architettoniche, furono aggregati in categorie ad ognuna delle quali furono attribuite precise modalità di intervento che, ad eccezione di quelle assegnate ai fabbricati di più recente costruzione, facevano tutte riferimento ai criteri del restauro e del risanamento conservativo.
Il Prg del 1975, come raccomandato dalla Carta di Amsterdam, assicurò anche la possibilità di cospicui interventi di edilizia sociale in centro storico, che, negli anni immediatamente successivi, vennero attuati dal Comune direttamente o tramite lo I.A.C.P.
Il successivo Prg Cagnardi (1996-2003) mantenne per il centro storico lo stesso schema operativo, ad eccezione, essendo cambiati i tempi, della salvaguardia sociale. Da circa quarant’anni quindi è stato possibile operare nel nostro centro storico rispettandone tutte le componenti e attuare quell’intenso processo di risanamento degli edifici, coniugato con la tutela delle loro caratteristiche formali e tipologiche e con l’intangibilità degli spazi liberi, che permette oggi a Pavia di avere un nucleo antico di alto valore. Tutto questo è stato ottenuto grazie ad una normativa che, avendo attribuito ad ogni edificio criteri di intervento ben definiti e facilmente applicabili e conseguentemente ridotto i margini di discrezionalità di progettisti e funzionari, ha assicurato la possibilità di lavorare nella certezza del diritto con snelle procedure amministrative, essendo necessari solo permessi autorizzativi diretti.
Nel Pgt confezionato dalla attuale Amministrazione non c’è traccia di quanto elaborato dal 1964 (Congresso internazionale di Venezia) in poi. L’intero centro storico è uniformemente coperto da un unico colore dal quale vengono differenziati i soli edifici vincolati e alcuni altri individuati come degni di valore storico artistico. Le uniche aree libere autonomamente contrassegnate sono quelle destinate a parcheggio pubblico (tra cui spiccano le piazze dei Collegi Ghislieri, Borromeo e Cairoli) e a verde pubblico (poche e tutte esistenti).
Ai criteri di intervento sugli edifici vincolati dalla Soprintendenza e su quelli ritenuti di valore storico-artistico, gli artt. 14 e 15 delle N.T.A. dedicano una prolissa quanto inutile descrizione. Sarebbe stato sufficiente il solo e secco riferimento al restauro scientifico. Dalla Carta di Atene (1931) in poi la nozione di restauro scientifico è stata ampiamente analizzata, approfondita e definita: è un dato di fatto condiviso. Il problema è che il restauro scientifico è incompatibile con quanto le norme del Pgt consentono di realizzare in questi edifici e nelle aree di pertinenza: la superficie utile delle superfetazioni, che ovviamente vanno eliminate, è ricollocabile «nelle aree libere di pertinenza e all’interno dei cortili»; è consentita la realizzazione di parcheggi interrati purché venga ripristinato l’impianto arboreo; sono ammessi parcheggi a raso «nel rispetto dell’impianto arboreo e del verde di pregio … con una pavimentazione filtrante»; sono ammessi «interventi che valorizzano il bene anche con modificazioni della sagoma dell’edificio». Pura follia! Per fortuna, gli immobili vincolati sono sottoposti al controllo della Soprintendenza; per gli altri non resta che sperare nella preparazione dei progettisti e nel buon gusto dei committenti.
Il capitolo dedicato più in generale al Tessuto del Centro storico (art. 16) riguarda quell’ampia parte della città entro il perimetro delle mura spagnole, che, come già detto, la cartografia contrassegna con un unico colore uniformemente spalmato. Il testo si apre con il paragrafo “Definizione” nel quale, di fatto, si nega l’unità del centro storico come entità inscindibile da tutelare nella sua interezza. L’estensore del Piano considera degni di salvaguardia solo alcuni «edifici o complessi…», peraltro non individuati né definiti e quindi oggetto di arbitrarie e insondabili scelte a posteriori, e parallelamente afferma che nel nucleo storico esistono (non individuati) «complessi, immobili e strutture edilizie non contestualizzate e obsolete…di cui si auspica la sostituzione…».
Da queste premesse discende ovviamente una normativa che ammette di tutto e di più, a scelta dell’operatore economico purché riceva l’avallo degli uffici comunali. E quindi: restauro e risanamento conservativo con rimozione delle superfetazioni recuperandone però la superficie utile in nuovi volumi da collocare nei cortili o nelle aree libere di pertinenza; ristrutturazione edilizia (cioè demolizione dell’edificio e sua ricostruzione ottenendo un organismo edilizio diverso dall’esistente) con possibilità di mantenere la facciata su strada o anche di abbatterla e ricostruirla e avendo facoltà di incrementare del 15 per cento il volume esistente e di modificare la sagoma dell’edificio; realizzazione di parcheggi sotterranei in orti e giardini purché venga ripristinato l’impianto arboreo (su trenta centimetri di terra?) o, a scelta, parcheggi a raso nel rispetto «delle alberature e del verde di pregio o di valore storico-monumentale, con una pavimentazione filtrante»; vengono fornite anche opportune indicazioni relative all’altezza massima ammissibile dei fabbricati, alla densità edilizia (4 mc/mq), al rapporto di permeabilità dei suoli (25 per cento minimo con opportuna deroga per la realizzazione di box sotterranei) ecc.; e, per finire, «ove sussistono motivate condizioni di degrado o dove si renda opportuno il recupero del patrimonio edilizio esistente» è consigliata la ristrutturazione urbanistica ricorrendo a «Piani di Recupero che comprendono singoli edifici, complessi edilizi, isolati e aree libere».
Leggendo queste Norme, davanti ai nostri occhi si materializza, in tutta la sua concretezza, la prossima e ineluttabile distruzione della città antica, cioè della nostra identità e della nostra memoria storica. Questo è inaccettabile! L’aver sostituito la disciplina che per anni aveva permesso, come tutti hanno potuto constatare, una intensa attività edilizia all’interno del centro storico nel rispetto però delle sue peculiarità, con una serie di norme totalmente permissive e assolutamente discrezionali, non costituisce un passo verso una corretta liberalizzazione, che forse era l’obiettivo perseguito dall’Amministrazione, ma solamente, e purtroppo, la certificazione che cinquanta anni di cultura, non solo urbanistica, sono passati invano.
Da questa premessa consegue un altro aspetto che segna negativamente l’impianto del Pgt: la totale assenza di certezza del diritto. Norme che rendono ammissibile qualsiasi tipo di intervento senza assegnare precisi criteri per la loro applicazione, lasciano le procedure alla totale discrezionalità di operatori e controllori. Di conseguenza avremo opacità assoluta nei procedimenti amministrativi, interferenze improprie della politica, arbitrarietà decisionale e, alla fine, corruzione.
Non penso che Pavia meriti tutto questo e nemmeno che i suoi cittadini possano restare indifferenti. La primavera prossima si svolgeranno le elezioni comunali. Sarebbe doveroso che le forze politiche dichiarassero a chiare lettere la loro posizione sui temi sopra esposti. Ritengo l’argomento tra i pochi ormai in grado di interessare gli elettori: un atteggiamento fumoso o peggio indifferente dei politici sarebbe controproducente. È opportuno ricordare infatti che, in una sola giornata dello scorso marzo, il F.A.I. (Fondo Ambiente Italiano) ha raccolto, e consegnato al Sindaco, 1500 firme contro la costruzione delle solite palazzine nell’area a fianco dell’ex Monastero delle Clarisse, futura sede della Civica Biblioteca Bonetta, dimostrando così che i cittadini, debitamente informati, hanno a cuore la loro città e intervengono per difenderla.

* architetto

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Una Risposta to “La distruzione della città”

  1. Anonimo Says:

    ma alla fine, giacché approvato, bello (buono) brutto o cativo, lo possiamo sapere chi lo ha redatto questo pgt?

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