Ad esempio, Broni

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Ex Fibronit. Prove tecniche di magnamagna?
di Giovanni Giovannetti

«Trasportavo gli scarti delle lavorazioni. Sollevavo i pezzi con la pala meccanica e la polvere si levava nell’aria». Erano tubi ondulati e altri manufatti in fibrocemento. Alla Eternit di Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte o negli stabilimenti Fibronit di Broni e Bari la fibra-killer rimane in produzione sino a metà degli anni Ottanta del Novecento, e Broni chiude anche oltre, nel 1992 (e lo stabilimento Eternit a Priolo Gargallo in Sicilia nel 1993), quando una legge impone la cessazione dell’impiego dell’amianto nei manufatti.
Da Casale a Bari sono migliaia le morti per mesotelioma (una grave forma di cancro che può manifestarsi anche molto avanti nel tempo), tra le maestranze o tra chi lì intorno viveva. Morti silenziose, silenziose e inquietanti, e se ne contano numerose tuttora, venti o trent’anni dopo.
Quelle fabbriche sono ormai pericolosi scheletri tossici da bonificare e sopra cui magari lucrare: appetiti non sempre limpidi; nomi a volte chiacchierati.
Ad esempio Broni, 40 morti all’anno certificati, una contaminazione «drammatica» (dal 2002 è tra i “Siti di bonifica di interesse nazionale”), amministratori e dirigenti Fibronit rinviati a giudizio per disastro ambientale e omicidio colposo aggravato, centinaia di lutti «provocati dall’amianto che è stato immesso nell’ambiente di lavoro e in ambienti di vita su vasta scala, causando decessi e patologie asbesto correlati (mesoteliomi pleurici e peritoneali, tumori polmonari, asbestosi o patologie non di origine polmonare) di un elevato e indeterminato numero di lavoratori, di cittadini residenti nel comune di Broni, oltre che di persone che, comunque, prestavano la loro attività lavorativa nello stesso comune» (da un Rapporto della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, 12 dicembre 2012). Tuttora, lo sappiamo, si continua a morire.
La Fibronit/Ecored si estende su 13,5 ettari e per bonificarla si dovranno spendere 30 milioni di euro (10 solo per lo smaltimento). Una bonifica che lo stesso assessore regionale lombardo all’Urbanistica e all’Ambiente Daniele Belotti non a torto denuncia a «rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata».
Marzo 2011. Con un ribasso a 2.702.354 euro su un costo indicato in 3.805.300, la gara per la messa in sicurezza di Fibronit e della contigua Ecored (costituita nel 1994 per produrre tubi in fibro-cemento senza amianto, operava nei locali contaminati della stessa Fibronit) se l’aggiudica una “Associazione temporanea di imprese”. Ne fanno parte il Consorzio Stabile Cosint scrl (80 per cento) e la Sadi (20 per cento, era in quota a Giuseppe Grossi, arrestato il 20 ottobre 2009 per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, all’appropriazione indebita, alla truffa, al riciclaggio di denaro e alla corruzione), in sodale cordata con la Despe Spa del bergamasco Giuseppe Panseri (secondo una nota informativa della Dia, Panseri avrebbe mantenuto rapporti con Antonino Marras e Giovanni Conte – due pregiudicati – e Gino Mamone, imprenditore genovese ma calabrese d’origine vicino alla cosca Mammoliti di Oppido Mamertina e in particolare a «Vincenzo Stefanelli, detto Cecé, esponente della criminalità organizzata di stampo mafioso, titolare di un’impresa edile») e con la 1Emme Spa del calabrese Pasquale Gattuso (arrestato nell’agosto 1991 per «produzione e spaccio di sostanze stupefacenti e scarcerato il mese successivo»).
Gino Mamone figura indagato nel 2005 dalla procura di Alessandria per la bonifica illegale delle aree Ip di La Spezia e dell’ex Shell di Fegino presso Genova, ad opera della Eco.Ge, di sua proprietà fino al 2009. Avvocato di Mamone è Massimo Casagrande (già consigliere comunale Ds a Genova) meglio noto come il “Compagno F”, arrestato nel maggio 2008 a conclusione dell’inchiesta su Mensopoli insieme a Stefano Francesca, l’ex consigliere provinciale genovese Ds, già portavoce del sindaco Marta Vincenzi nonché fautore a Pavia del discusso “Festival dei Saperi” (2006). In alcune intercettazioni, Francesca e Casagrande parlano di fatture fittizie a Mamone da parte della Wam&co di Francesca, fatture necessarie a coprire tangenti. (nell’aprile 2010 Stefano Francesca, accusato di corruzione, patteggia una condanna a un anno e quattro mesi; un anno e cinque mesi per Massimo Casagrande).
Ancor più illuminante pare la storia del principe dei bonificatori, il compianto Giuseppe Grossi. L’imprenditore ciellino amico dell’onorevole Gian Carlo Abelli detto “il Faraone” viene pizzicato dai magistrati milanesi dopo aver costituito presso banche svizzere fondi neri per 22 milioni di euro, frutto di fatturazioni gonfiate, in parte trasferiti dilavati e asciugati al sole di Hong Kong o di Montecarlo. Conti cifrati come quello monegasco di Rosanna Gariboldi, moglie di Abelli che, arrestata per riciclaggio, ha infine patteggiato una condanna a 2 anni e la restituzione di 1.200.000 euro, saldo del conto “balneare” condiviso con il marito, conto che negli ultimi otto anni aveva registrato movimenti per 3,5 milioni di euro: 12 in entrata per 2.350.000 euro e tre in uscita per 1.294.000. Secondo la magistratura milanese, è provato che «tutte le rimesse in entrata e in uscita» provenivano da «conti riferibili direttamente a Grossi o suoi sodali» come Fabrizio Pessina (incarcerato dal febbraio al luglio 2009), l’avvocato che ha disposto i versamenti estero su estero sul conto segreto della signora Abelli.
L’inchiesta era partita dalla bonifica ambientale di Santa Giulia (Milano Rogoredo), affidata alla Green Holding di Grossi. Qui, due imprese subappaltatrici, la Edil Bianchi e Lucchini Artoni, sub-subappaltavano il movimento terra a «padroncini calabresi» appartenenti alla ‘Ndrangheta. Le “scorie cancerogene” sono state infine scoperte dai tecnici dell’Agenzia regionale protezione ambiente (Arpa), su mandato dei pm: veleni miasmatici abusivamente miscelati a materiale inerte, trasportati fuori del cantiere con false bolle di accompagnamento. All’ex Montedison/Redaelli di Santa Giulia troviamo proprio la Sadi Servizi industriali, acquisita nel 2006 dalla Green Holding di Grossi, che già nel 2003 operava su quell’area, quando era in quota ai Mazzaferro, un clan calabrese in stretti rapporti con il capo reggente della ‘Ndrangheta lombarda Pino Neri, ora in carcere (18 anni in primo grado per associazione mafiosa).
A cosa dovevano servire i fondi neri creati dal Grossi, se non a corrompere pubblici amministratori, politici, funzionari? I magistrati della Procura milanese ne sembrano convinti. Fatto è che, in sette anni, ben 275 milioni di pubblico denaro sono passati dalle casse della Regione Lombardia alle tasche del ciellino Giuseppe Grossi.
Direttore dei lavori di Santa Giulia è l’ing. Claudio Tedesi, uno degli uomini più ricchi d’Italia, arrestato il 22 gennaio 2014 a seguito dell’indagine milanese Black Smoke (o, più eloquentemente, Nero Fumo) – coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Direzione distrettuale antimafia – sulla bonifica dell’ex Società Italiana Serie Acetica Sintetica di Pioltello e Rodano (Sisas, settore chimico, fallita nel 2001). Tedesi ed altri con lui agli arresti sono accusati di un traffico illecito dei rifiuti di «impressionante portata» e di corruzione, ma anche di «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in ordine alla aggiudicazione dell’appalto per l’esecuzione dei lavori di bonifica del sito ed allo smaltimento dei rifiuti in siti di proprietà, previa fraudolenta declassificazione degli stessi da pericolosi a non pericolosi, con l’ottenimento di ingiusti profitti». Insomma, derubricandoli ingannevolmente a rifiuti speciali non pericolosi, 87 tonnellate di schifezze come il nerofumo contaminato da mercurio sarebbero stati smaltiti senza alcun trattamento nelle discariche di Pogliani presso Chivasso e Mariano Comense nonché a Nerva (Andalusia) in una discarica gestita dalla società spagnola Befesa, certificandoli «rifiuti non pericolosi provenienti da attività di bonifica».
Secondo gli investigatori, «merita poi di essere sottolineata la circostanza, fortemente sospetta, della presenza in tutte le bonifiche del Grossi dell’ingegner Claudio Tedesi, in qualità di elaboratore dei relativi progetti, nonché di direttore dei lavori. Peraltro l’ingegner Tedesi, oltre che della bonifica dell’area ex Sisas, si è occupato anche delle bonifiche effettuate in numerosi comuni del mantovano con fondi regionali».
Tornando all’ex Fibronit, a chi nel 2011 il presidente di Broni-Stradella Spa Luigino Maggi (Partito democratico e amico da lunga data del “Faraone” Abelli) affida la direzione della bonifica? Ma a Claudio Tedesi da Casalpusterlengo: un uomo, una garanzia.

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