Tu per sempre con noi

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Ricordo di Luchino Dal Verme “Maino”
di Giovanni Giovannetti

«Spero che ognuno si renda conto di quanto poco sia partigiano far parole e discorsi: Resistenza è azione, è comportamento, è impegno, è stile di vita – è tutto tranne che parole. Al ricordo delle speranze del ’45 e al rimpianto dei compagni perduti, si aggiunge l’amarezza di questi anni, pieni di ingiustizie sociali, di corruttela e di violenza». Sono parole di Luchino dal Verme, il leggendario comandante partigiano “Maino”, dette a chi scrive in uno dei nostri primi incontri negli anni Ottanta quando, ragazzo, ero salito per intervistarlo nell’antica residenza dei Dal Verme a Torre degli Alberi, Oltrepo montano, per un un libro che poi ho pubblicato.
“Maino” – il suo nome di battaglia – era nato il 25 novembre 1913. Ormai centenario, se n’è andato mercoledì 29 febbraio; ma da lassù può dire d’aver vissuto molte volte: nobile e monarchico, ufficiale del regio esercito e comandante partigiano, imprenditore avicolo e marito, padre, nonno esemplare e un punto di riferimento per la comunità.

Le battaglie di Maino

Di famiglia aristocratica, nel corso della seconda Guerra mondiale Luchino Dal Verme combatte in Francia e sul fronte jugoslavo come ufficiale di artiglieria, in forza al reggimento Savoia Cavalleria. Dal luglio 1941 all’ottobre 1942 partecipa alla Campagna di Russia, ed è fra gli scampati al disastro del Corpo di spedizione Italiano. L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprende a Forlì, presso il suo reggimento; Luchino riesce a sottrarsi alla cattura e si rifugia al castello di Torre degli Alberi, la residenza di famiglia. In quei mesi mesi contribuisce ad organizzare le prime formazioni partigiane operanti in provincia di Pavia.
A lui – cattolico di nobile lignaggio, ma con solida esperienza militare – il Partito comunista affida il comando della 88ª brigata Garibaldi “Casotti”, ed in seguito lo pone a guida della divisione garibaldina “Gramsci”, nell’Oltrepo pavese: «Avevo una grande diffidenza nei confronti del Pci: era il bolscevismo, era la rivoluzione, era il sovvertimento, nella nostra mentalità e nel nostro giudizio. Difatti c’erano state delle opposizioni, l’ho saputo vent’anni dopo: due comandanti di formazione, “Ciro” e l’“Americano”, tutt’e due del Pci, si sono opposti. Han detto al partito: “Ma voi siete matti, cosa vuol dire dare il comando della ‘Gramsci’ a un Dal Verme?” E si sono battuti perché questo non avvenisse. Io non solo non l’ho mai saputo, da loro, ma ho avuto da loro una totale solidarietà, sul piano umano, sul piano militare, sul piano delle piccole e delle grandissime cose».
Ma c’era anche un altro “dramma”, la sua fede cattolica: «la scomunica. C’era di mezzo la Chiesa, i comunisti! Il mio reggimento era cattolicissimo: “Ma tu sei matto! Ma guarda che, appena abbiamo finito di far la guerra con questi, dobbiamo farla con quelli!” Per fortuna incontro un giovane sacerdote che conoscevo da tempo e mi dice: “Luchino, non hai capito proprio niente. Ma se tu credi, credi nella vita come dono, come responsabilità, ricordati che il dono immediatamente successivo è quello della libertà. E se non sei capace di batterti per la libertà dell’altro uomo, se non ti rendi conto che ti fai tanto più libero quanto più ti impegni per la liberazione dell’altro, perché lui si liberi, perché lui sia libero, allora non hai capito niente”. Era un uomo estremamente illuminato: è morto in Brasile, perché poi ha avuto dispiaceri con la Chiesa…»
“Maino” guida i suoi compagni in numerose imboscate ai nazifascisti lungo la via Emilia, distruggendo i binari della ferrovia Torino-Piacenza o affrontando il nemico a viso aperto, come nella battaglia di Costa Pelata. Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1945, dopo cinque ore di accaniti combattimenti, “Maino” e i suoi conquistano Casteggio. Nasce così la leggenda del Conte partigiano, o meglio del Cònt, come era chiamato nel dialetto locale.

Imprenditore di successo

Finita la guerra, i partiti antifascisti lo vorrebbero candidare alle elezioni per l’Assemblea costituente del 1946, ma Luchino risponde negativamente, preferendo fare ritorno a casa in Oltrepo, dove fonda un’azienda avicola, continuando altresì la sua appassionata opera di testimonianza sul nostro recente passato, e in difesa del territorio: «Oggi l’agricoltura di montagna è un’agricoltura di rapina: il grano non paga le spese che si fanno. La parte fieno non ne parliamo: sono tonnellate che partono dalla montagna e vanno verso la pianura. Alla pianura non conviene produrre fieno, ma produzioni più ricche, più alte di unità foraggere-ettaro: per esempio, il mais allo stato ceroso. Con le macchine, coi terreni fertili, con le grandi estensioni, col mais trinciato la stalla di pianura si alimenta a costi molto più convenienti. Però è indispensabile un po’ di fieno, altrimenti nascono dei problemi. E così il fieno si va a prendere in montagna. E i paesi ricchi sono sempre più ricchi, i paesi poveri sempre più poveri. Il fieno continua ad andare giù, e alla terra non viene restituito nulla: un impoverimento continuo del territorio».
Che fare allora? «Abbiamo capito che era arrivato il momento di preparare modelli perché la montagna generasse, producesse, ricostruisse le risorse che esauriva. La montagna non può esaurirsi completamente, se no addio: nasce il calanco, nasce il dilavamento. Siamo andati in Francia, a cercare dei modelli simili, e siamo partiti con la proposta della linea vacca-vitello, cioè mandrie che per sei mesi pascolano – il che vuol dire non affienare quando i quantitativi di raccolto sono talmente scarsi da non pagare i costi – e sei mesi sono semistabulate con l’alimentazione locale, affienata sul primo taglio. Questa è la nostra proposta, che richiede una grossa crescita culturale della popolazione locale, di uscire dalla fase di agricoltura di rapina».

Consapevole dei propri limiti

Tornando al passato di partigiano, «Della Resistenza rimangono le conseguenze dirette, che se noi possiamo trovarci tutte le volte in una sala o in un convegno o in una piazza a criticarci e a confrontarci, lo dobbiamo alla Resistenza, senza dubbio. E se il Paese ha fatto dei passi giganteschi, se c’è ancora un movimento sindacale, è grazie a essa. La nostra crisi oggi non è “Resistenza sì, Resistenza no”, è crisi culturale. Non siamo capaci di renderci conto dei problemi, di come ha camminato il mondo, con l’energia nucleare, l’atomica… in quarant’anni è successo molto di più di quello che è successo in quattrocento anni prima. Per me è molto più vasto il problema. Ma la Resistenza è ancora attuale se si vuole riprendere la misura dell’uomo. Perché, se in questi anni si sono fatti passi giganteschi sul piano delle condizioni generali di vita, sul piano del modo di rapportarsi degli uomini tra loro non si è fatto un passo, si è andati indietro. Mentre allora c’era stata una testimonianza di solidarietà enorme. Quanto a me, se conoscenza dei propri limiti è felicità… una volta dicevo felicità, oggi dico serenità. Sì, serenità è conoscenza dei propri limiti fino ad amarli, ne sono sempre più convinto».

4 Risposte to “Tu per sempre con noi”

  1. Augusto Brugnoli Says:

    Durante il fascismo gli italiani non erano liberi ma erano felici, nell’Italietta nata dopo le lotte partigiane gli italiani non sono liberi e perdipiù sono tutti infelici, quale altra disgrazia ci riserverà il futuro?

  2. Augusto Brugnoli Says:

    Vorrei sapere da Giovannetti se ha letto la pubblicazione del 1935 dal titolo “La guerra che noi combattiamo – dal 2 ott. 1935 al 4 novembre 1935” autore il generale Luchino Dal Verme.
    Il Dal Verme vi esalta la politica coloniale del Duce e molto altro ancora, c’è qualcuno che conosce a fondo la storia di questo grande esempio di voltagabbana italico?

  3. Augusto Brugnoli Says:

    Mi correggo il generale autore fascisticamente entusiasta non è Luchino, ma Luigi Dal Verme padre di Luchino, famiglia che nonostante i tempi che cambiano riesce sempre a rimanere in sella.

  4. augustus Says:

    Il padre militare di alto grado e convinto fascista, il figlio militare e assassino di fascisti, e il nipote se esiste sara’ militare, democristiano o socialista, massone operativo,
    Viva l’Italia e viva i gattopardi!

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