Il Tribunale di Pavia ha definitivamente cancellato il progetto dell’invasivo Centro commerciale presso Borgarello, confermando la posizione intransigente assunta dal sindaco Nicola Lamberti, respingendo quella speculativa del proponente Costantino Serughetti di Progetto commerciale. Serughetti aveva con prepotenza millantato cause milionarie a danno del Comune (19 milioni di euro); ora il Tribunale ha respinto al mittente queste pretese, condannando “il proponente” a rifondere di tasca sua le spese processuali. Per una volta, hanno dunque vinto ragione e buon senso contro affarismo e pedanteria. Ma a brindare sono anzitutto una pubblica amministrazione ed i suoi concittadini: avvedutamente, a tutto questo Lamberti e i borgherellesi hanno saputo fare fronte, erigendo un piccolo paese a modello virtuoso delle buone pratiche su scala nazionale. In attesa delle motivazioni e del definitivo pronunciamento del Tar, ripropongo qui la ricostruzione dell’affaire Borgarello dal mio libro Comprati e venduti. (G. G.)
A quale partito appartengono i sindaci di Certosa e Giussago, schierati a favore di un nuovo Centro commerciale a Borgarello, l’ennesimo nei pressi di Pavia? Appartengono al Partito democratico, lo stesso che formalmente lo ha avversato, così come lo avversa la Lega nord, altrettanto formalmente schierata per il “no”.
E da quale colore è tinta l’Amministrazione provinciale pavese, formalmente contraria? Non di meno, il 24 aprile 2013 il presidente Daniele Bosone ha formalizzato al Comune di Pavia la richiesta di introdurre nel Pgt un collegamento tra la tangenziale cittadina e la variante stradale ex strada statale 35: proprio quella disegnata per il Centro commerciale.
Il colore? La Provincia è retta da Pd e Sel. E forse non per caso l’assessore Franco Osculati e altri membri Sel ne erano stati tenuti all’oscuro così come, di questa “Osservazione” al Pgt pavese, nulla sapeva la capogruppo Pd in Provincia Martina Draghi. La missiva al Comune è stata infine ritirata
a furor di popolo; la sua approvazione avrebbe asfaltato la strada all’invasivo Iper.
La «variante alla strada provinciale ex statale 35 dei Giovi» è parte integrante del Piano di lottizzazione, ma non ne troviamo traccia nel Piano territoriale di coordinamento provinciale che, da quelle parti, semmai prevede «il consolidamento delle attività agricole e dei caratteri connotativi». E invece eccola disegnata nella tavola 34 esplicativa del Piano; tavola poi modificata il 22 ottobre 2012, facendo così mancare la correlazione – imposta per legge – tra il Piano di lottizzazione e il procedimento di autorizzazione commerciale deliberato dalla più che chiacchierata amministrazione Valdes il 12 luglio 2010.
Fra l’altro, nella convenzione tra la proprietà e il Comune si legge (all’art. 4, comma 1) che «la lottizzante potrà cedere a terzi in tutto o in parte a qualsiasi titolo la proprietà delle aree comprese nel comparto d’intervento e le connesse posizioni giuridiche in merito all’attuazione della presente convenzione». Già dal nome si capisce che Progetto commerciale srl (un capitale sociale di soli 250.000 euro e nessun dipendente, a fronte di un progetto il cui costo è quanti ficabile in almeno 150 milioni) è una società di progettazione, ovvero disegna complessi commerciali, li fa approvare per poi rivenderli a multinazionali del settore. Una prassi indebita, poiché l’autorizzazione comunale è qui subordinata «alla realizzazione a cura e a spese del soggetto proponente della variante stradale» prima menzionata. E il «soggetto proponente» altri non è che Gsc srl, ora Progetto commerciale srl.
Già, ma il 10 e il 26 gennaio 2011, alla terza e quarta Conferenza dei servizi, l’assenso a questo scempio allora chi lo ha dato? Lo ha dato la Regione, guidata proprio dal Carroccio verdelega nonché da Roberto Formigoni, all’epoca governatore, di cui l’ex sindaco ciellino di Borgarello Giovanni Valdes – incarcerato il 21 ottobre con l’accusa di turbativa d’asta, condannato il 19 novembre 2011 a 1 anno e 4 mesi – rimane un fedelissimo. E con la Regione lo hanno dato il sindaco di Certosa Corrado Petrini, quello di Giussago Massimiliano Sacchi – appartenenti al Partito democratico – e il commissario prefettizio di Borgarello Michele Basilicata, in palese contrasto con le norme in materia di valutazione d’impatto ambientale, sopra coltivi tutelati dal Piano territoriale regionale d’area dei Navigli lombardi (Ptra), quest’ultimo entrato in vigore il 6 gennaio 2011, prima cioè dell’ultima Conferenza dei servizi e dell’autorizzazione commerciale (ma un commissario prefettizio non dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione?). E non va dimenticato il sostegno bipartisan via via mantenuto dagli ex sindaci Donato Rovelli e Antonio Vitolo (centrosinistra) e dello stesso Valdes (centrodestra).
A quale contorta partita stiamo assistendo? Sono temi – ammonisce l’economista Antonio Majocchi – su cui si gioca il futuro sviluppo economico del territorio: quello autolesionista scolpito dalle logistiche e dai Centri commerciali che già saturano «una provincia dove transita e si consuma una ricchezza prodotta altrove», avverte Majocchi. Quello altrettanto autolesionista dell’autostrada da Broni a Mortara / Stroppiana, che ogni giorno delocalizzerà traffico inquinante in provincia di Pavia, avversando lo sviluppo sostenibile della valorizzazione agricola, ambientale e culturale (i beni monumentali) che sarebbe altrimenti foriero di lavoro qualificato.
Alternative? Ad esempio, quelle coltivabili nel grandioso parco Visconteo attorno a Borgarello, teatro della storica battaglia di Pavia che nel 1525 vide fronteggiarsi il re di Francia Francesco I e quello spagnolo Carlo V d’Asburgo, re dei romani. E contemporaneamente valorizzando il meraviglioso complesso monumentale della Certosa nonché il napoleonico Naviglio pavese: impreziosito da ben dodici conche leonardesche, è un’opera di ingegneria idraulica che ha fatto scuola, un museo a cielo aperto che andrebbe recuperato come collegamento navale tra il pavese Borgo Calvenzano e il Monumento (e non certo per andare a far spesa all’iper).
Contraddizione nella contraddizione, nel nome dell’identità padana, il Piano territoriale regionale d’area dei Navigli lombardi insiste sui valori territoriali e sulla tutela ambientale così che «i benefici di tipo economico (turismo, energia rinnovabile, agricoltura sostenibile) possano combinarsi con la tutela e l’incremento, nel tempo, dei beni stessi».
Il Piano sottopone a tutela la fascia di 100 metri dalle sponde, estesa a 500 allo scopo di preservare le aree agricole. Servirebbero politiche nutrite da visioni e lungimiranze. Mentre a Borgarello…
A Borgarello un altro Piano, quello di lottizzazione, prevede un Centro commerciale dal nome altisonante di “Factoria” sopra un’area di ben 217.449 metri quadrati, a pochi passi dal corso d’acqua del Naviglio e dal Monumento della Certosa, in sostituzione dei campi. Un intendimento autolesionista, poiché in spregio al paesaggio e al pubblico interesse, alle norme e al buonsenso. Elusa in particolare la Valutazione di impatto ambientale (Via), obbligatoria. Lo puntualizzano Legambiente e Italia Nostra; lo ha confermato il 9 agosto 2013 una sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia.
Come si legge nelle Motivazioni del Tar in accoglimento del ricorso inoltrato dalle due associazioni, «la struttura di vendita di cui è causa, essendo collocata ad una distanza inferiore a cinquecento metri dalla sponda del Naviglio, incide sulla fascia di tutela prevista dal Piano territoriale regionale d’area (Ptra) dei Navigli lombardi, approvato con deliberazione di Consiglio regionale 16 novembre 2010 n. IX/72, il quale ha istituito tale fascia al fine di delimitare uno spazio di salvaguardia delle aree contigue al corso d’acqua onde conservare le rilevanze paesaggistiche e valorizzare i contesti rurali ivi insistenti». Ne consegue che «le aree inserite nella suddetta fascia di tutela debbono ritenersi aree di interesse paesaggistico, sottoposte ai vincoli».
Quanto alla Valutazione di impatto ambientale, disattesa, i giudici osservano che «i progetti relativi a strutture di vendita incidenti su tali aree debbono essere preventivamente sottoposti a procedura di verifica di assoggettabilità a Via», lamentando che «le Amministrazioni procedenti, prima di autorizzare l’intervento di cui è causa, avrebbero dovuto attivare la procedura».
Al solito, lorsignori hanno provato a dipingerla come una indispensabile fonte per l’occupazione. È vero il contrario: secondo Confcommercio il nuovo ipermercato procurerebbe 279 nuovi posti di lavoro – malpagati e con un’ampia percentuale di contratti a tempo determinato e part-time – e per contro se ne perderebbero 573: sarebbero dunque ben 294 posti di lavoro perduti. E pietra tombale sui negozi della zona. Il dato è per difetto. Alcune recenti ricerche francesi dimostrano che un posto di lavoro precario nella grande distribuzione ne distrugge cinque – e fissi – nei negozi di vicinato. In Francia, giˆ alla fine degli anni Settanta l’espansionismo del modello iper aveva cancellato il 17 per cento dei panifici, l’84 per cento dei negozi alimentari, il 43 per cento dei ferramenta.
Sono numeri allarmanti, che trovano conferma in una indagine della Cgia (l’associazione delle piccole imprese artigiane) di Mestre: in Italia, tra il 2001 e il 2009 si è registrato un aumento di poco più di 21.000 addetti nella grande distribuzione ma specularmente si sono persi quasi 130.000 (centotrentamila!) posti di lavoro nelle piccole botteghe. Vale a dire che per ogni nuovo occupato in un Centro commerciale, si perdono sei posti di lavoro tra i piccoli negozianti obbligati a chiudere i battenti.
Figurarsi a Pavia, luogo dove il piccolo commercio è letteralmente soffocato da quattro “iper” (San Martino e Vigentina, oltre ai vicini centri commerciali di Assago e Montebello) e da una moltitudine di “super”. Se la provincia ne è più che satura, se sarà devastante per il paesaggio, se intaserà di traffico inquinante il breve tratto tra Pavia e il nuovo Centro, se non porterà altri posti di lavoro, se danneggerà l’economia in generale e il commercio di vicinato in particolare, se toglierà alle persone anziane i negozi sotto casa, se la chiusura dei negozi immiserirà i già miseri rapporti sociali e peggiorerà la già povera vita degli abitanti, se la cultura “iper” non risponde al pubblico interesse, se tra i visitatori delle nuove Agorà uno solo su tre compra qualcosa, se… se… se… allora perché progettarne un altro? Semplice: è conveniente per gli speculatori. Tuttavia il cinema o le merci sugli scaffali sono la nuda foglia di fico, il sottoprodotto del bottino vero, quello della variazione di destinazione d’uso dei suoli (per “decisione” della pubblica amministrazione) il cui valore lievita a ogni passaggio di mano e soprattutto può muovere denaro, di non sempre limpida provenienza.
Conviene dunque a chi detiene capitali da investire (immobiliaristi, faccendieri, affaristi) o liquidità criminali da dilavare (le mafie). Soldi che vorticosamente “transiteranno”, così come abbiamo visto transitare, si diceva, dal vicino Carrefour pavese lungo la Vigentina: stesso parco Visconteo, stesse menzogne; come i 100 nuovi posti di lavoro annunciati in Consiglio comunale nel 2007 dall’assessore pavese all’urbanistica Franco Sacchi (Pd) che, nella realtà, si risolsero in lavoro precario, sfruttamento, contratti di pochi mesi.
Centro commerciale “Factoria” di Borgarello e Carrefour pavese: troppe simmetrie, come i discutibili passaggi amministrativi nel segno del mancato rispetto delle norme. Ad esempio: il progettista. Caso vuole che il progetto del mega-centro commerciale di Borgarello rechi la firma dell’ingegner Beppe Masia, che era il responsabile dell’ufficio tecnico comunale proprio mentre si elaborava il Piano di governo del territorio (Pgt). Dunque anche Masia era al tempo stesso controllore e controllato. Secondo Legambiente, questo stesso Pgt risulta carente in tema di partecipazione e trasparenza, oltre che in contrasto – come accennato – con il Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) e con la pianificazione paesistica regionale vigente. L’ingegnere figura anche tra i componenti la commissione che il 16 gennaio 2010 ha assegnato alla Pfp di Carlo Chiriaco l’appalto per l’edificazione dell’area Peep di Borgarello in via Di Vittorio; quell’appalto che ha portato in cella anche Giovanni Valdes (il sindaco a Chiriaco: «è un po’ sporca ma la facciamo»), a capo di una Giunta di cui era autorevole componente l’assessore Antonio Bertucca, figlio del capo della ’Ndrangheta pavese Francesco Bertucca, l’imprenditore edile condannato in primo grado il 19 novembre 2011 a sei anni di reclusione per associazione mafiosa (pena sostanzialmente confermata in appello – 4 anni e 8 mesi – il 23 aprile 2013).
Come si è detto, il Centro commerciale “Factoria” viene approvato da quel Consiglio comunale il 12 luglio 2010, solo poche ore prima della storica retata antindrangheta la mattina successiva (304 arresti nell’ambito delle inchieste Infinito e Crimine). Nella convenzione tra il Comune e la Progetto commerciale srl, leggiamo di «parcheggi pubblici – a spese del lottizzante – per complessivi mq. 53.700 da approntarsi in massima parte all’interno ed entro la sagoma del complesso», ovvero funzionali solo all’ipermercato. Leggiamo anche di un’area verde di rispetto (obbligatoria) qui chiamata Parco pubblico tematico “del Navigliaccio” (32.700 mq), Parco da realizzare «integralmente a propria cura e spese e successivamente da cedere a titolo gratuito» al Comune, fatto salvo che questi stessi costi verranno stornati dagli oneri di urbanizzazione secondaria («Atteso, peraltro, che il valore complessivo dell’opera di urbanizzazione secondaria dedotta a scomputo – pari ad euro 865.933,02 – è inferiore agli oneri di urbanizzazione secondaria dovuti – pari ad euro 1.164.600 – la lottizzante si impegna a corrispondere al Comune la relativa differenza»). Ma la vera chicca è l’impegno «a mettere a disposizione dell’Ente il complessivo importo di euro 8.945.000», 6.500.000 dei quali destinati all’«approntamento di nuovo tratto di strada» e di ben tre ponti a sostanziale uso e consumo dell’iper e – come sembra – senza alcun collegamento con la tangenziale pavese.
Se malauguratamente la lottizzazione procedesse, chi dovrà infine completare le infrastrutture e in particolare i ponti? A quali costi? A carico di chi? Dei privati lottizzanti o della pubblica amministrazione?
Dal 2009, da quando nel Pgt di Borgarello questi terreni agricoli sono stati derubricati a commerciale, la società bergamasca proprietaria dell’area è tenuta a versare al Comune i relativi oneri. «La Progetto commerciale ottempera, anche economicamente, ai propri doveri senza che ne vengano rispettati i diritti», ha lamentato l’ex sindaco postcomunista Donato Rovelli, ora a destra, tra i più accesi fautori del Centro commerciale: secondo Rovelli, «La politica continua a non dare le risposte che per legge deve dare».
L’ex pubblico amministratore Donato Rovelli figura quale privato acquirente di due estese aree agricole presso Certosa, sopra cui dovrebbe passare la strada per il Centro commerciale. Le ha ottenute a un prezzo inferiore a quello agricolo e persino «irrisorio rispetto al valore di quei terreni». Lo si legge in un Atto giudiziario del 16 gennaio 2013. L’ex sindaco, fautore del progetto, più di altri e per tempo era a conoscenza del destino di quei campi. Del resto, di menzogne e omissioni in questa storia se ne riscontrano parecchie. E particolarmente odiose sono quelle patite da un imprenditore agricolo affetto da una retinopatia pigmentosa, un grave handicap visivo.
Ma andiamo con ordine, a partire dal 2007, anno in cui l’inconsapevole imprenditore, vedendo peggiorare il deficit visivo che lo affliggeva, accetta di vendere parte dei suoi terreni alla G.E. srl di Emanuele Forte (un promotore finanziario di Certosa molto vivace anche nel settore immobiliare) «ad un prezzo – si legge nell’Atto – inferiore di almeno la metà rispetto al valore reale dei terreni».
Due anni dopo, il promotore finanziario induce il cliente a sottoscrivere una procura generale in suo favore. Si riscontrerà poi che, a sua insaputa, Forte l’aveva utilizzata «per gestire il capitale, accumulato dall’agricoltore nel corso di una vita, impiegandolo in diverse operazioni finanziarie e aprendo numerosi conti correnti presso la filiale milanese della Ubi Banca private Investment», in contrasto con l’obbligo di agire nell’interesse del suo cliente, così «da arrecare a quest’ultimo un grave pregiudizio economico». Per questo motivo il 12 maggio 2012 l’agricoltore decide di revocare la procura al “suo” promotore finanziario.
In certi ambienti una tale revoca può aver generato allarme, e qualcuno ha forse pensato che ghiotti affari fossero prossimi a sfumare. Chi? Forte? Altri rimasti e Rovelli provano allora a “metterci la faccia” passando all’azione. Occorre qui nuovamente prestare attenzione alle date, alle ore e persino ai minuti.
25 maggio 2012, ore 11,32: la revoca della procura viene notificata al notaio Trotta, presso il quale era stata sottoscritta (sì, proprio lui: lo stesso notaio che ha avallato l’illecito urbanistico di Green Campus a Pavia).
25 maggio, ore 17,30: brandendo la procura ormai cartastraccia, Emanuele Forte sottoscrive presso il notaio Accolla di Voghera un contratto preliminare di compravendita dei terreni con l’ex sindaco Donato Rovelli quale acquirente, ad un costo, lo si è detto, «irrisorio, in considerazione del progetto commerciale». Fra l’altro, nell’illecito preliminare si conviene che il dovuto sarebbe stato onorato solo al momento del rogito, da stipularsi entro i successivi 5 anni, e tanto meno si annunciano caparre o cauzioni prima di un anno: curiosamente, sono clausole «rigide per la parte venditrice ed estremamente elastiche e convenienti per l’acquirente». Non solo: in forza della procura ormai decaduta, il Forte si obbliga a riacquistare ritagli di proprietà – anche mere frattaglie – a insindacabile giudizio dell’acquirente, e cioè di Rovelli. A compimento dell’opera, lo stesso 25 maggio Forte cedeva all’ex sindaco di Borgarello anche i terreni acquistati nel 2007 dall’agricoltore.
Altro che fautore dell’interesse del suo cliente: prevedendo solo obblighi a carico del venditore da lui peraltro illecitamente rappresentato – stando all’Atto – Emanuele Forte avrebbe dato luogo a «una vendita meramente simulata», in sostanziale comunanza di interessi con Donato Rovelli.
Non è finita: a fronte delle più che giustificate rimostranze del contadino, l’ex sindaco cede il preliminare di compravendita dei terreni acquisiti in modo «illecito e fraudolento» ad una società, la Due srl «all’uopo costituita» il 25 luglio 2012 (al solito con la generosa penna del notaio Trotta), di cui è amministratore unico il figlio Gabriele Rovelli, e «la cui compagine sociale è opportunamente occultata da una fiduciaria, tale Fider srl».
Insomma, delle due l’una: come leggiamo, «O si tratta di un atto simulato e quindi nullo, perché volto a creare un’interposizione fittizia. O si tratta di un’interposizione reale, ma sempre nulla volta a determinare un mero vincolo, che impedisse alla revoca della procura a far riacquistare il bene all’agricoltore, e quindi illecita e fraudolenta».
Ancora una volta siamo chiamati a misurarci con storie di speculazioni, terreni comprati e poco dopo rivenduti a cifre ampiamente superiori, tali da fruttare plusvalenze milionarie. Sia chiaro, speculare può essere moralmente riprovevole, ma di per sé non costituisce reato. Tuttavia, per chi sta in “buoni” giri, per chi gode di entrature e larghe o strette intese con la pubblica amministrazione, fare affari è un gioco da ragazzi: suoli “eccellenti” comprati al prezzo “agricolo” da speculatori, faccendieri o società immobiliari e dati in pasto a costruttori o società commerciali, insieme a benevole autorizzazioni o certificazioni a firma di altrettanto benevoli pubblici dipendenti.
(Giovanni Giovannetti, Comprati e venduti, Effigie 2013, pp. 123-33)
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