di Giovanni Giovannetti
La guerra d’Ucraina e il pericolo di una escalation nucleare
Fossi in Russia sarei stato con quelli che nel marzo scorso a San Pietroburgo sono scesi in piazza contro la guerra. Contro tutte le guerre, anche quelle dimenticate dai media, e per ricordare quelle più o meno concluse (in Iraq, in Libia, in Somalia, in Afghanistan, in Siria, nei Balcani…), vedi caso fomentate dagli stessi “esportatori di democrazia” che, eludendo accordi e buon senso, negli ultimi trent’anni hanno irresponsabilmente tirato la corda avvicinando alla Russia le loro basi missilistiche, entro pericolosi e superati modelli da “guerra fredda”. Sono gli stessi che ora manifestano la loro indignazione (solo quella) a fronte della reazione, terroristica e criminale quanto si vuole, ma prevedibile, di Putin. Non si provoca chi dispone di un arsenale con oltre seimila testate nucleari. E se le parole hanno un senso, è dal 2007 che Mosca avverte l’Occidente che non avrebbe più tollerato l’espansionismo della Nato nell’Est europeo. E poiché ormai si fa un uso strategico dell’informazione – come se l’Occidente e solo l’Occidente fosse nel giusto, anche moralmente – provo allora a proporre pochi scarni appunti sul conflitto. Sono lo sguardo di chi avrebbe preferito un’Europa dei popoli (non questa, impotente e anemica, dei banchieri e delle aristocrazie finanziarie) e una difesa comune europea, non più delegata a potenze imperialiste per quanto d’“occidente”, come del resto era nelle intenzioni di Altiero Spinelli, di Ernesto Rossi e di Eugenio Colorni, “padri” europei tanto citati quanto ignorati, nel loro Manifesto di Ventotene.
Siamo tutti europei
Dopo l’implosione dell’Unione sovietica, da subito gli Stati uniti hanno avversato qualsiasi ipotesi neo-atlantica europea, inclusiva di una qualche forma di ponte commerciale e culturale con la Russia. All’opposto, hanno favorito l’ascesa a Mosca di una classe dirigente nazionalista, permalosa e guerrafondaia e riposizionato la “guerra fredda”, portando il campo Nato a due passi dal Cremlino. E se Mosca ha ciò che gli europei d’occidente non hanno (l’appoggio nemmeno tanto velato di due terzi del pianeta), gli europei esibiscono ciò che Mosca non ha: un bel guinzaglio che da Washington tiene a bada la vassalla di Bruxelles e Strasburgo, quell’Europa dei banchieri scesa in campo brandendo le sanzioni tafazziane dettate da Washington che, all’opposto, hanno rafforzato il rublo, più che raddoppiato l’export di gas e petrolio verso l’Europa bisognosa di scorte (tradotto in dollari fanno 95 miliardi, a finanziare la guerra in corso) e indotto Mosca ad un repentino abbraccio strategico, politico e commerciale – e presto militare – con la Cina, un tempo nemica. Insomma, il conto salato di questa guerra evitabile al momento lo pagano gli europei, palesemente inabili a imporre e persino esporre i loro interessi, specie quando divergono da quelli di Washington (il “popolo americano” non ha problemi di rifornimento energetico, e nell’Oregon manco sanno dove si trovi l’Ucraina…). Di una politica estera e di un esercito europeo che restituisca all’Europa reale autonomia e voce in capitolo, beh, di queste cose – nonostante le guerre balcaniche degli anni Ottanta e Novanta e nonostante l’Ucraina – forse ne riparleremo al prossimo giro («l’Europa si fotta», disse il sottosegretario di Stato Usa per gli affari europei Victoria Nuland all’ambasciatore a Kiev Geoffrey Pyatt, vent’anni dopo le bombe su Belgrado).
Solo cercare la pace è normale
«Questa guerra è anche il fallimento dell’umanesimo cristiano», come ha scritto Luigino Bruni su “Avvenire”: «Ci volevano tremila anni di Bibbia e duemila anni di Cristianesimo per rispondere ad una invasione militare con il mestiere delle armi?! Quale creatività politica ci hanno insegnato Abele, Abigail, Cristo, Francesco, i martiri, i santi, le madri? Ai carri armati abbiamo solo saputo rispondere con altri carri armati, alle bombe con altre bombe, alle mine con altre mine più moderne, al sangue umano con altrettanto sangue umano che non smette di odorare nel suolo della nostra terra. E noi lo consideriamo normale, necessario, magari addirittura giusto. Noi, noi cristiani, che frequentiamo i sacramenti, che facciamo gli incontri sulla Parola di vita, le adorazioni del Santissimo, che mandiamo aiuti umanitari, che accogliamo dentro casa anche i profughi… Non è normale, niente è normale in questa guerra e in ogni guerra: solo cercare la pace è normale, solo far cessare ora la guerra è normale. Questa guerra, e tutte le guerre. Il resto è solo disumanesimo, è anti-cristianesimo, terra al di fuori del Regno dei cieli. La sola guerra giusta è quella che riusciamo a non fare».
Bruni si domanda poi se i Vangeli sono solo pagine da leggere durante la messa (e Giorgio La Pira ne converrebbe).
Rischio nucleare “tattico”, «purché in Europa…»
«Se la Russia fosse certa di non scatenare una ritorsione sul proprio territorio “limitandosi” alle armi nucleari tattiche, potrebbe usarle per prima. Non è escluso che nel frattempo gli Usa abbiano già garantito questa certezza e si siano convinti che l’Ucraina non vale il rischio di un conflitto nucleare che coinvolga i territori Usa. Biden lo ha detto più volte». Sono parole del generale Fabio Mini, ex capo di stato maggiore del Comando Nato delle forze Alleate del Sud Europa. Mini ha aggiunto che, nel caso, gli Stati uniti non risponderebbero pan per focaccia, «purché si rimanga in Europa, Russia esclusa». Al dunque, «mentre sembra facile eliminare il rischio di guerra globale termonucleare con un semplice “gentlemen agreement” fra Usa e Russia o il rispetto dei trattati esistenti, è quasi impossibile eliminare il rischio di guerra nucleare tattica in Europa», e «chi detiene armi e potere si è già impegnato direttamente in un conflitto che certamente porta alla distruzione dell’Ucraina e dell’Europa». Prepariamoci. Oppure si dia finalmente retta al ripetuto appello di Papa Francesco: «chi può si dia veramente da fare per i negoziati».
Russi affamatori?
Leggendo i giornali e ascoltando i notiziari televisivi, mi ero convinto che i russi stessero cinicamente usando il grano come arma di pressione contro l’Occidente fautore delle sanzioni. Secondo “La civiltà cattolica” di luglio-agosto 2022 parrebbe vero il contrario: don Fernando de la Iglesia scrive infatti che attualmente i cereali russi (primo esportatore al mondo) «sono inutilizzabili per le sanzioni». Dunque, stando allo studioso, le sanzioni sarebbero semmai la causa, e non l’effetto, della mancata esportazione di quella rilevante quota di granaglie. Leggo poi che a rendere esplosiva l’attuale crisi alimentare hanno contribuito «le guerre» (al plurale) e da ultimo il Covid. Ma a determinare la grande speculazione sui prezzi degli alimenti concorrono in primo luogo quattro multinazionali occidentali che controllano il mercato dei cereali e delle granaglie, quelle che gli analisti chiamano le “ABCD”: la Archer Daniels Midland (Stati uniti); la Bunge (Stati uniti); la Cargill (Stati uniti) e la francese Dreyfus. Nel mondo si stima che circa 800 milioni di persone stiano patendo la fame. E dire che «l’agricoltura mondiale potrebbe alimentare senza problemi 12 miliardi di esseri umani». Non lo sapevo. Ora lo so.
Armi all’Ucraina, soldi a Putin
Il rischio che la russa Gazprom (multinazionale dell’energia controllata dallo Stato) chiuda i rubinetti del gas metano, lasciandoci a becco asciutto nel prossimo inverno, di certo non fa dormire sonni tranquilli. Così lunedì 18 luglio, di primo mattino, il premier Mario Draghi e un nutrito drappello di ministri (Di Maio, Lamorgese, Cartabia, Cingolani, Giovannini e Bonetti) giungono ad Algeri per formalizzare l’acquisto di altri 9 miliardi di metri cubi di gas, ottenuti al prezzo di 4 miliardi di dollari spalmati da qui al 2024. Formidabile: d’ora in poi il nostro primo fornitore di gas naturale sarà l’Algeria, e non più la Russia. Altro che sanzioni, la diversificazione dei fornitori, con Algeri capofila, parrebbe una formidabile sberla assestata ai guerrafondai moscoviti, tanto che a taluni ministri presenti non par vero di potersene gloriare ai microfoni compiacenti e compiaciuti delle tivù di Stato italiane: come ha detto il ministro degli Esteri Luigi di Maio, «Con l’Algeria avremo una partnership energetica più forte che ci consentirà di mitigare gli effetti delle sanzioni alla Russia», e ben di meglio «c’è una grande disponibilità da parte dell’Algeria a sostenerci sia nel breve, medio e lungo periodo». Non fosse che…
…dal febbraio scorso l’azienda di Stato algerina Sonatrach ha avviato una partnership proprio con Gazprom, per la ristrutturazione degli impianti e del sistema di gestione, la ricerca, l’estrazione e lo sfruttamento commerciale di 24 nuovi giacimenti di gas, a partire dal formidabile giacimento di Ben Assel: alla Sonatrach il 51 per cento; alla Gazprom il 49 per cento. Un accordo comprensivo, in prospettiva, del nucleare civile.
Al dunque, il punto non è smettere di comprare il gas russo o russo-algerino. Ne abbiamo bisogno e quindi va fatto (e la cooperazione economica e militare tra Algeri e Mosca data al 1962, l’anno della indipendenza dalla Francia e della guerra civile). Ma si dicano le cose come stanno; si dica che, spalle al muro, in questo momento siamo costretti a comprare il gas da Gazprom, e che anche parte del gas algerino è di Gazprom. E di conseguenza, tuttora, assieme ad altri Paesi europei stiamo finanziando la guerra russa all’Ucraina (dal 24 febbraio scorso a oggi, Mosca ha raddoppiato i proventi dall’export di gas e petrolio). Bella ipocrisia, non diversa dal sanzionare la Russia e contemporaneamente starci in affari. Armi all’Ucraina, soldi a Putin. Meraviglioso.
21 luglio 2022 alle 16:36 |
L’ENI era in Algeria molto prima di Gazprom.
https://www.eni.com/it-IT/chi-siamo/enrico-mattei-algeria-libro.html
21 luglio 2022 alle 17:25 |
…anche perché Gazprom viene fondata nel 1989. Di questa faccenda ho scritto ampiamente in postfazione a “L’Uragano Cefis” di Fabrizio De Masi (Effigie 2022). Detto in estrema sintesi, i rapporti tra l’Eni di Mattei e la resistenza algerina datano a poco prima dell’indipendenza nazionale del 1962. Mattei ha sostenuto materialmente e politicamente Ben Bella e l’Eni è stato consigliere occulto di Algeri al tavolo delle trattative con i francesi. Mattei lo ammazzano pochi giorni prima di un suo viaggio ad Algeri.