Bambini ucraini rapiti

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Un orrore di cui tanto si parla ma poco o punto si sa
di Giovanni Giovannetti

Stando al consigliere del sindaco ucraino di Mariupol Petro Andriushchenko, nella città martire «i militari russi hanno portato via con la forza circa 150 bambini; erano ricoverati in un ospedale» (18 aprile), per trasferirli nel Donetsk occupato.
No, contrordine: lo stesso 18 aprile, il presidente della Repubblica ucraina Volodymyr Zelensky denuncia la scomparsa di «circa 5mila bambini deportati dalla regione di Mariupol in Russia».
Di più, molti di più: è ancora Zelensky il 14 luglio a segnalare che «230mila bambini sono stati rapiti dai russi». Ma non erano cinquemila? Già, cinquemila nella sola regione di Mariupol. Sta a dire che i rimanenti 225mila erano forse stati presi in altre parti del Paese?, in regioni neanche lambite dalla guerra?
Anche i numeri offerti da Mosca destano perplessità: secondo Interfax, tra febbraio e giugno 1,9 milioni di persone, di cui 307.423 bambini, «sono state evacuate in Russia dalle regioni in guerra di Donetsk e Lugansk» (18 giugno), a fronte, dicono in Ucraina, «di 5.097 denunce di rapimenti di minori».

I conti non tornano

La narrazione dei bimbi rapiti oppure crudelmente uccisi è un topos ricorrente nella propaganda bellica di tutti i tempi, tendente a screditare il nemico. In tempo di pace lo si era detto anche degli zingari sporchi brutti e cattivi; e ora dei russi.
Zelensky è in guerra, Putin è in guerra, le “fonti” sono tossiche o di parte e le tivù di Stato italiane passano senza alcun vaglio le “veline” di Kiev, mentre scarseggiano quelle fonti “indipendenti” che, in surroga al servizio pubblico, permetterebbero di fare luce sulla poco edificante faccenda.
Difficile venirne a capo, ma è probabile che i russi abbiano sfollato oltre confine (secondo Kiev, «deportato») quasi due milioni di ucraini russofoni. Gli esuli sono ospitati in 9.500 centri di accoglienza temporanea, campi di smistamento e alberghi come quello di Belgorod (Russia) raccontato da Alessandro Di Battista sul “Fatto quotidiano” il 17 luglio scorso: «l’hotel è affollato di bambini e di ragazzi. I piccoli hanno a disposizione una stanza giochi dove lavorano due animatrici. Gli adolescenti passano il tempo giocando con il cellulare o provando balletti», scrive Di Battista, raccontando ciò che vede.
Un passo di lato ed eccoci a Donetsk. Qui una troupe di “Report” (Rai tre) ha potuto intervistare alcune donne fuggite da Mariupol, bypassando la disinformathia speculare di Mosca e Kiev: «L’Ucraina ha affermato che la Russia sta deportando le persone da Mariupol», domanda Manuele Bonaccorsi di “Report”: «Ma smettetela!», risponde una di loro; e l’amica che le sta accanto: «Nessuno ci ha deportato. Stiamo solo lasciando l’inferno. Abbiamo persone sepolte sotto ogni casa, ci sono croci in tutte le strade. Hanno messo l’artiglieria tra gli edifici residenziali anche se c’era scritto “bambini” sui muri»; quelli del battaglione Azov «ci hanno usati come uno scudo umano». Sei milioni di ucraini sono fuggiti dalla guerra verso occidente e altri due milioni verso Oriente. Ma i primi sono «esuli», i secondi «illegalmente deportati».
Altrettanto vero che i «deportati» (quasi tutti russofoni) potranno ottenere la cittadinanza russa attraverso una procedura semplificata. In particolare, le porte sono aperte per «gli orfani o i bambini ucraini lasciati senza cure parentali». Una norma che si applica tanto ai profughi finiti in Russia, quanto ai ragazzi che risiedono nei territori di Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia. Del resto Gian Micalessin (altro veterano del giornalismo d’inchiesta che da anni segue il conflitto nel Donbas) riferisce che da quelle parti i russi vengono applauditi come liberatori.
Bambini «deucranizzati»? Mi domando: se una famiglia italiana adotta un bambino ucraino e lo fa studiare in una scuola pubblica e questo bambino impara quanto meno la nostra lingua (da febbraio ne sono giunti 8.885, già accolti e inseriti nelle scuole italiane di ogni ordine e grado), lo si «deucranizza»?

Bambini deportati?

Qualcuno, pasteggiando a popcorn, lo ha definito «un orrore per certi versi simile a quello dei figli dei desaparecidos argentini». Ma sembra vero il contrario, e cioè che questi bambini esuli, in Europa come in Russia, sono ora in luogo più sicuro e lontani dalla guerra. È solo una questione di punti di vista, si dirà, ma come stiano davvero le cose, da una poltrona nessuno può saperlo. Possono invece dirlo Di Battista, Bonaccorsi e tutti coloro che meritoriamente hanno provato a vederci chiaro.
Quanto agli orfani, scrive Ilaria Romano in openmigration.org, «Prima del 24 febbraio, in Ucraina esistevano 702 istituti tra orfanotrofi, strutture sanitarie pediatriche di riabilitazione, case famiglia; alcuni statali, altri privati e gestiti da associazioni e organizzazioni non governative locali e straniere. Di questi, 264 sono stati evacuati per ragioni di sicurezza, per un totale di 6.465 bambini e adolescenti residenti, riallocati in altre zone del Paese (2.375) o all’estero (4.090)».
Sono forse loro i “5mila” «deportati» a cui allude Zelensky? Come darne conto, ma il 47 per cento di questi bambini è ora in Polonia, campione d’accoglienza. Seguono la Germania (il 14 per cento); l’Austria (il 6); l’Italia (il 5); la Turchia (il 4); la Repubblica Ceca, la Spagna e i Paesi Bassi (il 3); la Svizzera e la Romania (il 2).

Trafficanti di esseri umani

Ma la vera piaga (bambini morti per la guerra di Putin a parte) a noi pare quella dei tanti minori spariti nel nulla perché senza genitori o tutori e finiti nell’orbita dei trafficanti di esseri umani o nelle reti della pedofilia, quando non dei trafficanti d’organi. Come ha detto Ernesto Caffo (“Telefono azzurro”), di questi bambini ucraini «se ne parla pochissimo, sono invisibili, arrivano in questi centri enormi» – Caffo parla dalla Polonia – «ma nessuno ha traccia di dove vanno». E poi «Il traffico è un tema che non piace a nessuno ma è una realtà drammaticamente presente e in questo caso ci sono tutti i fattori che possono facilitarlo».

Un’ultima annotazione. Leggo che «i ricercatori di Disability Rights International (una charity statunitense) hanno documentato situazioni critiche e abbandono emotivo dei bambini con disabilità in carico alle strutture residenziali ucraine. Il personale non ha risorse o conoscenze su come rispondere ai bisogni degli ospiti, se non provvedere a trattenerli per gran parte della giornata. Il rapporto denuncia tali situazioni, preesistenti alla realtà attuale connotata dalla guerra. Le risorse e il personale per l’assistenza medica e il supporto erano scarsi prima della guerra e lo sono oggi. In alcuni casi, l’assenza di risposte assistenziali necessarie sono state verificate anche in presenza di gravi malattie o handicap» (Left Behind in the War: Dangers Facing Children with Disabilities In Ukraine’s Orphanages, welforum.it). Ma tutto questo non ditelo ai fautori della disinformathia poltronaia, di Stato o meno: per loro i russi, e solo i russi, mangiano bambini e non popcorn. (G.G.)

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