di Giovanni Giovannetti
Il 14 ottobre 2022 ricorre il decimo anniversario della riapertura del Duomo di Pavia dopo il drammatico crollo, il 17 marzo 1989, della contigua torre civica medievale e dopo i lavori di consolidamento che ne conseguirono. Il settimanale cattolico “Il Ticino” dedica a questo anniversario il numero odierno, pubblicando fra l’altro un mio contributo sul Duomo nelle carte di Leonardo da Vinci. (G.G.)
Leonardo da Vinci soggiornò varie volte a Pavia, capitale culturale del Ducato sforzesco, per poi tornarvi ripetutamente, l’ultima nel 1513. Nel giugno 1490, accompagnato dal grande architetto ingegnere e artista senese Francesco di Giorgio Martini, visitò il cantiere del nuovo Duomo, inaugurato due anni prima dal fratello di Ludovico il Moro, il cardinale Ascanio Sforza, vescovo di Pavia dal 1476. I due illustri consulenti e il loro seguito alloggiarono alla locanda del Saracino, accanto alla chiesa di Santa Maria Gualtieri, come documenta la nota di pagamento di 20 libbre disposto dalla “Fabbriceria” il 21 giugno: «Item die XXI Junii Johanni Augustino de Berneriis hospiti ad signum Saracini Papiae pro expensis sibi factis per Dominos Franciscum Senensem [Francesco di Giorgio Martini] et Leonardum Florentinum ingeniarios cum sociis et famulis suis et cum equis, qui ambo specialiter vocati fuerunt pro consultatione supra- scripte fabbricae (Ecclesie majoris Papie) in summa libr. XX».
Lo avremmo potuto leggere nel perduto Registro della Fabbrica del Duomo di Pavia. Lo si trova comunque citato nel 1816 dal conte Luigi Malaspina di Sannazzaro a pagina 28 del suo Memorie storiche della fabbrica della cattedrale di Pavia.
Leonardo architetto e ingegnere
Secondo Edmondo Solmi, il modello definitivo del Duomo di Pavia «venne fatto quasi esclusivamente sui disegni di Leonardo, tanto che nell’architettura della cattedrale pavese veniamo a possedere l’unico saggio compiuto dell’arte di costruzione chiesastica del Vinci». Sono parole audaci, ma forse di qualche senso.
Fra l’altro Carlo Pedretti (è il maggiore studioso di Leonardo) retrodata a quegli anni il Manoscritto B e i relativi disegni vinciani a croce greca riferiti al Duomo pavese (lo ha stabilito l’esame delle carte ai raggi ultravioletti) così come daterebbero al 1487-88 due schizzi architettonici contenuti nel Codice Atlantico (ai fogli 119 verso e 28 recto) «che avevano già fatto pensare a una idea per la cattedrale di Pavia», rendendo almeno ipotizzabile un coinvolgimento di Leonardo fin da subito (il primo progetto è del 1487 e la posa della prima pietra nell’anno successivo): «Si prospetterebbe così di riprendere la vecchia tesi del Solmi, o per lo meno qualche aspetto di essa» scrive Pedretti in Leonardo architetto, «tanto più che la data del Manoscritto B si è potuta accertare essere compresa tra il 1487 e il 1490. Si tratta di un periodo che corrisponde a quello degli inizi degli studi anatomici di Leonardo, e infatti alcuni fogli di anatomia a Windsor contengono studi anatomici che sono in diretto rapporto con il contenuto del Manoscritto B – e del resto sui primi fogli del Manoscritto B, si hanno annotazioni sulla proporzione degli arti che riflettono quelli di tutta la serie di fogli anatomici a Windsor». Visti ai raggi ultravioletti, i fogli anatomici di Windsor rivelano un’insospettata ricchezza di particolari, invisibili ad occhio nudo, «che equivale all’acquisizione di materiali inediti, in base ai quali si possono impostare nuove considerazioni sull’attività di Leonardo architetto a Pavia», specie a fronte degli esigui documenti sopravvissuti.
E tra questi rari documenti si fanno largo due missive, di rilevante significato indiziario, tra il duca reggente e il suo cancelliere. Con una lettera da Pavia al segretario ducale Bartolomeo Calco, l’8 giugno 1490 Ludovico il Moro sollecitò la presenza a Pavia per il già ricordato consulto dell’illustre «inzigniero senexe» Francesco di Giorgio Martini, giunto a Milano il 31 maggio, chiamato per il tiburio del Duomo milanese: «M[esse]r Bartolomeo. Questi deputati sopra la fabrica de la chiesa magiore de questa Cità ne hanno richiesto et factone grande istancia che vogliamo essere contenti de servirgli de quello inzigniero senexe, quale adoperano sopra la fabbrica del domo de Milano, per fargli vedere epsa chiesa: et desyderando noi de compiacergli per esser la richiesta loro honestissima, ve dicemo che dobbiate essere con li dicti Deputati, parlando ancora al dicto inzigniero, et fare che vegni qua a vedere questa fabrica. Luduvicus Maria Sforza etc».
Nel post-scriptum il Moro estese l’invito a «Magistro Leonardo fiorentino et magistro Jo. Antonio Amadeo» lasciando intravvedere, ha scritto Adriano Peroni, «come Leonardo fosse allora richiesto dalla Fabbriceria pavese (insieme con l’Amadeo), probabilmente in qualità di conoscitore già ben avvertito dei problemi architettonici della cattedrale». Il pavese Amadeo – preminente autore del progetto generale – in quei giorni era a Como «per impresa de non picol momento», come replicò Bartolomeo Calco al Moro il 10 giugno, e dovrà rinunciare. Poco dopo, Leonardo e Di Giorgio Martini a cavallo scenderanno a Pavia «cum sociis et famulis suis et cum equis».
A consulto sul Duomo pavese
Anna Maria Brizio non esita a definire «d’eccezionale importanza» il post-scriptum, ignorato anche da Solmi che pure «ha sostenuto ad oltranza» la partecipazione di Leonardo al primo progetto del Duomo pavese. Secondo la studiosa, «la precisa richiesta dei deputati pavesi, recepita e fatta propria dal Moro, di Leonardo e Giovan Antonio Amadeo insieme per eseguire il sopralluogo a fianco di Francesco di Giorgio significa, non mi par dubbio, che entrambi erano i due ingegneri più idonei a dare a Francesco di Giorgio le più esaurienti informazioni e chiarimenti circa i problemi e le soluzioni prospettate per la costruzione del Duomo di Pavia».
Insomma, «nel frattempo la partecipazione di Leonardo ai progetti e ai lavori per il Duomo pavese era andata crescendo in modo incidente» e la richiesta dei deputati non può che presupporre un suo coinvolgimento ben prima del 1490; anzi, lo rivelerebbe come «uno dei due ingegneri ducali maggiormente implicati nei lavori».
Ne I manoscritti e disegni di Leonardo da Vinci (1939), Adolfo Venturi annota simmetrie tra la veduta prospettica di una chiesa, abbozzata sul foglio veneziano n. 238, e la facciata del Duomo pavese (anche secondo Pedretti quel disegno «echeggia le articolazioni volumetriche del Duomo di Pavia»).
Si confronti poi il disegno a Venezia e lo stesso modello ligneo del Duomo pavese con la chiesa riconoscibile nell’incompiuto dipinto del San Girolamo, databile tra il 1485 e il 1490, ossia i primi anni di Leonardo presso il Moro (è l’opinione di Wilhelm Suida, sostanzialmente condivisa da Carmen Bambach, Pietro Cesare Marani, Edoardo Villata e Scott Nethersole), la cui committenza pavese è quanto meno presumibile. Ne consegue un deciso sostegno all’ipotesi che si tratti del Duomo di Pavia al cui progetto, come supponiamo, Leonardo concorre forse da subito.
San Pietro a Roma sul modello del Duomo pavese
In una lettera del Comune di Pavia al proprio vescovo cardinale Ascanio Maria Sforza relativa alla cattedrale (17 agosto 1487), vengono allegati alcuni disegni a similitudine di «Romae Sacris aedibus, atque vel in primis cum illo S.tae Sophiae Constantinopolis celeberrimo omnium Templo», a similitudine delle Chiese romane, e in particolare di Santa Sofia a Costantinopoli. Nella missiva compare un «perito architectore»: Giovanni Antonio Amadeo? Leonardo? Per Richard Schofield è probabile che fosse Donato Bramante.
«Son, Dei Gratia, pur giunto a Pavia / Benché arrostito son nella persona. / Ver è ch’in borsa un sol quattrin non suona / Tanta ell’ha di monete carestia».
È un sonetto del Bramante per l’amico e poeta Gasparo Visconti. Secondo Pedretti, «una visita di Leonardo a Pavia a quel tempo verrebbe a proporre la possibilità di una sua partecipazione alla prima fase dei progetti per la nuova cattedrale pavese, per cui non sarebbe da escludersi che Leonardo potesse infatti essere quel “perito architetto” al quale si allude nei documenti come autore dei primi disegni inviati al cardinale Ascanio Sforza a Roma. Ciò spiegherebbe le sorprendenti affinità rilevate dal Solmi fra certi disegni di chiese nel Manoscritto B e la concezione architettonica che andava prendendo corpo nel modello del Rocchi [si tratta del modello ligneo del Duomo pavese, un’opera di Cristoforo Rocchi e di Giovanni Pietro Fugazza conservata ai Civici musei di Pavia], e spiegherebbe inoltre perché, quando nel 1490 Leonardo fu chiamato a Pavia per un consulto sui lavori a quella cattedrale, veniva considerato (e spetta ad Anna Maria Brizio il merito di averlo rilevato) alla pari di Francesco di Giorgio e dell’Amadeo. È dunque probabile che Leonardo si trovasse a Pavia il 29 giugno 1488 quando fu posta la prima pietra della nuova cattedrale, oppure il 22 agosto dello stesso anno, quando un comitato di esperti con a capo il Bramante si riuniva per esaminare “certa disegna et certos modellos” preparati dal Rocchi e dall’Amadeo».
Per Solmi e Pedretti «i disegni di chiese nel Manoscritto B che potrebbero assegnarsi ai primi progetti o idee per la nuova cattedrale pavese sono […] quelli ai fogli 24 recto, 52 recto (un foglio con schizzi di lavoratori) e 55 recto»; quest’ultimo foglio contiene anche il ricordo grafico della perduta chiesa pavese di Santa Maria alle Pertiche. Pedretti ci rammenta che «si tratta di disegni che sono spesso citati come anticipazioni del progetto bramantesco del nuovo San Pietro in Vaticano». A Roma si ha infatti «un ingrandimento quasi pantografico d’un effetto collaudato a Pavia e fors’anche a Vigevano», per quella piazza solo in apparenza simmetrica.
Dalla terra al cielo
Del tempo di Bramante e Leonardo, nella cattedrale pavese non restano che la cripta monumentale e parte del grande basamento absidale. A terminarlo non sono bastati cinquecento anni; e il detto popolare la fabrica dal domm, a significare lungaggini, ben si attaglia al tormentato edificio, malamente ultimato nel 1933 a “ru- stico”, ovvero quasi senza rivestimento marmoreo (la stessa cupola “bramantesca”, temerariamente eretta da Carlo Maciachini su mandato del vescovo e cardinale Agostino Riboldi, è del 1885). Tra Sei e Ottocento alla guida del cantiere seguiranno Pellegrino Tibaldi, Benedetto Alfieri, Maciachini e Alessandro Antonelli; fino ai recenti lavori di consolidamento coordinati da Gianpaolo Calvi nel secondo Novecento, dopo il drammatico crollo della contigua Torre civica il 17 marzo 1989. Ma pare indubbia l’impronta bramantesca della griglia 8 per 8 e le relative combinazioni di multipli e sottomultipli. «L’ottagono è una figura simbolica importante» osserva Alberto Arecchi, «perché indica la transizione dal quadrato al cerchio, ossia dalla terra al cielo; simboleggia perciò la risurrezione e la rinascita».
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