Lettera aperta…

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…a una classe dirigente che a Pavia non c’è
di Giovanni Giovannetti

Con questo mio intervento, il settimanale della Diocesi pavese “il Ticino” inaugura un dibattito sulla via da intraprendere per risollevare Pavia dal coma profondo – politico, economico, spirituale – in cui attualmente versa. Capitale di regno al tempo dei Longobardi e poi capitale culturale del Ducato di Milano, dopo la chiusura delle sue importanti fabbriche (e il conseguente crepuscolo del manifatturiero) a Pavia primeggiano le economie parassitarie, nel cono d’ombra della sua storica Università: una città-dormitorio che manca di interrogarsi su un possibile futuro a vantaggio di tutti e non di pochi.

Cari pubblici amministratori del recente passato, di ora e del futuro; cari imprenditori locali, dirigenti di Fondazioni bancarie e mondo accademico, a Pavia stiamo rinunciando a valorizzare le nostre migliori potenzialità economiche e culturali, viste come fonte di occupazione. Abbandonata ogni aspirazione industriale o comunque produttiva, messa in naftalina la “Città dei congressi”, mai decollata la “Città dei saperi”, nuovamente si sono abbattuti i segni del passato industriale come la parte monumentale della Snia e il cosiddetto “Lingottino” della Necchi e avanza l’anonima rete commerciale di stoccaggio e vendita delle merci, a soffocare i negozi di vicinato e a costellare di future “aree dismesse” la pianura irrigua pavese. Il modello sta mostrando da tempo i suoi limiti.
Soffermiamoci allora su due parole “amiche”: «progetto» e «visioni». Pavia non può fare a meno del proprio rilancio, a partire dal censimento delle cose che già si fanno – un patrimonio da valorizzare – e delle idee sul da farsi. Al dunque, facciamo qualche esempio e alcune proposte.

Visitatori tutto l’anno

Manca tuttora una visione strategica d’insieme, quel progetto di città, alternativo all’attuale città-dormitorio, capace di coniugare la futuribile Città dei congressi con quella, egualmente a venire, dei Saperi e dei Sapori. Senza questa cornice ogni iniziativa, per quanto benemerita, è destinata a rimanere fine a sé stessa.
Pavia è luogo di transito, prima o dopo la visita al Monumento della Certosa. Un turismo “mordi e fuggi” che fa perno su Milano. Una tendenza da invertire, promuovendo la città e le sue peculiarità monumentali e gastronomiche come centro di un “sistema” che ramifica e fruttifica a sud nell’Oltrepo, a ovest in Lomellina, a nord alla Certosa e a est fino a Cremona, con una promozione coordinata degli eventi. Lo scopo non è fare un po’ di animazione culturale a uso e consumo dei locali come, ad esempio, lo era il Festival dei Saperi. Non guasta un po’ d’animazione, ma altra cosa è il marketing territoriale, altra cosa è portare visitatori a Pavia tutto l’anno e dare visibilità al territorio, puntando sulla città “sapiente” di Agostino, di Boezio, di Liutprando, di Petrarca, di Opicino, di Leonardo, di Cardano e tanti altri: Volta, Foscolo, Golgi, Milani, don Angelini…
La storia millenaria, le chiese romaniche, il parco fluviale, la campagna irrigua, le cascine storiche, le aree protette… Pavia offre molto, ma pochi ne sono al corrente.

Città dei Congressi

Pavia dovrebbe anzitutto dotarsi di un capace Centro congressi, senza il quale non si va da nessuna parte, e di conseguenza aumentare la ricezione alberghiera (in città come Mantova è dieci volte più alta): immaginate decine di migliaia di congressisti e accompagnatori che al loro ritorno si trasformano in gratuiti testimonial per Pavia e il suo territorio. Un Centro congressi era annunciato all’area Neca: lo hanno tolto, per fare spazio ad altra inutile edilizia commerciale e residenziale vista-ferrovia, più funzionale a una città-dormitorio per pendolari che alla “città dei saperi”.
Fingendo che l’urgenza di un Centro congressi torni d’attualità, a quel punto la futuribile Città dei saperi dovrebbe farsi ancora più attraente, migliorando l’offerta ricreativa d’intervento culturale, così da trattenere tra cotti e ciottolato i visitatori ora solo di passaggio. Come?
Penso una diversa gestione del complesso monumentale della Certosa (è proprietà del demanio), il più importante della Lombardia, provvedendo al suo restauro e ripristinando il biglietto d’ingresso, ridefinendolo altresì a luogo di raccoglimento spirituale.
Penso al grandioso parco tra il Castello visconteo e la sua Certosa, teatro della storica battaglia di Pavia che, nel 1525, vide fronteggiarsi il re di Francia Francesco I e quello spagnolo Carlo V d’Asburgo (a proposito: nel 2025 saranno cinquecento anni…). Penso dunque al parco “della battaglia” e a un museo multimediale da ospitare in Castello oppure, perché no, nell’antico maniero di Mirabello, oggi semi-abbandonato.
Penso a un percorso che colleghi fra loro i tanti luoghi cittadini vergati da Leonardo da Vinci nelle sue carte e nei suoi quaderni.
Ecco, Leonardo: penso a un museo interattivo dell’acqua, della navigazione fluviale e della civiltà industriale, al Castello o all’Idroscalo e collegato al parco del Naviglio, ovvero a un’opera di ingegneria idraulica che ha fatto scuola nel mondo: un potenziale museo a cielo aperto tra il pavese Borgo Calvenzano e la Certosa, con la possibilità di viaggiare in “nave” da Pavia al Monumento, tra conche e natura.
Penso a un Museo dell’arte contemporanea in una struttura polivalente (foss’anche in cima a un parcheggio multipiano in qualche area dismessa) insieme a cinema, caffè, librerie e altro ancora, così come se ne vedono in Germania, in Svizzera e in Austria (a volte basterebbe saper copiare!). Uno spazio per iniziative non effimere, che aspirino alla documentazione e alla conservazione.
Penso a investimenti mirati e programmati nel tempo a favore del depresso sistema museale pavese (Pinacoteca e Museo del Risorgimento), aiutando i privati a promuoverne di nuove. Il “percorso risorgimentale” porta a pensare inevitabilmente a Villa Cairoli di Gropello: si inauguri allora un itinerario storico: Villa Cairoli e il Museo pavese, ma anche Palestro e Montebello (e la Stradella di Depretis).
Penso alle tante, tantissime cose possibili, ma lo spazio di questa pagina è quello che è, mi sono dilungato anche troppo e dunque mi avvio a concludere.

 

Ora et labora

Quanto al turismo religioso (Pavia possiede un complesso di chiese romaniche fra i maggiori al mondo), ricorderemo che Pavia è tappa della via Francigena, che da Canterbury portava e porta a Roma i pellegrini, quella via da percorrere prevalentemente a piedi per ragioni penitenziali e devozionali (l’hospitale presso la chiesa di Santa Maria in Betlem, in Borgo Ticino, era una tappa di quel viaggio). Senza dimenticare riti pagani come il “Bruciamento del diavolo” a Vigevano per carnevale, o di tradizione cattolica come il “Crocione” di Tromello e i “fuochi” di Zavattarello e Romagnese: questi ultimi sono tra le più arcaiche e poco note celebrazioni della Settimana santa pasquale; nulla da invidiare alle processioni del nostro Meridione. Per tacere di santuari come quello delle Bozzole di Garlasco o l’eremo di Sant’Alberto di Butrio nell’Oltrepo montano.
Quanto ad aree post-industriali come la Snia e l’Arsenale – limitrofe al centro storico – dovrà prevalere l’interesse pubblico, ad uso di poli scolastici e luoghi per attività produttive avanzate e la sera ricreative: cittadelle della cultura e della socializzazione sul modello di quanto già si vede in altre città europee.
Cari pubblici amministratori, sono suggerimenti che renderebbero la città più simile a Strasburgo e differente da Platì o Buccinasco, idee che vorrebbero rendere piacevole la permanenza a Pavia, con evidenti benefìci per l’economia locale, senza dimenticare che eleverebbe la qualità della vita per tutti.
Servono strumenti che già abbiamo. E poiché sognare non costa niente sogniamo pure amministratori capaci – e non rapaci – e una politica più visionaria e meno pasticciona; in una parola, lungimirante. E davvero “trasparente”.

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