di Giovanni Giovannetti
Il neofascista che ammazza Pasolini (e il colonnello dei Servizi che farà esfiltrare quell’altro del commando)
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Per uno strano gioco del destino, la pagina 5 de “L’Unità” di giovedì 11 dicembre 1975 mette il rinvio a giudizio di Pino Pelosi (indotto ad auto-accusarsi dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini) proprio a fianco di una cronaca giudiziaria in cui si legge il nome di chi quell’omicidio l’ha davvero compiuto: questo tale è tra i 62 estremisti di destra rinviati a giudizio – e infine assolti – con l’accusa di ricostituzione del partito fascista.
Nella stessa pagina si dà poi notizia della costituzione di parte civile del Consiglio di fabbrica della Ire-Ignis di Trento dopo l’accoltellamento, nel luglio 1970, di due operai per mano di un commando fascista. Poche settimane dopo quell’accoltellamento, a Trento arrivano il funzionario di polizia Saverio Molino e il colonnello dei Carabinieri – e uomo dei Servizi – Michele Santoro: il primo, a guidare la squadra politica della questura; Santoro in veste di nuovo comandante del gruppo Carabinieri. Qualche anno dopo Santoro, Molino e il colonnello del Sid Angelo Pignatelli verranno rinviati a giudizio con l’accusa di aver organizzato una strage, fortunosamente mancata, il 18 gennaio 1971 di fronte al tribunale di Trento. Manco a dirlo, tutti assolti.
Santoro era agli ordini del comandante della “Pastrengo” generale Giovanni Battista Palumbo, piduista. Ma era anche amico fraterno di un altro membro della P2, il criminologo nazifascista Aldo Semerari, quel teorico dell’alleanza strategica tra criminalità comune e destra eversiva poi arrestato – e assolto – per la strage alla stazione di Bologna nell’agosto 1980. Ebbene, nel 1976 Santoro favorirà la fuga all’estero di Antonio Pinna, autista dei “Marsigliesi”, altro componente del commando di neofascisti e criminalità romana che a Ostia, la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, ammazza Pasolini.
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