Pasolini, Pelosi, Laura Betti e quella loro cena prima del delitto
di Giovanni Giovannetti
![]() |
12 novembre 1975. Sono trascorsi dieci giorni dall’omicidio di Pasolini, Pino Pelosi ha “confessato” sostenendo d’aver avuto a che fare con lo scrittore la prima volta solo qualche ora prima del delitto. Ore 22, di fronte alla stazione Termini «si è avvicinato un signore con gli occhiali sui 35-50 anni, col volto magro, di media statura, a bordo di un’autovettura…» Insomma, verso sera Pasolini rimorchia un marchettaro diciassettenne, si appartano, glielo succhia, vorrebbe sodomizzarlo, il marchettaro si ribella, lo colpisce e l’ammazza. Una storia di frosci finita male. Tutto chiaro? Niente affatto. Subito dopo l’omicidio una testimone dirà ai Carabinieri d’aver visto Pasolini, Laura Betti e… Pelosi «qualche tempo prima del delitto» seduti insieme a un tavolo di ristorante. Lo scrive il “Corriere della Sera”, rilevando che «se ciò fosse vero, la versione del ragazzo (“mai visto lo scrittore”), crollerebbe». In quell’articolo si legge poi che Laura Betti, invece di recarsi dal giudice, «ha detto di essere tanto abbattuta da non poter dare qualsiasi valutazione sulle circostanze riferite dal teste». Di questo articolo ben si ricorda l’avvocato Stefano Maccioni, che da anni si occupa del caso Pasolini e il 17 dicembre ne rende conto in una intervista a Globalist. E Pelosi? Trent’anni dopo ammetterà che “quel signore” lui lo frequentava da luglio («Come ti chiami? Io mi chiamo Pier Paolo»), confermando quanto ha raccontato nel 1976 Franco Borsellino – altro componente del “branco” – a Renzo Sansone, appuntato dei Carabinieri infiltrato nella bisca di via Donati 140 a Roma (ma la procura non ne volle tener conto); emergerà che tra i parenti e amici di Pier Paolo molti sapevano (Ninetto Davoli a Pelosi nell’agosto ’75: «a’ Pi’, ’o sai che chi frequenti è un personaggio grosso… mi raccomando, comportate bene»; Pasolini a Dario Bellezza: «è amico di Nico». Altro “dettaglio”: Pasolini si era anche rivolto alla madre di Pelosi per alcuni lavori di cucito. Nico è il cugino Nico Naldini: «Assassino di carambola», recita un verso del Sacerdote di Goffredo Parise, una cruda poesia dell’aprile 1986 su Naldini esplicita sin dalla prima strofa: «Teosofo loico / con la scusa dell’omosex / ti facesti teologo / del Santo cugino // Non sei né l’uno né l’altro…» E ancora, in un incalzante crescendo: «Piuttosto somigli / ma neppur questo è certo / a quel baronetto truffaldino / che a Pechino / si copriva il volto / al passaggio / della discoperta / veritas occidentale», là dove “baronetto truffaldino” significa falsario, gabbamondo, mistificatore… come si legge nella magnifica biografia del baronetto inglese Edmund Backhouse L’eremita di Pechino. Né Naldini né Betti né altri, forse per paura, se la sentiranno di smentire la bugia giudiziaria, e tanto meno di contribuire a far luce sul furto alla Technicolor di Roma dei negativi del film Salò, poi usati come esca.
Rispondi