Pasolini, i Marsigliesi e la banda della Magliana

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di Giovanni Giovannetti *

Pasolini amava apparire ben rasato e pettinato. Avanti negli anni aveva preso anche a tingersi di nero i folti capelli brizzolati; e a Roma era solito servirsi da un barbiere in piazza Trilussa, lo stesso da cui andavano Enrico Depedis detto Renatino, Franco Giuseppucci detto il Negro e Giovanni Girlando detto il Roscio. Sono tre ragazzi di borgata che al momento lavorano per i Marsigliesi e presto si metteranno in proprio: ecco la nascente banda della Magliana. Questi giovani sono tra le fonti “dal basso” di Pasolini. Sì, perché lo scrittore ha coltivato rapporti con il sottobosco criminale delle borgate romane, dal quale apprende notizie sul linguaggio della mala e, perché no, altre perniciose informazioni. A Giuseppucci e Girlando aggiungeremo quanto meno l’autista dei “Marsigliesi” Antonio Pinna: «…ora Pier Paolo vorrebbe sapere da me i nomi di alcuni elementi della criminalità organizzata che si sono infiltrati nelle Brigate rosse», ha detto Pinna a Silvio Parrello nel 1975.
Pasolini avrebbe forse voluto accennarne all’Appunto 52b di Petrolio, ma di quella pagina nell’incompiuto romanzo rimane solo il titolo: Il Negro e il Roscio, per l’appunto Giuseppucci e Girlando.

Chi sono i Marsigliesi?

Sono un branco di delinquenti che, negli anni caldi dello stragismo (ma anche della “dolce vita” romana) sembra vivere in un mondo a parte, tra auto di lusso, cocaina e belle donne, spendendo subito il denaro che gli entra in tasca rapinando, sequestrando e spacciando, come se la vita più che vissuta andasse bruciata. Di loro si è in parte smarrito il ricordo, ma nella Roma dei primi anni Settanta Bergamelli, Berenguer e Bellicini hanno fatto scuola, s’intende criminale. Le “tre B” irrompono nell’immaginario collettivo della micro delinquenza borgatara e nel vecchio scenario malavitoso del saccagno (il coltello) con nuovi e più violenti metodi, gestendo il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, la prostituzione, il contrabbando di sigarette e soprattutto il narcotraffico: sono infatti il terminale italiano della cosiddetta French Connection, quel giro di droga proveniente dall’Asia, raffinata a Marsiglia e irradiata nel mondo.

Quelli della Magliana

I Marsigliesi giunti a Roma sono anche specialisti nei sequestri di persona. Manco a dirlo, a loro spettano regia d’insieme e gestione delle trattative poiché a sequestrare (e a spacciare) provvedono i loro apprendisti reclutati nel sottobosco della malavita romana, oppure free lance del crimine come il boss della Garbatella Danilo Abbruciati.
Da questo variegato arcipelago micro-criminale di borgata provengono Abbatino, De Pedis, Girlando, Giuseppucci, Mancini e altri tirocinanti, tutti a bottega dai Marsigliesi come Leonardo dal Verrocchio. Appartengono ai gruppi della Magliana-Acilia e del Testaccio; sono gli stessi che dopo la carcerazione o la fuga dei loro precettori sapranno progressivamente consorziarsi nella ben più nota ed efferata banda della Magliana, in forza dei metodi spicci e dei rapporti altolocati avuti in lascito dai padri e padrini di Marsiglia, con Abbruciati a fare da ponte tra le due generazioni criminali. Sotto il profilo organizzativo è presa a modello la nuova Camorra napoletana, e a differenza dei Marsigliesi quelli della Magliana re-investono il maltolto dei furti, dei sequestri e dell’usura nell’acquisto di nuova coca e di nuova eroina, ma anche (Colafigli, Diotallevi e Abbruciati) nel settore delle costruzioni e in altre labirintiche operazioni finanziarie: nella capitale, lungo la costa tirrenica e in Sardegna, contribuendo così a uno scempio edilizio di proporzioni sempre più mostruose.
In quel 1975 (muore Pasolini, ma è anche l’anno di alcuni clamorosi sequestri di persona) la cosiddetta banda della Magliana non è ancora formalmente costituita. Edoardo Toscano detto Operaietto sta col gruppo del Trufello; Enrico De Pedis detto Renatino con quelli del Testaccio; Maurizio Abbatino detto Crispino e Franco Giuseppucci detto il Negro col Trullo; Nicolino Selis detto il sardo (poi elevato a luogotenente romano della nuova Camorra di Raffaele Cutolo) sta col gruppo di Ostia-Acilia… e così via. Presto si consorzieranno in batterie e poi in vera e propria banda mafiosa, legata da «obblighi maggiori di solidarietà tra gli associati, i quali sono, pertanto, maggiormente impegnati e tenuti a prendere in comune ogni decisione, senza possibilità di sottrarsi dal dare esecuzione alle stesse», come dirà Maurizio Abbatino ai magistrati il 13 dicembre 1992.
Oggi Abbatino è un collaboratore di giustizia. A questa figura apicale della criminalità romana l’allora capo del Sismi Giuseppe Santovito era solito inoltrare benauguranti saluti. Del resto, come ha segnalato il giudice istruttore bolognese Leonardo Grassi, la banda della Magliana viene «utilizzata ripetutamente dai Servizi segreti quale agenzia per la gestione degli affari sporchi».

Abbatino, quella foto all’Idroscalo e le pizze del film Salò

Pasolini venne attirato all’Idroscalo di Ostia la sera del 1° novembre 1975 con la promessa che avrebbe riavuto i negativi del film Salò, rubati mesi prima alla Technicolor di Roma.
Ascoltato dalla Commissione parlamentare Antimafia, Abbatino ha ammesso di essere stato uno degli esecutori materiali di quel furto, su mandato di tale Franco Conte, il gestore di una bisca clandestina nel quartiere romano della Magliana. Ma attenzione, secondo Abbatino «Conte conosceva Pasolini in quanto questi, occasionalmente, aveva frequentato il suo locale»; aggiunge anche di aver visto l’auto dello scrittore di fronte alla sua bisca. Sono notizie nella sostanza già note, perché ai commissari dell’Antimafia Abbatino non fa che ripetere le cose dette a Raffaella Fanelli nel libro-intervista La verità del Freddo (Chiarelettere, 2018).
Dunque Abbatino conosce l’auto di Pasolini, conosce i fratelli Borsellino (due dei sicari di Pasolini; con loro Abbatino ha rubato le pizze alla Technicolor) e forse conosce Pino Pelosi, indotto ad auto-accusarsi dell’omicidio di Pasolini.
D’accordo, Nell’agosto 1975 Abbatino ruba le “pizze” di alcuni film, tra cui Salò di Pasolini. Ma che ci faceva questo tirocinante dei Marsigliesi accanto al corpo straziato dello scrittore la mattina dopo il massacro? In una fotografia di Antonio Monteforte scattata quel 2 novembre si vede anche lui, Abbatino. La sua presenza tra il pubblico dell’Idroscalo era già emersa nel 2014, segnalata da Carmelo Abbate in Bolero, romanzo-verità che vede protagonista uno dei ragazzetti a sinistra nella foto: è il sedicenne Umberto Cicconi, nipote del boss della vecchia “mala” Ernesto Cicconi detto “Bolero”, i cinque punti della malavita tatuati sul braccio, futuro fotografo personale nonché fiduciario del leader socialista e presidente del Consiglio Bettino Craxi.
Questa immagine si è anche indotti ad accostarla ad alcuni versi di una poesia di Pasolini, Salerno, dove gli uccisori posano per una foto ricordo accanto alla «Puora musa di bandìt», alla povera faccia del bandito «come dopo un safari»: «Come dopo un safari / i suoi figli prediletti son fotografati / in semicerchio, stretti da spirito di corpo / (chi è un po’ intimidito dall’obbiettivo / guarda verso i propri compagni)».
Insomma, scrive il 23 luglio 2016 Aldo Colonna sul “Manifesto”, «si assiepano intorno al morto ammazzato lupi famelici riuniti a vario titolo e per conto di tribù diverse. Per sincerarsi che la preda morta lo sia davvero, per riferire a chi di dovere che il sabba si era concluso come da programma, qualcuno per farsi avanti ed offrirsi come manovalanza per altri e più “alti” incarichi».

Omicidio premeditato

Che a uccidere un uomo prestante come Pasolini sia stato un diciassettenne mingherlino, ormai lo crede solo Marco Belpoliti (“la Repubblica”, 18 dicembre 2022). Nel 2010 sarà Claudio Marincola del “Messaggero” – un giornalista, e non un magistrato – a raccogliere le testimonianze di chi, in quella notte buia e senza luna, dalle baracche all’idroscalo di Ostia ha potuto, se non assistere, almeno ascoltare. E lo stesso anno il Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri ha saputo isolare cinque tracce ematiche sugli abiti indossati da Pasolini. Al dunque, testimonianze e analisi scientifiche convergono nell’indicare che a uccidere lo scrittore non fu Pelosi ma un nutrito commando.
Altro che “lezione al frocio”: fu un omicidio premeditato. Secondo una informativa del Nucleo investigativo dei Carabinieri (5 giugno 2011) «gli aggressori» si osservi l’uso del plurale «hanno voluto uccidere deliberatamente Pier Paolo Pasolini poiché le tracce dell’automobile rilevate sul terreno evidenziano inequivocabilmente che il conducente ha puntato il corpo del regista agonizzante a terra accelerando fin dall’inizio della corsa come a voler impattare il corpo dell’uomo al massimo della velocità e della potenza». A riscontro di quanto già sostenne Sergio Citti, ribadito da David Grieco nel film La macchinazione.

Taci, l’amico ti ascolta

Ma c’è dell’altro: non è vero che Pelosi e Pasolini si incontrarono la prima volta solo qualche ora prima del delitto, come recitano le sentenze del 1976: i due si frequentavano da mesi e molti amici e parenti di entrambi lo sapevano: lo sapeva Nico Naldini, che addirittura glielo presenta (Pasolini a Dario Bellezza: «è amico di Nico»); lo sapeva Ninetto Davoli (Davoli a Pelosi nell’agosto ’75: «a’ Pi’, ’o sai che chi frequenti è un personaggio grosso… mi raccomando, comportate bene»); e lo sapeva Laura Betti, che qualche tempo prima del delitto una testimone ricorda seduta al tavolo di un ristorante con Pasolini e… Pelosi. Trent’anni dopo lo stesso Pelosi ammetterà che “quel signore” lui lo frequentava da luglio («Come ti chiami? Io mi chiamo Pier Paolo»). Altro “dettaglio”: Pasolini si era rivolto alla madre di Pelosi per alcuni lavori di cucito.
Né Naldini né Davoli né Betti né altri, forse per paura, se la sentiranno di smentire la bugia giudiziaria, e tanto meno di contribuire a far luce sul furto alla Technicolor di Roma dei negativi del film Salò usati come esca. L’avessero fatto, oggi non saremmo qui a lamentare, come si legge nella Relazione finale della Commissione parlamentare Antimafia, le «omissioni particolarmente gravi» negli accertamenti immediati che, subito dopo il delitto Pasolini, «si sarebbero dovuti svolgere».

* “Domani”, 7 gennaio 2023

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