Archive for the ‘antifascismo’ Category

Tornano gli sciacalli

18 febbraio 2012

Nuovamente colpita la sede di Insieme per Pavia,
Italia dei Valori e Sel in via Ferrini

da Pavia, Giovanni Giovannetti

Come sempre nottetempo, al solito sciacalli. La notte tra mercoledì e giovedì, ignoti hanno preso a martellate le due vetrate lungo via Ferrini per poi darsi a precipitosa fuga. Era già successo altre volte, nel 2009 e nel 2010.
Marzo 2009. Nella stessa notte i teppisti distruggono quelle stesse vetrate, tagliano le gomme all’auto di un pizzaiolo vietnamita – a Pavia da più di vent’anni – e ne imbrattano la carrozzeria con svastiche e scritte come «cinesi raus». Qualche giorno prima, in via Riviera, il parrucchiere Khaled aveva avuto l’insegna distrutta e la saracinesca lordata con una svastica e con il diagramma delle SS. Era molto amareggiato, ha detto «Sono qui da anni e ho sempre lavorato. Non do fastidio a nessuno». Stessa sorte per un kebabbaro nei pressi della stazione e per un ristorante orientale in via Santa Maria delle Pertiche. Semplici atti di teppismo?
Dicembre 2010. Ancora sassi contro la sede di Insieme per Pavia e Sel in via Ferrini. Ancora attacchi agli esercizi commerciali gestiti da stranieri, ancora scritte razziste a lordare i muri del centro cittadino e della periferia. Colpito anche il Circolo Pd in via Fasolo; vengono distrutte le lapidi dei partigiani caduti a Cascina Pelizza e al Dosso verde. Gli autori sono sciacalli noti alla Questura. Uno è stato identificato: è uno skin, Matteo Cantù, 21 anni, ex militante di Forza Nuova. Ha sostenuto di aver agito in solitudine… Gli altri, presumibilmente sono gli stessi che, nell’estate, avevano dato la caccia a “quelli del Barattolo” per le vie cittadine, subito dopo lo sgombero del centro sociale. A loro si è tardato nel mandare un segnale forte e dissuasivo.
Al momento i segnali sembrano altri. Nel dicembre 2010 Insieme per Pavia stava conducendo una dura battaglia – infine vittoriosa – per salvare il Parco della Vernavola dal cemento e dagli speculatori, così come oggi è in prima linea nel denunciare altri illeciti (Punta Est al Vallone, Green Campus al Cravino e l’intenzione di triplicare l’area commerciale intorno al Carrefour lungo la Vigentina, nel Parco Visconteo). Coincidenze? Chi arma gli sciacalli? 17 febbraio: il giorno dopo la devastazione cadeva anche il ventennale di “Mani Pulite”.

Ferruccio Ghinaglia

16 aprile 2011

Nel novantesimo dalla morte

La fotografia riprende il corpo di Ferruccio Ghinaglia all’obitorio, il giovane comunista cremonese ucciso dai fascisti all’uscita del ponte coperto in Borgo Ticino a Pavia la sera del 21 aprile 1921, là dove lo ricorda un monumento. Come ha scritto Clemente Ferrario, Ghinaglia «era un giovane buono, aperto, umanissimo, e i pavesi non sanno darsi pace per non aver saputo difendere la sua promettente giovinezza»
Il giovane studente arriva a Pavia diciottenne, nel 1917, vincitore di una borsa di studio presso il Collegio Ghislieri. Richiamato alle armi, riprende gli studi nel 1920 e subito assume la direzione della Federazione giovanile socialista, sempre più chiaramente inquadrata nella frazione comunista del partito. Dirigente di grande prestigio e popolarità, Ghinaglia è vicino alle posizioni di “Ordine Nuovo”, il settimanale torinese di Antonio Gramsci. È assai attento alle organizzazioni sindacali e alle loro battaglie: quando si chiude il grande sciopero bracciantile lomellino con il concordato di Mortara del 21 aprile 1920, nasce il “fiduciario d’azienda”. Questa figura, legata all’idea ordinovista del “consiglio di fabbrica”, è certamente voluta da Ghinaglia. Con la scissione di Livorno il giovane studente del Ghislieri ha un ruolo di primo piano nel nuovo Partito comunista. Ma i tempi sono cambiati e nei primi mesi del 1921 lo squadrismo agrario-fascista è all’attacco. Ghinaglia proclama la necessità di una ferma resistenza. La sera del 21 aprile 1921, lascia la Casa del popolo per recarsi a un’assemblea della cooperativa di Borgo Ticino, ma appena varca il ponte un agguato fascista lo uccide.
Nell’omonima piazza il monumento a Ghinaglia è rimasto per mesi mutilato dagli epigoni odierni dello squadrismo di ieri. Mutilata è ancora la lapide in ricordo dei partigiani Angelo Amati e Pietro Fondrini, morti al Dosso verde. A giorni cadrà il 66° anniversario della Liberazione. Cosa aspetta questa Giunta del cazzo a porre mano al restauro?

«è una ricetta per il disastro»

27 giugno 2009
di Bruna Iacopino

Come se non bastassero i diversi appelli lanciati da giuristi, enti e associazioni, ONG, e dallo stesso CSM – anche durante l’ultimo rapporto; dopo Amnesty international, adesso arriva la bocciatura di Human Rights Watch, l’organizzazione internazionale che si batte per la difesa e la promozione dei diritti umani nel mondo. Con un comunicato pubblicato il 22 giugno, HRW invita il senato italiano a bocciare in toto le norme contenute nel disegno di legge 733-B.
«Trattare gli immigrati come criminali non risolverà le sfide che l’immigrazione pone all’Italia», ha detto Judith Sunderland, ricercatrice esperta di Human Rights Watch. «Questo disegno di legge incoraggia soltanto l’intolleranza o peggio, nei confronti di individui che fanno una vita già abbastanza dura». Parole che pesano come macigni, e un protagonismo in negativo che di certo non rappresenta un gran vanto per il nostro paese, già gravato da cattiva fama a livello internazionale.
Sul sito dell’organizzaione campeggia in primo piano, come è ovvio che sia, la questione iraniana; mentre scorrendo tra le notizie, lo spazio dedicato all’Europa è occupato – nell’ ordine da: Lituania, Kossovo, Italia e Russia.
Il comunicato stigmatizza le dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo, incriminate come «retorica razzista», problema a suo tempo sollevato anche dal Capo dello Stato, e condanna fermamente l’introduzione del reato di immigrazione clandestina: «La discriminazione effettuata sulla base dello status di immigrazione o sulla nazionalità- si legge- è proibita dal diritto internazionale. Ciò significa che un trattamento differenziato sulla base della nazionalità debba essere strettamente giustificato come necessario e proporzionato ad un legittimo obiettivo».
Dunque non solo dubbi di incostituzionalità [come ben evidenziato nell’appello dei giuristi pubblicato qui di seguito]. Ad essere presi di mira sono i diritti dei migranti, ma il timore è che si arrivi ad una vera e propria legalizzazione della violenza e dell’intolleranza, in questi termini viene affrontata la questione “ronde”: «Legalizzare gruppi di vigilanti in un periodo di crescente intolleranza è una ricetta per il disastro», ha detto Sunderland. «Se questi gruppi usano violenza contro gli immigrati, lo Stato ne sarà direttamente responsabile».

* * *

Appello
contro l’introduzione dei reati di ingresso e soggiorno illegale dei migranti

Il disegno di legge n. 733-B attualmente all’esame del Senato prevede varie innovazioni che suscitano rilievi critici. In particolare, riteniamo necessario richiamare l’attenzione della discussione pubblica sulla norma che punisce a titolo di reato l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all’uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale.
La norma è, anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiché la sua sfera applicativa è destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell’espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l’assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo.
Né un fondamento giustificativo del nuovo reato può essere individuato sulla base di una presunta pericolosità sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte costituzionale (sent. 78 del 2007) ha infatti già escluso che la condizione di mera irregolarità dello straniero sia sintomatica di una pericolosità sociale dello stesso, sicché la criminalizzazione di tale condizione stabilita dal disegno di legge si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo.
L’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero dunque non rappresentano, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali.
L’introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una crescita abnorme di ineffettività del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilità sociale e condannato per ciò alla paralisi. Né questo effetto sarebbe scongiurato dalla attribuzione della relativa cognizione al giudice di pace (con alterazione degli attuali criteri di ripartizione della competenza tra magistratura professionale e magistratura onoraria e snaturamento della fisionomia di quest’ultima): da un lato perché la paralisi non è meno grave se investe il settore di giurisdizione del giudice di pace, dall’altro per le ricadute sul sistema complessivo delle impugnazioni, già in grave sofferenza.
Rientra certo tra i compiti delle istituzioni pubbliche «regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati» (Corte cost., sent. n. 5 del 2004), ma nell’adempimento di tali compiti il legislatore deve attenersi alla rigorosa osservanza dei princìpi fondamentali del sistema penale e, ferma restando la sfera di discrezionalità che gli compete, deve orientare la sua azione a canoni di razionalità finalistica.
«Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società più avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, sì che (…) non si può non cogliere con preoccupata inquietudine l’affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a “nascondere” la miseria e a considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e colpevoli». Le parole con le quali la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità del reato di “mendicità” di cui all’art. 670, comma 1, cod. pen. (sent. n. 519 del 1995) offrono ancora oggi una guida per affrontare questioni come quella dell’immigrazione con strumenti adeguati allo loro straordinaria complessità e rispettosi delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Costituzione a tutte le persone.

25 giugno 2009
FIRMATARI
Angelo Caputo, Domenico Ciruzzi, Oreste Dominioni, Massimo Donini, Luciano Eusebi, Giovanni Fiandaca, Luigi Ferrajoli, Gabrio Forti, Roberto Lamacchia, Sandro Margara, Guido Neppi Modona, Paolo Morozzo della Rocca, Valerio Onida, Elena Paciotti, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Carlo Renoldi, Stefano Rodotà, Arturo Salerni, Armando Spataro, Lorenzo Trucco, Gustavo Zagrebelsky.

http://www.articolo21.info

La nostra coscienza antifascista

24 aprile 2009
in attesa del 25 aprile
di Sandro Pertini

Lungo è il cammino percorso dai patrioti italiani per riconquistare la libertà e questo cammino non ha soluzioni di continuità, perché la Resistenza, a mio avviso, non è un fatto storico a sé stante, ma è stata la continuazione della lotta antifascista. 1 patrioti che, sotto la dittatura, si sono battuti forti solo della loro fede e della loro volontà, partecipano alla lotta armata della Resistenza.
Qui vi sono uomini che hanno lottato per la libertà dagli anni ’20 al 25 aprile 1945. Nel solco tracciato con il sacrificio della loro vita da Giacomo Matteotti, da don Minzoni, da Giovanni Amendola, dai fratelli Rosselli, da Piero Gobetti e da Antonio Gramsci, sorge e si sviluppa la Resistenza.
Il fuoco che divamperà nella fiammata del 25 aprile 1945 era stato per lunghi anni alimentato sotto la cenere nelle carceri, nelle isole di deportazione, in esilio.
Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti già membri di questo ramo del Parlamento uccisi sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di prigionia; spentisi in esilio Filippo Turati, Claudio Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi crudelmente ucciso alla Storta.
I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno più numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti.
Recano i nomi, queste pietre miliari, di reparti delle forze armate, ufficiali e soldati che vollero restare fedeli soltanto al giuramento di fedeltà alla patria invasa dai tedeschi, oppressa dai fascisti: le divisioni “Ariete” e “Piave” che si batterono qui nel Lazio per contrastare l’avanzata delle unità corazzate tedesche; i granatieri del battaglione “Sassari” che valorosamente insieme con il popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a porta San Paolo; la divisione “Acqui” che fieramente sostenne una lotta senza speranza a Cefalonia e a Corfù; i superstiti delle divisioni “Murge”, “Macerata” e “Zara” che danno vita alla brigata partigiana “Mameli”; i reparti militari che con i partigiani di Boves fecero della Bisalta una roccaforte inespugnabile.
Giustamente, dunque, quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale. Nel Primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione. Vi partecipano in massa operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede.
Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644 furono celebrati contro operai e contadini.
E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l’occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.
Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell’Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane.
Onorevoli colleghi, senza questa tenace lotta della classe lavoratrice – lotta che inizia dagli anni ’20 e termina il 25 aprile 1945 – non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica.
Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione.
Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende esserne spodestata.
Ma, onorevoli colleghi, noi non vogliamo abbandonarci ad un vano reducismo. No. Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sappia battersi quando è consapevole di battersi per una causa sua e giusta; non inferiore a nessun altro popolo.
Siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituiscono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà.
E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano.

1 compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l’esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l’insegnamento d’un nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona.
Questo insegnamento deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività di uomini politici: operare con umiltà e con rettitudine non per noi, bensì nell’interesse esclusivo del nostro popolo.
Onorevoli colleghi, questi in buona sostanza i valori politici, sociali e morali dell’antifascismo e della Resistenza, valori che costituiscono la “coscienza antifascista” del popolo italiano.
Questa “coscienza” si è formata e temprata nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, è una nostra conquista, ed essa vive nell’animo degli italiani, anche se talvolta sembra affievolirsi. Ma essa è simile a certi fiumi il cui corso improvvisamente scompare per poi ricomparire più ampio e più impetuoso. Così è “la coscienza antifascista” che sa risorgere nelle ore difficili in tutta la sua primitiva forza.
Con questa coscienza dovranno sempre fare i conti quanti pensassero di attentare alle libertà democratiche nel nostro paese.
Non permetteremo mai che il popolo italiano sia ricacciato indietro, anche perché non vogliamo chele nuove generazioni debbano conoscere la nostra amara esperienza. Per le nuove generazioni, per il loro domani, che è il domani della patria, noi anziani ci stiamo battendo da più di cinquant’anni.
Ci siamo battuti e ci battiamo perché i giovani diventino e restino sempre uomini liberi, pronti a difendere la libertà e quindi la loro dignità.
Nei giovani noi abbiamo fiducia.
Certo, vi sono giovani che oggi “contestano” senza sapere in realtà che
cosa vogliono, cioè che cosa intendono sostituire a quello che contestano. Contestano per contestare e nessuna fede politica illumina e guida la loro “contestazione”. Oggi sono degli sbandati, domani saranno dei falliti.
Ma costoro costituiscono una frangia della gioventù, che invece si orienta verso mete precise e che dà alla sua protesta un contenuto politico e sociale. Non a caso codesta gioventù si sente vicina agli anziani antifascisti ed ex partigiani, dimostrando in tal modo di aver acquisito gli ideali che animarono l’antifascismo e la Resistenza.
E da questi ideali essi traggono la ragione prima della loro “contestazione” per una democrazia non formale, ma sostanziale; per il riscatto da ogni servitù e per la pace nel mondo.
Ecco perché noi anziani guardiamo fiduciosi ai giovani e quindi al domani del popolo italiano.
Ad essi vogliamo consegnare intatto il patrimonio politico e morale della Resistenza, perché lo custodiscano e non vada disperso; alle loro valide mani affidiamo la bandiera della libertà e della giustizia perché la portino sempre più avanti e sempre più in alto. Viva la Resistenza!

23 aprile 1970, 25° anniversario della Liberazione
Orazione ufficiale di Sandro Pertini alla seduta della Camera dei deputati

Bella Ciao

19 aprile 2009
in attesa del 25 aprile

Ieri e sempre antifascismo

9 aprile 2009
in attesa del 25 aprile
di Aldo Aniasi

Il fascismo, il nazismo erano la violenza al servizio degli oppressori e degli sfruttatori, erano il mezzo cui ricorreva chi non voleva cedere propri privilegi, chi si illudeva di poter proseguire in uno sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nella rapina imperialistica. Contro chi predicava la razza eletta, contro chi teorizzava l’oppressione, l’espansionismo come metodo di governo, contro chi sognava gli imperi come mezzo di potere e contro chi combatteva per togliere la libertà al popolo spagnolo, gli antifascisti seppero indicare la fratellanza, la solidarietà umana, la libertà, la giustizia, come valori universali, come motivi di unità e di riscatto dalla schiavitù politica e morale.
E su queste basi che è sorta la Resistenza, è su queste basi che si è creata per la prima volta nella storia una reale unità di popolo alla quale hanno dato il loro contributo spontaneo militari, cittadini, uomini, donne, ragazzi, religiosi, persone di ogni condizione e di ogni età, per raggiungere e difendere la libertà, il progresso e la giustizia sociale.Gli eroici scioperi del marzo ’43 quando gli operai nelle fabbriche seppero sfidare la feroce repressione fascista e gli scioperi del ’44 quando sfidarono le SS nonostante i pericoli della deportazione nei lager nazisti dai quali a migliaia non più tornarono; la resistenza dei militari dopo l’armistizio, le azioni dei partigiani nelle montagne e nelle campagne, l’attività in città dei GAP e dei SAP, sono tutti momenti di lotta riconducibili a una matrice comune.
Gli italiani non avevano dimenticato cosa era la libertà, avevano ideali comuni e spontaneamente si schierarono con l’azione dei Comitati di Liberazione Nazionale riconoscendone l’autorità morale e politica, la guida sicura alla lotta per la democrazia. Nel trentennale della Liberazione ricordiamo le unità militari che risposero ai nazisti subito dopo l’8 settembre 1943, gli scontri, gli atti eroici, le fucilazioni di massa, i 9000 morti della Divisione Acqui a Cefalonia e a Corfù, delle Divisioni Regina e Cuneo nell’Egeo, delle Divisioni Granatieri e Piave nella difesa di Roma. Ricordiamo l’eroismo di tanti carabinieri come la medaglia d’oro Salvo D’Acquisto unitamente alle vittime dei nazi-fascisti, insieme ai 50.000 partigiani caduti, ai 45.000 morti del Corpo Italiano di Liberazione Nazionale appartenenti alle Divisioni Legnano, Friuli, Mantova, Cremona, Folgore e Picena, alle decine e decine di migliaia di morti nei campi di concentramento a Buchenwald, a Dachau, ad Auschwitz, a Mauthausen e negli altri numerosi lager ove si esercitò la criminale inumana bestialità nazista. Ricordiamo i fucilati a Fossoli ed alle Ardeatine, gli impiccati, i massacrati in centinaia di piazze d’Italia, la strage di Marzabotto e di tanti altri paesi italiani, i torturati, i 70.000 deportati.
Questo è il tragico bilancio della lotta condotta da tutto il popolo per riaffermare il proprio diritto alla libertà, all’autogoverno, alla democrazia, per riconquistare il rispetto del mondo intero, per avviarsi su una strada di progresso e di giustizia.
Trent’anni fa ci siamo uniti agli altri popoli liberi per una comunità umana pacifica e solidale. La resistenza italiana si è saldata a quella europea per combattere il fascismo e il nazismo che sono un fenomeno internazionale, un pericolo permanente ogni volta che l’egoismo, la cupidigia, i privilegi vogliono impedire il progresso di un popolo. La Resistenza italiana, fatto unitario al quale hanno partecipato uomini di diverso convincimento, ha dunque saputo superare ogni particolarismo per divenire un momento di profonda solidarietà umana. Solidarietà con tutti gli uomini che combattono per la propria libertà contro le discriminazioni, le oppressioni, il razzismo, l’imperialismo, contro tutto ciò che impedisce la libera convivenza umana.
L’Europa negli anni tragici del nazifascismo fu la cavia sulla quale si tentò di sperimentare un disegno di oppressione, di dominio dell’uomo sull’uomo. Ma l’Europa, e con gli europei gli italiani, seppe dimostrare col sacrifico dei propri figli che nulla è più forte dell’aspirazione degli uomini alla giustizia e alla libertà. Il nostro Paese seppe unirsi contro il nazifascismo e seppe trovare l’unità con tutti i popoli che combattevano il disegno mostruoso. Trovammo accanto a noi combattenti per gli stessi ideali gli alleati sovietici, gli americani, gli inglesi, i francesi, gli iugoslavi, i resistenti di tutta Europa.
Così il 25 aprile fu un momento liberatore e di speranza per noi, ma anche per tutti gli altri popoli impegnati nella lotta al nazifascismo. Abbiamo imparato che la pace e la libertà sono beni indivisibili: ogni oppressione, ogni forma di schiavitù sono un insulto a tutto il genere umano. Ogni volta che un popolo ritrova la libertà, tutti siamo più liberi; l’umanità intera ha motivo di gioire.
Ricordo le speranze di quel periodo: certo non si sono tutte realizzate. Ricordo la commozione dei milanesi che si strinsero festanti dopo il 25 aprile intorno ad Antonio Greppi, Sindaco della Liberazione e a Luigi Meda, Presidente del Comitato di Liberazione milanese. Ricordo la speranza che con il fascismo liquidato per sempre fosse scomparsa ogni forma di ingiustizia, di violenza, di sopraffazione. Speranze che si sono spesso scontrate con una dura realtà, con la constatazione che il nostro sistema sociale progredisce troppo poco e troppo lentamente. Lo spirito libertario di allora fatica ancora ad affermarsi nella società civile, nei luoghi di lavoro, nelle città. Il patto unitario ha legato gli uomini della Resistenza e ha reso possibile la Repubblica e la Costituzione che è il documento nel quale è racchiuso il programma popolare e riformatore frutto di quegli anni di lotta. Ma ancora oggi quel programma non è pienamente attuato.
La nostra Repubblica democratica fondata sul lavoro non riesce a dare vita allo slancio sociale che fu della Resistenza e che si scontra ogni giorno con le vecchie strutture accentrate e burocratiche dello Stato, di quello Stato che ha consentito l’esperienza fascista. La pari dignità sociale per tutti i cittadini, il diritto allo studio, la tutela della salute sono ancora oggi dei programmi incompiuti per i quali è necessaria una più profonda azione riformatrice che deve essere capace di rompere gli schemi e le barriere che ancora ostacolano il progresso del Paese, ed il raggiungimento di una maggiore giustizia sociale. In questi 30 anni molto è stato fatto, ma troppo rimane da fare. La nostra generazione, la generazione dell’antifascismo e della Resistenza, ha assolto ad una funzione storica fondamentale, ha saputo testimoniare il valore insopprimibile della democrazia e della libertà, e in nome di questi principi ha battuto il fascismo di allora ed ha impedito che si realizzassero altri tentativi autoritari, che prendessero corpo altri disegni eversivi.
Siamo però consapevoli che la strenua difesa dei valori della Resistenza, la profonda coscienza comune a tutto il popolo del significato, dell’importanza della battaglia compiuta, non sono sufficienti se ad esse non si accompagna una modifica profonda delle strutture economiche e sociali del Paese che ancora oggi chiede giustizia, chiede democrazia sostanziale.

Gli attentati, le bombe, le stragi, le provocazioni squadristiche di questi anni, di questi giorni, non sono solo l’opera di qualche nostalgico o di qualche folle che crede sia possibile il ritorno ad un passato definitivamente liquidato e sconfitto. Sono il segno che forte è la reazione per il timore che lo Stato si rinnovi, che vi sia un’evoluzione in senso progressista dei rapporti economici e sociali. Contro i tentativi di eversione occorre ritrovare la tensione morale degli anni della Resistenza. Dobbiamo operare per realizzare il programma sociale, nato in quegli anni, rinnovare il patto di identità fra il popolo e lo Stato. Dobbiamo renderci conto che invece in un clima di scoraggiamento, di sfiducia, di incapacità ad operare un deciso progresso sociale, potrebbero trovare spazio le manovre reazionarie e provocatrici, le speranze fasciste: è da questi pericoli che la Repubblica deve difendersi. Combattendo le ingiustizie, i privilegi, riconoscendo pari dignità e pari diritti a tutti i cittadini, si crea la collettività di uomini liberi, si combatte il fascismo di ieri e di oggi. Il fascismo è violenza e ingiustizia: non lo si affronta con la violenza e le aggressioni. Il fascismo è stato vinto 30 anni fa e non può risorgere nella Repubblica democratica, ma deve essere contrastato con un impegno di tutto il popolo.
Contro il rinascere del fascismo sono garanzia la maturità delle giovani generazioni, l’impegno e l’unità del mondo del lavoro, la saldezza e la presenza delle forze armate a presidio delle istituzioni democratiche. La tragica esperienza del 1922 non potrebbe oggi ripetersi perché vi è ben altra coscienza popolare, ben altra forza, ben altra volontà di opposizione. Questo è un dato fermo e rassicurante anche se ciò, se l’impegno sinceramente antifascista delle forze democratiche non può farci dimenticare che quanto è stato fatto non basta, che la Resistenza sarà incompiuta finché non avremo un Paese più giusto, finché non avremo vinto le sacche di povertà e di arretratezza che ancora esistono, finché non avremo rinnovato le strutture dello Stato e abolita la legislazione autoritaria e fascista che ancora sopravvive, fino a che non vi saranno lavoro, scuole, ospedali per tutti gli italiani. Perché queste cose, con la pace e l’indipendenza, sono il contenuto della libertà e della democrazia, sono i programmi per i quali sono morti ed hanno combattuto gli uomini della Resistenza.
E queste cose sappiamo bene che non si ottengono facilmente: occorre battersi, occorre conquistarle con l’impegno di ogni giorno come hanno fatto i partigiani sulle montagne, quelli che si sono battuti in città, nelle fabbriche, i militari che hanno partecipato alla lotta di liberazione: un impegno civile che deve continuare con il contributo delle giovani generazioni, con il loro impegno politico, che è la continuazione delle nostre battaglie di allora. La lotta contro il fascismo nazionale e internazionale che è ingiustizia, che è oppressione, deve essere la lotta senza sosta e senza tentennamenti perché è la lotta per la pace e per l’umanità.
La Resistenza non è un pezzo da museo, non deve essere mummificata, appartiene alla nostra vita, è continuata in questi anni, deve essere un elemento dell’impegno civile di ogni giorno.

25 aprile 1975. Trentennale della Resistenza

Il male curabile

4 novembre 2008

di Mattia Laconca

 

 

Dopo aver pestato alcuni ragazzi con mazze e tirapugni, dopo altri numerosi episodi di intimidazione e provocazione, dopo che la Pavia antifascista ne ha chiesto la chiusura della sede, questa sera – 5 novembre – Forza Nuova terrà una manifestazione in Borgoticino. Queste note le ha mandate Mattia Laconca, di Rifondazione comunista. Le postiamo insieme al comunicato dell’Osservatorio antifascista pavese.
                                                                                                                                     
Cittadine e cittadini, il partito della destra radicale Forza Nuova va sciolto nel più breve tempo possibile. Sono ben noti gli episodi di aggressioni e minacce perpetrati da loro esponenti, ormai non più soltanto su siti o fanzine indipendenti, ma anche sui più grandi quotidiani nazionali. Cavalcando un clima di crescente terrore seminato da alcune delle più alte cariche dello Stato (col pieno appoggio di forze che si definiscono liberali, riformatrici e democratiche) diversi esponenti di FN minacciano la pacifica convivenza civica quotidiana, con atti che arrivano in taluni casi alla violenza pesante e gratuita. Il partito di FN è stato fondato nel 1997 da Roberto Fiore e Massimo Morsello; Roberto Fiore fu uno dei fondatori di Terza Posizione e venne condannato dalla magistratura italiana per banda armata, associazione sovversiva, ma l’Inghilterra, dove era latitante dal 1980, non ha mai concesso l’estradizione.
Massimo Morsello fu ritenuto membro dei NAR e venne anch’egli condannato per i medesimi reati. Nell’anno di fondazione, i fondatori Fiore e Morsello erano ancora latitanti a Londra e sono potuti rientrare solo nel 1999, quando ormai la giustizia italiana non li poteva più perseguire perché i 66 mesi di carcere di Fiore erano stati prescritti, e i 98 di Morsello inapplicabili per motivi di salute (è morto infatti nel marzo 2001).
Se questo fosse davvero un partito fedele ai principi della Costituzione Italiana, non si parlerebbe di abrogazione della legge Mancino e non si perpetrerebbero azioni quali incendi, minacce di morte ed accoltellamenti, sui quali la Dirigenza Nazionale del partito tace, o quando si esprime non condanna la cultura violenta che sempre più sta prendendo piede.
Chiediamo dunque lo scioglimento del partito Forza Nuova, essendo alcuni suoi militanti diventati una mina vagante nella vita quotidiana di chiunque non sia riconosciuto secondo i canoni neofascisti che reggono l’ideologia fondante del movimento.
Tutte le cittadine ed i cittadini antifascisti, o che comunque condannano ideologie liberticide, violente, autoritarie e dittatoriali sostengano questa iniziativa promuovendola tramite la propria firma in calce a codesta petizione e diffondendola attraverso la società civile tutta, affinché sia messa (di nuovo, dopo mezzo secolo) la parola fine al culto della prevaricazione e della superiorità ideologica, etnica e razziale.

 

 

***

 

I neofascisti di Forza Nuova hanno cercato di organizzare per oggi, 5 novembre, una nuova marcetta nostalgica stile SS per le strade del Borgo: dopo essere stati protagonisti dell’agguato squadrista di due settimane fa a Pavia, dopo le innumerevoli aggressioni in tutta Italia (quelle al corteo studentesco di Roma e agli studi della Rai sono solo le ultime in ordine di tempo), questi ignobili picchiatori, che conoscono solo legge della violenza e dell’occupazione militare, hanno cercato di offendere nuovamente la nostra città.

Apprendiamo dal Questore di Pavia che il permesso inizialmente (e  scandalosamente) accordato al corteo fascista è stato revocato in  seguito alle nostre proteste. Ancora una volta la Pavia antifascista ha saputo vigilare e mobilitarsi affinché la lugubre sfilata venisse impedita e impegnandosi a vigilare perchè non si verifichino ulteriori provocazioni e perchè alla violenza fascista non sia concesso alcuno spazio. Pavia ha dato una risposta chiara e ferma con le grandi mobilitazioni delle settimane scorse: non tollereremo altre sedi o sfilate fasciste, né in borgo, né a Pavia, né altrove. (Osservatorio antifascista pavese)

 

http://www.firmiamo.it/propostascioglimentoforzanuova

L’antifascismo al tempo delle mafie e del Cavaliere

17 ottobre 2008
da Pavia, Giovanni Giovannetti
 
 
Ferruccio Ghinaglia, cremonese e studente ghislieriano di Pavia, segretario della Federazione giovanile socialista, era un dirigente di grande prestigio e popolarità molto vicino alle posizioni di “Ordine Nuovo”, il settimanale torinese di Antonio Gramsci. Dopo la scissione di Livorno del gennaio 1921 diventa uno dei più promettenti giovani dell’allora nascente partito Comunista.
Pavia, 21 aprile 1921: Ferruccio lascia la Casa del Popolo per recarsi a un’assemblea della cooperativa di Borgo Ticino. Appena varcato il ponte, viene ucciso in un agguato: fascisti. «Era un giovane buono, aperto, umanissimo, e i pavesi non sanno darsi pace per non aver saputo difendere la sua promettente giovinezza», ha scritto di lui Clemente Ferrario (Operai e contadini, edizioni Effigie).
Pavia, 15 ottobre 2008, Borgo Ticino, Centro sociale “Barattolo”. È in corso una serata reggae. Entrano due ragazzi, pestati e sanguinanti. Sono stati aggrediti a pugni, calci e bastonate da un branco di neonazi di Forza Nuova.
Nella città delle speculazioni immobiliari, delle mafie sommerse, delle aree dimesse usate come discariche abusive mancava solo questa ulteriore, niente affatto inedita, recrudescenza squadrista. A Tromello una targa ricorda ancora il locale capolega Giovanni Salvadeo, ucciso nel 1921 a bastonate davanti a casa da una squadra fascista. Stessa sorte per Eliseo Davagnini, socialista, membro della cooperativa di Mezzano di San Martino, assassinato nel febbraio 1922. E poi Ghinaglia. Sono i nostri morti, morti pavesi, così come Teresio Olivelli, deportato a Hersbruck, dove muore per gli stenti il 12 gennaio 1945. E ancora Guglielmo e Antonio Scapolla, padre e figlio, morti nel lager nazista di Dachau nel 1944. E poi Luigi Brusaioli, morto a Flossenburg il 29 ottobre 1944. E poi Egisto Cagnoni, morto a Mauthausen il 21 novembre 1944. E poi Angelo Balconi, morto a Mauthausen il 19 gennaio 1945. Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi. E poi?
 
 
La cultura dell’odio
 
Nove squadristi sono stati identificati e denunciati. La Questura di Pavia ha vietato anche il presidio con banchetto che Forza Nuova intendeva tenere il 17 ottobre a Fossarmato, contro la presenza in quel quartiere di alcune famiglie di etnia Rom. Ancora più clamorosa la seconda notizia: dopo una perquisizione della Polizia, Forza Nuova ha deciso di lasciare il covo in via dei Mille. Una vittoria importante, frutto della mobilitazione antifascista di questi giorni.
Sul volantino dei neonazi abbiamo letto le loro scoraggianti parole d’ordine, le stesse usate altrove da alcuni amministratori della locale Giunta di pseudosinistra.
La sistematica irrisione delle norme civili, a partire da quelle elementari, è oggi moneta corrente in molte amministrazioni locali. Coltivano l’interesse particolare, mutuano il linguaggio mafioso, ignorano le svolte epocali annunciate dall’arrivo dei nuovi migranti e inseguono gli umori della piazza, la stessa piazza che – in una allucinante e pervasiva circolarità – loro stessi sobillano. Hanno tragicamente alterato l’etica pubblica, al punto da elevare a cultura prevalente il nuovo fascismo e il suo portato di razzismo e xenofobia, che, senza ostacoli né freni inibitori, si riversa dalla politica al senso comune.
Per tornare ad avere una sua funzione, la politica dovrebbe librarsi in uno scarto propositivo, coniugare l’antifascismo con la lotta alle mafie, alle speculazioni e all’affarismo. Dovrebbe almeno provare a «pensare globalmente e agire localmente».
Sono vecchie e tuttavia semplici parole d’ordine, ora però più attuali che mai. Gli speculatori e gli affaristi hanno grancassa e trombe? Sta a noi far vibrare mille e più campane. Un orizzonte che impone invenzione, prefigurazione, fantasia e una più equa distribuzione delle forze e delle risorse disponibili. Insomma, una svolta culturale che possa incidere sui comportamenti delle persone e sulle pratiche sociali, e sulla percezione della comunità e dell’altro entro valori condivisi di democrazia e di uguaglianza; per tacere della fratellanza e della solidarietà internazionalista di specie, di fronte alla catastrofe.