Una nient’affatto serena e pacata analisi del dopo Elezioni
di Armando Barone
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All’indomani di queste Europee, che in Italia sono in realtà elezioni di conferma del primo anno di mandato, il quadro è chiaro: l’Italiano premia il voto populista e demagogo. Vota a destra, certo, senza entusiasmo ma in massa. E anche per mancanza di alternative, a meno di non considerare alternative credibili il vuoto preconfezionato del PD o la superofferta 3×1 della sinistra detta radicale.
L’analisi politica dei protagonisti non brilla per finezza. A Franceschini e al suo illuminato entourage, che ha tenuto a precisare che «è finita la luna di miele di Berlusconi con gli Italiani», l’unica risposta sensata è «omiodio». Berlusconi, per cui è stata colpa della moglie se non ha sfondato il tetto del 40%, paga solo un maldestro tentativo di orientare i sondaggi – un bluff da broker di scommesse. Per la Lega, che ostenta in ogni dove tutta la serena volgarità di Borghezio, sdoganato anche lui – sgradevole effetto collaterale – si tratta della conferma che il partito è diventato nazionale. E tristemente, occorre prenderne atto. Per l’Idv-che-ha-quasi-raddoppiato-i-voti ora si tratta di costruire l’alternativa a Berlusconi. Condannando De Magistris a confrontarsi addirittura con (ah, ironia della sorte!) Mastella. Ferrero e Vendola meritano un minuto di silenzio, che pare di sparare sulla crocetta rossa. Per l’Udc, è finito il bipolarismo – che non è mai iniziato, ma l’importante era che lo dicesse Tabacci, quello più intelligente, se no poi si scopre che hanno detto un’altra cazzata.
Scorie
Eppure nel setaccio dell’intelligenza qualche scoria dovrà pur rimanere. Di grosso e di ovvio c’è che: uno, se Berlusconi tentenna lo fa per scandali e scandalicchi (a seconda che lo dica Famiglia Cristiana, Libero o Repubblica) da Prima Repubblica: sesso lusso e peculato – certo non per altre e ben più gravi ragioni quali essere accusato di aver corrotto David Mills; due, i frammenti del consenso a Berlusconi che si volatilizzano finiscono per depositarsi sulla Lega, incredibilmente anzi no – e su questo torneremo; tre, l’Idv vince grazie alle sue candidature eccellenti e per effetto dei vasi comunicanti che la legano al PD; quattro, anche all’appello del voto Europeo, si comferma l’amara sentenza: la Sinistra atomica è giunta al punto di non ritorno. C’è da sperare che si possa evitare un terzo grado di giudizio.
Si mormora ancora, un po’ meno stupiti e un po’ più rassegnati del solito: ma come fa a essere così strapotente il messaggio di Berlusconi e del suo governo? A ogni elezione si fanno i conti, e anche stavolta, che il consenso doveva ritrarsi dinanzi alle vicende giudiziarie a lui collegate e dinanzi all’esibizione del suo privato, un lusso volgare denunciato dalla moglie e non certo dagli odiati togati comunisti, il supporto non è comunque mancato. Il dazio pagato è stato minimo. I suoi elettori sono rimasti, tutt’al più, perplessi. E chissà se tra loro ci sono anche gli elettori di AN, congelati dai berluscones in attesa che l’eterno maggiordomo Fini li porti di nuovo in tavola, alla fine della parabola di Berlusconi. Fine che non arriva mai.
La lega bombarda
Dicevamo: c’è la sempre incomprensibile, e terribile, avanzata della Lega. I medici guardia, le cariche della polizia sui rifugiati politici, le campagne anti-rom e i respingimenti in nome della campagna elettorale permanente hanno dato i loro frutti. Come tutti i popoli che hanno poca esperienza di immigrazione (in emigrazione, invece, sarebbe laurea in secula seculorum), l’Italiano è tendenzialmente xenofobo, e la Lega gli apre la strada a sentirsi serenamente razzista. Ma questo non basta a spiegarne l’ulteriore avanzata: fin nelle Marche, anche in Emilia, anche in Toscana.
Per di più, la Lega è oggi il partito (nazionale) con l’invidiabile record di presa per il culo dei suoi elettori: in vent’anni che esiste e nonostante quattro governi dell’amato-odiato Berlusconi, il suo fare politico è improntato a un’incrollabile doppiezza.
Facciamo un breve ma significativo elenco? Secessione, niente. Federalismo? Solo fiscale, e non è detto. Roma ladrona? La Lega ha lottizzato come chiunque altro, gode dei favori di denaro di Berlusconi, incassa i rimborsi elettorali come gli altri, vota gli aumenti di stipendio ai parlamentari. Immigrati, romeni, zingari? La Bossi-Fini non solo non ha mai funzionato, ma anzi ha compromesso seriamente il funzionamento degli apparati. Vogliamo parlare della legge elettorale Calderoli? Europa? Dopo aver sostenuto che era una jattura, e l’euro una creazione di Prodi, adesso la Lega corre alle Europee ‘per difendere il latte italiano’, ossia per far ritirare le sanzioni inflitte quegli stessi allevatori che ha fin qui bellamente ignorato. Lavoro? Difende i lavoratori di Malpensa dopo aver plaudito alla formazione della Cai, creazione di Berlusconi e dei suoi sodali, prima e dopo le Politiche del 2008. Plaude a Sacconi che demolisce il diritto di sciopero, a Tremonti che in Finanziaria premia i padroni e le banche, punisce cassintegrati, disoccupati e precari, ma i suoi elettori la votano, e continuano a esibire il fantasma dell’operaio leghista come uno scalpo del fu schieramento popolare di sinistra. E tutto questo senza contare la beffa di CredieuroNord.
Il senso della rappresentanza politica della Lega si limita al gridare quello che la sua base grida. Il fare, è quello di tutti gli altri, anzi peggio, anzi meglio se coi soldi di Berlusconi.
Messa così, gli elettori della Lega sarebbero tutti poco furbi, apertamente xenofobi, ricchi di famiglia e soprattutto masochisti. E non è proprio così.
La spiegazione di questo straordinario impero del consenso, che i barbari nordisti condividono con gli odiati patrizi mediolani, ha una sua spiegazione. Lontana, ma non troppo. Risale ai tempi di Tangentopoli, dove si originarono le fortune politiche e personali di Berlusconi.
La mamma partito
Quando Tangentopoli faceva scrivere sui muri viva il pool, l’Italiano osservava cauto e scettico l’eroe Di Pietro, diceva a tutti di non aver mai votato per la DC o il PSI e discettava sul fatto che, adesso, non si poteva nemmeno gettare la croce addosso a tutti. C’era un sistema, occorreva adeguarsi. E poi si sa che ai livelli alti non si paga mai.
Bisogna comprenderlo, compatirlo. Per gli Italiani grama gente (povera, semplice) i partiti erano la mamma. A cui chiedere per sistemarsi. Di cui lagnarsi se si alleava con questa o quell’altra comare, da difendere se veniva attaccata. E Lo Stato era la casa di famiglia: caro rifugio per i tempi bui, insopportabile prigione quando la luce brilla fuori dalle finestre. Pur sempre il luogo dell’autorevolezza, delle radici, dell’educazione.
Il padre? Eh, il padre non era sempre certo: Gramsci e Togliatti, De Gasperi. Preti, madonne. Ex fascisti. Carcerati, anarchici. Americani, francesi, cinesi. Russi. Qualcuno che insegnasse una via alla democrazia per un Paese giovane, rissoso, ma grato d’esser sopravvissuto all’inferno della guerra, e quasi fuori dall’incubo della fame.
Con la strategia della tensione, le stragi, il terrorismo e la repressione, l’Italiano bambino si stringeva al petto della mamma partito, militava per lei e per sé, andava a scuola di vita con la militanza e poi tornava alle urne per raccontare cosa aveva imparato. Nella casa Stato, però,
qualcosa s’era incrinato. Ombre, minacce. La casa in cui era nato, costruita dai genitori o dai nonni partigiani, pareva nascondere qualcosa. Si cominciò a diffidare, coltivare rancori. Ad andarsene, addirittura a combattere, lo Stato. Il fatto era che lo Stato pareva esser diventato proprietà di qualcuno, e non la casa di tutti. E questo qualcuno intendeva disporne a proprio piacimento.
Visto che la mamma non si poteva discutere, ci si guardò dai padri: meglio allontanarsi. Meglio distrarsi, dopo la sbornia di sangue. Meglio marinare la scuola di vita e divertirsi. La mamma partito provò a mettersi in mezzo, ma niente. Arrivò il momento in cui la politica non contava più. Lo chiamarono riflusso. Erano i padroni alla riscossa, protetti dalla Loggia. E c’era anche quel robusto decisionista che pareva aver chiaro tutto, poteva badare lui alla mamma partito, e se è per quello pure alle altre mamme. E poi, poi diavolo quanti soldi pareva portasse a casa. L’Italia pareva l’America: e chi ci ferma più?
Casa Mediaset
Con Tangentopoli, lo shock: l’Italiano prende ad avere in sospetto anche la mamma: ripudio, separazione, rivalsa. Il padre adottivo finisce preso a monetine in strada. Nonostante abbia visto chiaramente per anni cosa stava succedendo, l’Italiano si sente tradito e invoca punizioni esemplari. Un po’ ipocrita, l’Italiano. Ma almeno ha una reazione, uno scatto d’orgoglio. Ci si aspetta la prova della sua maturità elettorale. Ma l’onesta diffidenza per la sua casa Stato è ormai aperta ostilità. La sua adolescenza, tra i tabù del Vaticano e i totem della televisione, si allunga. Dopo aver marinato le lezioni sulla propria storia e sulla geografia del sociale che cambia, difficile che prenda in mano la propria vita democratica.
Appare difficile anche farsi una fidanzata, una famiglia. Se cerchi un partito che somigli alla tua mamma partito, troverai quello che è rimasto in giro: copie sbiadite. Difficile anche farsi una nuova casa, l’Europa, che non somiglia per niente alla tua, e finisce che ne diffidi tanto quanto. Dal canto loro, le mamme partito sono allo sbando. Hanno paura dell’abbandono. E allora serrano i ranghi, negano tutto, si barricano nella casa Stato, e comincia a prendere corpo l’idea che dei figli si può fare anche a meno. Ai figli devoti, poltrone – e schiaffoni a figli ribelli.
Abbandonati dalle madri prima di aver deciso di abbandonarle loro stessi, gli italiani sono disorientati, stanchi, affamati di informazione e di risposte. L’idea sarebbe tornare sui banchi di scuola, scoprire le alternative, emanciparsi, impegnarsi. Ci prova pure, l’Italiano, ma ogni tanto si perde a bighellonare guardando la tv. Ed è dalla tv che conoscerà l’onda lunga del populismo classista.
Il Paese Azienda
All’arrivo di Berlusconi in politica, l’Italiano è un tardoadolescente confuso, che ha rotto con la mamma, lasciato la scuola di democrazia ed è in cerca di un surrogato di guida che gli dica come si fa a diventare uomo. La Provvidenza gli appare sotto forma di Mediaset.
Berlusconi capisce che l’Italiano è un consumatore insoddisfatto. Lo blandisce col marchio del non-politico, del non stato. La sua persona diventa il prodotto, e glielo vende come emblema del successo. Assume manodopera e la fornisce di kit elettorali come i kit di vendita degli agenti di commercio. E la campagna elettorale diventa pubblicitaria: occupare ogni spazio, con ogni prodotto, continuativamente.
Il pubblico diventa una parolaccia: è il privato che vince, è la libera competizione il suo nuovo credo, e chi non ci riesce, semplicemente, è un fesso. Il lavoro non è più un diritto. È un dovere. E anzi l’Italiano è grato al padrone perché, in tempi di disoccupazione e sistemi clientelari, chi lo assume gli dà la possibilità di consumare. Il linguaggio di Berlusconi, grezzo e ignorante ma ammantato di visicdo paternalismo, è quello dei ricchi. Butta via la tua storia, ne possiamo fare a meno, dice. E l’Italiano ne rimane affascinato: decisionismo alla Craxi, soldi che spuntano ovunque, e fuori dalle balle quelle suocere di comunisti. Basta con il non si può, il sentirsi inadeguato rispetto a intellettuali, storici, europeisti.
La casa Stato diventa l’Azienda: il governo consiglio d’amministrazione, il parlamento platea di azionisti, la politica mercato, l’informazione marketing. La politica estera è un fatto da piazzisti: non vince chi ha merce migliore, ma chi riesce a venderla. L’Azienda non tollera opposizione, chiaro. Liquida i sindacati come fannulloni, gruppi fanatici, ostacoli al dispiegarsi della produttività. L’azienda se ne infischia della Storia. Conta il presente, conta il futuro.
L’Italiano si sente miracolato: se la casa Stato è ostile, l’Azienda invece è amica, pronta ad arruolarlo, ossia a dargli quel ruolo che aspettava. L’Italiano si sente importante nel suo ruolo di consumatore, perché l’economia gira con lui. Per la verità non vive bene, anzi i soldi sono sempre meno, ma è solo perché è colpa dell’Europa e dell’euro, della crisi, dell’Opposizione. Dello Stato.
Quando in Parlamento si approvano leggi ad personam, non si stupisce: io avrei fatto lo stesso, pensa, e può non vergognarsi. Quando gli si propone di vedere gli immigrati come bersagli, non gli pare vero: sdoganata anche la paura del diverso.
È tanto suadente il linguaggio del partito vincente, e tanto intenso il bombardamento continuo della merce berlusconizzata, che quando si vede chiamato alle urne, ci va volentieri: bisogna fare il tifo nella finale del Campionato Bipolare.
L’uomo ostile
Berlusconi è l’uomo che è ostile con lo Stato, che ha in spregio le regole della democrazia, quello per cui ogni legge è un laccio – e ha imparato presto a sciogliere i propri nodi e a ad annodare le gambe degli altri. Quello per cui il potere, che logora chi non ce l’ha (battuta atroce, ma l’Italiano ne ride, invece di spaventarsene), va usato per se stesso e propri scopi. La sua concezione di libertà è al di fuori di qualsiasi etica e morale, perché non attiene al pubblico, ma al personale. La sua azione politica non tiene mai conto di una collettività, ma di una convergenza di interessi. E in cima al suo credo c’è la ricchezza personale e di chi è utile a conservarla, incrementarla, perpetuarla.
Per l’Italiano, che in Berlusconi riconosce la potenza del ricco e del successo, l’individualismo classista, l’ostilità verso gli apparati, non conta niente che, per paradosso, la carica che Berlusconi ricopre sia la più importante dello Stato. Che abbia applicato al pubblico il manuale Cencelli come i vituperati partiti della Prima Repubblica, che abbia bloccato qualsiasi concorrenza ai suoi interessi e perfino si sia elevato al di sopra della legge. Che le tasse che abolisce a ogni campagna elettorale dal 1994 a oggi siano in realtà aumentate. Che abbia inglobato fascisti e post fascisti nel suo partito azienda. Che sia un corruttore. Che il Paese Azienda vada di male in peggio. Che si sia incominciato a contare un po’ troppe balle: sulla spazzatura, che tanto riguarda i napoletani o i palermitani, o sulle mafie, che tanto riguardano i siciliani e i napoletani. Perfino sull’Abruzzo usato per la campagna elettorale. Purché decida lui tutto e subito, si accetta anche che i pubblici ufficiali vengano trasformati in polizia dell’Immigrazione, si tollera che le scuole cadano a pezzi senza fondi. Che i banchieri, indicati al pubblico come i responsabili della grande crisi, vengano premiati – e neanche sottobanco.
Ecco, se Berlusconi si accompagna con minorenni, o anche maggiorenni ma sempre sciacquette sono, forse quello può essere un problema. I festini coca e starlette della Prima Repubblica non piacciono più. La ricchezza e il lusso esibito a villa Certosa infastidisce. I voli privati col menestrello di corte è esagerato. Che perfino la persona più vicina a lui ne metta a nudo e in prima pagina il privato, fa un po’ schifo anche all’Italiano. Che forse non è ancora pronto, dopo le leggi razziali e i fascisti, le leggi ad personam, i rapporti clientelari, la corruzione, la politica derby, il razzismo da paese e tante altre belle cosette, a vedersi sdoganato, il giorno dopo l’ingresso della gnocca al Ministero, anche il pisello.
La sbornia del centrosinistra
Una socialdemocrazia dovrebbe parlare il linguaggio dello stato sociale, che è la funzione primaria e non accessoria dello Stato, e con quello ricostruire il rapporto tra Stato ed elettore. L’errore, per ammissione stessa di alcuni protagonisti del primo governo Prodi, è stato prima di aver sottovalutato Berlusconi, e poi di averlo sopravvalutato. Il populismo del padrone di Arcore aveva prodotto una tale improvvisa ondata di consenso, e per giunta a riempire i vuoti lasciati da democristiani e socialisti craxiani, che la componente progressista tradizionale ha clamorosamente sbandato: si è creduto prima di poterlo neutralizzare inserendolo nel sistema partitocratico (vedi Bicamerale), e poi di sottrargli consenso giocando sul suo stesso terreno.
Errori terribili. Spesso, quando si parla della mancata produzione di un’alternativa da parte del centrosinistra, si riduce la questione all’accettazione, più o meno supina, del liberismo economico come principale linea guida della politica di un Paese. Non basta: la portata culturale di un messaggio del genere è enorme, su un elettorato immaturo e disorientato come quello italiano. Legittimandolo come interlocutore, si è dato a Berlusconi il vantaggio di rappresentare il nuovo e l’ostile. Seguendolo sul terreno ultraliberista, si è concesso al suo personale successo di rappresentare la prospettiva di successo economico di un intero Paese. L’ansia di autoconservazione di una vecchia classe politica, sfibrata da Tangentopoli, non poteva competere con l’incarnazione del vincente.
In più, in un contesto in cui un’economia profondamente prostrata faticava a reagire, si sono abbandonati due temi fondamentali di ricostituzione del rapporto elettore-istituzioni: lo stato sociale e la legalità.
Si dimentica che la questione morale e la lotta al nero e all’evasione non appartengono alla sfera della mera politica parlata. Sono il morbo nero dell’economia. Portare soldi allo Stato e cominciare a redistribuirli è un potente viatico a mosse impopolari come l’aumento delle tasse – vecchio cavallo di troia di Berlusconi tra gli scontenti del centrosinistra. Colpire le rendite e incentivare la produttività avrebbe potuto competere con il vuoto delle politiche economiche escogitate da Tremonti, il cui genio creativo è tutto trucchi da commercialista di bassa lega, per giunta distruttivi per il patrimonio dello Stato. Si sarebbe messo in campo il nuovo vero contro la fuffa innovativa. Non è detto che avrebbe prevalso, ma almeno ci sarebbe stata partita.
Il governo che Mastella e Dini hanno fatto cadere è stato l’epilogo finale di una lunga serie di scelte sciagurate. Era l’ultima occasione per dire all’Italiano che lo Stato non gli è ostile. Che anzi, quello ostile all’Italiano era proprio Berlusconi. Fornendo un vero ricambio in Parlamento, ridistribuendo il tesoretto, sanando l’orribile ferita dei precari, demolendo il tragico impianto giudiziario ad personam, riformando la giustizia e l’impianto carcerario anziché fare l’indulto, restituendo all’informazione il suo ruolo di servizio, assicurando pluralità al mercato e dismettendo i panni del verace alleato della Chiesa, avrebbe ottenuto molto di più.
Con quella maggioranza forse non si poteva fare tutto (si poteva fare una maggioranza migliore?), ma – ovvio – certo molto di più di quanto non si è fatto.
Senno di poi? Forse, ma nel dubbio è sempre meglio ribadire, visto che dal Berlusconi exploit siamo arrivati al Berlusconi quater. E quel poi assomiglia sempre di più a un cattivo doposbronza.
L’alternativa è conflitto
Il peccato più evidente del centrosinistra, e da qualche anno anche della sinistra, è stata l’incapacità di rappresentare l’alternativa – si dice così. E anche di comunicarlo, ma questa è una vecchia storia. Come costruire l’alternativa, se non era chiaro prima, lo è adesso. Per opporsi a Berlusconi occorre capire cosa è Berlusconi. E fare il contrario.
Berlusconi è la forbice sociale che si allarga. La tentazione autoritaria. È l’illegalità premiata, l’appello all’evasione fiscale. È populismo. È il ricco contro il povero, che mette il povero contro il più povero. È soldi per se stesso e per i sodali in affari. È anche, a volte e non tutta, Confindustria. Berlusconi è anche la Lega, quando parla di immigrazione. È il padrone, e i padroni se non gli piaci ti licenziano. È insensibile al diritto internazionale. È cattolico perché il Vaticano è potere. È l’occupazione delle frequenze e la lottizzazione della Rai. È tutto e completamente ripiegato su se stesso. È un bluff riuscito, perché nessuno va mai a vedere. Berlusconi disprezza gli Italiani. Ma non ne può fare a meno, è malato di consenso. Berlusconi è menzogna.
Tutto ciò che non è Berlusconi può essere vera opposizione. Di conseguenza: redistribuzione, informazione, legalità, immigrazione, laicità. Sostenere politiche di redistribuzione: tassare le rendite e i grandi patrimoni finanziari, ridurre il prelievo fiscale prima ai precari, poi ai lavoratori dipendenti e poi a tutti, gradualmente ma continuativamente. Sostenere l’operaio contro il padrone: la cassa integrazione va estesa ai precari, va prevista la defiscalizzazione per le piccole imprese che producono, innovano e assumono. Informazione: contro le menzogne e le campagne immagine di Berlusconi, per arginare lo strapotere delle sue televisioni, non c’è che informare correttamente, proteggere l’editoria indipendente, liberare le frequenze, liberare la Rai dall’influenza dei partiti. Legalità: recupero dell’evasione, istituzione del conflitto di interessi per costituzione, radere al suolo il palco delle leggi che protegge Berlusconi, a cominciare dal lodo Alfano e dalla legge sulle intercettazioni, riscrivere le norme in materia di reati finanziari. Immigrazione: la gestione dei flussi non è né ordine pubblico né lavoro a chiamata. O si comprende che l’immigrazione ci sarà sempre, che è un tema internazionale, e soprattutto che porta benefici all’economia, non danni, o è meglio ritirarsi, sciogliere il partito, smettere di fare politica.
Laicità: non è ammissibile che un partito non abbia una linea politica su diritti civili e temi etici, perché significa che non è degno di rappresentare nessuno. La libertà di coscienza è una linea. Il cattolicesimo oltranzista è una linea. Avere dubbi e aprire dibattito è una linea. Avere quindici linee per dieci dirigenti è un insulto all’intelligenza degli elettori.
La risposta è controcultura
Queste sono risposte a Berlusconi. Colpire la sua menzogna, informando. Affondare la sua popolarità, controinformando. Sostenere i redditi più bassi e da produttività significa togliere i redditi bassi e le piccole imprese da sotto l’ombrello del ‘popolo della partita IVA’ che elegge Lega e PdL. Coltivare la legalità e dare risposte serie alla società civile, negando qualsiasi connivenza con il PdL, è semplicemente avere dignità. Ma se non bastasse si pensi a cosa vuol dire recuperare anche solo frazioni di economia al nero: valori da due, tre leggi finanziarie. Altro che usare il tesoretto per il debito pubblico, come l’ineffabile Padoa Schioppa sosteneva.
Aprire ai temi dell’immigrazione, proponendo una gestione costante dei flussi e non un rubinetto militarizzato, e alle politiche di integrazione, seguendo i modelli sperimentati con successo altrove, vuol dire aprire un conflitto con gli elettori, rischiare: ma si deve, o la partita con la destra è persa da oggi.
Difendere l’autonomia del Parlamento dal Vaticano e da ogni altra influenza è semplicemente doveroso, ma se non bastasse si valuti che il voto cattolico è per natura ampio ed estremamente vario. Contenderlo a Berlusconi non significa fare a gara con lui a chi bacia più tonache, ma dare rappresentazione di tutte le sue componenti. Come? La risposta è sempre la stessa: laicità nello Stato e religione quale che sia nel privato. È un patto accettabile da qualunque parlamentare che sappia fare il suo mestiere, con buona pace di Binetti e soci.
Da questi punti programmatici nasce l’idea di fondare una controcultura che si opponga alla cultura dominante, o non-cultura berlusconiana, ben più pericolosa perché sopravviverà all’uomo Berlusconi. E solo con queste premesse, è possibile parlare di partiti, quali e quanti, di consenso, di leadership.
Lo Stato alleato
La maturità dell’Italiano elettore e della sua vita democratica è solo sospesa, non cancellata. Non ancora, almeno. La sua formazione può riprendere, ma a patto che lo Stato cominci a comportarsi da alleato e non da elemento ostile. Ricucire il rapporto tra Stato e cittadino significa anche molte altre cose, di cui qui non v’è cenno, quali per esempio rivedere il rapporto tra cittadini e Polizia, radicalmente compromesso dopo il G8, o fermare lo scempio della scuola e dell’ambiente. Al centro di questa rifondazione non può esserci che un vero ricambio della classe politica – quanti anni ci vogliono? – che imposti e risolva la questione dell’incompatibilità delle cariche, della trasparenza delle organizzazioni partitiche, degli stipendi di deputati e senatori e, finalmente, proponga una legge elettorale non orientata al bipolarismo, che in Italia non si può fare e non è cosa da fare.
Essere tra i padri ricostruttori dello Stato alleato come antitesi dello Stato ostile berlusconiano, invertire la tendenza in favore della crescita culturale del sistema Paese, è un’autentica rivoluzione. A questa rivoluzione può aspirare solo una sinistra consapevole di cosa è il berlusconismo e di come si combatte. Capace di sostenere una battaglia culturale e politica di lungo respiro, inclusiva nei confronti di liste civiche, movimenti, intellettuali, società civili. In questo quadro, certo, è importante valutare la scelta di uno o più leader in area progressista, ma la questione sembra essere di lunga sopravvalutata. La reale dimensione di una leadership si valuta solo nel tempo, e parrebbe fin troppo banale e semplicistico dire che non è la singola persona che ne determina il risultato. Il ruolo del leader è quello del moltiplicatore del consenso, della rappresentanza visiva, dell’agente primo del processo di trasformazione. Il parlante del nuovo linguaggio: chiaro, deciso, pronto a dibattere. Se anche carismatico, ben venga.
Non si vedono ora leader che mostrino di possedere queste consapevolezze, e di guadagnare autorevolezza con le loro argomentazioni. Se sia il momento storico o la confusione delle forze progressiste a impedirne la nascita, non è dato di sapere. Del resto, l’Italiano siamo tutti noi, elettori immaturi e disorientati: nel riprendere la nostra formazione alla democrazia, chi lo sa, potrebbe accadere di incontrare nuovi leader, nuovi agenti del cambiamento, nuovi moltiplicatori del consenso. Il cammino è lungo: che la Sinistra sia con noi.