Archive for the ‘carla benedetti’ Category

Frocio e basta?

3 aprile 2014

Con Carla Benedetti a Soriano nel Cimino a raccontar di Petrolio, della morte di Pier Paolo Pasolini e dei possibili mandanti. La vicina torre di Chia era un rifugio di Pasolini, che qui ha anche girato alcune scene de Il Vangelo secondo Matteo.

Io so…

22 novembre 2012

«Pasolini conosceva la verità sulla morte di Mattei»
di Marco Vigo

La stessa inquietante verità sull’uccisione dell’ex presidente dell’Eni – precipitato con il suo aereo nelle campagne di Bascapé – che molti anni dopo emergerà dalle indagini del giudice pavese Vincenzo Calia: un sabotaggio, i cui mandanti sedevano ai vertici dell’Ente petrolifero. Ne hanno parlato Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti alla presentazione di Frocio e basta presso la libreria Feltrinelli di Pavia.

«La brutale morte di Pasolini il 2 novembre 1975 non fu un delitto a sfondo omosessuale ad opera di un “ragazzo di vita” – Pino Pelosi – bensì un vero e proprio massacro premeditato, forse per tacitarlo, a cui presero parte almeno sette persone: dalle colonne del “Corriere della Sera” e in Petrolio (il suo romanzo incompiuto, uscito postumo nel 1992) Pasolini affronta il “nuovo potere”, quello stragista, golpista e piduista in rapporti con i servizi segreti deviati, la massoneria piduista agli albori e la criminalità organizzata». Sembra così sintetizzabile la tesi di Frocio e basta (edizioni Effigie), il nuovo libro di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti presentato mercoledì scorso davanti a un folto pubblico alla libreria Feltrinelli di Pavia.
Sì, perché Petrolio, l’incompiuto romanzo che Pasolini stava scrivendo da ormai tre anni, «non è una storia a sfondo omosessuale frutto di ossessioni – ha spiegato Benedetti – ma un libro sul potere, in cui Eugenio Cefis, presidente dell’Eni dopo Mattei e poi di Montedison, è il personaggio centrale».
Per i due autori, «ad accorgersene per primo non è stato uno studioso di letteratura ma il magistrato pavese Vincenzo Calia nel corso delle sue indagini sull’omicidio di Enrico Mattei», (more…)

Pasolini compie novant’anni

4 marzo 2012

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

Era nato il 5 marzo 1922, dunque oggi avremmo festeggiato il suo novantesimo compleanno. Cosa avrebbe detto Pasolini del tracimante ‘sacco’ del territorio? O di quanto è cronaca in Val di Susa? E del berlusconismo? Dell’ideologia edonistica come strumento subliminale del controllo sociale e dei nuovi modelli di consumo? Il «piacere di consumare, l’essere felici in quanto consumatori» era un suo motivo di fondo nei periodici interventi giornalistici di critica corsara e luterana alla progressiva restaurazione in corso, ben prima di Tangentopoli e la coda lunga dello stragismo fascista mafioso e di Stato, ben prima dunque che fosse emerso prepotentemente l’indistinto e perverso intreccio tra politica criminalità e affari. Pasolini ci manca. Manca all’Italia. Lo voglio ricordare riproponendo Come corsari sulla filibusta, saggio-inchiesta scritto insieme a Carla Benedetti sui possibili scenari e mandanti della sua morte violenta. (G. G.)

Nel 1972 arriva in libreria Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, una quasi biografia – non autorizzata – del presidente di Eni e Montedison, pubblicata dall’Agenzia Milano Informazioni di Corrado Ragozzino, di cui Steimetz è forse l’alter ego. L’agenzia è finanziata da Graziano Verzotto, democristiano della corrente dorotea di Mariano Rumor, uomo di Enrico Mattei ed ex presidente dell’Ente minerario siciliano. Fu anche l’informatore di Mauro De Mauro, il giornalista de “l’Ora” di Palermo rapito e ucciso dalla mafia nel 1970. Così come era accaduto a Mattei sette anni prima. Così come accadrà a Pier Paolo Pasolini cinque anni dopo. (more…)

Cammina cammina mercoledì 15 giugno

26 giugno 2011

da Montefiascone a Viterbo

Cammina cammina martedì 14 giugno

25 giugno 2011

da Bolsena a Montefiascone

cammina cammina 2011 da Milano a Napoli

Cammina cammina lunedì 13 giugno

24 giugno 2011

da Acquapendente a Bolsena

cammina cammina 2011 da Milano a Napoli

Perché cammina cammina 3

16 giugno 2011
Francesco Forlani intervista Carla Benedetti

Il racconto di Sergio Baratto sulla prima tappa di Cammina Cammina è avvincente, ma mi piacerebbe cominciare dalla fotografia che lo documenta. Quella in cui si vede Antonio Moresco che cammina con la stessa sfrontatezza e libertà dell’anarchico di Sarà una risata che vi seppellirà, un’andatura “naturale”. A differenza delle marce, dei cortei, delle sfilate, cammina cammina sembra suggerire infatti qualcosa di più naturale, perfino disteso. Tornare a fare delle cose insieme, in modo naturale, con i piedi per terra, ma con la gioia nel cuore.

Camminare è un’azione semplice, minima. Ma camminare per chilometri e chilometri attraverso l’Italia, “ricucirla con i nostri passi” – come dice lo slogan scelto per questa iniziativa – è anche una sfida ai propri limiti. Il corpo, per lo meno il mio, non è abituato a superare tali distanze senza mezzi di trasporto, perciò questo camminare assieme non è solo qualcosa di naturale, è qualcosa di più.
Farlo assieme ad altri ti dà la motivazione e l’energia per superare questo cimento. Questa mattina ho camminato assieme a altre 13 persone, qualcuna già a me nota, ma la maggioranza incontrate per la prima volta qui: persone che si sono aggiunte e che si aggiungono man mano a questa staffetta, provenienti dai posti più diversi, e dalle professioni più diverse… Abbiamo costeggiato il lago, poi immersi nei boschi, riemergendo tra i campi coltivati, fermandoci a riposare sotto querce secolari, a volte parlando con un altro camminatore, altre volte tacendo per risparmiare fiato nelle salite… C’era con noi anche un cane pastore tedesco, ancora quasi cucciolo, ma anche lui stanco, con le zampe doloranti per aver camminato troppo sull’asfalto caldo nelle tappe precedenti. La strada che seguiamo è la Francigena, che in questo tratto ricalca l’antico percorso della Cassia. Abbiamo visto riemergere per qualche centinaia di metri l’antico basolato della via consolare romana. Quante generazioni prima di noi hanno percorso questi stessi tracciati, dopo averli aperti, pavimentati, abbandonati, poi riaperti di nuovo con nuovi passi… Uno dei camminatori, un medico di Bari, Giovanni Tundo, mi dice che camminare è un’attività in special modo umana. Gli animali, pur conoscendo le migrazioni, non si sono mai mossi così tanto come gli uomini, lungo i continenti, dalla preistoria a oggi.

Cammina cammina non il numero zero di questa discesa (salita) nel concreto, nel reale. C”era stato l’incontro nel 2009 con le tribù d’IItalia riunite nel Castello Pasquini, affacciato sul mare di Castiglioncello, incontro organizzato nsieme a voi de Il primo Amore da Armunia, associazione che si occupa di teatro e danza. Qual era stato il tuo bilancio di allora e soprattutto cosa vi ha spinto verso questo nuovo esperimento?

L’incontro di Castiglioncello è stato importante. Partiva dalla constatazione che in questo paese devastato esistono molte realtà “virtuose” di cui i media non parlano. Persone che da sole o in associazioni, fanno cose incredibili, costruiscono un altro modo di vivere, nonostante le difficoltà, l’isolamento, l’egoismo e il cinismo imperanti. Ma dopo che si sono incontrate, raccontando ognuna la propria esperienza, che senso aveva ripetere di nuovo l’incontro? Stare seduti a parlare, un’altra volta… Bisognava inventare qualcosa di diverso che desse anche il senso di un fare e di un movimento, anche fisico… Nelle situazioni bloccate, come quella che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni, il gesto di alzarsi e camminare in gruppo, ci pareva qualcosa di significativo…

Più che di Giro d’Italia verrebbe da dire, Italia in giro, ovvero persone alla ricerca di realtà condivise ancor più che conosciute. ” La nostra vita è scucita. L’Italia è scucita. Ricominciamo a cucirla coi nostri passi“, è scritto alla fine del manifesto di Cammina cammina. Da Nord a Sud, ovvero attraverso l’esperienza di uno strappo profondo, tra due culture, due storie, Cammina cammina secondo te vuol essere anche una risposta alla visione leghista delle cose?

Certo. Il Nord e il Sud, alle ultime elezioni, hanno espresso qualcosa di nuovo e di inaspettato. Milano e Napoli… E’ accaduto a marcia già iniziata. Abbiamo invitato Pisapia e De Magistris a fare una tappa con noi, nella fase finale dell’arrivo a Napoli. La visione leghista comunque non si basa solo sulla separazione tra Nord e Sud, ma anche sull’odio per gli immigrati. Come se si potessero mettere barriere alle migrazioni umane. Noi ci spostiamo come hanno fatto da sempre i popoli che migrano, camminando.

In questo momento in Spagna un movimento spontaneo, di giovani e meno giovani ha messo in ginocchio il governo socialista. L’unica risposta politica alla crisi venuta fuori dai partiti politici e dagli schieramenti. In fondo anche Cammina cammina rivendica questa sua “sospensione” ideologica rivendicandosi come “una carovana muta, senza bandiere, senza slogan, senza striscioni, solo i nostri corpi e le nostre menti che riprendono il movimento”. Cosa è successo ai partiti?

I partiti, anche quelli all’opposizione, sono stati in questi anni dei fattori di blocco. Le ultime elezioni, e soprattutto il risultato dei referendum, li ha felicemente spiazzati.

Come ultima domanda, Carla, vorrei chiederti, ma in tutto questo, cosa ci fa la letteratura per strada?

La letteratura per strada è al suo posto. Se pensi che l’idea del Cammina cammina è partita da una rivista letteraria “di sconfinamento”… Però gli scrittori sembrano i più refrattari a sconfinare, a uscire dal proprio ruolo-gabbietta. Finora hanno partecipato alle tappe circa 450 persone. Di queste gli scrittori erano una parte insignificante, appena 5, e tutti del “primo amore”, poi c’è stato qualche giornalista, ma nella maggioranza erano chimici, medici, ingegneri, operai, un prete, molti studenti, tanti pensionati e nessuno specialista del trekking. La quasi assenza degli scrittori colpisce.

www.nazioneindiana.com

Prove indizi sillogismi

25 novembre 2010

Il dogma sulla morte di Pasolini
di Carla Benedetti
Alcuni esperti di Pasolini e alcuni giornalisti continuano ancora oggi, nonostante i tanti dubbi emersi negli ultimi anni, a dare per assolutamente certa la matrice sessuale dell’omicidio di Pasolini. Sono Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), Marco Belpoliti (autore del volumetto  Pasolini in salsa piccante, uscito da poco da Guanda), Pierluigi Battista (in un articolo sul “Corriere della sera” dell’8 novembre) e qualche altro.
Come mai queste persone sono così convinte che Pasolini sia stato ucciso in una rissa omosessuale? Su cosa poggia la loro certezza? Non su prove né su indizi. Solamente su di un sillogismo. Eccolo: Pasolini era omosessuale, rimorchiava ragazzi nelle notti romane e praticava una pericolosa sessualità sado-maso. Quindi non può che essere stato ucciso in quel modo.
La fallacia è lampante. Dalla stessa premessa può discendere benissimo anche la conclusione opposta: Pasolini era omosessuale, rimorchiava ragazzi ecc… Quindi era gioco facile nascondere un altro tipo di delitto dietro a quella falsa pista.
Quel falso sillogismo è stato per tanti anni la versione ufficiale sulla morte di Pasolini. C’era un reo confesso, il diciassettenne Pino Pelosi, e questo bastò. Però neanche il Tribunale di primo grado fu in grado di eliminare i dubbi, tanto che condannò il Pelosi “assieme a ignoti”, lasciando aperti molti interrogativi. Oggi che gli interrogativi sono cresciuti, il sillogismo viene invece riaffermato senza argomenti e senza dubbi – cioè come dogma. (more…)

Come corsari sulla filibusta 7

11 novembre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Le verità negate

«Chi tocca il Principe avrà del piombo; chi non lo tocca avrà dell’oro», scrive Steimetz: piombo tipografico o di un qualche calibro? Un ragazzo di 17 anni, Pino Pelosi, si è autoaccusato dell’omicidio di Pasolini. Il 26 aprile 1976 il tribunale di Roma lo ha condannato alla pena di nove anni, sette mesi e dieci giorni di carcerazione, oltre a una multa di 30.000 lire per atti osceni. Il 7 maggio 2005 Pelosi ha ammesso che quel giorno non era solo, che altri avevano partecipato al pestaggio: «Erano in tre, sbucarono dal buio. Mi dissero tu fatti i cazzi tuoi e iniziò il massacro. Io gridavo, lui gridava… Avranno avuto 45, 46 anni, gli gridavano “sporco comunista”, “arruso”, “fetuso”». Insomma, fu un agguato e forse Pelosi era solo un’esca.
Pasolini, stando alla seconda versione di Pelosi, viene massacrato da «tre siciliani»; nel frattempo altri provvedono a sottrarre da Petrolio il capitolo Lampi sull’Eni, «che dall’omicidio ipotizzato di Mattei guida al regime di Eugenio Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi dal 1969 al 1980 e, ora sappiamo, fino a tangentopoli, all’Enimont, alla madre di tutte le tangenti».[91]
Chi sono i veri assassini? Quali i mandanti? Domande in sospeso su cui insiste Gianni D’Elia nel suo prezioso libro-inchiesta Il Petrolio delle stragi, ripreso nel 2009 da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in Profondo nero.[92] Assieme al dossier di Carlo Lucarelli e Gianni Borgna uscito su “Micromega” n. 6/2005, alle tante firme italiane e internazionali raccolte dalla rivista “Il primo amore” per la riapertura del processo e al presunto ritrovamento di una parte del capitolo mancante Lampi sull’Eni [93], forse porterà ad una nuova più approfondita indagine sulla morte del grande regista e poeta friulano.[94] Quasi quarant’anni dopo. Quarant’anni di verità negate agli italiani, in un Paese esposto alle pulsioni mafiose del Potere. È la pasoliniana «mutazione antropologica della classe dominante», che ritroviamo nel linguaggio narcotizzante della televisione, (la grande scommessa P2 persa da Cefis, vinta da Berlusconi), nelle parole vuote – menzognere e terroristiche – della pseudo-politica e nell’immutata logica del Potere, che ha portato al mondo in cui viviamo adesso.
Gli italiani sono oggi relegati nella cattiva società dei ceti immobili; del finto sviluppo senza progresso; delle diseguaglianze senza ascensore sociale «in un Paese orribilmente sporco» e privo di mobilità.
Il Paese della corruzione, delle tangenti, dei favoritismi e dello spreco del pubblico denaro; un Paese tenuto in scacco – oggi come allora – dall’invasiva e colonizzante contaminazione delle mafie, che approfittando del vuoto si fanno Stato, in Lombardia come in Sicilia, in Emilia come in Calabria. Nella politica, nell’economia, e nella finanza e nella società la contaminazione destruttura e corrode nonostante la retorica del consenso strausata da chi, coltiva l’interesse particolare, ignorando la globalizzazione degli uomini e le svolte epocali annunciate dall’arrivo dei nuovi migranti; e assecondando irresponsabilmente gli umori forcaioli della piazza. Quella piazza che in un’allucinante circolarità loro stessi sobillano, alterando tragicamente l’etica pubblica, al punto da elevare a cultura prevalente il nuovo fascismo e con tutto il suo portato di razzismo e xenofobia che, senza ostacoli o freni inibitori, si riversa dalla politica populista al senso commune. L’Italia sembra così il terreno di coltura per un nuovo sovversivo «regime reazionario di massa». [95] È del resto in corso un forte impoverimento del ceto medio – a livello europeo – che può avere come esito una qualche nuova forma di fascismo.[96]
Ma l’effetto più visibile di questa contaminazione pervasiva, è il crescere della cattiveria: «Il tasso di cattiveria sta crescendo sempre più. Le macchine economiche, mediatiche, sportive e di altro tipo funzionano facendo venire fuori il peggio dalle persone e dal Paese. Ovunque esasperazione, invidia, risentimento, livore, paura. L’Italia di questi anni è la fabbrica della cattiveria». [97]
La cattiveria è una rendita economica, e lo sanno bene i Governi che negli ultimi vent’anni hanno sostenuto l’ascesa del loro Prodotto interno lordo con le spese militari e con l’indebitamento di milioni di famiglie, attratte dal miraggio della new economy – la truffa del secolo – mentre intanto i profitti migravano dall’industria verso il sistema finanziario e si drenava il denaro dei piccoli risparmiatori, indotti a indebitarsi dall’offerta vantaggiosa di finanziamenti da parte del sistema creditizio, come nella truffaldina deriva di mutui Subprime sulle case.
La cattiveria è soprattutto una rendita politica, e lo sa bene la Lega nord che «raccoglie le paure degli uomini spaventati e le moltiplica. Capta la xenofobia e la riproduce». È la Lega dei localismi «che intercetta lo spaesamento prodotto dalla globalizzazione. Intercetta il distacco dallo Stato, dalle istituzioni, dalla Ue. E lo amplifica». [98]
Sulla cattiveria si stanno costruendo rendite elettorali e fortune politiche e antipolitiche e lo sa bene il sistema dei partiti, di destra e di sinistra, sempre più attratti dalle semplificazioni del populismo e della demagogia, scorciatoie che ignorano la realtà.
Che la cattiveria sia una rendita economica, finanziaria, politica e persino sociale lo sanno bene i furbetti e le mafie. Infatti larga parte dell’economia italiana è sommersa o in mano a chi, dismesse coppola e lupara, oggi opera in Borsa: il sommerso e le mafie, sommati, fanno un fiume di denaro – circa il 40 per cento del Pil – che preme sull’economia legale e condiziona il libero mercato. Le mafie fatturano 175 miliardi di euro – l’11, 1 per cento del Pil – che è frutto di attività criminali e che viene reinvestito nell’edilizia e nelle attività commerciali, o in operazioni finanziarie attraverso banche compiacenti. Nelle sole regioni del Nord, oltre 8. 000 negozi sono gestiti direttamente dalle mafie inabissate dei colletti bianchi. In Italia, 180mila esercizi commerciali sono sottoposti all’usura, con tassi di interesse in media del 270 per c
ento: un movimento di denaro di 12, 6 miliardi che va ad aggiungersi al ricavato delle estorsioni (circa 250 milioni di euro), della droga (59 miliardi di euro), delle armi (5,8 miliardi), della contraffazione (6,3 miliardi), dei rifiuti (16 miliardi), dell’edilizia pubblica e privata (6,5 miliardi) delle sale gioco e scommesse (2,4 miliardi), della compravendita di immobili, della ristorazione, dei locali notturni, ecc. Uomini cerniera mantengono i collegamenti con il mondo dell’economia, della politica e della finanza. Le mafie condizionano l’intera filiera agroalimentare (7,5 miliardi) interagendo con segmenti della grande distribuzione.
Le mafie delocalizzano, diversificano gli investimenti, hanno molta liquidità, non pagano le tasse, non hanno bisogno di indebitarsi con le banche e pagano cash . Le Procure hanno invece le armi spuntate, perché la legge sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi può essere facilmente aggirata (ad esempio, intestando le proprietà a compiaciuti prestanome), mentre strumenti che potrebbero rivelarsi incisivi, come l’anagrafe dei conti correnti bancari, è disattesa da vent’anni. [99]
La cattiveria a volte è un crimine. Ed è criminale lasciare morire esseri umani (come è ormai norma al largo di Lampedusa), criminale uccidere persone che spesso stanno fuggendo da altre guerre. La cattiveria a volte nemmeno la si vede. Ad esempio, quella nascosta dietro le “morti bianche” sul lavoro, una vera emergenza.
La cattiveria di chi usa le malattie, le povertà e il disagio per traghettare pubblico denaro verso privatissime strutture d’area.
La cattiveria delle false bonifiche – quelle a danno della salute dei cittadini – e dei veri bonifici sui conti cifrati esteri di persone già ricche eppure ostinatamente venali.
La cattiveria dei cementificatori, degli asfaltatori e di chi non smette di speculare sul consumo di territorio vergine, che è un bene non riproducibile. La cattiveria di chi vuole trasformare l’acqua in una merce su cui lucrare, con rincari fino a cinque volte il prezzo attuale.
La cattiveria dei «cattolici senza fede», leghisti digiuni dei Vangeli che esibiscono una croce senza più Cristo né carità. È la Lega «sorta nel vuoto prodotto dall’eclissi del sacro e dalla secolarizzazione. Propone una nuova religione. Naturalmente secolarizzata. Senza Dio e senza chiesa. Sovente, contro la Chiesa». [100]
Tutto questo e molto altro ancora è cattiveria, ma al peggio non c’è mai fine. I cambiamenti climatici, l’inquinamento delle acque e la biodiversità in declino sono di gran lunga più cattivi e devastanti della crisi finanziaria, al punto da minare il futuro stesso della specie umana, che negli ultimi cinquant’anni è raddoppiata. Nello stesso tempo, un terzo delle specie selvatiche o si sono estinte o sono state decimate dal nostro espansionismo.
Scrive Gianni D’Elia: «le parti di Petrolio che non si trovano più davano forse molto fastidio al Nuovo Potere, che si andava consolidando. Forse avrebbero fatto lo stesso botto di Mani pulite, contro la tangentopoli stragista di quella stagione, invece sepolta nella rimozione che siamo diventati, pasolinianamente, “a mutazione criminale avvenuta”».[101] E allora leggiamo Questo è Cefis, e rileggiamo anche Petrolio, che al libro di Steimetz deve molto. Ripercorriamo «il viaggio dantesco dentro i “gironi” della notte repubblicana, della sua “mutazione antropologica” e politica infernale».

(dall’introduzione a Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz, edito da Effigie nella collana Saggi e documenti)

[91] D’Elia, Il Petrolio delle stragi, p.98. Il cugino di Pasolini Guido Mazzon (testimonianza raccolta da D’Elia e Giovannetti il 24 ottobre 2005, a Pavia) «Mia cugina Graziella [Chiarcossi, erede del poeta] mi telefonò due volte  il giorno del delitto – “I fascisti hanno ucciso Pier Paolo”– e qualche tempo dopo, un mese, non ricordo bene.  i ricordo bene quello che mi disse  “sono venuti i ladri in casa, hanno rubato della roba, gioielli e carte di Pier Paolo”» . Mazzon ha poi ripetuto la sua testimonianza  a Paolo Di Stefano (sul “Corriere della Sera”, 4 marzo 2010)  «Nel ‘75, dopo la tragedia di Pier Paolo, Graziella chiamò mia madre per dirle di quel furto. Quando mia madre me lo riferì, pensai  “Accidenti, con quel che è capitato ci mancava pure questa”. E pensai anche  “Strano però, che senso ha andare a trafugare le carte di un poeta?”. Il mio stato d’animo sul momento fu proprio quello. Avevo 29 anni e ricordo bene la sensazione che ebbi. Poi il particolare del furto mi tornò alla mente leggendo Petrolio e venendo a sapere della parti scomparse» Perché l’imbarazzo? «Perché non riesco a capire come mai mia cugina continui a negare quel fatto. Dopo l’annuncio del ritrovamento, l’ho cercata al telefono, ma senza successo  vorrei chiarire, cercare di ricomporre il ricordo.  ia madre è morta due anni fa e non posso più chiederle conferma, ma quella comunicazione telefonica ci fu e si verificò dopo la morte di Pier Paolo, non potrei dire esattamente quanti giorni dopo». Ancora Mazzon a Matteo Sacchi (“il Giornale”, 4 marzo 2010)  «Io ricordo bene che dopo la morte di Pasolini mia madre ricevette una telefonata proprio da Graziella Chiarcossi che le comunicava che c’era stato un furto. Avevano portato via delle carte e dei gioielli.  Mia madre era molto turbata. All’epoca non pensammo affatto a Petrolio.  a col senno di poi e con queste rivelazioni, tutto potrebbe assumere un senso».
[92] Lo stesso titolo di uno dei capitoli del libro di D’Elia, che i due autori correttamente indicano tra le principali fonti d’ispirazione del loro lavoro.
[93] «L’ho letto, è inquietante, parla di temi e problemi dell’Eni, parla di Cefis, di Mattei e si lega alla storia del nostro Paese». Così parlò Marcello Dell’Utri il 2 marzo 2010, annunciando che di Lampi sull’Eni – il capitolo mancante di Petrolio, il mutilato romanzo di Pier Paolo Pasolini – proprio di quelle pagine proprio lui, beffardamente era entrato in possesso. Una notizia clamorosa due volte perché l’amico dello stalliere di Arcore stava dando (inconsapevolmente?) una “notizia di reato” e perché nonostante Dell’Utri ci saremmo trovati di fronte a pagine di rilevante interesse sia storico che letterario. Presto Dell’Utri si corregge «in realtà non l’ho letto… me ne hanno riferito un sunto… sembra ch
e in quelle pagine Pasolini parli… parli dell’Eni… di Cefis… di Mattei…». E a Paolo Di Stefano (“Corriere della Sera”, 12 marzo 2010) Ma lei li ha visti? «Li ho avuti tra le mani per qualche minuto, sperando di poterli leggere con calma dopo». Che fisionomia avevano? «Una settantina di veline dattiloscritte con qualche appunto a mano». Poi si preciserà che sono esattamente 78 «di un totale di circa duecento». Potrebbe essere il famoso capitolo mancante, intitolato Lampi sull’Eni? Risposta «Più esattamente Lampi su Eni». Alessandro Noceti (collaboratore di Dell’Utri) su “il Giornale” del 4 marzo 2010 dice che quelle pagine «erano all’interno di una cassa. La cassa apparteneva ad un Istituto che ne è anche proprietario». A quanto sembra, le veline sparite sarebbero in mano a un antiquario – un intermediario – che le avrebbe offerte al sodale di Berlusconi, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’ottobre 1974 Pasolini dichiara di essere arrivato a 600 pagine (un mese prima erano 337), mentre al filologo Aurelio Roncaglia la cugina Graziella Chiarcossi ne consegna 522: 492 pagine dattiloscritte, le altre a mano, «senza contare – osserva D’Elia – che in pochi mesi ne aveva scritte circa 200».
[94] Il 27 marzo 2009 l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno depositato alla Procura di Roma un’istanza di riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini.
[95] La formula era di Palmiro Togliatti, A proposito di fascismo (1928)
[96] «Che cos’è, infatti, il globalismo (e l’aggettivo “globale” ricorre in Petrolio) se non la forma più avanzata del “cristiano” vecchio coloniali-smo?», si domanda D’Elia  «Un colonialismo delle merci e dei capitali sulla vita degli umani, con altissima velocità dello Sviluppo e della Miseria, di cui il petrolio è l’essenza, la marxiana benzina del valore di scambio» (D’Elia, Il Petrolio delle stragi, p.27)
[97] La fabbrica della cattiveria, “Il primo amore” n. 6/2008
[98] Ilvo Diamanti, Se il Carroccio diventa una Lega nazionale, “la Repubblica”, 13 dicembre 2009
[99] Senza alcun clamore, per il triennio 2009-2011 il Governo Berlusconi prevede una riduzione dell’organico delle forze di Polizia di almeno 40. 000 operatori e tagli di spesa per più di 3 miliardi di euro. Il Governo conferma la riduzione del 50 per cento delle indennità per i servizi in strada e per il controllo del territorio, nonché la riduzione del 40 per cento della retribuzione accessoria per malattia o infortuni sul lavoro.
[100] Diamanti, “la Repubblica”, 13 dicembre 2009
[101] Il Petrolio delle stragi, p.30

(7 – fine)

Come corsari sulla filibusta 6

6 novembre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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A conclusione della sua inchiesta, nonostante la mancata certificazione di sicari e mandanti, Vincenzo Calia scrive:

Dalle fonti di prova raccolte […] emerge che l’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’Ente petrolifero di Stato. […] la programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono – quantomeno a livello di collaborazione e di copertura – un coinvolgimento degli uomini inseriti nello stesso Ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano. Tale coinvolgimento trova conferma nelle soppressioni di prove e di documenti, nelle pressioni, nelle minacce e nell’assoluta mancanza, in ogni archivio, di qualsiasi documento relativo alle indagini e agli accertamenti sulla morte di uno dei personaggi più eminenti nel quadro politico ed economico dell’epoca. […] È facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata – esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri a “Sette […o singole] sorelle” o servizi segreti di altri Paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, volontaria e continuata – di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso Ente petrolifero di Stato, che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o con il consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito vantaggi. [75]

Indagando sulla morte del presidente dell’Eni (nonostante l’accertamento del reato, l’inchiesta verrà archiviata per l’impossibilità di incriminare i colpevoli), Calia ha potuto constatare la lucidità dello scrittore “corsaro” nel ricostruire in Petrolio il degrado e la mostruosità italiana, identificando il burattinaio principale in Cefis, affarista e “liberista” tanto quanto Mattei era utopista e “statalista”.
Dopo la scalata dell’Eni alla Montedison (il colosso chimico privato acquisito con pubblico denaro) , nel 1971 Cefis ne diventa il presidente, lasciando l’Eni (a cui era alla guida dal 1967) al fido Raffaele Girotti. Come ironizza Steimetz, Cefis «si crede un semidio e trova fedeli osservanti in questo suo culto della persona. Se tutti gli danno retta, è ovvio che finisca per convincersi di aver perfettamente e abitualmente ragione. È saccente, tiene a distanza i villani, si lascia appena ossequiare. Ma in Italia lo applaudono ad esempio. L’economia del Paese – come avvertono gli studiosi e i politici seri – va piuttosto male, se non a rotoli, ma lui accantona miliardi senza faticare molto visto il numero di utili idioti che lo favoriscono». [76] Basterebbe aggiungere una bandana estiva, e il ritratto di Steimetz calza alla perfezione con quello di un altro Cavaliere. Chissà, forse Questo è Cefis lo si può trovare anche nella napoleonica villa San Martino di Arcore, acquisita nel 1972 dalla Edilnord – una società immobiliare in quel momento intestata a Mauro Borsani (zio di Berlusconi) e amministrata da Giorgio Dall’Oglio (cognato di Berlusconi) – per una ridicola cifra intorno a 250 milioni in lire (già all’epoca ne valeva 1. 700;oggi il suo prezzo salirebbe a 7, miliardi delle vecchie lire) completa di parco (1 milione di mq.) , di pinacoteca (Tintoretto, Tiepolo, Luini…) e biblioteca con oltre 10. 000 volumi (per la loro cura, venne assunto nientemeno che Marcello Dell’Utri) . [77] (more…)

Come corsari sulla filibusta 5

26 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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La scia del sangue

Il 4 settembre 1998 Graziano Verzotto – interrogato a Pavia – confida a Calia che per Mauro De Mauro «il sabotaggio del Morane Saulnier [il bireattore su cui è morto Mattei] si spiegava con una pista esclusivamente italiana. Tale pista, secondo De Mauro, portava direttamente ad Eugenio Cefis e a Vito Guarrasi», avvocato palermitano in odore di mafia, già componente del cda della s. a. “l’Ora” di Palermo – il quotidiano vicino al Pci presso cui lavorava De Mauro – e braccio destro di Cefis in Sicilia.[57] È un tardivo riscontro della testimonianza di Junia De Mauro al giudice istruttore di Palermo Mario Fratantonio il 17 marzo 1971: «Sono in grado di affermare con sicurezza che mio padre addossava precise responsabilità per la morte di Mattei all’attuale presidente dell’Eni Eugenio Cefis».
Un rapporto del 1944 custodito a Washington nell’archivio del Dipartimento di Stato, indica Vito Guarrasi tra i componenti di spicco di Cosa nostra nell’isola. Dal 1948 al 1950 Guarrasi ha avuto Alfredo Dell’Utri (padre di Marcello) quale socio nella Ra.Spe.Me. Spa, azienda che operava nel settore medico. Secondo il giornalista di “Epoca” Pietro Zullino, «Cefis aveva forti cointeressenze nelle raffinerie Sarom di Ravenna e Mediterranea di Gaeta. Queste raffinerie sono tra le principali rifornitrici del sistema difensivo Nato per il sud-Europa e della Sesta Flotta americana; raffinano e vendono petrolio Esso e Shell. Mattei cercava di obbligare la Nato mediterranea a diventare cliente dell’Eni; Cefis si opponeva a questo progetto, per via delle sue cointeressenze».[58] (more…)

Come corsari sulla filibusta 4

22 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Pasolini si mantiene fedele alla ricostruzione di Steimetz anche riguardo allo statuto proprietario delle singole società. Ancora qualche esempio:

Arolo, scrive Steimetz, aveva come soci la prestanome di Cefis Ambrogia Francesca Micheli e la General Rock Investment trust di Vaduz: nel romanzo diventano la prestanome di Troya Donata Bandel Dragone e la General Lake Investment trust di Coira. La Chioscasauno, sempre stando alle informazioni di Steimetz, era una società a responsabilità limitata rilevata da Cefis nel 1961: così nel romanzo la Spiritcasauno.[41]

Testo alla mano, si può dire quindi che molte delle informazioni di Pasolini su Cefis – in particolare quelle contenute nell’Appunto 22 (Il cosiddetto impero dei Troya ) – venivano da Questo è Cefis. Nel Petrolio delle stragi Gianni D’Elia ha anche considerato «con una certa sorpresa che l’ultimo Pasolini “corsaro”, quello che potremmo anche chiamare “il poeta delle stragi”, riprende quasi sicuramente dal colorito libro di Steimetz il suo aggettivo più romanzesco, salgariano, fortunato e connotato, come si può leggere in Questo è Cefis : “come corsari sulla filibusta”».[42]

Lampi sull’Eni

Tutte le edizioni di Petrolio finora pubblicate [43] contengono uno strano capitolo formato da un titolo e una pagina bianca. Il titolo è Appunto 21. Lampi sull’Eni . È quello che viene subito prima dell’Appunto 22. Il cosiddeto impero dei Troya , cioè le pagine di cui abbiamo parlato finora. Secondo Graziella Chiarcossi, erede di Pasolini e curatrice della prima edizione di Petrolio , quel capitolo non è mai strato scritto. Eppure viene richiamato in un’altra pagina di Petrolio come se fosse già scritto: «Per quanto riguarda le imprese antifasciste, ineccepibili e rispettabili, malgrado il misto, della formazione partigiana guidata da Bonocore, ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato Lampi sull’Eni , e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria ».[44] Anche l’edizione di Silvia De Laude, molto accurata nelle note, non commenta quello strano rinvio a un capitolo che non c’è. Il primo a notare l’incongruenza è stato Calia. Vi si è soffermato poi D’Elia, che la considera la prova di un possibile furto di pagine dal manoscritto di Petrolio , poiché «non si può “rimandare” che a ciò che si è già scritto »[45] . Certo, Pasolini avrebbe anche potuto avere in testa i contenuti di quel capitolo, pur non avendolo ancora steso, e ripromettendosi di farlo in un momento successivo, ma certamente la “lacuna” apre delle domande. Soprattutto se la si somma alla natura dell’argomento, alle modalità della morte dell’autore, al furto o sopralluogo che secondo alcuni testimoni ci sarebbe stato nella casa di Pasolini subito dopo l’omicidio, alle dichiarazioni di Pasolini stesso secondo le quali Petrolio avrebbe dovuto essere più lungo di quello che ora abbiamo, [46] e infine anche al fatto che Petrolio è stato pubblicato ben diciassette anni dopo l’omicidio (un ritardo solo in parte giustificato dall’incompiutezza del manoscritto). (more…)

Come corsari sulla filibusta 3

20 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Pasolini elenca una lunga serie di società tra loro collegate, amministrate da persone riconducibili al vice presidente dell’Eni. Come scopre Calia, si tratta di alcune delle società elencate da Giorgio Steimetz in Questo è Cefis:i cui nomi sono stati sostituiti da Pasolini con altri, ma assonanti. Ad esempio, alla “Immobiliari e Partecipazioni” di Pasolini, corrisponde la In. Im. Par. (Iniziative Partecipazioni Immobiliari) di Steimetz. Alla “Spiritcasauno” e “Spiritcasadieci” di Pasolini, che devono il nome «al fatto che presentemente Carlo Troya abitava in via di Santo Spirito, a Milano» (Calia), corrispondono, nella realtà, la Chioscasauno e Chioscasadieci, così chiamate perché Eugenio Cefis abitava in via Chiossetto a Milano. Steimetz cita la Ge. Da. , poi Pro. De. (Profili Demografici s. p. a.) , Da. Ma. (Data Management s. p. a.) e System-Italia (la stessa società che aveva assunto la figlia del contadino Mario Ronchi di Bascapé), e Pasolini le elenca con acronimi assonanti:

Un anno dopo la “Am. Da.” viene incorporata dalla “Li. De.” (Lineamenti Demografici Spa), con oggetto “stampa e spedizione di lettere e corrispondenze, formazione di schedari ecc.”. […] Qualcosa insomma, tecnicamente, come un piccolo Sid […]. Poi la ‘Li. De.’ si trasferisce (appunto)a Roma […]. E la società prende il nome di “Da. Off.”, Data Office Spa. Ma per poco, perché ben presto […] la società si richiama di nuovo “Am. Da.”. E a questo punto […] la società ampliandosi, espandendosi, prende il definitivo nome di “Pattern italiana”[…] [17] (more…)

Come corsari sulla filibusta 2

10 ottobre 2010

di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti

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Ecco cosa scriveva Pasolini in uno schema riassuntivo di Petrolio intitolato Storia del petrolio e retroscena:

In questo preciso momento storico (I° BLOCCO POLITICO) Troya  sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti) [7]

Calia commenta alcune pagine di Petrolio nella sua Richiesta di archiviazione. E per primo coglie le analogie tra Questo è Cefis e il romanzo di Pasolini, collegando tra loro i fili di questa intricata matassa. Fatica però a reperire il libro di Steimetz. Non sa che una fotocopia si può trovare al Gabinetto Vieusseux di Firenze[8], proprio tra le carte di Pasolini, il quale a sua volta l’aveva ricevuta nel settembre 1974 da Elvio Fachinelli, psicoanalista e animatore della rivista “L’Erba Voglio”. Nella cartella dell’Archivio si conserva anche la lettera di Fachinelli a Pasolini, datata 20 settembre 1974: «Caro Pasolini, le faccio avere una conferenza di Cefis e una fotocopia del libro su di lui, ritirato. Forse le possono servire».
La “conferenza” di cui parla Fachinelli è il testo del discorso tenuto da Eugenio Cefis all’Accademia militare di Modena il 23 febbraio 1972 (pubblicato sulla rivista “L’Erba Voglio”, n. 6).  Pasolini si riproponeva di inserirlo integralmente nel romanzo, a mo’ di cerniera «a dividere in due parti il romanzo in modo perfettamente simmetrico e esplicito».[9]
Nonostante le comuni sintonie, Pasolini e Fachinelli non si conobbero mai di persona. (more…)