di Domenico Settevendemie
La peculiarità della specie umana è il pensiero, e l’uomo lo usa sovente come arma inconsapevole contro le altre specie, e contro se stesso. Subentrata la consapevolezza del pericolo, l’autore prova ad utilizzare la speculazione come prudentissimo e affilatissimo bisturi. Si ritrova così a cesellare una profonda compassione per le altre specie, arrivando a vette imprevedibili: una sorta di onoranza funebre per un formicaio devastato; ma anche – e soprattutto – un amore nutriente (e forse reciproco) verso un felino domestico che gli spalanca le porte della mente. E l’uomo dialoga silenziosamente con il gatto e, forse per telepatia, non osa più nemmeno chiudergli la porta. Ha però il coraggio di riferirci le reciproche considerazioni di specie: a tratti lievi, a tratti profondissime.
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[…] Claretta venne introdotta nel mio mondo per colpa di una grave intossicazione alimentare. Madre di sei figli, cinque maschi ed una femmina, vedova, ultraottantenne, casa di proprietà, ancora abile ai lavori domestici ed alla cura del proprio corpo, questa non è l’inserzione, in verità davvero poco allettante, di una donna ostinatamente alla ricerca di una seconda giovinezza, ma l’antefatto logico-temporale, estraneo a Claretta, che però portò di filato Claretta nella mia casa in un tardo pomeriggio di settembre. Una donna energica, quella appena descritta, che mai, prima d’allora, aveva chiamato in suo soccorso alcuno dei figli, tanto sviluppato fino al masochismo era il suo spirito d’indipendenza. Per altri accidenti simili se l’era sempre sbrigata da sola, al massimo una telefonata alla vecchia amica ex infermiera per qualche consiglio, mettendo al corrente la prole sparsa per il mondo solo a malanno risolto. Ma questa volta la cosa era più seria, i succhi gastrici ormai prosciugati, ed ecco che un banalissimo minestrone mal riscaldato aveva fatto l’effetto di un uragano entro quello stomaco avvizzito dall’usura. Ricovero immediato e l’unica figlia femmina nel raggio di poche decine di chilometri chiamata a correre al suo capezzale. Ma prima, a fare tappa nella casa natale per raccogliere un po’ di biancheria intima, un paio di sottovesti per la notte, ce ne sono di mai usate in fondo al primo cassetto del comò alla destra del letto, prendere le pantofole, quelle buone ancora dentro la carta, spegnere tutte le luci, girare la manopola del gas che si trova sotto il lavabo della cucina, chiudere bene con i ganci gli scuroni delle finestre e dare tutte e tre le mandate alla serratura della porta, infine tirarsi dietro il cancello con una certa forza perché la molla è rotta da tempo immemorabile. Il primo dovere di una figlia, specie se unica femmina tra una covata di maschi, è di rendere per intero all’anziana madre quel lascito di attenzioni e cure che da giovane la madre profuse a tutta l’imberbe discendenza in maniera più o meno equanime e senza distinzioni di sesso. A parti rovesciate, il principio di mutualità si sarebbe trasformato, cioè, in una pena amorosa solitaria e virile, però giocata nel nome del vincolo di sangue a doppio cromosoma x. Obbligo morale attribuito alla giovane figlia dalla storia in via esclusiva, da inscriversi sotto la voce che da una femmina non può che discendere la futura donna, caritatevole ed unica referente verso i bisogni dell’anziano genitore. Assolutamente ligia a tale precetto, avrebbe mollato i figli a casa di amici fidati, tenuto il marito opportunamente alla larga da queste grane familiari, e la gatta, beh la gatta, per lei era stato scelto, a suo dire, il meglio che il quartiere poteva offrire in termini di protezione.[…]
Domenico Settevendemie, Wanted e altre ricercatezze, di prossima pubblicazione presso Effigie