Archive for the ‘giancarlo abelli’ Category

Geppetto Abelli e Pinocchio Cattaneo

24 Maggio 2014

di Giovanni Giovannetti

Che a Pavia loro comandino anziché amministrare ce lo ricordano da cinque anni con pensieri parole e soprattutto opere. E i burattinai – filomafiosi, leghisti, affaristi, fascisti – non hanno mancato altresì di rinfrescare funzioni e memoria al loro Pupo, come ben ha sintetizzato Cristina Niutta – esule da quella Giunta – citando Giampaolo Chirichelli, presidente leghista di Asm: «Controllo cinque consiglieri e tu fai quello che dico io, altrimenti vai a casa». Il giorno dopo Asm assume a tempo indeterminato il direttore generale Claudio Tedesi (affaire Sif Furfurolo di Valle lomellina, affaire bonifica ex Fibronit di Broni, affaire Montecity Rogoredo, affaire Sisas Pioltello, ecc.) ora in galera; il mese dopo lo stesso Chirichelli autoriconosce a se stesso, al Cda e a Tedesi illecite diarie a forfait in misura tale da raddoppiarsi il già cospicuo compenso (decisione che per Statuto spettava all’assemblea dei soci, di cui il Comune silentato contolla il 95,7 per cento); l’anno dopo il Cda con Luca Filippi riconosce a Filippi Luca con il Cda della controllata Asm Lavori o Favori premi di produzione per decine di migliaia di euro in pubblico denaro, a fronte di pochi spiccioli di in-utile a bilancio.
Ma già lo aveva autorevolmente affermato Geppetto Abelli detto il “faraone” poiché tra le qualità del suo burattino, in particolare il burattinaio da subito intese lodare quella sua inclinazione «a essere guidato».
Ieri è oggi, come ben possono testimoniare quattro pubblici amministratori pavesi (Greco, Labate, Gimigliano e Bobbio Pallavicini): ieri coinvolti nell’inchiesta antimafia Infinito, oggi ai primi quattro posti nella lista del partito di Berlusconi, Cattaneo, Abelli e Dell’Utri.
Ieri e oggi: altro esempio, la candidatura di Marco Mangiarotti e Barbara Longo, indicati al Cattaneo da Ettore Filippi (arrestato per corruzione il 13 marzo scorso), lui stesso chiamato e infine confermato dal burattino a rappresentare il sindaco nel Cda dell’Ospedale San Matteo.
Lega, filomafiosi, trapananti e affaristi – incistati a metastasi nella destra berlusconiana dura a morire – muovono i fili al pupo: loro comandano, lui obbedisce.
Ma a quanto pare in città la malattia sta facendo il suo decorso, con «il sindaco più amato d’Italia» ormai in brache di tela e prossimo al ballottaggio così che, sulla torre, la sera di lunedì saliranno lui e il candidato Pd “soldatino” Depaoli: uno governerà, l’altro “morrà”.
Chi “uccidi”? L’amico dei mafiosi o il “soldatino” bifronte iscritto a Legambiente che nel 2010 votò una lottizzazione abusiva? Cosa è meno peggio?
Al dunque, l’esserino telegenico in balìa di filomafiosi (e dei Borghezio) e Depaoli sono la stessa cosa? Non dite «li butto giù entrambi», troppo facile, si deve scegliere. Questione di priorità, poiché a Pavia questa volta “non scegliere” significa scegliere, “non votare” significa votare. Quanto a me, per quel che vale, turandomi il naso ho scelto.

Il vecchio “faraone” e il giovane C.

6 aprile 2014

di Chiara Pracchi *

Comuni al voto, a Pavia troppe ombre sul «sindaco più amato d’Italia». Nella città lombarda i giudici in primo grado hanno condannato il blocco di potere costituito da politici, costruttori e criminalità organizzata. Il primo cittadino Cattaneo, intanto, corre per il secondo mandato.

Gianfranco Abelli, sul palco, insieme ad Alessandro Cattaneo. Alla presentazione della sua lista civica, il giovane sindaco di Pavia che ha scelto di ricandidarsi, ha voluto accanto a sé il vecchio “faraone”, passato indenne per Tangentopoli, quindi fedelissimo di Roberto Formigoni e oggi solo apparentemente in disgrazia, dopo l’arresto della moglie per riciclaggio. Ilfattoquotidiano.it prosegue il suo viaggio tra i comuni al voto e arriva a Pavia, dove il senso delle prossime amministrative è tutto qui: il blocco di potere, che per anni ha imperato sulla città, è saldo. Ed è un blocco costituito da politici, costruttori e – stando al pronunciamento di primo grado nel processo Infinito – dalla criminalità organizzata. «Noi rigettiamo le conclusioni dell’accusa, ma se dovesse essere vero che l’organizzazione mafiosa ha condizionato le elezioni comunali del 2009, quando Cattaneo fu eletto, il sindaco di Pavia non è legittimato a chiedere nessun danno».
Chi parla è l’avvocato di Carlo Chiriaco, condannato a 13 anni in primo grado per aver contribuito a rafforzare la ‘ndrangheta. Il ragionamento non fa una grinza: se la mafia ha procurato i voti per eleggere gli amministratori della città, quegli stessi non possono costituirsi parte civile al processo d’appello. O di qui, o di là. Invece a Pavia la doppiezza sembra essere la norma. E in attesa di sapere se i giudici confermeranno il verdetto di primo grado, il giovane Cattaneo, vicepresidente dell’Anci e astro ascendente nella galassia di Forza Italia, continua a essere il sindaco più amato d’Italia (sondaggio Ipr 2013). Questo nonostante Pavia risulti la peggior città del Nord, dopo Imperia, per qualità della vita (classifica del “Sole 24 Ore”), dove la raccolta differenziata stenta a decollare e il numero di slot machine è il più alto d’Italia (al punto da conquistare la prima pagina del “New York Times”). (more…)

Ad esempio, Broni

20 febbraio 2014

Ex Fibronit. Prove tecniche di magnamagna?
di Giovanni Giovannetti

«Trasportavo gli scarti delle lavorazioni. Sollevavo i pezzi con la pala meccanica e la polvere si levava nell’aria». Erano tubi ondulati e altri manufatti in fibrocemento. Alla Eternit di Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte o negli stabilimenti Fibronit di Broni e Bari la fibra-killer rimane in produzione sino a metà degli anni Ottanta del Novecento, e Broni chiude anche oltre, nel 1992 (e lo stabilimento Eternit a Priolo Gargallo in Sicilia nel 1993), quando una legge impone la cessazione dell’impiego dell’amianto nei manufatti.
Da Casale a Bari sono migliaia le morti per mesotelioma (una grave forma di cancro che può manifestarsi anche molto avanti nel tempo), tra le maestranze o tra chi lì intorno viveva. Morti silenziose, silenziose e inquietanti, e se ne contano numerose tuttora, venti o trent’anni dopo.
Quelle fabbriche sono ormai pericolosi scheletri tossici da bonificare e sopra cui magari lucrare: appetiti non sempre limpidi; nomi a volte chiacchierati.
Ad esempio Broni, 40 morti all’anno certificati, una contaminazione «drammatica» (dal 2002 è tra i “Siti di bonifica di interesse nazionale”), amministratori e dirigenti Fibronit rinviati a giudizio per disastro ambientale e omicidio colposo aggravato, centinaia di lutti «provocati dall’amianto che è stato immesso nell’ambiente di lavoro e in ambienti di vita su vasta scala, causando decessi e patologie asbesto correlati (mesoteliomi pleurici e peritoneali, tumori polmonari, asbestosi o patologie non di origine polmonare) di un elevato e indeterminato numero di lavoratori, di cittadini residenti nel comune di Broni, oltre che di persone che, comunque, prestavano la loro attività lavorativa nello stesso comune» (da un Rapporto della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, 12 dicembre 2012). Tuttora, lo sappiamo, si continua a morire. (more…)

Protezione globale

22 marzo 2013

Gariboldi, Abelli, Formigoni e la Fondazione Maugeri
di Giovanni Giovannetti

Funzionari infedeli, politici corrotti. La Regione Lombardia ha elargito “discrezionalmente” oltre 600 milioni di euro alla clinica Maugeri di Pavia e al San Raffaele di Milano, in cambio di fondi elettorali, contributi finanziari e altri momenti di piacere per l’ex governatore Roberto Formigoni, il «promotore e organizzatore dell’associazione a delinquere» che, negli ultimi dieci anni, grazie a loro non ha praticamente speso un euro di tasca sua. Proprio come i “contributi elettorali” dati dal costruttore Dario Maestri al suo ariete istituzionale Ettore Filippi (ma non chiamatela corruzione, e nemmeno voto di scambio). Intanto si è scoperto che Rosanna Gariboldi coniugata Abelli ha goduto di un contratto «di progetto» presso la Maugeri – «fittizio» secondo gli investigatori – remunerato nel suo insieme con 350.000 euro.

La Fondazione Maugeri nasce a Pavia nel 1965 come Clinica del Lavoro e conta istituti in numerose regioni italiane. Mission: la tutela della salute nel lavoro e la prevenzione dei rischi legati ad attività produttive, con particolare attenzione alla medicina riabilitativa e al reinserimento socio-produttivo del disabile.
Il 13 aprile 2012 la Guardia di Finanza arresta l’ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia, il ciellino Antonio Simone, nonché il presidente della Fondazione Umberto Maugeri, il direttore amministrativo Costantino Passerino, il consulente Gianfranco Mozzali e il commercialista Claudio Massimo. E con loro il faccendiere Pierangelo Daccò, in carcere dal novembre 2011 per aver avuto parte nell’oblio materiale e morale dell’ospedale milanese San Raffaele (per questa storia Daccò è stato condannato in primo grado a 10 anni di reclusione nel processo con rito abbreviato).

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Abelli Anthology 6

4 dicembre 2010

Gian Carlo Abelli incontra la troupe di Annozero sul ponte della Becca presso Pavia

Grulli scodinzolanti

1 novembre 2009
di Giovanni Giovannetti

Come mai Beppe Grillo tace sulla nuova Tangentopoli o Pattumopoli in emersione dietro le bonifiche ambientali di alcune aree dismesse in Lombardia? Come mai non informa i cittadini che devono essere informati di come, in sette anni, ben 275 milioni di euro in pubblico denaro sono passati dalle casse della Regione Lombardia a quelle del ciellino Giuseppe Grossi, l’imprenditore amico di Formigoni, Abelli, Berlusconi e di tanti altri ora incarcerato?
A chiunque segua l’intricata trama forse non sarà sfuggita la contiguità degli interessi di Grossi e Cesarina Ferruzzi (altra arrestata) da una parte ed Enrico Sassoon dall’altra (fra l’altro, una società di Sassoon, la Global Trends, fornisce servizi e sviluppa il marketing di Italcementi spa,  recentemente indagata per favoreggiamento mafioso). Sassoon è anche socio della Casaleggio e associati che, per farla breve, significa Beppe Grillo.
È lo stesso Grillo visto un anno fa assai risoluto nel denunciare al Parlamento europeo la “mappa del potere” ecomico-politico-finanziario degli altri, tralasciando tuttavia ogni riferimento alla sua personale mappa, popolata da gente che coltiva interessi ben precisi. Sono gli stessi che negli ultimi cinque anni hanno consentito al genovese di portare il suo personale reddito da meno di due a più di cinque milioni annuali, ovviamente in euro.
Dal blog del Circolo Pasolini Irene Campari informa che «Casaleggio e associati è legata a contesti culturali, finanziari ed economici la cui mission esplicita è la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico, la gestione dei rifiuti, la mobilità sostenibile, l’e.commerce, l’Information technology (Btm) for business, i social network. E tutto – interesse, partecipazione, discussione, scelta del capo, acquisti – ha un preciso rimando alla Rete e solo alla Rete […]. La mobilità sostenibile è cruciale per il successo dell’e.commerce, così come per la democrazia “dal basso”. Come vitale sarà non fare più il minimo accenno alla decrescita e ai negozi di vicinato, ai servizi nei quartieri e nei centri storici. Meglio qualche supermercato di media dimensione qui e là, piuttosto che qualche negozietto che attiri pensionati e ragazzi sotto casa a scambiarsi uno sguardo e due parole. L’interazione umana è dannosa per l’e.commerce e per le dittature democratiche. Dobbiamo essere a chilometro zero: ma solo noi, gli “utilizzatori finali”; perché le logistiche e i trasporti di merci saranno inevitabili, come  i lavoratori a basso costo della vecchia delocalizzazione globale». Sono argomenti trattati anche da alcuni grillini “eretici” in un libro, Webbe Grillo (disponibile gratuitamente in Rete) e in molti indignati interventi implacabilmente censurati dal Grillo e dai grulli “ortodossi”. E mi fermo qui per pietà.
In provincia di Pavia dire Grossi equivale a dire Abelli: allora andate sul tanto democratico e informativo blog di Beppe Grillo (http://www.beppegrillo.it/): se nello spazio per le ricerche in alto a destra scrivete “Abelli” non uscirà niente o, per la precisione, solo post che contengono parole come “sgabelli”. Allora provate a scrivere “Gariboldi” (la moglie di Abelli, ora in carcere): scoprirete che nel blog dei “cittadini informati” «Non sono state trovate pagine che contengono “Gariboldi”». Allora cocciutamente sulla tastiera battete “Giuseppe Grossi”: nulla. Come mai? Forse perché gli amici degli amici sono loro amici.

Abelli Anthology 5

22 agosto 2009
Accusa di riciclaggio per la moglie di Abelli
di Luigi Ferrarella

Last but not the least, ecco il recentissimo articolo del “Corriere della Sera” sul conto di Lady Rosanna Gariboldi in Abelli nel paradiso fiscale di Montecarlo, nonché su alcuni movimenti in denaro estero su estero (Svizzera e ritorno) verso un conto di Giuseppe Grossi. Grossi è un imprenditore del ramo bonifiche, uno che ama la caccia e le auto d’epoca, un amico di merende del marito. Entra in scena l’avvocato svizzero Fabrizio Pessina, al soldo  di Grossi, in carcere dal febbraio al luglio 2009 per il presunto riciclaggio di 22 milioni di euro, «sovrafatturati nei costi di bonifica dell’area di Santa Giulia di Luigi Zunino» a Milano Rogoredo, bonifica affidata a una società del Grossi. Una soffiata della Guardia di Finanza? Guerra tra bande nel Popolo delle LIbertà?  Resa dei conti tra Poderstà e Formigoni? (alle recenti elezioni provinciali milanesi vinte dal berlusconiano Podestà, i ciellini avrebbero votato in massa per il "nemico" Penati…). Certo è che i 570 nomi usciti dal computer di Pessina sembrano ormai in mano a molti: studi fiscali, nemici politici di Abelli e Formigoni, giornalisti… Settembre è alle porte. In questi articoli abbiamo incontrato Santa Rita e Santa Lucia: la prima è popolarmente nota come avvocatessa dei casi impossibili; la seconda sostenne con fermezza la sua fede fino al martirio: a quale delle due intende votarsi il nostro “faraone”?

Lei, Rosanna Gariboldi, è assessore all’«Organizzazione interna e relazioni esterne» della Provincia di Pavia e moglie di Giancarlo Abelli, già assessore della Regione Lombardia prima di diventare parlamentare del Pdl e vicecoordinatore nazionale del Popolo della Libertà. Lui, Giuseppe Grossi, alla testa della «Sadi» quotata in Borsa, è il più grande imprenditore italiano delle bonifiche ambientali di ex aree industriali. Pavesi entrambi. Ma a unirli c’è anche altro. Un conto cifrato del la moglie di Abelli a Montecarlo, dalla singolare operatività: nel luglio 2007 bonifica a un conto svizzero gestito da un fiduciario di Grossi 500.000 euro, poi per due volte nel marzo e nell’ottobre 2008 riceve complessivamente 632.000 euro da conti esteri 'schermati' di Grossi. La Procura di Milano ha avviato una rogatoria internazionale a Montecarlo sul conto di Gariboldi presso Banque J. Safra, al momento indagando la moglie di Abelli per l’ipotesi di reato di riciclaggio. Grossi è invece sotto inchiesta già da febbraio, quando due suoi collaboratori, gli ex del la GdF Paolo Pasqualetti e Giuseppe Anastasi, e il suo avvocato svizzero Fabrizio Pessina, sono stati arrestati con l’accusa d’aver riciclato all’estero per conto di Grossi 22 milioni sovrafatturati nei costi di bonifica dell’area di Santa Giulia di Luigi Zunino. Con Santa Giulia il capitolo Gariboldi-Grossi c’entra nulla: vi spunta solo per un disguido, buffa breccia nel muro di riservatezza bancaria. L’ha ricostruito in un memoriale Pessina, che per Grossi gestiva so cietà estere e che da Grossi riceveva (tramite collaboratori) gli estremi dei conti ai quali mandare soldi, senza però mai sapere chi ci fosse dietro.
Un appunto sequestrato «riporta l’istruzione (ragionevolmente da Anastasi e/o Pasqualetti) rispetto alla necessità di bonificare 332.000 euro al conto 17964 A alla banca J.Safra di Montecarlo» nel 2008. Lo staff di Pessina prova ad eseguire. Ma un altro «appunto a mano, ragionevolmente della mia segreteria» (ritorno fondi, manca beneficiario) fa capire cosa è accaduto: la banca vuole maggiore dettaglio. Gli uomini di Grossi rispondono alla struttura di Pessina, con un altro appunto sequestrato, di dire alla banca che «l’intestazione del conto J.Safra è ' Associati'. Saluti e Buona Pasqua». Ma neppure l’indicazione Associati , da sola, basta alla banca, come si capisce dalla segretaria di Pessina che annota banca, dati beneficiario incompleti.
Alla fine è Banque Safra, con la segretaria Isabella, a quasi dettare come vada compilato il bonifico: in alto a destra, allora, nell’appunto la segretaria di Pessina «aggiunge Gariboldi, seguito da una freccia esplicativa: dato Isabella devo indicare».
Così emerge l’abbinamento Associati 17964 Gariboldi. Da questo conto, Gariboldi il 27 luglio 2007 risulta aver ordina to un bonifico di 500mila euro a uno dei conti gestiti da Pessina per conto di Grossi al Chiasso. Ma un’informativa GdF segnala ai pm «che, a fronte di questo accredito, il 17 marzo 2008 e il 6 ottobre 2008 sono stati eseguiti due bonifici di 332.000 e 300.000 euro a favo re del conto monegasco» di cui beneficiaria è la moglie di Abelli. Che, interpellata dal Corriere, spiega: «Mi ha restituito soldi che gli avevo prestato. Grossi è un amico. Un giorno mi ha detto: sto facendo un affare, se vuoi ti investo dei soldi. Glieli ho dati dal conto che ho in Francia per le spese di una casa che ho lì, e lui me li ha restituiti 18 mesi dopo, con un interesse del 10-12%». Prestare soldi a Grossi che maneggiava milioni in contanti? «Sono una persona semplice, forse troppo in buona fede». Che affare era? «Non lo so, non lo chiesi a Grossi». C’era un contratto tra voi? «No, niente nero su bianco, sa com’è con gli amici, anche le garanzie non esistono, si fa un favore a un amico…».

”Corriere della Sera”, 5 agosto 2009

Abelli Anthology 4

21 agosto 2009
E il figlio dell’assessore alla Famiglia divenne primario
di Gianluigi Paragone

Le colpe dei padri non dovrebbero mai ricadere sui figli, così come quelle dei figli sui padri. Ma se di cognome fai Abelli e non sei un semplice omonimo del plenipotenziario lombardo alla sanità , almeno in Lombardia, almeno tra Voghera e Montescano qualche porticina aperta forse la trovi. Ovviamente la trovi per meriti professionali, null’altro che per meriti professionali, anche se chiamarsi Abelli a volte conta. Ad esempio, sul registro scolastico sei secondo solo ad Abbado, e  dopo l'Università… Dopo l'Università vieni solo dopo «AAA. Primario radiologo referenziato cercasi. Astenersi lottizzati e perditempo». L’articolo che segue – del direttore di “Padania” Gianluigi Paragone – è del 2005.

Ha ragione Formigoni: Alessandro Cè deve chiedere scusa. Sì, in quell’intervista al “Corriere della Sera”, ha sbagliato. Dicendo infatti che «Alcuni vivono la politica come logica di potere e forse a questa categoria appartiene Formigoni», Cè ha sbagliato. Ha sbagliato a dire «forse»: Formigoni non è estraneo a quella logica di potere. C’è dentro da capo a piedi.
E lo dimostra la cura con cui Formigoni sta sbrigando alcune questioni in materia di sanità, prima che il bubbone scoppi del tutto. E cioè prima che Cè torni alla Sanità, oppure prima che la giunta Formigoni vada in crisi. Oppure ancora prima che Formigoni faccia le valigie per Roma. Cosa ha fatto il “Celeste” in versione assessore? Tra le “urgenze” da sbrigare ha sbloccato il passaggio dell’ospedale di Saronno a Fondazione. E ha detto sì alla nomina di un certo Fabrizio Abelli a primario di radiologia all’ospedale di Voghera, Pavia.
Abelli, chi? Abelli Fabrizio. Da non confondere con Abelli Giancarlo, assessore della giunta Formigoni e papà di Fabrizio. Il quale non è neanche da confondere con Abelli Paola, la quale è sì figlia di Abelli Giancarlo – l’assessore – ma anche direttore sanitario di una clinica privata convenzionata con la Regione Lombardia: la Maugeri di Montescano, Pavia.
Non c’è che dire, Abelli è un ottimo assessore alla Famiglia: la sua infatti l’ha sistemata davvero bene. Il figlio primario. La figlia direttore sanitario. In molti dicono che anche gli amici, per la verità, Abelli li ha a cuore: l’ultimo è quel Di Giulio, anch’egli in odor di primariato.
Alla luce dei fatti, non si può che dare ragione a Formigoni: la querelle Cè rischiava davvero di bloccare la sanità lombarda. Meno male che ci ha pensato il puro Governatore, l’integerrimo, il rampollo di casa Cielle. Colui che si indigna solo a parlare di potere, figurati a inciuciarci.
Bene – dicevo – ha fatto il Governatore lombardo a prendere lui le deleghe della Sanità e occuparsi di due-tre passaggi su cui Cè si ostinava a voler vederci più chiaro. Già, perché magari i due figli di Abelli sono le persone più preparate nel loro campo, anzi sicuramente lo saranno (anche se digitando Google non ci sono rimandi professionalmente interessanti sulle esperienze dei due Abelli jr) e, quindi, curricula alla mano, avrebbe anch’egli, Alessandro Cè, premiato i due bravi figlioli dell’assessore alla Famiglia. Ma fatto da Formigoni… in tutta fretta… in una situazione politica ancora da chiarire… i figli di Abelli… Il dubbio eccome se c’è. Anzi, Cè. Decisioni quantomeno inopportune, diciamo così. Ma non per lui, per Formigoni che a un quotidiano locale avrebbe detto che «La sanità non è della Lega né di Cè». È vero: la sanità è dei cittadini; lombardi innanzitutto. E il fatto che il“Celeste” lo abbia omesso non è una certificazione di garanzia sulla sua personale politica sanitaria. Una politica per cui i primariati si danno anche per Grazia ricevuta (e non solo per la brillantezza del curriculum), per cui le strutture private devono drenare un po’ di risorse alle strutture pubbliche e il ticket va conservato anche se sta penalizzando eccessivamente i meno abbienti. E molto altro ancora ci sarebbe da dire.
Sono tutte argomentazioni per le quali la Lega ha preteso l’assessorato alla Sanità, con il fine di imprimere una guida politica diversa. Se infatti il “modello sanitario di Formigoni” (il che non equivale a dire il “ odello sanitario lombardo…”) fosse perfetto, l’ex assessore Borsani non ci rimetteva le penne politiche alle ultime elezioni regionali. Ecco perché Bossi ha individuato in Alessandro Cè (politico non in cerca di visibilità: era capogruppo alla Camera) la persona giusta per quell’incarico. La sanità (materia delle tre che con la riforma saranno devolute in esclusiva alle Regioni) non può continuare a essere gestita come se fosse una società per azioni, con manager e medici lontani dalla gente: la Sanità deve essere a misura di persona; una persona che in una fase delicata della sua vita ha bisogno di particolari attenzioni. Persone e non utenti.
Sulla sanità c’è una questione politica: Formigoni sapeva benissimo che, accettando di affidare l’incarico alla Lega, le politiche sanitarie lombarde avrebbero subìto un’azione diversa. Meno privatistica, per esempio. Più chiusa alle nomine con corsie preferenziali, come dimostra la vicenda del figlio di Abelli, la cui nomina a primario di radiologia nell’ospedale di Voghera ha, quantomeno, registrato una improvvisa accelerazione.
Fabrizio Abelli già svolgeva mansioni dirigenziali in una struttura privata: la clinica riabilitativa Maugeri di Pavia, centro accreditato presso la Regione (in parole povere: prende soldi pubblici). La stessa clinica di cui la sorella, Paola Abelli, è direttore sanitario. Dal 10 ottobre – si aspetta ancora la firma del direttore generale Sanfilippo – il figlio dell’assessore Giancarlo Abelli guiderà dunque la radiologia, passando dal privato al pubblico. Sarà un caso, ma un altro ciellino andrà così ad aggiungersi alla già lunga lista di primari appartenenti a Cl. L’altro giorno la Compagnia del compianto don Giussani ci scrisse una lettera precisando che loro nelle nomine non entrano, hanno altro a cui pensare: sarà per un eccesso di amicizia tra ciellini nel Pirellone, o sarà che avere un santo protettore in Paradiso aiuta, o ancora che il Governatore e il direttore generale della Sanità (Carlo Lucchina) sono di Cl, sarà quel che sarà ma i ciellini promossi sono davvero tanti. Forse troppi…
Formigoni – che tanto si è indignato per il passaggio sulle logiche di potere nell’intervista di Cè – poteva dunque evitare in questa situazione di stallo di portare avanti la pratica del figlio di Abelli. Le priorità della Sanità sono ben altre…

“la Padania”, 29 ottobre 2005

Abelli Anthology 3

20 agosto 2009
Polizze milionarie a Pavia
di Franco Vernice

A Gian Carlo Abelli il 13 porta sfiga. Era il 13 febbraio 1985 quando venne arrestato – insieme a Dino Landini e al cognato Claudio Gariboldi – per ordine del giudice istruttore Cesare Beretta, che lo accusava di peculato e concorso in truffa (verrà assolto). Claudio Gariboldi è il fratello di Rossella, l'assessore provinciale pavese e moglie di Abelli balzata recentemente agli onori delle cronache per alcuni movimenti in denaro presso un suo conto cifrato (17964 A) alla banca J. Safra di Montecarlo, conto sul quale la Guardia di Finanza sta ora indagando. 1985, altri tempi: a Tangentopoli mancavano sette anni e c'era ancora la Democrazia cristiana, il partito per il quale si industriava il nostro apprendista "faraone" .

Lo dipingono come una specie di "Gei Ar" del Ticino, grintoso e rampante fino alla sfrontatezza. Un politico duro, ma anche un uomo di mondo. Dalle 22 di mercoledì scorso, Giancarlo Abelli, consigliere regionale democristiano, presidente dell' importantissima commissione regionale per la Sanità, oltre che proconsole dell'ufficio speciale per l'Oltrepo, è rinchiuso in una cella del carcere di via Romagnosi, sulle spalle un'accusa di peculato che certo molto peserà nella prossima campagna elettorale. Un altro presunto capitolo della "tangenti story" italiana, a quanto pare. A spedirlo in prigione, è stato il giudice istruttore Cesare Beretta, che da molti mesi scandaglia nei meandri amministrativi dell'ospedale Policlinico San Matteo, cattedrale del nostro sistema sanitario, l'istituto dove vanno a farsi operare i "re del pallone" con il ginocchio "rotto", ultimi ospiti il milanista Hateley e l'interista Zenga. Il giudice Beretta sospetta che nelle polizze di assicurazione stipulate dal San Matteo, del quale Abelli è stato a lungo presidente-padrone, vi siano pesanti irregolarità. In pratica, svariati milioni sarebbero finiti nelle tasche sbagliate. Così, sono partiti i mandati di cattura: uno per Abelli, che deve rispondere anche di concorso in truffa, un altro per un ex direttore amministrativo del San Matteo, Dino Landini, anch'egli incriminato per peculato e concorso in truffa, un terzo mandato di cattura indirizzato a Claudio Gariboldi, imputato di truffa. Gariboldi è il fratello della donna con la quale Abelli vive. Il legame Abelli-Gariboldi venne usato dagli autori (o dall' autore) di una lettera anonima spedita in duplice copia nel 1983 al quotidiano locale, "La provincia pavese" e alla magistratura. Poche righe, ma piene di veleno, per insinuare che dietro le assicurazioni del San Matteo, ci fosse del losco. Da tempo, "La provincia pavese" insisteva con inchieste e servizi sul Policlinico, la più grande azienda pavese, con migliaia di dipendenti ed un bilancio annuo superiore ai cento miliardi. Insieme ai tenaci giornalisti della "Provincia", in seguito alla lettera anonima, cominciarono così a muoversi anche i giudici. Per qualche mese, l'inchiesta sembrò muoversi sott'acqua. Poi, ecco una serie di perquisizioni negli uffici del San Matteo, e in quelli di Claudio Gariboldi, titolare di un'agenzia delle assicurazioni "Reliance", ma anche agente di altre compagnie. Vengono passati al setaccio tutti i contratti stipulati dopo il 1974. Nel frattempo, partono ventidue comunicazioni giudiziarie. Una è per Abelli, le altre vengono mandate a casa di Gariboldi e di altri amministratori o ex amministratori del San Matteo. Dopo una prima cernita, i ventidue si riducono a otto: Abelli; Gariboldi; l'ex presidente del San Matteo, Attilio Ciacci; l'attuale vice-segretario della Dc pavese, Dino Cristiani; l' altro ex presidente Virginio Trespi; l' ex consigliere Lino Lugano e il suo collega Francesco Falerni, più Dino Landini. Agli otto, il 5 febbraio 1985, il giudice Beretta fa riritare i passaporti. Nel frattempo, il giudice istruttore e il pm Giuseppe Baccolo studiano i risultati di una perizia d'ufficio sulle polizze e fanno una scoperta. Fra le copie custodite dall'amministrazione del San Matteo e quelle in mano a Gariboldi gli importi non corrispondono. Le carte dell'ospedale registrano sempre cifre più alte delle copie conservate dall' assicuratore. La differenza, in qualche caso, è notevole: una polizza che al San Matteo sembra essere costata 338 milioni e rotti, nella versione Gariboldi appare di appena 160 milioni. E le polizze sono molto numerose, contro gli incendi, per la responsabilità civile, contro gli infortuni ai dipendenti. Una montagna di polizze. Fra l'altro, ad inchiesta già in corso, nel 1984, il San Matteo, (ora presieduto da Pier Franco Marchetti, dc, e diretto da un grande amico e compagno di partito di Abelli, Giovanni Azzaretti) risulta essersi servito ancora una volta del solito Gariboldi. Anno dopo anno, polizza dopo polizza, il totale in gioco è di centinaia e centinaia di milioni. Interrogato dai giudici, Claudio Gariboldi pare abbia ammesso «che qualche cosa non andava», assumendosi però ogni responsabilità. Un'inchiesta che sembrava procedere, per la verità, un po' a stento. Fino a mercoledì, quando il giudice Beretta ha ascoltato l'ex consigliere del Policlinico Francesco Falerni, rimasto al San Matteo dal ' 76 all' 81, quando preferì farsi da parte. Democristiano dalla fama specchiata, pare che Falerni non si trovasse del tutto a suo agio con Abelli, all'epoca presidente dell' ospedale e gran manovratore della Dc pavese. Controlla il 40 per cento del patito (sotto le insegne di Forze Nuove), quando l'ex ministro Virginio Rognoni, che è di Pavia, nella sua città conta solo il 14 per cento. «Dal San Matteo mi sono defilato perché la gestione Abelli non mi convinceva», racconta Falerni. Con i giudici, mercoledì, Falerni ha parlato per sette ore. Alla fine, nella testa dei magistrati sembra si sia accesa la classica lampadina: dai dossier hanno tirato fuori tre documenti, relativi ad una polizza del 1979, li anno studiati, poi Beretta ha firmato i mandati di cattura. Abelli, contro il quale da tempo l'opposizione di sinistra alla Regione Lombardia aveva aperto il fuoco, ha dovuto dimettersi dalle sue presidenze, pur mantenendo la poltrona di consigliere. La Dc lombarda, in ogni caso, ne ha proposto la sospensione cautelativa dal partito. Mentre si appanna la ferrea ma poco adamantina immagine del "Gei Ar" del Ticino, l'inchiesta prosegue. Ieri sera è stato interrogato l'ex "spalla" di Abelli, Dino Landini. Presto, toccherà allo stesso Giancarlo Abelli. E i magistrati sembrano decisi a verificare se davvero, quello strano ospedale era diventato una colossale piazza d' affari. Lo stesso Beretta ha in canna un' altra indagine: al centro gli appalti da decine di miliardi per la costruzione di alcuni nuovi reparti del San Matteo.

“la Repubblica”, 15 febbraio 1985  

Abelli Anthology 2

18 agosto 2009
Abelli rassicura Pipitone «Ora chiamo io la Cantù»
di Walter Galbiati e Emilio Randacio

Seconda puntata della nostra Abelleide, con questo articolo sui rapporti – certificati da alcune intercettazioni telefoniche – tra l’ex assessore regionale e Francesco Pipitone, proprietario della clinica Santa Rita di Milano. Il medico del Santa Rita Pier Paolo Brega Massone è in galera da 14 mesi, accusato di omicidio volontario e truffa ai danni del sistema sanitario nazionale. L’ex assessore regionale alla Sanità Gian Carlo Abelli invece pare tranquillo: come il mafioso Vittorio Mangano (lo “stalliere di Arcore” incarcerato per tre omicidi, traffico di stupefacenti ed estorsione; quello che, secondo Marcello Dell'Utri, è stato «a suo modo un eroe») anche Brega Massone tace e almeno per ora non sembra voler barattare «dignità con libertà».

Pressioni, lobbing, telefonate con politici che sembrano amici intimi e possono dare una mano. A un mese dal blitz che ha scoperchiato lo scandalo della clinica Santa Rita, la procura, in silenzio, cala altre carte che fanno intuire i futuri sviluppi dell' indagine, tutt'altro che conclusa. Perché, scorrendo le ultime intercettazioni depositate al tribunale del Riesame dai pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella, si scoprono telefonate anomale tra i vertici della Sanità lombarda e quelli della Santa Rita, dal 2006 nei guai per la sospensione della convenzione con il Servizio sanitario nazionale (Ssn), soprattutto per colpa di quello che oggi sembra essere il principale responsabile dello stato in cui la struttura privata si trova, il primario del reparto di chirurgia toracica Mario Brega Massone. All'indomani del suo allontanamento dal centro dell'ex notaio Francesco Pipitone, il chirurgo oggi in carcere da poco più di un mese, non desiste dall' idea di ritornare al suo posto. Così sembra spiegarsi la conversazione del 4 gennaio scorso, intercettata dalle Fiamme gialle del Nucleo di polizia tributaria. Brega Massone chiama Maria Cristina Cantù, attuale numero uno della sanità in Lombardia. Il medico chiede un colloquio. La Cantù si è appena insediata alla direzione generale della Asl Milano 1. L'atteggiamento del manager pubblico, non è tenero. Anzi. La Cantù, parlando della situazione della Santa Rita alla quale deve essere rinnovata la convenzione con il Ssn dopo i fatti del 2006 e la sospensione del 2007, dice: «Sicuramente la Santa Rita è indifendibile e quindi mi sorge spontaneo, da osservatore esterno, domandarmi come, chi ha talento, chi può essere un fuoriclasse, va alla Santa Rita». Presa di posizione secca, intransigente, precisa e che sembra lasciare poche speranze. Sembra, perché tre mesi dopo, a marzo, queste certezze sembrano misteriosamente cambiare, improvvisamente, tanto che è la Cantù stessa ad apporre la firma sulla convenzione con la clinica Santa Rita. Cosa è successo nel frattempo? Che cosa ha fatto cambiare idea alla manager in quota Lega Nord? Per capire il motivo della virata, sembra emblematica un'altra conversazione captata dai militari delle fiamme gialle. Gli interlocutori sono nientemeno che l' allora assessore regionale alla Famiglia, Giancarlo Abelli, Forza Italia, oggi promosso al rango di vicecoordinatore nazionale del movimento fondato da Silvio Berlusconi e, dall'altro capo della cornetta, il proprietario della Santa Rita, quell'ex notaio Pipitone attualmente agli arresti domiciliari. Tra i due si registra un tono molto confidenziale. Abelli al telefono con Pipitone dice: «Mi ha chiamato la Cantù, mi ha chiesto se sei soddisfatto». Tre mesi prima dei 14 arresti, la commistione che ruota intorno alla gestione della struttura emerge in maniera sempre più evidente. Il 31 marzo, infatti, è ancora Pipitone a chiamare Giancarlo Abelli per chiedere una revisione del contratto. L'assessore è un po' contrariato: «Cazzo, io ho la campagna elettorale, che cosa c'è?». L'ex notaio non demorde. «Mi hanno messo nel contratto, mi hanno imposto di fare della riabilitazione di manutenzione, mettendo a disposizione 30 posti letto. Mi danno 1,5 milioni di euro in meno, abbiamo finito perché è più oneroso». In sostanza Pipitone chiede ad Abelli di togliere quella richiesta, preferisce rinunciare a 1,5 milioni di euro di fatturato perché comunque mettere a disposizione 30 posti letto per la riabilitazione di manutenzione gli costerebbe di più. Ma l'esponente azzurro lo consiglia, frenando le sue intenzioni. «Non firmare, non firmare. Adesso chiamo io la Ser… chiamo la Tempini, la Cantù. Dì alla Cantù (ndr, sempre la manager Asl) di non rompere i coglioni… che hanno imposto delle cose che sono pazzesche». Mentre l'inchiesta che ha coinvolto i medici e la proprietà potrebbe essere vicina a una conclusione, i filoni che verranno scandagliati nelle prossime settimane sono indirizzati a far emergere le coperture che hanno garantito per troppi anni l’impunità dei responsabili.

“la Repubblica”, 11 luglio 2008

Abelli Anthology 1

17 agosto 2009
«Le cliniche degli orrori? Il vero orrore è il sistema sanitario»
di Gianni Barbacetto

Scandali, inchieste e arresti… Eppure Gian Carlo Abelli rimane in sella. Anzi, fa carriera: assessore in Regione Lombardia, vice coordinatore nazionale di Forza Italia e infine deputato. Riproponiamo allora, uno alla volta e in ordine sparso, alcuni articoli dimenticati sulle leggendarie imprese del  temuto “faraone” della Bassa. Di lui si parla anche in questa intervista di Gianni Barbacetto a Giuseppe Santagati, il manager milanese che scoprì e denunciò lo scandalo delle ricette d'oro, e per questo fu cacciato.

«Ora tutti abbiamo visto all’opera la “clinica degli orrori”. Ma quello della Santa Rita di Milano è un caso limite: il vero orrore, ogni giorno, è il nostro sistema della sanità. È questo che poi crea le cliniche degli orrori». Il giudizio, netto e senz’appello, è di uno che se ne intende: Giuseppe Santagati, avvocato amministrativista, è da vent’anni manager della sanità a Milano. Degli scandali negli ospedali parla con cognizione di causa, perché è lui che ha scoperto la madre di tutti gli scandali. Era il 1996 e allora quelle che oggi si chiamano Asl (aziende sanitarie locali) si chiamavano Ussl (unità socio-sanitarie locali). Ebbene, Santagati era direttore generale dell’Ussl 39, Milano sud e paesoni dell’hinterland, per territorio la seconda della Lombardia. Un bel giorno di marzo, entrò trafelata nel suo ufficio una dottoressa dell’Ussl, Tiziana Zuliani: «A costo di autodenunciarmi, devo dirle che ho firmato una ricetta irregolare, ho fatto una prescrizione non legittima».
Che cosa aveva mai fatto la dottoressa Zuliani? Aveva prescritto un esame medico complesso, chiamato Spect, non rimborsabile dal servizio sanitario. Con qualche timbro in più, lo aveva fatto diventare rimborsabile. Poi si era pentita ed era corsa dal capo. Santagati capì subito che non si trattava di un fatto isolato. Aprì un’inchiesta interna. E scoprì che lo Spect e tanti altri esami erano regolarmente prescritti da molti medici, dietro pressanti sollecitazioni, e adeguati compensi, di un ras della sanità milanese, Giuseppe Poggi Longostrevi, padrone di cliniche e laboratori d’analisi. Era una truffa gigantesca: molti miliardi di lire di denaro pubblico allegramente rubati. Che cosa fece Santagati? Invece di voltarsi dall’altra parte, o di pretendere la sua parte nel banchetto, raccolse le sue carte e andò a consegnarle al procuratore della Repubblica Francesco Saverio Borrelli. Nacque così quello che fu chiamato lo “scandalo delle ricette d’oro”.
700 medici coinvolti, 175 condannati. E fine drammatica per Poggi Longostrevi che, lasciato solo da tutti, anche da quelli che avevano permesso la sua resistibile ascesa, nel settembre 2000 si tolse la vita. Non prima di aver confermato di aver dato soldi e regali a tanti, medici e funzionari. Settanta milioni anche a Giancarlo Abelli, da decenni uno dei padroni della sanità in Lombardia, contemporaneamente consulente di Longostrevi e consigliere del presidente della Regione Roberto Formigoni: «Dovevo tenermi buono un personaggio politico che nel settore contava molto. Per me pagare Abelli era come stipulare un’assicurazione», aveva spiegato Longostrevi. E poi aveva aggiunto: «Alcuni sono stati costretti alle dimissioni solo per un sospetto, altri sono stati premiati con la nomina ad assessore». Abelli, in effetti, divenne prima assessore di Formigoni e ora è addirittura parlamentare del Pdl. Processato, fu assolto da una sentenza che però puntualizza: «La consulenza, non effettiva, mascherava un versamento in denaro al politico per guadagnarne i favori».
«Sa che cosa successe invece a me?», chiede oggi Santagati. Ebbe un premio, per aver fatto risparmiare alla Regione un pacco di miliardi? «No. Fui cacciato. Sostituito al vertice della mia ex azienda (ironia della sorte o scelta calcolata?) da un mio omonimo: Santagati Giuseppe, stesso nome e stesso cognome». Santagati, quello vero, continua: «Dalle “ricette d’oro” (1997) alla “clinica degli orrori” (2008) c’è in mezzo un decennio che è stato un susseguirsi di scandali. Solo gli ultimi e solo quelli avvenuti a Milano: San Carlo, otto arresti per truffa al sistema sanitario nazionale; San Siro-San Donato, sequestrate centinaia di cartelle, modificate (secondo l’accusa) per ottenere maggiori rimborsi; San Pio X, centinaia d’interventi di chirurgia estetica praticati su malati di Aids; San Raffaele-Ville Turro, due medici arrestati per una presunta truffa presso il Centro del sonno. L’elenco potrebbe continuare. È mai possibile? È evidente che qualcosa non funziona nel sistema».
Le storie si ripetono all’infinito. Ogni volta ci sono fatture gonfiate, dichiarazioni false, piccoli interventi chirurgici fatti passare per operazioni più grosse. Oppure interventi pagati, ma mai fatti. O, ancora, eseguiti, ma del tutto inutili e a volte anzi dannosi. Cambiano i protagonisti e le tecniche, però la sostanza resta uguale: «La Regione paga, butta i nostri soldi. Come fanno a ripetere che la sanità lombarda è la migliore d’Italia? Hanno trasformato gli ospedali in un supermercato: ed è una gara a offrire le cure più costose, non importa se utili o no. Uno entra per una visita ed esce con un trapianto. L’interesse del sistema è il profitto dell’imprenditore della sanità, non la salute del paziente».
Ma la Regione non controlla? «Se a scandalo segue scandalo, è evidente che i controlli non funzionano», risponde Santagati. «Sono i fatti a dimostrarlo. Il modello lombardo, il modello Formigoni, ha trasferito ingenti risorse dagli ospedali pubblici alle cliniche private. La Regione paga, alla fine, le prestazioni di tutti. Così, nel migliore dei casi, spinge a dare sempre più prestazioni, e a scegliere quelle più costose. Nel peggiore dei casi, quando entra in scena un medico disonesto, le prestazioni saranno anche inutili, oppure dichiarate ma non eseguite».
Santagati ha proposto di sottoporre anche le aziende sanitarie all’obbligo di revisioni contabili, come le aziende private: «Almeno avrebbero revisori dei conti indipendenti e non, come oggi, di nomina politica». Ma ora sono di moda proposte che vanno nella direzione opposta. Santagati agita una pagina del Sole 24 ore: «Giuseppe Rotelli, padrone di molte cliniche private milanesi, propone che anche gli ospedali pubblici diventino società per azioni. Per aumentare la loro efficienza, dice. Ma quale efficienza, in un mercato protetto in cui, alla fine, è sempre la Regione a pagare? Diventando società per azioni, gli ospedali sfuggirebbero anche all’unico controllo che oggi funziona, quello della Corte dei conti. Ma le cose vanno avanti così. Tutti s’indignano per gli orrori e non vedono (o non vogliono vedere) il sistema che genera quegli orrori».
Strano anche il metodo di selezione dei manager della sanità. Cacciato Santagati, che aveva scoperto la truffa, restano quelli che non si accorgono di niente. Resta, per esempio, Antonio Mobilia, ora direttore generale del San Carlo, ma prima direttore dell’Asl 1 da cui dipendeva la Santa Rita degli Orrori: le intercettazioni telefoniche hanno dimostrato i suoi stretti rapporti d’amicizia con il proprietario della clinica, Francesco Paolo Pipitone. Mobilia era già stato indagato, nel 1999, per sospetti favoritismi a un fornitore, ma era poi stato prosciolto.
Restano ai vertici degli ospedali lombardi perfino i manager già condannati per scandali del passato. Come Vito Corrao e Pietro Caltagirone, entrambi con sulle spalle una sentenza per falso e abuso d’ufficio nel processo che in un primo tempo aveva coinvolto anche Mobilia. Condannati, eppure entrambi premiati: Caltagirone con un posto di direttore generale all’ospedale di Lecco, nominato nel 2007 dal presidente Formigoni in barba alla legge nazionale sulla sanità che esclude
dai ruoli dirigenziali chi ha subìto sentenze di condanna. Una provvidenziale delibera della giunta regionale lombarda ha stabilito i criteri per le nomine in terra padana, dimenticando d’inserire falso e abuso d’ufficio tra i reati che impediscono di diventare direttore generale. Così anche Corrao, dopo la condanna, è stato nominato da Formigoni direttore generale del Gaetano Pini, che ha lasciato solo per passare al vertice di un ospedale privato, il San Giuseppe.
Santagati ormai non se la prende. Il suo ultimo incarico è stato quello di revisore dei conti al Niguarda, il più grande ospedale milanese, ma non lo hanno riconfermato. Ora aspetta di entrare al Gaetano Pini, ma su questo deve pronunciarsi addirittura il Consiglio di Stato.

"Il venerdì di Repubblica", 11 luglio 2008