Per lo Stato italiano non tutti i bambini che nascono in Italia sono italiani. Eppure io sono sempre più convinto che il tema della cittadinanza degli immigrati, in particolare dei minori che nascono in Italia, debba rientrare in quel pacchetto immigrazione di cui da tempo parla lo Stato italiano. A questo proposito, concordo con le recenti affermazioni dei vescovi italiani che, dopo i gravi fatti di razzismo di Rosarno, esortano a superare le tentazioni della xenofobia e chiedono, attraverso l’arcivescovo Bruno Schettino, presidente della Fondazione Migrantes e responsabile Cei per l’Immigrazione, diritto di cittadinanza e di voto per gli immigrati regolari in Italia. E, in particolare, quando ricordano che ai figli di genitori di origine non italiana che nascono in Italia, deve essere subito riconosciuta la cittadinanza italiana.
I minori stranieri in Italia sono passati dai 284 mila del 2001 agli 862 mila del 2008, rappresentando il 22,2 per cento della popolazione straniera regolarmente residente. Ogni anno arrivano in Italia oltre 100 mila minori. Di questi, 65 mila sono i nuovi nati nel nostro Paese da famiglie straniere e rappresentano l’11 per cento dei nati complessivamente in Italia. Come si fa a non considerarli ancora italiani? A non garantire ancora il diritto all’istruzione di tutti i minori immigrati e rifugiati: dai minori arrivati in Italia per ricongiungimento familiare ai minori rifugiati; dai minori non accompagnati ai minori nomadi; dai minori stranieri in carcere ai minori usciti da percorsi di prostituzione?
«I ricongiungimenti familiari – afferma la Cei – rappresentano solo il 35 per cento (circa 35 mila) del totale dei minori stranieri arrivati in Italia lo scorso anno». E aggiunge: «Attorno ai diversi volti di minori stranieri, per evitare violenze, sfruttamento e abusi, è messa alla prova la capacità istituzionale di tutela dei diritti fondamentali dei minori, primo fra tutti il diritto alla famiglia». Sante parole.
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Immigrati, minori e cittadinanza
18 gennaio 2010Scuola pubblica
8 gennaio 2010di Giuseppe Caliceti
Per sopprimere la scuola pubblica, dopo aver ottenuto entro fine gennaio il lasciapassare dai palazzi della politica, nel 2010 si passi ad attuare una riforma delle superiori facendo slittare di sessanta giorni il termine per decidere il corso superiore a cui iscriversi. Si riducano drasticamente le tipologie dei corsi, includendo le sperimentazioni nazionali e autonome. Si impoveriscano i contenuti dell'offerta formativa. Si diminuiscano le ore di scuola degli studenti per risparmiare soldi. Di fronte alle possibili resistenze, si inizi a parlare vagamente di ore opzionali-facoltative. Si riducano gli indirizzi anche dei nuovi Istituti tecnici e professionali alternativi ai licei. Si dividano in due settori – economico e tecnologico – che avranno un orario settimanale corrispondente a 32 ore di lezione, contro le attuali 36 virtuali (della durata media di 50 minuti).
Per sopprimere la scuola pubblica, anche nel 2010 si continui con l'abbattimento violento dei posti di lavoro: che sulla carta corrispondono, esattamente come nel 2009, ad oltre 40.000 docenti e 15.000 Ata (amministrativi, tecnici ed ausiliari) in meno. Non di tenga conto della rimostranze di sindacati, associazioni e movimenti in difesa dei precari, su cui si abbatterà totalmente la scure dei tagli. Diverse migliaia di supplenti che da anni operavano stabilmente nella scuola si ritroveranno senza lavoro, peggio per loro. A loro si ricordi che il governo ha confermato anche per il 2010-2011 il ridicolo decreto salva-precari per gettare un po' di fumo negli occhi all'opinione pubblica.
Per abbattere la scuola pubblica si sostenga ripetutamente che la spesa dell'Italia per l' istruzione è troppo alta e che rispetto ai paesi dell'area Ocse il nostro paese vanta uno dei rapporti alunni-docenti più distanti dalla media di riferimento. Non è vero, ma l'importante è ripeterlo. I dati sono gonfiati dall'alto numero di docenti di sostegno presenti nelle nostre scuole: l'Italia inserisce i disabili nelle classi, non crea classi differenziali; in altre realtà i docenti di sostegno o, comunque, gli assistenti ai disabili, sono a carico del Ministero della Sanità, ma questo gli italiani non devono saperlo. Soprattutto, non risulti che chi vuole abbattere la scuola pubblica ce l'abbia in alcun modo con i diversamente abili. Di fronte a estremisti che facessero notare come un alto numero di docenti sia legato anche al territorio disomogeneo della nostra penisola, con molte zone montane e isole dove esistono corsi anche con meno di dieci iscritti, si rida in faccia. Ancora: di fronte a chi vi farà notare come la politica dei tagli ad ogni costo giunga proprio con l'aumento di alunni e studenti iscritti nelle classi italiane – quest'anno, rispetto al 2008, ci sono stati 37.441 allievi in più, – dite che si tratta solo di propaganda comunista.
Per sopprimere la scuola pubblica la prima tranche di tagli, quella relativa all'anno 2009, prodotta attraverso l'introduzione del maestro prevalente in primaria e l'attuazione della riforma alla secondaria di primo grado, assieme alla dimensionamento dei plessi, bisogna continuare senza paura a tagliare. Nel 2010 a riduzione di ore alle superiori ci permetterà di sopprimere almeno 10-15 mila docenti di ruolo alle Superiori; forse, grazie alla possibilità di insegnare su altre materie, attraverso l'allargamento delle attuali classi di concorso (ad esempio matematica e matematica applicata alle superiori), potranno tornare a ricoprire delle cattedre vacanti come titolari, ma certo non devono riuscirci tutti.
Per sopprimere la scuola pubblica il 2010 riservi alle scuole le stesse limitazioni economiche attuate negli ultimi due-tre anni: sui finanziamenti per il funzionamento ordinario, quelli che servono ai presidi per la manutenzione e per acquistare beni di prima necessità come gessetti, fotocopie, toner e carta igienica. A proposito, ricordiamo che il 14 dicembre del 2009, il ministero Gelmini ha inviato agli istituti una nota, la n. 0009537, che anche per l'anno scolastico in corso continuerà a non garantire le risorse finalizzate al funzionamento didattico e amministrativo. Nella nota si aggiunge di tagliare del 25% sulle pulizie delle aule scolastiche e che «la rimanente somma è destinata alle spese per supplenza, funzionamento ed esami di Stato». Così si scaricherà gran parte del lavoro sui bidelli sopravvissuti alla riduzione già varata dal ministro. E per le società che hanno in appalto il servizio pulizia vuol dire tagliare posti di lavoro visto che il 95 per cento del costo delle pulizie e della vigilanza è impegnato per pagare gli stipendi.
Per sopprimere definitivamente la scuola pubblica italiana, se reazionari dirigenti scolastici porranno il problema di garantire la pulizia di banchi, aule, corridoi e bagni degli istituti, visto che dagli uffici scolastici regionali non sono arrivati ancora lumi su come comportarsi, si segua l'esempio di intellettuali come Galli Della Loggia del Corriere quando ripete che ogni grande e necessaria Riforma della scuola non possa che essere ostacolata dalla maggioranza della gente e denoti la caparbietà e la brillantezza del Ministro dell'Istruzione.
Così facendo, senza che l'opinione pubblica se ne sia accorta, la scuola pubblica italiana ha ottime possibilità di essere completamente soppressa, e inizierà una nuova era.
Tutti a casa alé
8 settembre 2009di Giuseppe Caliceti
Chiamiamo le cose col loro nome: oggi nella scuola italiana è in atto il più grande licenziamento di massa della storia della nostra Repubblica.
È un fatto storico, drammatico, ma ben pochi organi di informazione ne parlano. Gelmini ha parlato di 150 mila lavoratori in meno in tre anni: se fossero lavoratori della Fiat o dell'Alitalia scoppierebbe una mezza rivoluzione, ma visto che a licenziare è lo Stato e licenzia docenti, tutto, inquietantemente, tace.
Prima di ogni elezione ogni politico ci ricorda che occorre investire di più nei giovani e nella formazione perché sono il nostro futuro.
Ma oggi il nostro Paese è noncurante del futuro grigio che l'attende ed è appiattito su un presente manipolato quotidianamente da un'informazione governativa di parte che condiziona pesantemente ogni settore dell'opinione e della vita pubblica. Scuola compresa.
Il licenziamento di massa colpisce soprattutto i precari, la cosiddetta plebe indocent. Alcuni occupano le sedi degli ex uffici scolastici provinciali, gli ex provveditorati agli studi. Altri si raccolgono in sit-in. Altri fanno lo sciopero della fame. Altri ancora, ben 15.000, patrocinati dall'Anief – l'Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione -, hanno ottenuto dal Tar Lazio l'inserimento in graduatoria «a pettine» (cioè, in base al punteggio) e non «in coda», come preteso dalla Lega. Per il momento il ministero ha dato indicazioni di ignorare la sentenza in attesa che il Consiglio di Stato confermi o meno quanto già stabilito dal Tar: se dovesse dargli ragione, si dovranno ripetere le nomine a anno scolastico iniziato, creando ulteriore caos nelle aule.
I tagli agli organici del personale previsti in questo primo anno sono 42.500 tra gli insegnanti e 15.000 tra il personale ausiliario.
E questo sarebbe solo l'inizio di un «virtuoso» triennio. Saranno almeno 16.000 i supplenti di scuola media e superiore che non troveranno più la cattedra. A loro occorre sommare i colleghi della scuola elementare, appiedati dallo smantellamento del «modulo». E almeno 10.000 Ata che, dopo anni di supplenza e l'aspettativa di entrare di ruolo, si ritrovano di punto in bianco disoccupati. E' facile prevedere che nei prossimi giorni, quando si svolgeranno le convocazioni per l'assegnazione delle supplenze, la protesta si estenderà a macchia d'olio: solo allora, infatti, tutti avranno l'esatta percezione di quanti di loro resteranno senza lavoro. E al Sud ci si accorgerà improvvisamente di trovarsi in una vera e propria emergenza sociale: tanto è vero che, dopo aver brandito la scure, ora anche Tremonti parla timidamente di cassa-integrazione per i docenti.
Gelmini, annunciando nei giorni scorsi le novità sul reclutamento e la formazione dei nuovi insegnanti, che in buona parte possiamo anche condividere, è come le maestrine della penna rossa di una volta: fa un bel segno su quello che c'era prima, strappa la pagina, tutto da rifare, senza preoccuparsi di chi rimarrà senza lavoro.
Ma c'è di più: il ministro vieta di protestare. Perché, per esempio, «ogni dirigente scolastico, a qualunque parte politica appartenga, è tenuto al dovere di lealtà verso lo Stato e al necessario riserbo nelle sue esternazioni». Parola dell'onorevole Garagnani (Pdl). Ma la pensa così anche il direttore scolastico regionale dell'Emilia Romagna: non ritiene che una preside, Daniela Turci, consigliere comunale a Bologna, possa criticare le politiche della Gelmini. Questa è la regola non scritta della Gelmini: siate ubbidienti e servili.
L'ideologia pericolosa del Governo-Azienda si riproduce nella Scuola-Azienda. Non ti licenzio, osi protestare? La concezione della democrazia e del rapporto fra i funzionari dello Stato e loro dirigenti è sempre più preoccupante. Chi è dipendente dello Stato non potrebbe esprimersi criticamente e pubblicamente su come i superiori operano per quel «bene comune» che è sempre meno bene e sempre meno «comune». Per quanto tempo ancora i direttori generali, regionali, provinciali, e pure tantissimi presidi tenteranno di tenere chiuso il coperchio d'una pentola che, ora per ora, borbotta sempre più? Nessuno si accorge che stiamo arrivando a larghe falcate alla fascistizzazione della Scuola?
Il razzismo è una brutta storia
24 Maggio 2009Il numero di immigrati in Italia è più che triplicato solo nell’ultimo decennio. Sono oltre tre milioni. E i bambini? Nessuno lo sa con precisione.
Sono meno che in altri Paesi europei, ma certo in questi anni da noi il malcontento e il razzismo verso di loro è cresciuto, fomentato anche da alcuni movimenti politici. Reggio Emilia è oggi quarta in Italia per incidenza immigrati. Pur avendo straordinarie eccellenze educative riconosciute a livello nazionale e internazionale, anche qui capita che gli immigrati siano sempre più visti come un problema di ordine pubblico e come una minaccia all’identità culturale del nostro paese. Ho iniziato a insegnare nel plesso di Reggio Emilia come maestro elementare di ruolo nel 1983. Per alcuni anni, fui distaccato dal normale insegnamento su classe per curare un progetto ministeriale per l’integrazione dei bambini stranieri all’interno delle elementari di Sant’Ilario d’Enza, un paese tra Parma e Reggio Emilia. Allora c’erano solo alcune decine di bambini di origine non italiana, ora diverse centinaia, ma quel progetto è soppresso da tempo. Sono tornato al mio normale lavoro di insegnante di classe: l’immigrazione cresceva e nelle scuole c’erano sempre più bambini di origine non italiana.
Quanti alunni stranieri avrò conosciuto in questi venticinque anni di scuola? Duecento? Quattrocento? Di più? Non so, ma ho sempre cercato di accogliere tutti e di ascoltarli con attenzione, clandestini compresi. Ho cercato di rispettare i loro silenzi finché, in modo inaspettato, è scattata in loro la voglia di raccontarsi e rileggere, a volte anche in modo fantastico, la propria esperienza. Hanno aiutato me e tanti alunni italiani a guardare con occhi nuovi al complesso fenomeno dell’immigrazione e ai problemi a esso connessi, mettendo spesso in discussione le nostre presunte superiorità e certezze. Ci siamo aiutati a guardare in modo diverso il mondo e il Paese in cui ci siamo trovati ad abitare. Fin da principio ho preso l’abitudine di trascrivere parole, frasi, conversazioni, testi scritti da questi bambini. In più di un’occasione sembrava di rivivere la favola del Brutto Anatroccolo, ma non sempre. Una volta ambientati in Italia, ho chiesto loro cosa ne pensassero dell’Italia e degli italiani.
Ho raccolto i frammenti di tante storie, riflessioni, confidenze piene di speranza e di paura, di realtà e di fantasie, di tristezze e di allegrie, di ingenue osservazioni e di fantastici fraintendimenti. Ne è uscito questo ritratto inedito dell’Italia di oggi e degli italiani. Ho cambiato i loro nomi per ragioni di privacy, ma non la loro età e la loro nazionalità. Questo è libro è dedicato sia a loro che ai loro compagni di classe italiani. Ma anche a tutti i loro genitori. Grazie. Buona lettura.
(Il brano qui sopra è l’introduzione a Italiani, per esempio. L’Italia vista dai bambini immigrati, presentato alla Fiera del Libro di Torino. Edito da Feltrinelli, il libro raccoglie le voci di piccoli studenti extracomunitari delle scuole reggiane, e condensa la mia esperienza di maestro elementare. Il volume si inserisce in un progetto più ampio "Il razzismo è una brutta storia" promosso dalla casa editrice milanese per tutto il 2009, e costituisce l’assaggio di una versione ampliata, la cui pubblicazione è prevista per il 2010).
L'articolo 3 della Costituzione
23 aprile 2009di Giuseppe Caliceti
Dopo i medici, tocca ai docenti della scuola pubblica italiana. Per i medici il dilemma era: curare o denunciare? Per i docenti è: insegnare o denunciare? Il disegno di legge già approvato dal Senato, e ora in discussione alla Camera, introduce infatti nella scuola il reato di soggiorno illegale. La Cgil e Flc Cgil hanno diffuso un appello che sottoscriviamo. «Noi educhiamo, non denunciamo!»
È scritto. «Tutte le bambine e i bambini hanno gli stessi diritti». A prescindere dalla loro razza, religione, condizione sociale, eccetera. Come d’altra parte recita l’art. 3 della nostra Costituzione. L’appello: «Come purtroppo non era difficile prevedere siamo arrivati alle leggi dell’intolleranza, in palese contrasto con la nostra Costituzione e con le convenzioni internazionali sui diritti fondamentali. L’art. 362 del codice penale obbliga i pubblici ufficiali, pena una sanzione pecuniaria, alla denuncia dei reati di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni. È chiara la posizione in cui si verrebbero a trovare i docenti e dirigenti scolastici nel momento dell’esercizio della propria professione. Anche la soppressione dell’art. 35, comma 5, del D.Lgs. 286/1988 che prevedeva il divieto di segnalazione, da parte dei medici, dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno, produce effetti all’interno della scuola rispetto alle iscrizioni degli alunni immigrati che non avessero effettuato le vaccinazioni obbligatorie e che quindi debbono essere indirizzati alle strutture sanitarie per mettersi in regola». Continuano la Cgil e Flc Cgil: «È evidente e per noi inaccettabile il disprezzo per la dignità e i diritti delle persone contenuti in questo disegno di legge. Nei confronti della funzione educativa della scuola e della deontologia professionale dei docenti di questo paese, tutto questo rappresenta una violenza intollerabile che non possiamo che respingere.
Ci chiediamo che relazione esista tra la tanto acclamata e propagandata volontà di inserire tra le materie scolastiche lo studio della Costituzione e la predisposizione di una legge che si pone agli antipodi di una normale lezione di educazione civica. Una visione così gretta dei rapporti sociali, della funzione educativa della scuola, del ruolo e della funzione di chi ci lavora va respinta e combattuta con forza e per questo invitiamo tutti quanti, personale Ata, docenti e dirigenti scolastici a sottoscrivere l’appello all’obiezione di coscienza».
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Costituzione della Repubblica Italiana, Principi fondamentali)
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E’ possibile sottoscrivere l’appello on line noieduchiamoenondenunciamo.
Cara CGIL scuola ti scrivo
5 marzo 2009Alcune settimane fa un’amica, Linda, che fa parte del Coordinamento Insegnanti e Genitori di Reggio Emilia in mobilitazione contro i tagli alla scuola compiuti dalla Gelmini, mi ha chiesto di girare un mio articolo pubblicato su “Il Manifesto” e su “reggio24ore” agli iscritti al Coordinamento. Ho detto che naturalmente poteva farlo. Anzi, mi faceva piacere. Qualche giorno fa mi ha girato questa mail firmata da Alan Albertosi insieme al resto dell’Ufficio scuola FLC di Reggio Emilia, di fatto la CGIL Scuola di Reggio Emilia. La lettera è stata inviata, col consenso dell’autore, a tutti gli iscritti al Coordinamento da Emiro Endrighi, l’infaticabile animatore del Coordinamento. Non fosse stata inviata agli iscritti, avrei lasciato perdere. Voglio dire: ora non sarei qui a scrivere quello che sto scrivendo. E’ noto che ognuno ha le sue idee e, aggiungo, è un bene. Ma essendo stata inviata a tutti gli iscritti al Coordinamento – di cui fanno parte tanti genitori e docenti preoccupati come e forse anche più di me per quello che sta avvenendo nella scuola pubblica italiana – credo sia mio diritto e dovere parlarne. Ecco la lettera di Alan Albertosi e del resto della Cgil Scuola di Reggio Emilia.
Caro Emiro,
ho letto con un certo imbarazzo la lettera aperta di Linda e Giuseppe Caliceti ("illustre" firma del Manifesto e docente dell’ IC S.Ilario, nonché "fantasma" nelle assemblee sindacali). Oltre a vari passaggi condivisibili sulla latitanza della sinistra, del governo ombra (Garavaglia), sull’assenza di un progetto alternativo di scuola pubblica… i due autori si lanciano nella rituale invettiva contro i sindacati, Cgil compresa.
Ora, accusare la FLC- Cgil di «strategia poco chiara» di «prendere tempo» mi pare francamente scorretto. Dopo un autunno intensissimo di incontri informativi, assemblee sul territorio, dibattiti che abbiamo condiviso con il Coordinamento e ora il Tavolo (la cui ossatura è di iscritti FLC e membri del nostro Direttivo provinciale) ci sembra completamente ingiusto. Con il nuovo anno, poi, abbiamo consultato il personale della scuola, docenti e ATA, con un ODG che, oltre alla mancata firma del CCNL – secondo biennio economico, aveva come tema prioritario la "riforma" Gelmini, i regolamenti, la circolare sulle iscrizioni e tutte le emergenze del ciclo primario. Abbiamo consultato oltre 3000 lavoratori della scuola con 66 assemblee territoriali: un lavoro informativo capillare per tenere l’attenzione desta e coinvolgere i dipendenti ma anche gli utenti (anche gli insegnanti sono fruitori del servizio e genitori…)
Caro Emiro, a chi giova questa polemica sterile? Ora siamo "ventre a terra" con i trasferimenti ma sempre disponibili a confrontarci, magari a quattr’occhi con questi "guru" della scuola che straparlano… spesso usando i dati e le statistiche in modo approssimativo…
Alan Albertosi e il resto dell’Ufficio scuola FLC
Confesso che ho pensato parecchio prima di rendere pubblico questo scambio di mail. Per i miei buoni rapporti con Cgil. Perché ho collaborato con Cgil. Per la mia stima in Cgil. Per la mia amicizia con Enrico Panini. Perché mi sembrava ingiusto gettare anche solo una possibile ombra nei confronti della Cgil che considero, nel suo complesso, una delle forze più sane, importanti e combattive della nostra città e di questo nostro Paese.
Alla fine, però, mi sono deciso a farlo perché mi pare un po’ paradossale, dopo oltre 25 anni di lavoro appassionato nella scuola e mesi di dichiarazioni contro questa Riforma in atto, farci la parte del fighetto che vuole distruggere invece che costruire. Che straparla. Che racconta robe approssimative. O di sentirmi ripetere ritornelli del tipo: criticando si fa il gioco del nemico. Ma dove siamo arrivati? Anche in Cgil siamo a questo punto?
Gentile Alan Albertosi e resto dell’Ufficio scuola FLC di Reggio Emilia,
ho letto con interesse e dispiacere la lettera che avete inviato al Coordinamento docenti e genitori di Reggio Emilia, che vi aveva inviato un mio articolo sulla scuola apparso sul quotidiano “Il Manifesto”. E ringrazio il Coordinamento per avermela inviata. Tralascio la bassa ironia sul mio conto – illustre "firma" del Manifesto, "guru" della scuola, nonché "fantasma" nelle assemblee sindacali: in realtà anche all’ultima, a Sant’Ilario, ho partecipato, ma, sinceramente, credo che avrei potuto tranquillamente farne a meno. In realtà sono soprattutto un docente e un genitore, come ben sapete. Tra l’altro, la Cgil non sostiene “Il Manifesto”? A ogni modo, credo che essere trattati così – con sufficienza – semplicemente perché esprimo dubbi e perplessità sulla strategia con la quale in questi mesi la FLC – anche della nostra città – ha espresso il suo dissenso alla riformaccia Gelmini, sia per lo meno strano. Specie per un sindacato. Aggiungo: specie per un sindacato come la Cgil.
Sono io a chiedermi «a chi giova questa polemica sterile». La vostra. Da un sindacato come la Cgil mi sarei aspettato, di fronte a delle critiche, qualcosa in più dell’imbarazzo e del risentimento; avrei preferito risposte sul merito. Per esempio, mi pare che i sindacati confederati si siano mossi in ben altro modo di fronte ai possibili licenziamenti di Alitalia o della Fiat, che sono molto meno di quelli annunciati dalla Gelmini. Ecco, per fare un esempio che forse risulta ancora più chiaro a tutti, pensate se domani, di punto in bianco, il Governo in carica decidesse di far fuori in tre anni 250.000 posti di lavoro nei sindacati confederali. Sinceramente, credo che la vostra mobilitazione sarebbe un po’ diversa da quella che c’è stata – anche da parte della Cgil – per difendere lo smantellamento della scuola pubblica italiana.
Siete lì per rappresentare e ascoltare chi lavora nella scuola, ricordatevelo. Compresa la sua rabbia, la sua frustrazione, la sensazione di spaesamento di fronte a quanto sta accadendo. Sensazione mie ma anche di tanti altri docenti e genitori, ve lo garantisco. Qualcuno potrebbe obiettare che nelle mie parole c’è troppo allarmismo; io credo esattamente il contrario, che i genitori e i docenti, che i sindacati e l’opposizione, non si rendano conto fino in fondo della gravità di quanto sta accadendo nella scuola pubblica. Spero di sbagliarmi, naturalmente. Ma con tutta sincerità voglio dire che la delusione di oggi, anche di fronte ai sindacati, è legata proprio al fatto che tutto quello che la scuola pubblica italiana è diventata in questi anni – le elementari erano le quarte al mondo per qualità, prima della Gelmini – nessuno le ha regalate ai docenti e ai genitori degli alunni, ma sono state conquistate con grande dispendio di fatica e di energia, specie in una città e in una regione come le nostre. Basti pensare al modello di scuola più evoluto, quello del tempo pieno laboratoriale – quello della Gelmini, senza compresenza e laboratori non si potrà mai chiamare tempo pieno. Ecco, credo che per tutti i docenti e i genitori che hanno lottato in passato per darci questa scuola qui, questa scuola di qualità che oggi sta per essere cancellata – spesso con l’attivo e fondamentale contributo anche dell’allora sindacato e dell’allora opposizione – non sia bello che oggi, di fronte allo sfascio, anche il sindacato si comporti in questo modo. Per quanto riguarda i confronti vi ringrazio per la disponibilità a incontrarci, per me è un onore. Anche se dubito che, con queste premesse, possa esserci un confronto molto serio e costruttivo.
Tra l’altro ne approfitto per ricordarvi che sono già stato contattato dal vostro responsabile Bussetti alcune settimane fa. Mi ha dato un repentino appuntamento, poi non si è presentato all’appuntamento. Ho poi perso le sue tracce. Non mi ha neppure ritelefonato. Spero stia bene.
Giuseppe Caliceti
Caro amico ti scrivo
21 ottobre 2008
Scrive Giuseppe Caliceti: «Mi hanno colpito e fatto piacere gli interventi di Antonio Moresco, Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti su “Il primo amore” [e contemporaneamente su “Direfarebaciare”] a proposito del caso Saviano per la loro solidarietà a Roberto e per la loro sincera volontà di fare qualcosa per lui. Mi hanno commosso. Personalmente la penso come Antonio che gli dice, semplicemente, che fa bene ad andarsene dall’Italia. Ma capisco anche cosa intendono Carla e Giovanni quando propongono di fare, nel nostro piccolo – cioè nel territorio in cui viviamo, nei settori di lavoro che meglio conosciamo e più frequentiamo – come Roberto». L’intervento continua; la versione integrale, dal titolo L’anomalia italiana, è sul sito del “Primo amore”.
Caro Giuseppe, quasi tutta l’editoria e, quel che è peggio, quasi tutta l’informazione – non solo quella televisiva – è «saldamente in mano al potere economico e politico di una certa parte politica». Sappiamo chi manovra l’industria “culturale”. Sappiamo anche presso quale editore è uscito Gomorra: è quella stessa Mondadori che si appresta a pubblicare anche i Canti del caos di Antonio Moresco. E questo perché sopravvivono sacche di resistenza anche all’interno del “sistema comunicazione” così come nella rete, nei giornali, nelle radio e nelle televisioni. Forse sopravvivono perché Berlusconi pensa che i libri siano sovrastruttura; che i soli a contare siano Emilio Fede e la De Filippi. Come stiamo vedendo, al contrario, certi libri possono essere la goccia che scava la roccia. E sono quelli – destinati a durare – che lentamente ma implacabilmente danno luogo al cambiamento. Gli speculatori e gli affaristi hanno grancassa e trombe? Sta a noi far vibrare mille e più campane. Lo ribadisco: basterebbe essere cittadini consapevoli che non si limitano a votare, ma che agiscono localmente, pensando globalmente; cittadini disposti a dare quel tanto che è loro possibile. Sono vecchie e semplici parole d’ordine, più attuali che mai.
Un abbraccio. Giovanni