Dice Luigi Manconi, docente di sociologia dei fenomeni politici, presidente di “A buon diritto”, ex sottosegretario alla giustizia, che «la percentuale del sovraffollamento a Sollicciano è tra le più alte di tutto il sistema penitenziario italiano. Il sovraffollamento non è una categoria astratta, non deve evocare una spiaggia della riviera romagnola il 15 agosto, perché lì la condizione di addensamento dei corpi, oltre a essere il risultato di una scelta volontaria, è una condizione a tempo determinato che si conclude con la fine della giornata. Il sovraffollamento all’interno di una istituzione chiusa è in primo luogo un fattore di disumanizzazione, che determina la caduta rovinosa di tutti gli standard di qualità dei servizi e, più in generale, della vita collettiva. È oltre dunque uno stato di promiscuità, che significa accavallarsi, sovrapporsi, combinarsi e incrociarsi dei corpi; significa che l’assistenza sanitaria precipita, la qualità dell’alimentazione decade, l’attività di trattamento e socializzazione tende a diventare sempre più miserevole. E in una istituzione chiusa, questa condizione riguarda direttamente tutti i soggetti che vi si trovano».
E così pure i poliziotti diventano dei reclusi.
«È una condizione che riguarda il detenuto, l’educatore, lo psicologo e in particolare il poliziotto penitenziario. Quella stessa promiscuità costituisce un fattore intollerabile perché toglie l’aria, la possibilità di movimento e la libertà di azione, e diventa dunque un elemento coercitivo tanto per il custode quanto per i custoditi. Quel sovraffollamento si traduce in un fattore di stress, in senso proprio; significa esaurimento nervoso, indebolimento della propria capacità di autocontrollo, riduzione della lucidità, fatica psicologica, annebbiamento. In sostanza: crisi».
Con il rischio che l’unica liberazione diventi quindi il suicidio. (more…)