Archive for the ‘mafie’ Category

Sindaco Cattaneo, dimettiti

6 dicembre 2012

di Giovanni Giovannetti

La condanna di Carlo Chiriaco e Pino Neri al processo milanese alla ‘Ndrangheta rende attuali i rapporti tra i due e il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, eletto anche grazie ai voti portati in dote da Neri. Ovviamente a sua insaputa...

Al processo milanese alla ‘Ndrangheta lombarda l’ex direttore sanitario dell’Asl pavese Carlo Chiriaco e l’avvocato tributarista Pino Neri sono stati condannati in primo grado rispettivamente a 13 e a 18 anni di carcere. Non sono ancora noti i dispositivi, e dunque ogni commento compiuto sarebbe prematuro.
La sentenza del 6 dicembre 2012 cade un anno dopo quella del giudizio con rito abbreviato del 19 novembre 2011. Entrambe a ragione possono considerarsi una svolta storica per più di un motivo: fra l’altro viene confermata la natura univoca dell’organizzazione criminosa. Dunque la ‘Ndrangheta lombarda vista non come somma aritmetica di ‘ndrine o Locali slegate fra loro bensì come movimento criminale dotato di vertice e ramificazioni che ne fanno la “quarta sponda” delle tre Province storiche calabresi (ionica, tirrenica e reggina).
Secondo gli inquirenti, «una visione parcellizzata della ‘Ndrangheta non consente di valutarne i legami con il mondo istituzionale, imprenditoriale», così come sono emersi dalle indagini Crimine e Infinito. Insomma, a Pavia e in Lombardia «si è riprodotta una struttura criminale che non consiste in una serie di soggetti che hanno semplicemente iniziato a commettere reati in territorio lombardo» poiché i condannati operano «secondo riti di ‘Ndrangheta: linguaggi, riti, doti, tipologia di reati sono tipici della criminalità della terra d’origine e sono stati trapiantati in Lombardia dove la ‘Ndrangheta si è trasferita con il proprio bagaglio di violenza».

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Ladroni e Cosa nostra

17 novembre 2012

Al simpatizzante leghista non far sapere…
di Giovanni Giovannetti

Tra le temerarie operazioni finanziarie dell’ex tesoriere lumbàrd Francesco Belsito si fa largo una cupa storia di riciclaggio del denaro sporco della ‘Ndrangheta e di Cosa nostra, in un iperbolico intreccio tra Romolo Girardelli detto “l’ammiraglio” (vicino alla ‘ndrina dei De Stefano), i siciliani Rinzivillo e il commercialista Pasquale Guaglianone, incarcerato nel 1987 per associazione sovversiva e oggi titolare della M.G.I.M., la società che – oltre a riciclare conto-mafie – ha curato il trasferimento in Svizzera, in Tanzania e a Cipro di oltre 6 milioni d’euro verdelega.

Recentemente i giornali hanno dato vasta eco alle mazzette elargite dall’architetto Michele Ugliola al leghista “doc” Davide Boni: maniglia unta, a quanto sembra, per favorire gli insediamenti residenziali e commerciali del costruttore Luigi Zunino a Milano Rogoredo, all’ex Falk di Sesto e a Pioltello.
Alla Tema Consulting di Ugliola (notoriamente affidabile «in questi affari») si era rivolto anche l’imprenditore veronese Francesco Monastero (Inwex srl) dopo aver opzionato alcuni terreni presso Albuzzano alle porte di Pavia: 217.000 metri quadri su cui edificare l’ennesimo ipermercato, comprensivo di parco acquatico. Per suo conto, Ugliola avrebbe poi versato 200.000 euro proprio a Boni (e 100.000 se li terrà «per il disturbo»), insieme alla promessa di altri 600.000.
Al confronto – e solo per citarne alcuni – sembrano pochi spiccioli la mazzetta di 15 mila euro all’assessore al Bilancio di San Michele al Tagliamento, il leghista David Codognotto, nel 2010. Così come quella elargita a Mauro Galeazzi, assessore di Castel Mella, in manette un anno fa insieme al collega di partito Marco Rigosa, dopo aver intascato 22 mila euro volti a oliare la pratica di un centro commerciale sopra un’area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale.

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Con tutto il rispetto…

18 marzo 2012

da Genova, Christian Abbondanza *

Con tutto il rispetto per i parenti delle vittime di mafia e di quanti, in buona fede, sono convenuti all’appuntamento promosso da Libera a Genova, noi non possiamo esserci.
Libera ha scelto da tempo di essere il “paravento” di una politica e di certa impresa che con le mafie ha fatto e fa ottimi affari. Noi a questo “gioco”, in cambio di visibilità e soldi, non ci siamo mai prestati e mai ci presteremo.
Crediamo che la lotta alle mafie sia una cosa seria in cui, prima di tutto, occorre onestà intellettuale e realismo. Vivere nell’illusione non serve e Libera promuove un “illusione” utile a farsi sentire meglio, ma sopratutto utile a certa politica per coprire le proprie indecenze… Utile a non cambiare nulla! Se sappiamo, come ci ricordava Caponnetto, che le mafie temono più l’attenzione dell’ergastolo, Libera questo “dettaglio” se lo è dimenticato. Mai un nome e cognome… mai un indice puntato… solo e sempre un parlare di mafia come se questa fosse un ectoplasma.Non è solo questione di “metodi” diversi. È ben altro.
Per questa giornata genovese di Libera, ci sono stati palchi e presenze che rappresentano un insulto alla decenza, con amministratori pubblici locali “amici degli amici”, a partire dal presidente della Regione Claudio Burlando e scendendo verso molteplici amministratori di Comuni e Province. Soggetti che hanno dato e continuano a dare lavori e concessioni, soprattutto attraverso società pubbliche, a imprese di note famiglie mafiose, anche quando si è in presenza di misure interdittive (come anche nel caso eclatante proprio del Comune di Genova) o quando le imprese sono prive della certificazione antimafia.
Questa ipocrisia per noi è intollerabile! Lo strabismo, il piegare la lotta alla mafia ad un colore politico o a certa politica in cambio di soldi e visibilità, non è tollerabile e provoca danni. Prendiamo il presidente onorario di Libera, Nando dalla Chiesa. A Milano fa grandi proclami contro le mafie, indica le collusioni con le Amministrazioni di centrodestra a Milano, ma poi a Genova, da consulente dell’amministrazione comunale della Vincenzi, ha coperto come polvere sotto il tappetino, indecenze assolute e gravissime. Mai una denuncia… mai un nome e cognome!
Un esempio concreto, per andare oltre all’aspetto politico, viene poi, in terra di Liguria, anche dal settore delle imprese. Qui, nella capitale del Partito del Cemento, posizione di rilievo hanno le grandi cooperative emiliane, come la Coopsette e Unieco, oltre alla “ligure” Abitcoop. Cooperative che nei propri cantieri hanno dato lavoro – senza manco vergognarsi ed anzi ribadendo sempre che tutti gli incarichi erano a norma di legge – ai Mamone (Coopsette ed Unieco), ai Fotia (Unieco e Abitcoop), ai Pellegrino (Abitcoop). E chi è uno tra i principali sponsor di Libera? Proprio la Lega delle Cooperative, così come anche direttamente lo è l’Unieco!
“Libera” da tempo è tale solo nel nome, purtroppo. Ha scelto di essere una “colonia”, abbandonando ciò che era alle origini. È una scelta che nega quell’indipendenza necessaria per un efficace, credibile e corretta lotta alle mafie! Vivere di operazioni mediatiche non serve a produrre un cambiamento reale e tanto meno a sconfiggere le mafie.
Quella di oggi a Genova è l’ennesima farsa dove Libera fa salire sul palco l’indecenza presentandola come decenza. È un pessimo segnale e per noi è intollerabile.

* Presidenza della Casa della Legalità, Genova

PresaDiretta sulle mafie, atto primo

15 gennaio 2012

di Giovanni Giovannetti

Bella e utile la prima parte di PresaDiretta di Iacona sulle mafie al nord, trasmessa questa sera da Raitre. Liguria, Piemonte…
Da Pavia tra il 2005 e il 2008 è passato il genovese Stefano Francesca, prima quale responsabile della campagna elettorale di Piera Capitelli (candidato sindaco del Centrosinistra), poi a capo del Festival dei Saperi.
Che c’entra Francesca? C’entra, già che da Genova l’inchiesta televisiva enfatizza la figura e il censo di Gino Mamone, chiacchierato titolare della Eco.Ge. (more…)

Tutto il mondo è pavese…

12 gennaio 2012

…a domenica prossima

Riproponiamo questo frammento da Presa diretta (Raitre, 8 gennaio) quale utile promemoria dell’imperdibile puntata sulle mafie al Nord, che andrà in onda in prima serata domenica 15 gennaio.

Pizzino ai puzzoni

21 dicembre 2011

Quasi fosse un augurale canto natalizio, questo notissimo intervento di Paolo Borsellino all’Istituto tecnico professionale di Bassano del Grappa (26 gennaio 1989) lo voglio simbolicamente inoltrare, come utile ripasso, a Ettore Filippi e suo figlio Luca, a Luigi Greco, a Dante Labate, a Valerio Gimigliano, ad Antonio Bobbio Pallavicini, a Pietro Pilello e al sindaco pavese “antimafia” Alessandro Cattaneo detto Pupo, ovvero ad alcuni tra gli amici e i conoscenti del capo della ‘Ndrangheta lombarda Pino Neri che ancora siedono in Consiglio comunale o a rappresentare noi cittadini in alcuni ben remunerati Cda o nelle compartecipate. Poi forse verrà l’Epifania che, insieme alle feste, tutti questi se li… (G. G.)

In alto i calici

13 dicembre 2011
da Pavia, Giovanni Giovannetti

Nel maggio 2009 l’inconsapevole futuro sindaco pavese Alessandro Cattaneo detto Pupo era stato gradito ospite del capo della ‘Ndrangheta lombarda Pino Neri per un sobrio aperitivo elettorale. All’incontro con gli amici degli amici lui ci andò accompagnato da un comune conoscente, quel Francesco Rocco Del Prete indicato dagli inquirenti quale persona «nella piena disponibilità di Pino Neri» nonché uno tra i più solerti fiancheggiatori del giovane sindaco “antimafia”. Se ben ricordiamo, in quella tornata elettorale Cattaneo ebbe il sostegno di figure altisonanti come l’onorevole Giancarlo Abelli (non indagato), Carlo Chiriaco (poi a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa) e dello stesso Neri, l’avvocato tributarista pavese che, insieme ai fratelli Mandalari di Bollate e a Cosimo Barranca di Segrate, sedeva ai vertici della “Lombardia”, il supergruppo criminale ‘ndranghetista “commissariato” nel 2007 dai mammasantissima calabresi, per consegnarlo alla reggenza dell’avvocato di Pavia.
Cinque mesi dopo aver brindato insieme a Pupo – eletto a sua insaputa con i voti della mafia – il 31 ottobre 2009 Pino Neri innalzerà di nuovo alto il suo calice al Circolo “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, per festeggiare la ritrovata concordia tra le “Locali” padane e la terra madre, e l’altrettanto a lui gradita elezione di Pasquale Zappia a capo lombardo della ‘Ndrangheta dopo che, il 14 luglio 2007, al bar “Reduci e combattenti” di San Vittore Olona, Michael Panajia e Antonino Belnome avevano ammazzato a revolverate Carmelo Novella, l’allora capo dei capi, che mirava all’autonomia dalla Calabria. E di nuovo non siete su “Scherzi a parte”.

Latitanti

21 novembre 2011
I retroscena (mai raccontati) dell’arresto di Francesco Pelle,
il boss della ‘Ndrangheta ricoverato a Pavia

di Giovanni Giovannetti

L’accurata indagine dei Ros denominata “Ticinum” e le numerose intercettazioni sembra possano scagionare Carlo Chiriaco dall’accusa di aver favorito il ricovero presso la Clinica Maugeri (sotto falso nome e “coperto” da false cartelle cliniche) del narcotrafficante ‘ndranghetista Ciccio Pelle detto “Pakistan”. Il latitante ricercato dalle polizie di mezzo mondo viene sorpreso in un ospedale pavese – era il 2008 – e ancor oggi non sappiamo chi ne abbia agevolato il ricovero.

18 settembre 2008. Alla clinica Maugeri di Pavia viene arrestato Ciccio Pelle “Pakistan”, al vertice della famiglia mafiosa dei Pelle-Vottari. Era stato ricoverato privo di tessera sanitaria, con false cartelle cliniche e con il falso nome di Pasqualino Oppedisano. Pelle, boss di primo piano della ‘Ndrangheta e del narcotraffico internazionale, è accusato di omicidio e latitante fin dal 30 agosto 2007 (verrà condannato all’ergastolo il 12 luglio 2011). La presenza a Pavia del Pelle viene scoperta grazie alle sue frequenti telefonate in Colombia, che vengono intercettate dalla Dea – l’agenzia antidroga degli Stati Uniti – che subito ne informa il pm antimafia Nicola Gratteri a Reggio Calabria.
Pelle è ormai paraplegico; ad Africo, il 30 giugno 2006 un colpo di fucile a pallettoni gli ha leso la spina dorsale: è la sanguinaria “faida di San Luca”, da anni in corso tra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio. Sangue chiama sangue, e il 25 dicembre 2006 viene versato per errore il sangue di una donna, Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta (il mancato obbiettivo) nonché sorella di Sebastiano Strangio; ammazzano anche un bimbo di cinque anni. L’altrettanto feroce vendetta si consumerà il 15 agosto 2007 in Germania: sei appartenenti ai Pelle-Vottari vengono crivellati di colpi a Duisburg, davanti al ristorante “da Bruno”. (more…)

La mafia esiste

20 novembre 2011
di Giovanni Giovannetti

La sentenza di condanna in primo grado per 110 dei 118 imputati al processo alla ‘Ndrangheta può a ragione considerarsi una svolta storica per più di un motivo: con essa viene affermata la natura univoca dell’organizzazione criminosa. Dunque la ‘Ndrangheta lombarda vista non come somma aritmetica di Locali o ‘ndrine bensì come movimento criminale dotato di vertice e ramificazioni che ne fanno la “quarta sponda” delle tre Province storiche calabresi (ionica, tirrenica e reggina).
Il processo ora giunto a sentenza ha mandato a giudizio chi ha voluto optare per il rito abbreviato (altri 39 sono attualmente a giudizio con il rito ordinario, e tra loro i pavesi Pino Neri e Carlo Chiriaco). Una decisione presa allo stato degli atti, senza un dibattimento vero e proprio, con il vantaggio per l’accusato di una riduzione della pena di un terzo, sconto preventivo già incorporato nella condanna a 16 anni di carcere per il narcotrafficante di Pioltello Alessandro Manno, nei 12 anni inflitti a Pasquale Zappia (ai vertici de “la Lombardia”), nei 14 andati al capo milanese Cosimo Barranca, al capolocale di Erba Pasquale Varca e al capo di Bollate Vincenzo Mandalari. E così via, fino ai 6 anni di carcere per Francesco Bertucca, il padre dell’ex assessore all’Istruzione al comune di Borgarello ritenuto ai vertici della Locale di Pavia. Vincenzo Rispoli, Emanuele De Castro, Luigi Mancuso, Nicodemo Filippelli e Giorgio La Face sono stati prosciolti poiché già condannati dal Tribunale di Busto Arsizio nel processo “Bad Boys” per reati analoghi («ne bis in idem»), e un imputato nel frattempo è deceduto. Assolto dal reato di associazione mafiosa Leandro Genovese; assolto da quello di corruzione – su richiesta dello stesso pubblico ministero Alessandra Dolci – l’ex assessore provinciale milanese Antonio Oliverio. (more…)

Colonizzazione

27 marzo 2011
Mafia e politica secondo l'antimafia
di Giovanni Giovannetti

Parola chiave: colonizzazione: L'espansionismo mafioso al Nord si mantiene sottotraccia, così da non destare sguardi. Come denuncia il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone sul “Corriere della Sera” (24 marzo 2011), dal cono d'ombra vengono elargiti «pacchetti di voti per i politici, laute parcelle o buoni affari per professionisti o buracrati, capitali a buon mercato e ostacoli alla concorrenza per gli imprenditori e così via, […] senza mai interrompere il legame essenziale con la terra d'origine, a cui sono sempre rimesse le decisioni strategiche»: Pignatone rivela che un boss di San Luca si riproponeva di «concentrare tutti i voti controllati dalle cosche su sei candidati di assoluta fiducia, strategicamente scelti sul territorio, da far eleggere al Consiglio provinciale e da portare, dopo un'adeguata sperimentazione, prima al Consiglio regionale e poi al Parlamento nazionale, così da avere in quelle sedi uomini propri, superando la mediazione spesso troppo complessa o ritenuta poco affidabile dei partiti». Proprio come al Nord: l'operazione del luglio 2010 ha infatti evidenziato l'interazione mafiosa con 13 esponenti politici lombardi che, avverte il sostituto Procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri «seppur non indagati, avevano in modo più o meno consapevole beneficiato dei voti della 'Ndrangheta».
Alla colonizzazione della politica se ne affiancano altre: larga parte dell’economia italiana è ormai “sommersa” oppure è in mano alle mafie: un fiume di denaro – circa il 40 per cento del Pil – che preme sull’economia legale e condiziona il libero mercato. Tra i paesi dell’Ocse, l’Italia occupa il secondo posto dopo la Grecia, con un'incidenza del sommerso pari al 27 per cento, a fronte di paesi come Stati Uniti, Austria, Svizzera la cui incidenza non supera il 10 per cento; o di altri come Russia e Bulgaria collocati tra il 30 e 40 per cento (Nigeria, Thailandia, Bolivia superano il 70 per cento). Il “sommerso” italiano supera la media Ocse di oltre il 60 per cento. (fonte: Fondo monetario internazionale)
Secondo Eurispes, i valori sarebbero ancora più elevati: 549 miliardi di euro equivalenti alla somma del Pil di Finlandia (177 miliardi), Portogallo (162), Romania (117) e Ungheria (102), con una integrazione in “nero” del reddito familiare pari a circa 1.330 euro mensili.
Più di 5 milioni di lavoratori italiani e stranieri sono in nero e chi li sfrutta non versa i loro contributi. I lavoratori “sommersi” sono un angosciato esercito senza santi in paradiso che va a sommarsi alla disordinata massa del lavoro precario o a partita Iva, che la politica quasi ignora.
Intanto le mafie delocalizzano, diversificano gli investimenti, hanno molta liquidità, non pagano le tasse, non hanno bisogno di indebitarsi con le banche e pagano cash. Le Procure hanno invece le armi spuntate, perché la legge sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi può essere facilmente aggirata (ad esempio, intestando le proprietà a compiaciuti prestanome), mentre strumenti che potrebbero rivelarsi incisivi, come l’anagrafe dei conti correnti bancari, è disattesa da 18 anni.
Le mafie italiane inquinano le economie legali con una liquidità infinita: un fatturato di 175 miliardi di euro – l’11,1 per cento del Prodotto interno lordo, pari alla somma del Pil di Paesi come Estonia (25 miliardi), Romania (97), Slovenia (30) e Croazia (34) – (fonte: Eurispes) frutto di attività criminali che viene reinvestito nell’edilizia e nelle attività commerciali, o in operazioni finanziarie attraverso banche compiacenti. Il Fondo monetario internazionale stima in 118 miliardi di euro l'ammontare del denaro mafioso riciclato in Italia: «La mafia Spa è la prima azienda italiana per fatturato e utile netto e una delle più grandi per addetti e servizi. Il solo ramo commerciale della criminalità mafiosa e non, che incide direttamente sul mondo dell’impresa, ha ampiamente superato i 92 miliardi di euro anno. Così ogni giorno una massa enorme di denaro passa dalle mani dei commercianti e degli imprenditori italiani a quelle dei mafiosi: qualcosa come 250 milioni di euro al giorno, 10 milioni l’ora, 160.000 euro al minuto. La mafia è diventata una grande impresa multinazionale che opera nell’economia globale esattamente come una qualsiasi multinazionale. Non ha più bisogno di uccidere perché corrompe e compra» (la citazione è ripresa da Franco Archibugi, Alessandro Masneri, Giorgio Ruffolo e Elio Veltri, Mafie Spa, “Il primo amore” online – http://www.ilprimoamore.com/testo_2015.html).
Nelle sole regioni del Nord, oltre 8.000 negozi sono gestiti direttamente dalle mafie inabissate dei colletti bianchi. In Italia, 180mila esercizi commerciali sono sottoposti all’usura, con tassi d’interesse in media del 270 per cento: un movimento in denaro di 12,6 miliardi che va a sommarsi al ricavato delle estorsioni (circa 250 milioni di euro), della droga (59 miliardi di euro), delle armi (5,8), della contraffazione (6,3), dei rifiuti (16), dell’edilizia pubblica e privata (6,5), delle sale gioco e scommesse (2,4), della compravendita di immobili, della ristorazione, dei locali notturni, ecc. Uomini cerniera mantengono i collegamenti con il mondo dell’economia, della politica e della finanza. Le mafie condizionano l’intera filiera agroalimentare (7,5 miliardi di euro) interagendo con segmenti della grande distribuzione.(fonte: Sos impresa).
Edilizia privata. In Italia, in soli 15 anni il trasversale “partito del mattone” ha urbanizzato 3.663.000 ettari di suolo – nonostante la disponibilità di 28 milioni di case (2 milioni delle quali abusive, con una evasione fiscale di oltre 3 miliardi di euro!) – il 17 per cento del territorio nazionale, una superficie pari a Lazio e Abruzzo insieme. In testa troviamo Liguria, Calabria e Campania, regioni devastate da speculazioni impressionanti, regioni per le quali l’ambiente non è stato considerato come risorsa ma come intralcio alla crescita del loro Pil di riferimento: quello in quota alle mafie ingorde, che riciclano il denaro nell’edificazione e nella compravendita di immobili.
Cosa nostra ’Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita è evidente che godano di buone entrature e quindi, poco disturbate, potranno continuare a dare scacco all’economia legale.
La forbice si allarga: aumentano i profitti delle mafie e degli affaristi – industriali, finanzieri, palazzinari – e specularmente calano quelli delle famiglie, dei pensionati e dei precari, sempre più numerosi. Il vero conflitto è tra i nuovi poveri senza speranza di emancipazione e l’antipolitica cialtrona e autoreferenziale al potere: mero prolungamento nel sociale dei poteri economici e finanziari, imbavaglia la magistratura o la corrompe (alla faccia della separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario), lega le mani alle Forze dell’ordine, chiama l’esercito nelle strade a tintinnare le sciabole e a tastare il polso degli italiani. Nell’estate 2008, 3.000 militari dei reparti scelti sono stati messi a pattugliare le strade di alcune città italiane a «rischio criminalità». A fare che? Ad arrestare 9 borseggiatori al mese, equivalenti alla produttività di due agenti sopra una “volante”! (fonte: Siulp) Mentre al Governo giocano con i soldatini, nella sola Milano ogni giorno le mafie spacciano ai ragazzini 15 mila minidosi di cocaina, offerta in ‘promozione’ a soli 10 euro. Un business dai guadagni esponenziali: su 1.000 euro di cocaina la prima settimana i narcotrafficanti ne guadagnano 3.000, la seconda 9.000, la terza 27.000, ecc. In Italia, tra occasionali e abituali si contano più di un milione di consumatori, un fenomeno difficile da arginare perché, nonstante la repressione, «le cosche dispongono di personale umano inesauribile, non necessariamente associato, anzi, preferibilmente esterno». (il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, 25 febbraio 2010).
Perché continuano a raccontarci bugie? Zygmunt Bauman risponderebbe che il sistema di potere teme l’eccesso di paura, e allora lo indirizza su obiettivi innocui, enfatizzando la paura percepita: pur di vincere le elezioni, hanno spostato il conflitto dai problemi reali (la crisi, l'economia parassitaria illegale e criminale, l'evasione fiscale, ecc.) alla guerra tra poveri, e alla caccia alle streghe. Hanno persino trasformato zingari o stranieri “accattoni” in una minaccia aliena più drammatica dell'invasiva e colonizzante contaminazione delle mafie – che approfittando del vuoto si fanno Stato – e più allarmante della perdita di valore dei salari, o del progressivo aumento delle famiglie in difficoltà economiche. Hanno spacciato per interesse nazionale il loro tornaconto e quello degli amici degli amici.
Che fare? I beni consolidati delle mafie italiane vengono stimati 1.000 miliardi di euro. Secondo Elio Veltri, la loro confisca risolverebbe il problema del debito pubblico, «ma i sequestri vanno a rilento e costituiscono il 10 per cento dei patrimoni mafiosi e di questi solo la metà arriva a confisca. Il che significa che finora è stato confiscato solo il 5 per cento dei patrimoni, di cui una parte consistente non è stata nemmeno assegnata». Per Pietro Grasso «è evidente la sproporzione fra la ricchezza e la complessità delle leggi e i risultati effettivamente raggiunti sul terreno nevralgico della repressione delle accumulazioni finanziarie illecite e della loro utilizzazione a fini di infiltrazione dell’economia legale». Secondo il Procuratore nazionale antimafia, «la ricchezza di elaborazione normativa sembra quasi inversamente proporzionale alla dimensione dei risultati concretamente conseguiti».
Che fare, dunque? Le mafie vanno colpite al cuore, là dove tengono il portafoglio, con la confisca di beni immobili, partecipazioni nell'economia legale, titoli e quattrini da cercare anche nei paradisi fiscali. Ma va ridotto drasticamente il tempo elevato che separa il sequestro dalla confisca, spesso superiore a 10 anni. Per Veltri un contributo positivo alla soluzione del problema sarebbe «l’approvazione di un testo unico della legislazione antimafia e il funzionamento a pieno ritmo della “Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”». Secondo l'economista Donato Masciandaro, «non servono complicate ingegnerie antiriciclaggio, basta che la parte “bianca”, trasparente, prevalga su quella oscura. E per farlo è necessario che tutti i movimenti di denaro siano tracciabili». Insomma, il divieto dei pagamenti in contanti.
Ma i correttivi serviranno a poco se contemporaneamente non si avrà la rigenerazione dell'etica in politica e nel sociale: uno sforzo culturale enorme per portare il Paese fuori dalla corruzione, dalle tangenti e dallo spreco del pubblico denaro. Ma uscire anche dalla cattiva società dei ceti immobili, del finto sviluppo senza progresso e delle diseguaglianze senza ascensore sociale.
Tutto fermo? Niente affatto. C'è un'Italia in cammino, capace di forza rigenerativa e prefigurazione. Un'Italia che vuole ridare contenuto a parole come salute, fervore, allegria, altruismo, libertà, amicizia, amore. Un'Italia dotata di forza interiore, capacità di sentimento e di pensiero. Come ha scritto Antonio Moresco, «ci sono delle lucine, molte lucine, in questo Paese buio. Bisogna farle crescere e farle incontrare, bisogna creare un piccolo vortice che si possa unire con gli altri piccoli vortici che già ci sono». Nonostante loro.

Vocabolario 6

11 gennaio 2011
Mafie
di Giovanni Giovannetti

Le mafie delocalizzano, diversificano gli investimenti, hanno molta liquidità, non pagano le tasse, non hanno bisogno di indebitarsi con le banche e pagano cash. Le Procure hanno invece le armi spuntate, perché la legge sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi può essere facilmente aggirata (ad esempio, intestando le proprietà a compiaciuti prestanome), mentre strumenti che potrebbero rivelarsi incisivi, come l’anagrafe dei conti correnti bancari, è disattesa da vent'anni. Per di più, senza alcun clamore, per il triennio 2009-2011 il Governo Berlusconi prevede una riduzione dell’organico delle forze di Polizia di almeno 40.000 operatori e tagli di spesa per più di 3 miliardi di euro. Il Governo conferma la riduzione del 50 per cento delle indennità per i servizi in strada e per il controllo del territorio, nonché la riduzione del 40 per cento della retribuzione accessoria per malattia o infortuni sul lavoro.
Le mafie inquinano le economie legali con una liquidità infinita: un fatturato di 175 miliardi di euro – l’11,1 per cento del Pil – (fonte: Eurispes) frutto di attività criminali che viene reinvestito nell’edilizia e nelle attività commerciali, o in operazioni finanziarie attraverso banche compiacenti. Nelle sole regioni del nord, oltre 8.000 negozi sono gestiti direttamente dalle mafie inabissate dei colletti bianchi. In Italia, 180.000 esercizi commerciali sono sottoposti all’usura, con tassi d’interesse in media del 270 per cento: un movimento in denaro di 12,6 miliardi che va a sommarsi al ricavato delle estorsioni (circa 250 milioni di euro), della droga (59 miliardi di euro), delle armi (5,8), della contraffazione (6,3), dei rifiuti (16), dell’edilizia pubblica e privata (6,5), delle sale gioco e scommesse (2,4), della compravendita di immobili, della ristorazione, dei locali notturni, ecc. Uomini cerniera mantengono i collegamenti con il mondo dell’economia, della politica e della finanza. Le mafie condizionano l’intera filiera agroalimentare (7,5 miliardi di euro) interagendo con segmenti della grande distribuzione.

Sintonie

24 dicembre 2010
L'amico dei mafiosi PietroGino Pezzano
nominato da Formigoni direttore generale dell'Asl Milano1

di Giovanni Giovannetti

Dopo la nomina di Giuseppe Tuccitto ai vertici dell'Asl pavese la Lega nord canta vittoria: l'assessore lumbàrd alla sanità Luciano Bresciani si spinge a dire che il generale della Guardia di Finanza in pensione Tuccitto saprà «intercettare immediatamente ogni tentativo di infiltrazione mafiosa». Soddisfatto anche il governatore lombardo Roberto Formigoni che, attento alla meritocrazia, ai vertici della sanità lombarda ha voluto «uomini in sintonia con la Regione».
Uomini come il ciellino Luca Stucchi, indagato a Mantova per corruzione e turbativa d'asta eppure confermato ai vertici della locale azienda ospedaliera. Uomini come PietroGino Pezzano, già indagato negli anni Ottanta per narcotraffico, fino a ieri direttore generale dell'Asl Monza e Brianza, ora a ricoprire la stessa carica presso l'Asl Milano1. Pezzano ha ottenuto semaforo verdelega dallo stesso Bresciani, l'assessore che vorrebbe «intercettare immediatamente ogni tentativo di infiltrazione mafiosa».
A proposito di sintonie. Pezzano può vantarne parecchie: sintonie con il capo della 'Ndrangheta lombarda Pino Neri, che lo chiamava confidenzialmente Gino o «il pezzo grosso della Brianza», uno che «fa favori a tutti». Sintonie con l'onorevole Gian Carlo Abelli (sempre Neri in una intercettazione: «sono grandi amici con Abelli, glielo presentai io a Gino»). Sintonie con gli amici d'infanzia nonché affiliati Giuseppe Sgrò e Pio Candeloro, quest'ultimo capo “società” – cioè vice capo – della Locale 'ndranghetista di Desio. Sintonie con Candeloro Polimeni, altro componente della Locale di Desio (Pezzano a Polimeni: «Hai bisogno di me?»; Polimeni: «Si, quando vuole»; Pezzano «Dove vengo?»). Sintonie con Eduardo Sgrò, altro componente della Locale di Desio dedito all'estorsione (dal 13 luglio sono tutti in carcere), al quale Pezzano affida l’installazione di alcuni condizionatori nelle Asl di Cesano Maderno, Desio e Carate Brianza (Sgrò: «Dobbiamo chiamare il direttore generale, che è amico mio, così lo chiamiamo e fissiamo un appuntamento»). Sintonie con il governatore lombardo Roberto Formigoni, soddisfatto per aver potuto nominare «uomini in sintonia con la Regione».

Vedi alla voce 'Ndrangheta

12 dicembre 2010
dalle carte della Procura distrettuale antimafia
Settima parte
Gli “affari loro” tra l'assessore Greco e l'uomo della 'Ndrangheta

Dopo che erano emersi i rapporti d'amicizia e d'affari tra l'assessore Luigi Greco e Carlo Antonio Chiriaco, nel Popolo delle Libertà qualcuno ha avanzato la richiesta di mettere “in sonno” il troppo chiacchierato assessore, mantenendolo tuttavia a bàlia del sindaco “Pupo” detto Cattaneo, come suo portavoce, e investendolo del coordinamento cittadino del partito in cambio delle dimissioni dalla Giunta comunale pavese. Come sappiamo, Greco manterrà l'assessorato, a ribadire chi comanda nel partito.

C'è un assessore, inossidabilmente saldato alla poltrona, che nelle carte dell'antimafia viene nominato diverse volte: stiamo parlando dell'assessore ai Lavori Pubblici Luigi Greco, ritenuto «un prestanome» dell'ormai leggendario Carlo Antonio Chiriaco, nonché sodale di parenti di parenti e amici di amici.
Chiriaco possedeva quote in tre società occulte: la Melhouse srl e la Carriebean International Society srl e la Pfp srl. Melhouse ha gestito il ristorante-griglieria La Cueva in via Brambilla a Pavia, di cui l'assessore Greco deteneva il 34 per cento mentre il residuo 66 per cento era in quota a Monica Fanelli, moglie del costruttore Rodolfo Morabito, cugino di Chiriaco, anche lui tra gli indagati nell'inchiesta antindrangheta. Il 22 gennaio 2009 la Fanelli cede la sua parte a Greco e a Gabriele Romeo. Un altro travaso si registra il 16 ottobre 2009, quando Greco passa il 16,75 per cento delle sue quote a Laura Zamai e un altro 16,75 per cento alla compagna di Chiriaco Danlis Ermelisa Segura Rosis. Il 16 marzo 2010 le due signore rivendono a Greco le loro quote e il fratello Gianluca rileva la parte di Gabriele Romeo. Secondo gli inquirenti «Greco è il titolare apparente in quanto i reali soci sono Chiriaco e Giuseppe Romeo». Quest'ultimo è il nipote di Salvatore Pizzata, lo storico punto di riferimento della 'Ndrangheta a Pavia, già socio in affari di Pino Neri e Chiriaco, incarcerato e condannato per narcotraffico.
Il 21 febbraio 2009 gli inquirenti intercettano una conversazione tra Chiriaco e la sua compagna, la già menzionata Danlis Ermelisa Segura Rosis. I due sono in auto di fronte al ristorante in questione:

Chiriaco – 'Sto stronzo, è quello là è… figlio di troia… appena fallisce, ce lo compriamo noi (omissis)
Chiriaco – Appena questi qua mollano… io andrei da questi qua a minacciarli, capito… andatevene fuori dai coglioni se no vi faccio saltare! …ah? …anzi gli mandavo quelli di Platì… gli mettono una bomba! … poi vanno e gli dicono… mettono una bomba, quando gli vogliono far capire, no? …una bomba nei… (incompr.)…
Segura – Esce su tutti i telegiornali i primi indagati sono quelli a fianco…
Chiriaco – no, a fianco… al… nel suo locale… dopo un mese, due mesi, uno va e gli fa un'offerta per… per rilevare il locale, no? …ovviamente gli offre poco… se questo non capisce, un'altra bomba? (con tono sarcastico) …in Calabria così fanno, cazzo! …sono primitivi, no gioia? …siamo primitivi? mamma mia… [Richiesta, p. 1751; Ordinanza, p. 400]

L'assessore Greco deve avere più di un santo in paradiso o nelle terrene stanze lungo il Naviglio, santi messi a pilotare la mano dei pennivendoli: il 16 luglio 2010 Il quotidiano locale ne scrive come se la minaccia fosse per il ristorante, con l'assessore nei panni della vittima. Greco subito dichiara che a lui tremano le mutande nell'apprendere che quello, Chiriaco, «voleva mettermi una bomba nel locale». E perché mai avrebbe dovuto lanciare attentati dinamitardi se, a dar retta al Chiriaco (e agli inquirenti) lui e Greco ne condividevano la proprietà? Rileggiamo allora, più attentamente le parole di Segura: una volta esplosa la bomba, «…i primi indagati sono quelli a fianco». I due non stanno parlando del ristorante La Cueva, ma del bar confinante, il Billà, che Chiriaco si riproponeva di rilevare con i suoi mezzi assai spicci.
Insomma un bluff. Persino in seno al Popolo delle Libertà qualcuno avanza la richiesta di mettere “in sonno” il troppo chiacchierato socio in affari dell'avanzo di galera Carlo Chiriaco: rottamare l'assessore, sia pure mantenendolo a bàlia del sindaco Pupo come suo portavoce prezzolato e investendolo del coordinamento cittadino del partito.
Greco manterrà l'assessorato, a ribadire chi comanda nel partito. Partito o comitato elettorale? Di fronte all'emergenza 'Ndrangheta e legalità, il Popolo delle Libertà rimane silente, senza una segreteria politica capace di decidere. Una posizione condivisa con la Lega Nord, con l'Udc (o Udeur o Città per l'Uomo o comecazzo si chiamano) e con Rinnovare Pavia, il movimento di Ettore e Luca Filippi, in rapporti (politici? elettorali?) con Pino Neri, il capo della 'Ndrangheta lombarda a cui i due si erano rivolti per ottenere candidati come Rocco Del Prete o Salvatore Ilacqua (indicati da Neri e Chiriaco) e voti “calabresi”.
Ma andiamo con ordine. Come riferiscono gli investigatori,«Dalle conversazioni telefoniche è immediatamente emerso che Greco Luigi (assessore ai lavori pubblici nel comune di Pavia) è il titolare apparente». La conferma arriva da una intercettazione ambientale del 13 giugno 2009. Chiriaco confida a Dante Labate il capitale investito : «te lo dico a te che sei mio fratello, là siamo in due…»

Labate – sì lo so, tu Peppe [Giuseppe Romeo] …
Chiriaco – ora Peppe ha avuto dei problemi…
Labate – Peppe o il figlio?
Chiriaco – Gabriele, però…
Labate – ma a Peppe mi hanno detto che l'Agenzia delle Entrate gli ha fatto
una multa…
Chiriaco – ottocento milioni… ottocentomila euro… va bene? …ed in più ha la Finanza che gli sta guardando i cosi ed in più quella roba che è successa ieri… lui è socio fondatore perché gli ha affittato il locale, là a Cava Manara…
Labate – perché che è successo?
Chiriaco – K Poker, non li hai letti i giornali stamattina?
Labate – ah… minchia, lui è socio là?
Chiriaco – è terrorizzato, per cui abbiamo deciso che ad un certo punto io e lui, ci chiamiamo fuori ufficialmente, quindi ufficialmente il locale…
Labate – è solo di Greco!
Chiriaco – è solo di Gigi, perché non vogliamo noi… duecentocinquantamila (250.000) euro ci è costato… è bellissimo, tu lo hai visto… »

Il 17giugno 2009, subito dopo le elezioni amministrative di Pavia, Chiriaco si trova in macchina con Luca Filippi, «e i due commentano come faranno a controllare il neo assessore ai lavori pubblici Greco. Chiriaco sul punto è eloquente»

Chiriaco – se lo sappiamo gestire abbiamo un bel sistema…
Filippi – lo so…
Chiriaco – non come prima che eravamo… [inc.]
Filippi – siamo in pochi, adesso Greco bisogna un attimo inquadrare…
Chiriaco – Greco si farà i cazzi suoi ed i suoi intrallazini… farà lavorare Peppino Romeo per le strade, farà i cazzi suoi…
Filippi – gli ha regalato il ristorante…
Chiriaco – eh… il ristorante… allora, ufficialmente…
Filippi – ufficiosamente?
Chiriaco – adesso è tutto di Greco, ufficialmente…
Filippi – ho capito che non l'ha pagato lui… dove li trova i soldi…
Chiriaco – lui non ha messo una lira, ho messo tutto io…
Filippi – lo so che non ha una lira, è mio socio…
Chiriaco – a futura memoria se mi succede qualche cosa, se lui dovesse negare, ora lo sai pure tu… io ho pagato anche la sua parte… io ho dovuto farlo perché… [inc.]… ed ufficialmente…
Filippi – è assunto adesso? … [inc.]…
Chiriaco – sì, no… ma io con Gigi ho un bellissimo rapporto, sai mi lego alle persone, gli voglio bene, quindi c'è affetto.

Sempre secondo l'Antimafia, la piena disponibilità da parte di Chiriaco del ristorante la Cueva trova conferma in una intercettazione dell'8 settembre 2009 tra Chiriaco e una persona non identificata. I due parlano dell’ingresso in società di due nuovi soci (cosa che avviene effettivamente il 16.ottobre):

Chiriaco – ora stiamo facendo il passaggio delle quote da Gigi [Greco]
Uomo – e quindi state rispendendo soldi [inc.]?
Chiriaco – inizialmente Gigi aveva il 100%… adesso passaggio di quote significa che il 50% saranno sostituite da: Melissa [Danlis Ermelisa Segura Rosis, convivente dominicana di Chiriaco] il 50%…Laura [Laura Zamai] ed una … [inc.] l'altro 50% -…50,5% e 49.5%…

I passaggi delle quote e la rete dei rapporti tra l'assessore Greco, l'incarcerato Chiriaco e gli altri prestanome dell'uomo della 'Ndrangheta li ritroviamo tutti nella “visura storica” della società Melhouse disponibile a chiunque presso la Camera di Commercio.

Vedi alla voce ‘Ndrangheta

5 dicembre 2010
dalle carte della Procura distrettuale antimafia
Sesta parte
I Filippi, “Rinnovare Pavia” e i clan di rispetto

Le relazioni pericolose dei Filippi con gli uomini delle cosche. Cosa rivelano le intercettazioni disposte dal Dipartimento distrettuale antimafia sui Filippi e sul patriarca Ettore? La cerca del voto “calabrese” dalla lista “Rinnovare Pavia” guidata dall'ex vice sindaco di centrosinistra ora fiero scudiero di Abelli e Cattaneo (centrodestra). Nel segno del “rispetto” per il “contributo fornito”.

A Pavia la coerenza non è al potere. Prendiamo l'ex “sbirro” Ettore Filippi: non è stato un poliziotto qualsiasi; trent'anni fa ha catturato i bierre Fenzi e Moretti, anche se la cosa non fu indolore, perché il suo “golaprofonda”, un certo Longo, venne pizzicato dai carabinieri dopo una rapina e disse di essere “coperto” dalla Questura, così Filippi ebbe guai con la giustizia che non ama ricordare. Non ama ricordare nemmeno i suoi incontri ravvicinati con quell'Angelo Epaminonda (boss della mala milanese annisettanta) sempre disponibile ad accogliere amici e conoscenti nei locali notturni alla moda di cui era il titolare (alcuni stavano in provincia di Pavia).
Come già scrivemmo quando Filippi era vicesindaco di Piera Capitelli (centrosinistra) «la successiva carriera politica ne rivela i solidi ideali: nasce socialdemocratico, trascorre l'infanzia nel Partito socialista, l'adolescenza nel Partito liberale, la maturità in Forza Italia, la vecchiaia nella Margherita, e forse non morirà piddì». Correva l'anno 2008. Manco a farlo apposta, nel 2009 registriamo un nuovo salto della quaglia, con la “colombina” Filippi nuovamente a migrare armi figli e bagagli sul fronte opposto, là dove lo porta il…
E mal gliene incolse. 13 luglio 2010: dopo tre anni di indagini serrate, il Gip di Milano Andrea Ghinetti dispone l'arresto per 160 affiliati alla 'Ndrangheta lombardo-calabrese: come è noto, insieme ad assassini, usurai, trafficanti e faccendieri vengono incarcerati i pavesi Pino Neri (il capo dei capi), Carlo Chiriaco (la cinghia di trasmissione tra Neri e la politica) e Francesco Bertucca, l'imprenditore edile a capo della Locale di Pavia. Nelle richieste della Procura antimafia Filippi figura nominato 57 volte, non esattamente tra gli investigatori: intercettate due conversazioni tra suo figlio Luca e Chiriaco, nonché tracce di contatti “elettorali” tra Filippi e Neri: alle elezioni comunali 2009 nella lista Rinnovare Pavia, Ettore candida Rocco Del Prete (persona «nella piena disponibilità di Pino Neri»); l'anno successivo, a Vigevano, con 129 preferenze Salvatore Ilacqua è il più votato nella lista Rinnovare Vigevano. Suo padre Giuseppe «è colui con il quale Chiriaco afferma di aver perpetrato un'estorsione».
Alle elezioni amministrative pavesi 2009, tra i candidati di Rinnovare Pavia (il movimento dei Filippi) c'è anche Rocco Del Prete, «candidato nella piena disponibilità di Pino Neri e – affermano gli inquirenti – il fatto era noto a Neri, Chiriaco e Filippi». Nonostante 251 preferenze, per soli 7 voti Del Prete non verrà eletto (e per poche decine di voti Rinnovare Pavia non otterrà il terzo consigliere, per l'appunto il chiacchierato Del Prete. Insomma, alle mafie locali e sembrato andare tutto di traverso).
Agosto 2009. Il neo assessore Antonio Bobbio Pallavicini (Rinnovare Pavia) e Rocco Del Prete sono a Marina di Gioiosa Jonica, dove si incontrano con Pino Neri e Antonio Dieni (imprenditore di Sant'Alessio sodale di Neri, ora indagato). Bobbio riferisce che a quel tavolo si è parlato di calcio e difende Del Prete, «che conosco da anni, ingiustamente massacrato in questa inchiesta». Insomma, un bravo ragazzo tutto casa, Neri e chiesa, «massacrato – denuncia Filippi – perché utile alla vostra visione della situazione». Vostra di chi? della Procura antimafia? della rossa Boccassini? Nelle Richieste della Dda, Rocco Del Prete viene citato ben 72 volte, in conversazione o in compagnia di criminali quali Neri o Chiriaco o Rocco Coluccio (il “dottore” novarese affiliato alla Locale di Pavia, uno degli organizzatori del summit di Paderno Dugnano e membro della “camera di controllo” 'ndranghetista), o il contabile della Locale di Cormano Nicola Lucà o un “mammasantissima” come il capo della Locale milanese Cosimo Barranca.
La coerenza non è al potere, dicevamo. Ma è da escludere ogni allusione a Ettore Filippi, coerentemente “abelliano” anche quando militava nel fronte opposto. Una fedeltà che lo vedrà riconfermato nel Cda dell'ospedale San Matteo (al figlio Luca va la presidenza di Asm lavori), un incarico ben remunerato, ambìto persino da Labate, quel Dante amico fraterno di Chiriaco e Neri che – una volta rieletto – aveva preteso anche quella poltrona, malauguratamente già occupata da quell'altro inossidabile culo di pietra.
Un mercimonio che ritroviamo citato anche nella Richiesta dell'antimafia (ne abbiamo reso conto la scorsa settimana): «Labate aveva chiesto che al suo gruppo politico venisse concessa una doppia delega, e cioè quella relativa all’ospedale San Matteo ed all’Azienda per i Servizi alla Persona (Asp), cosa per quel momento storico improponibile poiché il San Matteo, negli accordi politici di cui si è premesso, sarebbe dovuto andare in assegnazione allo stesso Filippi – “…come cazzo fai perché papà, scusami facciamo noi!…”» (intercettazione del 4 luglio 2009 tra Luca Filippi e Chiriaco).
Dopo la mancata elezione di Rocco Del Prete al Mezzabarba, tra Neri e Filippi si è sfiorata la rissa. Giugno 2010: In una intercettazione del 27 giugno 2009 il capo della 'Ndrangheta – furibondo – ripete a “Francesco” [Rocco Francesco Del Prete?] le parole di qualcuno del clan Filippi: «e poi tu ci hai detto di scegliere un candidato… ma sono io che sono venuto da voi… eh… infatti… ne potevamo scegliere un altro ed invece no… abbiamo scelto uno vicino a te… per misurarci… ho detto io… e per poi è una persona che se fosse andata bene sarebbe rimasta a te…» E Neri: «voi lo potete far crescere come volete quel ragazzo lì… insomma… no ma lui ha le basi… diceva suo padre [ndr Ettore Filippi] … ha le basi?… e allora?…può tornarvi solo utile a voi… no no no… noi dobbiamo fare gruppo… voi dovete stare con me… perché le campagne elettorali mica finiscono qui!!!»
Anche Chiriaco sa che Del Prete è «nella disponibilità di Pino Neri». Gli investigatori lo riscontrano da una intercettazione del 9 giugno 2009 («Del Prete Rocco Francesco, quello che è con Filippi è nostro… eh…»)
Neri sembra intrattenere rapporti sia con Ettore Filippi sia con il figlio Luca. Anche se Ettore con Neri «non ha preso nessun impegno», la mancata elezione di Del Prete (e il conseguente acceso scazzo tra l'ex poliziotto e l'uomo delle cosche) sembra imporre una contropartita. Neri a Chiriaco (1° luglio 2009): «eh, mammasa… lui si sta bruciando. So che, sarà una presa per il culo, non lo so, stavolta pare che hanno proposto Del Prete all'Asp [Azienda servizi alla persona]; ma non ci va sicuramente, lo so è una presa per il culo». Di nuovo Neri replica una conversazione avuta con Filippi: «io sono venuto da te perché so chi sei tu, mi disse. Proprio così e sono disposto… […] come prima non puzzavano i miei voti, adesso puzzano?! [Filippi] dice: no, voi dovete stare vicino a me perché è un percorso che se va bene, va bene… ma questo è un altro paio di maniche gli ho detto. Tu sai che della politica non me ne frega niente, è stata fatta un'operazione elettorale a mo' di sfida gli ho detto, perché volevamo misurarci… sei stato tu a dire scegliti un candidato, io potevo scegliermi uno di quelli miei … invece t'ho scelto, uno vicino a te… questo ragazzo che era cresciuto con te, ti ricordi?»
Nonostante le diffidenze, riprendono «i discorsi elettorali con Neri, sempre sotto l’egida di Chiriaco». Gli agenti dell'antimafia registrano un «primo tentativo di riavvicinamento il 23 febbraio 2010», poco prima delle elezioni regionali in Lombardia e quelle amministrative in alcune città della provincia: «Secondo le parole di Dieni [impresario edile di Sant'Alessio e amico di Neri; è tra gli indagati] quest’ultimo era stato contattato da Ettore Filippi per riconciliare la divisione, e correre insieme alle elezioni nei comuni di Vigevano e Voghera; in proposito Filippi aveva richiesto loro un proprio candidato. Neri, di tutta evidenza, si mostrava disinteressato, e rammentava i mancati impegni che costoro si erano assunti nella precedente campagna elettorale ma, ad onor del vero, veniva subito rincuorato da Dieni, per il quale “…ogni aiuto è sollievo…”». Dieni conferma a Neri che Luca Filippi «in contropartita, aveva a lui promesso l’assegnazione di un lavoro presso l’Asm di Pavia» ovvero la costruzione di una fogna «lavoro per il quale aveva già provveduto ad “estendere” l’importo del mandato conferito, nello specifico da 10.000 euro, come era stato in precedenza preventivato, a 20 mila euro». Dieni informa Luca Filippi che Neri non è d'accordo: «gli ho detto che voi avete il candidato eccome… sia a Vigevano che Voghera…» e alza il prezzo: «una fogna…una fogna è…una fogna che si deve fare… è buona … lo estende a ventimila euro… eh… ma è giusto… è giusto… si dice… se lavorano sempre gli stessi… nessuno passa qualche lavoro a me… vorrei lavorare anche io… questo è!!!…»
Secondo gli inquirenti, dalla conversazione emerge «l’intento criminoso dei due interlocutori, i quali consideravano tale “apertura” un indicatore del primo passo verso altre più consistenti controprestazioni (“…si incomincia con il brodino …poi vediamo di stare bene… va… va bene pure un brodino certe volte…”)»
Rimane la diffidenza di Neri, che avrebbe potuto accettare un secondo sostegno elettorale alla famiglia Filippi in cambio di «concreti segnali di apertura verso le loro richieste». Quali? Neri vuole l'ingresso in Consiglio comunale per Del Prete obbligando alle dimissioni uno tra Paolo Bobbio Pallavicini (fratello di Antonio) e Giovanni Demaria (un modo per «portare rispetto» dopo il «contributo fornito» nel 2009). Né Bobbio né Demaria accetteranno di cedere la loro cadréga a Del Prete.
Per le amministrative a Vigevano e Voghera, in soccorso a Filippi accorre allora Carlo Chiriaco: il 1° marzo 2010 conversando con Neri e Dieni, Del Prete riferisce una telefonata di Ettore Filippi «e di averlo subito dopo raggiunto in un luogo dove era anche presente Chiriaco; l’incontro era ancora una volta finalizzato ad ottenere il sostegno politico dei calabresi nei comuni di Vigevano e Voghera dove, per il tramite di Chiriaco che si era già accordato a riguardo con Neri, avevano espresso la preferenza dei propri candidati, ovvero il figlio di Ilacqua Giuseppe, Ilacqua Salvatore, di anni 32, candidato per la lista “Rinnovare Vigevano” formulata dalla solita famiglia Filippi. Secondo Del Prete, «Carlo gli ha dato i candidati su Voghera [chi?] e su Vigevano [Ilacqua]» Per parte sua, Neri sottolinea che si è trattato di una diretta segnalazione fatta a Chiriaco, frutto di un loro prodromico e personale accordo, e lui ne vuole restare fuori: come lamenta, «a me personalmente Filippi una volta mi ha fottuto…»
Per quale contropartita? Secondo Del Prete, Antonio Dieni avrebbe avuto assicurazioni da Ettore Filippi sull’esecuzione del lavoro riguardante la fogna («…all'Antonio lo stiamo facendo lavorare e questo è già un buon segnale… la fogna di 24 mila euro e poi…»). Nell'aprile 2010 lo stesso Del Prete trova occupazione presso Asm lavori, assunto da Luca Filippi.
Questo dicono le carte. Per anni Ettore Filippi ha inscenato la parodia di se stesso, ovvero del poliziotto che, «per botta di culo», a Milano aveva “beccato” nientemeno che il capo e l'ideologo delle Brigate Rosse. E non fu vanagloria, infatti subito dopo lo ritroviamo tra i pretoriani del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo: un'esperienza breve, interrotta dall'incarcerazione a Peschiera per alcune sue oscure relazioni con il boss della mala milanese Angelo Epaminonda (storia che infine lo vedrà assolto).
In conclusione, mi sia consentita una breve digressione personale. In una notte del gelido inverno 2007, a Pavia un rumeno handicappato e in carrozzella viene tenuto fuori dal dormitorio pubblico: per più di una sera si era presentato fuori orario. Il rumeno chiama me e io chiamo l'assessore alla partita Roberto Portolan che – infastidito – ad onta del buonsenso se ne lava le mani. Per l'assessore socialista quell'handicappato poteva anche accomodarsi in un parco sottozero e sotto la neve. Chiamo allora il vicesindaco Filippi che, nonostante l'ora tarda, trova un tetto a quell'uomo in carrozzella. Soluzione forse venata di paternalismo, ma pur sempre una soluzione, altrettanto venata da umanità. Filippi è anche questo: guascone, paternalista ma anche generoso, una qualità che oggi lo porta antropologicamente ad esporsi in prima persona in difesa del clan, tra mafiosi e no, e a negare l'evidenza delle carte, ovvero le nude intercettazioni telefoniche e ambientali, che non sono interpretazioni di fatti, ma fatti.