Archive for the ‘mino milani’ Category

Dialogo sulla città

12 novembre 2013

di Marco Vigo *

Alla libreria Delfino serrato confronto tra Mino Milani e Giovanni Giovannetti sulla Pavia di ieri, di oggi e di domani: «C’è amore per la città?»

«Come fare per ridestare nei pavesi un poco di amore per la città?» Se lo è domandato lo scrittore Mino Milani mercoledì sera alla libreria Delfino in Piazzetta Cavagneria, conversando con Giovanni Giovannetti, in occasione dell’uscita di Comprati e venduti, libro inchiesta dell’editore scrittore e fotografo pavese sul “sistema Pavia”.
E chissà, ha scritto Giovannetti, cosa penserebbe oggi il claudicante commissario della Imperial regia polizia austriaca Melchiorre Ferrari – protagonista dei gialli di ambientazione ottocentesca di Mino Milani – di questa Pavia così menomata. Abbattute le imponenti mura spagnole. Abbattuti «i voltoni pieni d’ombra dell’antico bastione» presso Contrada di Porta Salara dove, al numero 3, in «tre stanze una sopra l’altra» abitava la romanzesca ricamatrice Ofelia Trovieri. Il ponte Vecchio non è più lo stesso presso cui la stria Gelinda Maffi nelle notti di luna piena mutava nella “cagna del ponte”. In via Robolini non abita più il sofferto amore adultero di Maria per Giacomo: proprio da quelle parti, come abbiamo visto, sta ora l’invasivo parcheggio di San Primo, proprio accanto alla canonica della omonima chiesa romanica. Stesso trattamento per piazzetta Cavagneria, lì dove nottetempo “scarnebbiava” ingordo il “vampiro” transilvano Ferencz Lajos.
Chissà cosa scriverebbe oggi un altro celebre autore pavese, il sacerdote Cesare Angelini, a fronte del vero e proprio assalto al bene comune condotto da amministrazioni senza scrupoli né amore per la città… Gli antichi orti? siano permutati in aree edificabili; le basiliche e i sagrati? ottimi per parcheggi sotterranei: per così meglio spalmare polveri sottili e altre tossine sopra i polmoni dei pavesi, e sull’arenaria o il cotto dei nostri più preziosi e delicati monumenti.
«Che ne è della “mia” civile Pavia?», si è domandato mesi fa lo storico Giulio Guderzo in una lettera al quotidiano locale.
Domande riprese da Giovannetti, a fronte «del sacco urbanistico a cui speculatori e amministratori di destra e di sinistra, indistintamente, hanno sottoposto la città». Un ultimo drammatico esempio, secondo Giovannetti, «lo offre il nuovo Piano di governo del territorio, che consente di costruire nei giardini e negli spazi vuoti del centro storico in misura pari a quattro metri cubi per metro quadro, vanificando così la delicata alternanza tra pieno e vuoto che, nonostante tutto, ancora qualifica il centro cittadino», con buona pace del centro storico da mettere a tutela quale monumento unitario, come prescrivono le norme. Motivo per cui, sempre secondo Giovannetti, se vorremo salvare la città «questo Pgt andrà preso e buttato nel cestino».
Milani si è a lungo intrattenuto sulla vocazione pavese a lasciar fare, a farsi i fatti propri punto e basta: «Siamo ormai una città di affittacamere, ma già negli anni Sessanta la città ha assistito sostanzialmente passiva alle devastazioni urbanistiche. E se reazione ci fu, certo non fu popolare, poiché a reagire furono poche agguerrite minoranze intellettuali: ieri come oggi».
Quale futuro per Pavia, dunque? Secondo Giovannetti «più in giù di dove ci ha condotti questa scadentissima classe dirigente» (molti gli esempi offerti) «sembra impossibile andare. Possiamo solo risalire, ma la riscossa non può che essere civica, con al centro l’interesse collettivo dei cittadini invece di quello personale di arraffatori e speculatori».

* direttore del settimanale “Il Lunedì”

Storia di Tundra

4 ottobre 2012

di Mino Milani

Vita, opere e avventure di Tiziano Marchesi da Lungavilla, prima nella Cina di Chang Kai-Shek, poi partigiano sui monti lombardi.

Una vita vissuta avventurosamente tra mare e terre lontane. Il tiratore scelto della Marina militare Tiziano Marchesi da Lungavilla era «forte, resistente e cioè capace di sopportare senza lagna freddo, caldo, azione o ozio, magari anche fame e sete; capace di prenderle e di darle. E anche bello». Così lo descrive Mino Milani in questo racconto dell’uomo che – nei giorni della Resistenza – sarà Tundra, l’irriducibile comandante dell’omonima brigata.
Perché questo nome? «La tundra, probabilmente, Tiziano non l’aveva mai vista; non c’è notizia che nei suoi viaggi, si sia spinto fino ad essa, il confine, il limite tra la terra che esprime ormai solo erba e piccoli fiori, e i grandi ghiacci polari ed eterni».
Il partigiano Tundra oggi si fatica a ricordarlo. Sarà per quella sua ostentata autonomia; sarà perché l’unica sua bandiera rimarrà sempre il tricolore, emblema di libertà.

Mino Milani, Storia di Tundra, Effigie 2012, in libreria

La Storia di Milani

4 Maggio 2012

di Giovanni Giovannetti

C’è chi la storia la racconta in libri autoreferenziali, al più scritti male e grondanti note, e chi le stesse cose sa restituirle quasi fossero la trama di un avvincente romanzo. E solo i più dotati tra i divulgatori arrivano a incidere su coscienze, immaginario e senso comune.
Ieri sera ero alla libreria Feltrinelli di Pavia con Mino Milani a presentare il suo ultimo libro Dall’impero alla Repubblica, quasi 1500 anni di storia italiana narrati con penna e sguardo dello storico militare. Storie di élite politiche e culturali: «scrivo sempre tenendo presente il pubblico – ha detto Milani al quotidiano locale – sia come romanziere che come saggista. Essere comprensibili e piacevoli è fondamentale, specie quando si tratta di argomenti importanti come questi che devono essere patrimonio di tutti». È il filo rosso che lega più di un libro di Milani. Penso alla biografia di Giuseppe Garibaldi, ora riproposto da Mursia, o – ancora per Mursia – Vita e Morte di Nino Bixio e Romanzo Militare, di cui è protagonista il pavese nonché garibaldino Gaetano Sacchi (con Garibaldi fin dai tempi della Legione italiana Uruguay), poi entrato nell’esercito piemontese e dopo l’unità nazionale sceso a combattere il brigantaggio meridionale. Senza dimenticare Risorgimento Pavese, riproposto un anno fa da effigie in occasione del 150° anniversario dell’unità nazionale. A settembre sarà poi in libreria Storia di Tundra, Tiziano Marchesi da Lungavilla detto “Tundra”, dimenticato eroe della Resistenza al nazifascismo. (more…)

Lega, addio

30 marzo 2011
di Mino Milani

Lega, addio. L’ho votata, qualche volta; e al suo apparire mi era stata benvenuta, mi pareva fosse l’ora, sì, di riconoscere al Nord quanto valesse.  Vuoi vedere che c'è qualcosa di nuovo oggi nel sole?
No. Nulla di nuovo, tutto vecchio, i soliti discorsi, fino ad arrivare al 150º. A sentirli ufficialmente dire che, con l'Italia, loro non ci stanno. Non sono italiani, loro: sono padani. Niente biancorossoverde, solo verde, strano colore per una regione cementificata. Il discorso comincia e finisce qui.
Bene, ma io, vecchio pavese, non sono padano, sono italiano. Non me ne importa niente, della Padania, la zona che ha inquinato il suo fiume sacro (a proposito, fate bene, amici leghisti, a bere l'acqua del Po alla sorgente: vedete di non berla al ponte della Becca).
Mia madre era di Siziano, mio padre di Pavia, i miei avi di Roma: quelli che trasformarono in città un villaggio cui i celti fondatori non avevano nemmeno saputo dare un nome, poveracci com'erano; i romani che colonizzarono l'intera Padania, popolandola di quanto non aveva mai avuto, cioè di contadini capaci di coltivare la terra ed allevare il bestiame. I romani che, dopo secoli di buio, diedero alla Padania due dei suoi più fulgenti geni, miei prozii: Virgilio e Catullo.
Già. Ma ho altri parenti più vicini nel tempo, e sparsi qua e là fuori dalla Padania: Garibaldi, ligure; Mazzini, idem; Cavour e Vittorio Emanuele II, piemontesi; Benedetto Croce, napoletano; Pirandello, siciliano; Giacomo Leopardi, marchigiano; Gabriele D'Annunzio, abruzzese; un sacco di artisti umbri e toscani; Ippolito Nievo, friulano; Italo Svevo, giuliano, e la pianto qui. Che si fa? Ci rinuncio? dico che non ho nulla a che vedere con loro, perché non sono padani, ma italiani?
E' così è della mia storia, fatta dal popolo italiano, con grandezze e miserie, sconfitte e vittorie, malavita e buonavita, gente leale o squallida, onesti e disonesti: ma sì, all'incirca come ovunque nel mondo. O la «Città del Sole» me la date voi leghisti? Finiremo in due Stati, dice l'on. Borghezio. Forse: ma non sarebbero, onorevole, come il Belgio Fiammingo e quello Vallone, sarebbero più probabilmente come Croazia, Serbia o giù e su per i Balcani. Sarebbero debolezze, non forze.
Ne abbiamo sentite di belle, nel 150º, ma che «senza il Sud il Nord sarebbe più ricco» (come è stato detto qui a Pavia, città dei primati) è una delle più belle e delle più rivelatrici. Conta solo il Pil. Essere la Svizzera, ma non per l'istruzione, il rispetto della legge e dei regolamenti, non per il lavoro, non per la virtù civica: perbacco, contano i quattrini. Eccolo qui, l'ideale padano espresso dalla bandiera verde. Mille volte meglio il tricolore. (A proposito, chi credete che l'abbia fatta, l'Italia? I marziani? Mai pensato che sono stati i vostri bis bisnonni?). Lega, addio.