da Quito, Camilla Nanna e Nicola Signorini
Nel quartiere La Dolorosa di Chilibulo, a Quito, c’è una piccola casa ai piedi di una collina. La storia di questa casa si intreccia con quella di un gruppo di studenti universitari che decisero di mettere in pratica i loro ideali. Però non sono loro i veri protagonisti di questa storia. Siamo negli anni settanta e si costituisce un gruppo chiamato "Juventud Unida" che inizia a lavorare nella zona Sud di Quito. Giovani che parlano ai giovani e che insieme cercano alternative alla vita comune del quartiere. Il gruppo inizia così a tessere profonde relazioni con la gente del posto, a conoscere e comprendere la storia di questa parte periferica della città. Il contatto con questa realtà li porta a porre domande e ad investigare sulle necessità della comunità.
Alla domanda «Di che cosa avete realmente bisogno? », la risposta fu «Imparare a leggere e scrivere».
Questo processo di investigazione partecipativa è il vero protagonista e il filo conduttore della storia. Inizia quindi un processo di alfabetizzazione in cambio di ospitalità nel quartiere. Padri e madri di famiglia, terminato il lavoro, prendevano parte a classi serali alle quali spesso partecipavano anche i loro figli, che incuriositi seguivano i genitori. Il tempo passò e quei giovani studenti diventarono a loro volta padri e madri, e si domandarono se fosse giusto consegnare i propri figli ad un sistema educativo che annullasse la loro creatività, o se fosse possibile un modello alternativo, una alternativa visione del mondo.
Il contesto politico dell’Ecuador caratterizzato in quegli anni da un governo totalitario e un’opposizoine militante, rese necessaria la sistematizzazione della loro esperienza nell’insegnamento della lingua e nell’educazione infantile, per evitarne la scomparsa.
Nasce così nel 1985 l’INEPE – Istituto di Investigazione, Educazione e Promozione Popolare dell’Ecuador – come incontro delle necessità e degli obiettivi comuni della gente del quartiere e di questi particolari insegnanti. Il progetto parte come asilo infantile, per poi crescere insieme ai bambini che lo vivono e diventare una scuola a più livelli.
Il metodo educativo dell’INEPE si ispira a quello di Paolo Freire, uno dei più importanti pedagoghi del novecento, conosciuto per la teoria della "pedagogia degli oppressi".
Con il tempo, la qualità del lavoro svolto ha permesso all’INEPE di essere riconosciuto come istituzione di prestigio a livello nazionale e internazionale, mantenendo come punto di forza dell’insegnamento le relazioni continue tra insegnanti, alunni e comunità.
L’INEPE si caratterizza come spazio in cui si rispettano le diversità etniche, politiche, linguistiche, creando uguali opportunità di educazione, lavoro, salute e alloggio.
La partecipazione, uno dei principi basici, è richiesta a tutti i soggetti come strumento di decisione rispetto alle proposte della società. Il dialogo è strumento di confronto equo tra soggetto-soggetto (e non soggetto-oggetto, come invece avviene nel metodo educativo tradizionale, definito da Freire "modello bancario"), in un rapporto tra parti critiche, in ogni tipo di relazione sociale. La domanda rappresenta il punto di partenza dell’investigazione partecipativa e il motore dell’apprendimento. Durante la chiacchierata con Patricio Rasa, ci ha sorpreso la differente natura delle domande nate da una lezione di scienze naturali. Scavando in un metro quadrato di terra i bambini domandavano che cosa fosse un verme e quanti altri animali ci fossero nascosti sotto terra (scienze naturali), e di chi fosse la terra (storia, diritto), eccetera.
Così si scavalcano le divisioni dei saperi permettendo di «leggere il mondo e non solo le sillabe», riflettendo attivamente sulla realtà. I continui stimoli alla fantasia e alla creatività dei bambini possono portare anche a domande particolari: «Si può camminare con i tacchi sulla luna?» La risposta è uno stimolo a scoprire che cos’è la luna, e l’inizio di un percorso di conoscenza che porterà i bambini a rispondere autonomamente alla loro domanda iniziale, che non conosce la paura dell’errore.
Sempre attraverso le domande e la ricerca delle risposte, professori e alunni costruiscono insieme la conoscenza, in un processo di interapprendimento e comprensione reciproca che sconfina, oltrepassando le mura della classe, per riversarsi nel mondo esterno.
L’INEPE stesso rappresenta la risposta alle necessità della comunità nella quale è nato e cresciuto, e si è quindi proposto diversi obiettivi: lo sviluppo locale, l’educazione alla salute, una scuola di formazione di educatori popolari; e una scuola di formazione per docenti, ai diversi livelli educativi.
Altro aspetto interessante del progetto INEPE è il modo in cui ha potuto sostenersi nel tempo, anche economicamente. Nato dalle relazioni e dalla partecipazione continua della comunità, diventa parte integrante della stessa. Dai tempi dell’alfabetizzazione al 1990, gli insegnanti fondatori autofinanziarono il progetto ponendo in cassa comune le risorse ottenute attraverso altri lavori. Dal 1990 al 1995 viene finanziato dal "Fondo del Canada per iniziative di sviluppo locale", in quanto Ong meglio inserita nel tessuto sociale. Dopo un altro periodo di autofinanziamento (1995-98) avviene l’incontro con Franco Francia e "Partage", Ong francese con un co-finanziamento, che si protrae fino ad oggi; ed una collaborazione con il Cern di Ginevra con il quale vengono avviati progetti di apporto energetico ecosostenibile nella comunità. Nel 1998 parte inoltre il progetto di economia solidale, stabilito in assemblea generale, che prevede la contribuzione economica o pratica, in caso di indigenza, delle famiglie.
Entra anche a far parte del CEAAL “Consiglio Educativo Adulti dell’America Latina”, rete di Ong che si occupa di formare educatori ed educatori popolari per rafforzare il processo di sviluppo democratico in ventuno paesi in America Latina e nel Caribe.
Alla fine della chiacchierata con Patricio, abbiamo fatto una passeggiata nei dintorni. Per arrivare all’orto organico della scuola, siamo saliti per una piccola strada di sassi fermandoci davanti ad una casetta marrone di appena un paio di stanze. Questa era una delle sedi prestate dalla comunità a quegli strani insegnanti: «Noi la chiamiamo la casa di cioccolato».