di Alessandro Zaccuri
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Della bellezza non ci fidiamo più. Sospettiamo che ogni capolavoro nasconda un codice segreto, un messaggio cifrato, un complotto, qualcos’altro – qualsiasi cosa, ma non quello che vediamo, ascoltiamo, leggiamo. Non ci fidiamo più, non ci basta più. Siamo o non siamo postmoderni? Siamo o non siamo postumi rispetto a ogni tradizione, a ogni insegnamento ricevuto, a ogni convinzione condivisa? Siamo gli ultimi a essere stati ingannati, i primi ad aver aperto gli occhi. Quello che è stato non ci basta, non possiamo accontentarci di come ce l’hanno raccontata finora. Ed ecco allora Leonardo templare, Shakespeare assassino, Gaudí eliminato per intrighi oscuri. Volendo completare l’elenco, poi, ci sarebbe pure Cristoforo Colombo, che artista non era, ma resta pur sempre un tipo poco affidabile. Anche se in realtà, in quest’ultimo caso specifico, il buon Totò aveva già provveduto ad autodenunciarsi. Ve la ricorderete anche voi, no? la scena della tortura, con il principe de Curtis che, pur di essere lasciato in pace, ammette tutto, perfino di aver scoperto l’America. Codice svelato, complotto sventato.
Con i capolavori, noi, facciamo altrettanto. Li torturiamo, li torchiamo come si meritano, li costringiamo a cantare.
E la colpa non è mica di Dan Brown, intendiamoci. Lui si è semplicemente trovato al momento giusto al posto giusto. Dopo l’11 settembre, tanto per cominciare, quando alle versioni ufficiali non voleva credere più nessuno. Perché forse anche questa è una conseguenza del crollo delle Torri di Manhattan: non ci fidiamo più, neppure della bellezza. Tanto meno della bellezza. Un po’ di photoshop, oggi, non si nega a nessuno, un corpo perfetto può essere il risultato di una giusta calibratura dei pixel o, ancora più prosaicamente, di un giudizioso dosaggio di silicone. (more…)