Lettera sentimentale a Massimo Depaoli
di Giovanni Giovannetti
Caro Massimo Depaoli, ti conosco, poco ma ti conosco. Al liceo Copernico sei stato il prof di uno dei miei figli, e di te lui ancora serba un bel ricordo.
Ricordo anche d’aver letto anni fa un tuo libro sulla canzone d’autore; non si tratta dei testi su lingua e poesia nella canzone italiana antologizzati in Parole in musica, uscito da Interlinea nel 1996, di cui ti vedo co-autore; quell’altro viene prima, l’avevo e non lo trovo (l’ho cercato, chissà dov’è… Ah, ecco, trovato, ovviamente fuoriposto: Massimo Depaoli, Il linguaggio del rock italiano, Longo ed. 1988, introduzione di Roberto “freak” Antoni).
In questi giorni c’è stato chi per troppo affetto ti ha attribuito nientemeno che la “svolta” post-punk di Maria Corti, di cui sei stato allievo: nel 1982 la grande filologa aveva scritto Parola di rock, un tanto famoso quanto laconico saggino sul linguaggio del rock demenziale scritto controvoglia per la rivista “Alfabeta”. “Svolta” la cui paternità a me pare da ascrivere al compianto Gianni Sassi, disco-grafico e condirettore della stessa rivista. Ma è plausibile che da te le siano arrivate buone dritte, e non per caso l’anno successivo “Alfabeta” te ne ha reso merito, pubblicando un tuo ottimo Glossario rock.
Questo tutto sommato brillante pedigree umanistico lo devo anzitutto ricordare a me stesso, a fronte di variegate ombre. Ad esempio, di certo potevi risparmiarti e risparmiarci – tu, legambientalista – l’incondizionata adesione di consigliere comunale alla lottizzazione abusiva Greenway – votata congiuntamente da Pd, Lega e Pdl – a ristoro dei privati interessi economico-immobiliari della famiglia Artuso (su pressione di Alberto Pio Artuso, l’ex presidente della Commissione comunale Territorio tuo compagno di partito, ora nel Cda di Asm, lottizzazione poi cancellata dal Tar; sentenza infine confermata dal Consiglio di Stato).
Così come non depone a tuo favore la blanda critica al Piano di governo del territorio più devastante degli ultimi sessant’anni (una vera e propria bomba ad orologeria calata sul centro storico) tale da surclassare il famigerato Piano Dodi del 1956.
Insomma, pare quanto meno biasimabile la passata inclinazione ad anteporre il presunto interesse di partito alla promozione dei beni comuni e degli interessi generali dei cittadini anche perché – a differenza di altri (penso a Davide Ottini) – non ricordo una tua pubblica ammenda per l’okkei bipartisan agli interessi più che partisan del compagno Artuso, di cui le signore Trabatti e Danelli – proprietarie di quei terreni – come ben sapevi erano parenti.
Ben di peggio c’è comunque sull’altra riva, ove siedono interessi ancora peggiori, e personaggi che le inchieste antimafia hanno colto in sodale intrallazzo con figure apicali della ‘Ndrangheta lombarda.
In una tua lettera hai invitato tutti noi a «scegliere non solo fra due candidati ma fra due visioni, due modelli e due stili di governo, come è nello spirito del doppio turno. Qualcuno dice “scegliere il meno peggio” o il “meno lontano da me”, io preferisco pensare allo “scegliere il più vicino a me”».
Di quale “visione” sei oggi latore? Quella dell’umanista e dell’ambientalista o l’altra, opposta, di cui c’è poco da gloriarsi? Domanda scolastica, poiché a fronteggiare gli aggressivi pupari che manovrano il Pupo comune rivale ormai ci sei tu. Tu, a sintesi di ogni istanza di cambiamento e perciò avversato sottotraccia da una parte del tuo stesso partito (a Pavia le larghe intese non sono politiche ma d’affari).
A fronte di tutto questo e di molto altro ancora, sarò tra chi l’8 giugno sceglierà il “meno peggio”: tu, «il più vicino a me».