Archive for the ‘proposte pavia’ Category

Famiglie senza casa e case senza famiglia

22 gennaio 2012

da Pavia, Walter Veltri

Dal 2001 al 2011 le numerose autorizzazioni a costruire rilasciate dal Comune di Pavia hanno fatto lievitare da 37.459 a ben 45.174 il numero delle unità abitative. Il 36 per cento del territorio pavese è urbanizzato, anche se il numero degli abitanti è rimasto identico a quello del 2001. Tuttavia il costo degli immobili non è diminuito e 800 famiglie (non potendosi permettere gli onerosi affitti del libero mercato né tantomeno l’acquisto di una casa) sono ancora in attesa di un’abitazione a canone sociale.

Al censimento del 2001 Pavia aveva solo 71.366 abitanti rispetto ai circa 86.000 dei primi anni Ottanta. Diverse sono le cause di questa emorragia, continuata anche negli anni successivi: la città ha toccato il minimo di 70.207 abitanti nel 2008, per poi risalire leggermente fino a 71.142, nel 2011. (more…)

Globale, europeo e locale

5 giugno 2009
É tempo di agire
da Pavia, Franco Osculati*

Sinistra e libertà e Sinistra democratica, l’una per le europee, l’altra per le comunali. Perché queste liste? Semplicemente perché vogliamo riprendere il discorso del socialismo europeo: pacatamente, ma senza equivoci.
Il premio Nobel Joseph Stiglitz ha scritto che la crisi economica di questi ultimi mesi è per il fondamentalismo liberista quello che fu il crollo del muro di Berlino per il comunismo. In effetti assistiamo ad avvenimenti che dovrebbero aprire gli occhi a molti. Avidità e eccessiva disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e dei patrimoni sono alla base della crisi. Quando, su entrambe le sponde dell’Atlantico, la sinistra – insieme a sindacati forti e mediante un giudizioso intervento dello Stato – si opponeva a viso aperto a tali disvalori, le cose andavano meglio per tutti. Cresceva l’economia e cresceva in particolare il ceto medio. Un operaio o un impiegato, con un solo stipendio, offriva un’esistenza dignitosa all’intera famiglia. Oggi, senza almeno due stipendi, come tirare avanti? E i ragazzi, anche laureati, che sono “somministrati” (lavoro interinale) tra i vari impieghi per poche centinaia di euro, e di tre mesi in tre mesi? E‘ facile anche raffigurarsi, in questo contesto, le condizioni delle lavoratrici, specialmente se madri.
E’ tempo di agire. Solo dal lavoro e solo dalla produzione nasce il benessere duraturo. Non dalle alchimie finanziarie. E allora tassiamo le rendite, i profitti eccessivi, i redditi immeritati e smisurati. Giorni fa l’onorevole Matteo Colaninno (Pd) ha dichiarato che non si può elevare la pressione fiscale sui ricchi fin tanto che non sarà vinta la battaglia contro l’evasione. Caro Colaninno c’è del vero in quanto Lei dice, ma si immagini quanto possa essere maggiormente utile battere l’evasione per dare spazio ad una ridotta imposizione sui redditi da 20 o da 30.000 euro.
Se è scontato che determinate politiche fiscali e sociali sono possibili solo a livello europeo, localmente è anche necessario assicurare buoni servizi alle famiglie. Anche per loro mezzo si riconosce il valore fondante, per l’economia e la società, del lavoro. A Strasburgo o a Pavia lo scopo è lo stesso.
In città si registrano aspetti di incuria che sconcertano. Per esempio, in troppe aree la fa stabilmente da padrone lo sporco. Spetta anche ai cittadini tenere pulito, ma l’Asm non funziona, o non funziona bene. Non ha giovato la cura costituita dalla duplicazione di cariche, presidente e amministratore delegato, e dalla moltiplicazione di società partecipate, ciascuna con presidente, consiglio di amministrazione e altra struttura fine a se stessa.

Nessuno sa dire quando usciremo dalla crisi, crisi che è dannatamente seria: il Pil regredisce al passo del 6% e il debito pubblico progredisce in misura del 15%. Si accumulano costi ingenti che non potranno essere addossati, ancora una volta, soltanto su chi lavora e su chi ha poco. Dalla crisi usciremo soltanto puntando sull’ambiente. Se non cambiamo registro la prossima bolla a scoppiare sarà quella ambientale, di tutte la più distruttiva. Barack Obama stesso sembra volerci dire che dopo il vapore, l’elettricità, il motore a scoppio e internet ci potrà essere un solo avanzamento tecnologico epocale, la salvaguardia dell’ambiente. In questo senso si sentiamo ferventi “obamiani”. La tutela dell’ambiente richiede di operare a diversi livelli, globali, europei e locali. Conseguentemente, tra le varie candidature a sindaco, preferiamo appoggiare quella del professor Ferloni. Per preparazione specifica e per credibilità personale, Paolo è senz’altro il candidato più attrezzato per guidare Pavia in futuro. Saranno anni difficili ma dovranno sfociare in una trasformazione radicale.

*Ordinario di Scienza delle Finanze (Facoltà di Scienze Politiche) Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale Università di Pavia

La teoria degli insiemi e la Casa del Popolo

4 giugno 2009
Lettera aperta a Irene Campari e Pablo Genova
da Pavia, Armando Barone

Se ci figurassimo il Circolo Pasolini, la sinistra anticapitalista e Insieme per Pavia come tre insiemi di persone e idee per la città, quante e quali sarebbero le intersezioni di questi tre insiemi? Lavoro, Case Popolari, cultura dell’antirazzismo. Pace. Sostegno alle fasce deboli. Ambiente. Merci a km zero. Niente cemento, niente ipermercati. Divertimento giovanile. Cultura e musei. L’acqua come bene pubblico.
Leggo i programmi di Prc e Pdci, gli articoli di Irene. Poi rileggo il nostro, e mi accorgo che stiamo parlando lo stesso linguaggio. Tre lingue che la babele elettorale distingue e separa, fedele alle rispettive originalità, eppure così familiari l’una all’altra, così contigue, come lingue che si contaminano a forza di prestiti nella piccola Europa.
Lunedì sorrideremo e ci incazzeremo con in mano le stampe del sito della Prefettura, ma guardando un po’ più in là, a quello che verrà poi, viene il dubbio: non è che, senza accorgercene, stiamo costruendo quel blocco a sinistra, aperto e plurale, di cui da anni si cercano le tracce? Non sarebbe un esperimento interessante, dopo le Elezioni, provare a lavorare sulle nostre intersezioni?
Tempo fa mi trovai a discutere via blog con Paolo Ferrero di sedi ‘attive’. Ossia: utilizzare sedi e circoli di partito con ruoli di servizio, ricostruendo il rapporto con il territorio. Come avere una casa del popolo in ogni città o magari in ogni quartiere, con assistenza legale gratuita o a rimborso spese, accoglienza immigrati, ufficio coordinamento dei csv, sportello gas e km zero. E una potente opera di contro informazione e libera cultura.
Fare politica in questo modo non sarebbe più utile, lungimirante, persino più gratificante?
Paolo Ferloni, nell’ intervista ‘embedded’ che abbiamo pubblicato di recente sul nostro blog, ha invocato l’abolizione delle etichette. Diceva: occorre sapere chi siamo, e cosa non siamo. Nel suo profilo mi ci sono riconosciuto. E per uno come me, che si è sempre riconosciuto nell’idea comunista ancora da costruire, figlia e nipote della Resistenza, interessata alla decrescita, viva nell’eco di Puerto Alegre, non è parso neanche innaturale.
Due partiti uniti in un processo di rinnovamento, il circolo politico e culturale, la lista civica di sinistra: se le rispettive storie possono dividere, l’agire politico può unire. E dove c’è agire politico, c’è rappresentanza. Democrazia, come si usa dire, ‘dal basso’.
Posso anche sbagliarmi, ma c’è un futuro, qui, da qualche parte.
Interessa?

Lettera a un giovane candidato sulla verità

14 Maggio 2009
Le mancate risposte di Alessandro Cattaneo, candidato sindaco per il centro-destra
da Pavia, Giovanni Giovannetti

Caro Alessandro, hai 29 anni come il mio figlio maggiore, ed è forse per la giovane età che ogni tanto provo per te sincera simpatia e un istintivo senso di protezione. È capitato quando, nei primi giorni di questa lunga campagna elettorale, qualcuno disse che eri un candidato sindaco «senza classe e carisma», destinato a rimanere tale. Privo di carisma? Chi può dirlo ora? Forse qualche esperto in eugenetica, gli stessi che specularmente sarebbero portati a sostenere che i Rom sono antropologicamente tutti ladri e tutti malfattori, un fenomeno alieno come lo stesso Cattaneo o i ‘diversi’ da noi, da combattere, da temere e da infamare. Allora ti ho difeso, così come – negli anni scorsi – ho difeso il diritto alla scuola dei bambini Rom e il comandante dei vigili Gianluca Giurato, entrambi infamati dai maggiorenti della passata amministrazione, tanto incline a occultare (se non a favorire) l’illegalità istituzionale, quanto solidale nel negare verità e diritti fondamentali.
Verità… su questo blog, Roberta Salardi e Luisa Voltán hanno raccontato i loro ‘oggetti smarriti‘, una bandiera rossa, una panchina… io ci aggiungo il sentimento di verità. Bisognerebbe chiedersi dove siano finiti la verità e i sogni. Bisognerebbe chiedersi se sia ancora possibile non separare il pensiero dall’azione, nonostante tutto.
La politica miope accattona e codarda; la politica che coltiva le rendite elettorali della paura, dell’esclusione e dell’odio; la politica che criminalizza i poveri invece delle povertà; la politica che favorisce il business delle mafie, lo spreco delle risorse e le speculazioni immobiliari; la politica che non si è opposta alla trasfusione del razzismo e della xenofobia nelle vene del senso comune, gettando invece benzina sul fuoco dell’intolleranza; questa politica, che non distingue tra guardie e ladri, sta rubando il futuro a noi e ai nostri figli. E allora si dovrebbe tornare a sognare e a coltivare i semi dell’utopia della verità (e chissà perché la verità appare adesso così utopica).
Caro Alessandro ti scrivo perché l’altra sera, nel corso dell’incontro con gli abitanti del quartiere Vallone, ti ho visto scivolare sopra una buccia di banana (avrei volentieri scritto «ti ho visto pestare una merda», ma non si può).
Prima hai decantato l’agricoltura come il vitale – se non l’unico – motore dell’economia territoriale, poi ti sei schierato a favore dell’ecomostro autostradale Broni-Mortara, che dell’agricoltura lomellina rappresenterà la pietra tombale, perché consumerà 8 milioni e mezzo di metriquadri (!) di territorio vergine; perché impedirà ogni coltura biologica lungo tutto il suo percorso, e perché sposterà il baricentro territoriale su logistica e trasporti – settori dallo scarso profilo occupazionale – proprio a danno dell’economia agricola.
Per collegare al meglio Oltrepo e Lomellina basterebbero una rete viaria più fluida dell’attuale, il raddoppio della linea ferroviaria Pavia-Mortara e piccoli accorgimenti come, ad esempio, alcune circonvallazioni e il raddoppio del ponte sul Po a Bressana: una strada gratuita e dal modesto impatto. Invece tu, Abelli e Formigoni ci volete ammorbare con un ecomostro da 1.064.000 (milioni!) di euro che porterà i gas di scarico di 40.000 autoarticolati ogni giorno direttamente dentro ai nostri polmoni. Un serpente d’asfalto che saremo noi alla fine a pagare: sono i costi del pedaggio di 0,148 euro a chilometro – tre volte le tariffe ora in vigore – e i costi ben più onerosi e gravosi sulla salute dei cittadini.
Fare disastri a danno delle generazioni a venire sembra il trend del momento.
In Italia, in soli 15 anni il trasversale ‘partito del mattone’ ha urbanizzato 3.663.000 ettari di suolo – nonostante la disponibilità di 28 milioni di case (2 milioni delle quali abusive, con una evasione fiscale di oltre 3 miliardi di euro!) – il 17 per cento del territorio nazionale, una superficie pari a Lazio e Abruzzo insieme. In testa troviamo Liguria, Calabria e Campania, regioni ahinoi governate dal centrosinistra, regioni devastate da speculazioni impressionanti, regioni per le quali l’ambiente non è stato considerato come risorsa ma come intralcio alla crescita del loro Pil di riferimento: quello in quota alle mafie ingorde, che riciclano il denaro nell’edificazione e nella compravendita di immobili.
In un rapporto di Italia Nostra leggiamo che nella provincia di Pavia in quarant’anni sono stati urbanizzati 13.085 ettari, equivalenti a 196.000 pertiche milanesi di terra agricola e forestale. Nell’arco di cinquant’anni lo spazio occupato da abitati e case è quasi raddoppiato, passando dal 3,4 per cento al 7,8 per cento del territorio. Nell’arco di poco meno di un cinquantennio le aree urbanizzate hanno invaso una superficie equivalente a 19.000 campi di calcio. Una velocità e una percentuale (- 9,3 per cento) superiore a quella che – negli ultimi 40 anni – ha riguardato le altre due province a vocazione agricola della bassa Lombardia (Cremona – 8,1 e Mantova – 8,9). Il fenomeno ha interessato principalmente i terreni agricoli della pianura, tra i più fertili del mondo, una risorsa ambientale, paesaggistica ed economica di valore strategico.
Insediamenti di ogni tipo invadono le aree agricole, mentre imponenti aree industriali dismesse giacciono inutilizzate e abbandonate al degrado. Ad alimentare il consumo di suolo, hanno scritto Roberto Camerini e Paolo Ferloni «è una impostazione culturale figlia di un modello di sviluppo che ignora i limiti fisici dell’ambiente».
In risposta alla stagnazione e alla recessione economica si annunciano progetti di scarso contenuto sotto il profilo occupazionale, ma di notevole impatto negativo sul territorio (termocombustori, centrali elettriche, aree logistiche, ecc.) proprio mentre chiude lo zuccherificio di Casei Gerola.
Caro Alessandro, la politica deve tornare a parlare il linguaggio della verità. Senza se e senza ma. Riflettici.

Comunità tzigane

3 Maggio 2009
Come risolvere un problema che non c’è
da Pavia, Giovanni Giovannetti

In Italia, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta non si considerano più le comunità tzigane come appartenenti alla nostra storia urbana e rurale, nonostante lo siano state per secoli. In assenza di indicazioni nazionali, gli enti locali adottano politiche basate sulla segregazione e sul ‘campo nomadi’, relegando Rom e Sinti al di fuori della vita pubblica. Sono inerzie demagogiche e violente, basate su assistenzialismo, repressione e sgomberi. A loro volta, gli sgomberi hanno dato luogo ad altri campi, poiché spostano (e aumentano) il problema anziché risolverlo. Insomma, un cane che si morde la coda: la segregazione e la perdita dell’identità culturale aprono alla deriva delinquenziale, al giustizialismo, al rifiuto, con costi sociali ed economici elevatissimi; costi ben superiori a quelli delle politiche d’inclusione, le uniche in grado di garantire la sicurezza sociale, soprattutto con la scolarizzazione e l’inserimento lavorativo.
A Pavia risiedono una comunità di Sinti italiani e una di Rom rumeni (arrivati solo recentemente). Non sono più nomadi da molto tempo, ma 386 Sinti vivono nei ‘campi’ di via Bramante e piazza Europa. Le istituzioni locali sembrano inclini a considerare i Sinti culturalmente più portati a vivere in roulotte o in baracca che non in una casa: non è così. Fra i Sinti c’è la richiesta diffusa di casette più stabili e di micro-aree sulle quali costruire piccoli villaggi. L’autogestione responsabile del territorio è l’esatto contrario della deresponsabilizzazione a cui sono portati dagli interventi assistenziali, o dai ‘privilegi’ offerti loro dagli imbonitori comunali (il mancato pagamento delle utenze pubbliche, ad esempio). Senza tralasciare le promesse e le speculazioni elettorali dei partiti maggiori.
Allora proviamo ad elencare alcune possibili soluzioni, già ampiamente sperimentate – con successo – in altre città italiane:
Piccole unità abitative. Gruppi famigliari allargati acquistano un terreno o ne ricevono uno dalla pubblica autorità (contratto di enfiteusi) sul quale costruire una casa.
La casa popolare. Può rappresentare una soluzione quando i legami sono monofamigliari. Ma vivere nei campi comporta punteggi molto bassi.
L’affitto di una casa sul mercato privato (modello bolognese: in questo modo sono stati chiusi tre campi, con un risparmio dei ¾ di quanto il Comune spendeva nella gestione dei ‘campi’). All’occorrenza il Comune può affittare gli appartamenti e poi subaffittarli ai destinatari ultimi, garantendo così i proprietari. Sono politiche con un orizzonte di almeno 8 anni. Le condizioni potranno variare ogni 4 anni.
L’acquisto di una casa (modello torinese): anche in questo caso si rendono necessari dei garanti, persone autorevoli disposte a garantire l’accesso al credito. In alternativa, il Comune svolge la funzione di mediatore con le banche per l’accesso ai mutui.
In tutti questi casi vanno previste forme di accompagnamento, anche da parte di operatori provenienti dalle comunità Sinte. Non andrebbero dimenticate una o più microaree riservate alla sosta temporanea dei gruppi in transito. Gli zingari lombardi hanno ormai perso le abitudini itineranti, ma alcuni sono ancora dediti al piccolo commercio, ad attività artigianali, all’attività di giostrai, ecc.). Le aree di sosta richiedono un coordinamento con gli altri siti a disposizione. Al riguardo, è ottimo il modello francese.
Altro discorso per i Rom, arrivati a Pavia recentemente. I Rom di Pavia – un centinaio – abitano in case d’affitto; una cinquantina vive dimenticata dalle istituzioni nei centri comunali di via san Carlo e Fossarmato.
I Rom sono un insieme di comunità eterogenee, sia a livello linguistico che culturale, senza alcuna divisione in classi o gerarchie sociali. In Europa sono circa 10 milioni; in Italia sono 160.000, 110.000 dei quali sono da molto tempo cittadini italiani. La loro presenza sulla penisola è testimoniata già nel XV secolo. Le più recenti ondate migratorie provengono dall’ex Jugoslavia (a partire dagli anni Sessanta e a seguito del conflitto balcanico) e dalla Romania, dove quasi tutti i Rom non sono più nomadi da almeno sei secoli.
Tornando a Pavia, alcune tra le famiglie sgomberate dalla Snia sono ormai ampiamente inserite. Grazie all’opera della Prefettura e dei volontari, i bambini e i ragazzi vanno a scuola, gli adulti lavorano e pagano regolarmente l’affitto e le spese.
Tuttavia, l’approccio – sbagliato – è il medesimo: le stesse politiche pseudo-assistenzialiste e segregazioniste che avevano favorito l’insediamento e l’abbandono dei Rom nella Snia oggi trovano una replica nei due centri di San Carlo e Fossarmato. La differenza significativa è che i bambini frequentano regolarmente la scuola: a buona parte dei numerosi bambini che vivevano alla Snia il Comune l’aveva negata. L’ex sindaco e dirigente scolastico Piera Capitelli ebbe a dire: «Nessuno di questi bambini verrà inserito nelle scuole pavesi, perché farlo costituirebbe per le famiglie un incentivo a radicarsi sul territorio».
L’inclusione è praticabile, e ai diritti devono corrispondere i doveri. No alla cultura dei ‘campi’ (un business che per certo volontariato è professionale: guarda più al profitto che ai bisogni); no all’acquartieramento su basi etniche; no all’assistenzialismo perenne, che sfavorisce l’emancipazione. Sì a percorsi di inclusione per le famiglie (un lavoro, un salario, una casa in affitto); sì al governo dei flussi; sì a un piano casa, a partire da chi è in Italia da molto tempo. L’obbligo scolastico andrà rigorosamente fatto rispettare, cercando un rapporto equilibrato tra la cultura di provenienza e quella italiana. Bisogna investire sull’educazione a partire dai più piccoli. Tra i Rom c’è un elevato tasso di analfabetismo, in particolare tra le donne, tradizionalmente più discriminate. È il caso di puntare su corsi di alfabetizzazione informali: pochi allievi, un’insegnante di scuola primaria, magari in pensione; e un rapporto regolato da una ‘banca del tempo’: le ore di lezione compensate con lavori di pulizia o piccole manutenzioni, ecc.
I guasti causati dalla politica populista di questi anni impongono un lavoro culturale enorme, non tanto sui Rom quanto sui nostri connazionali; e dentro le istituzioni, per sradicare i pregiudizi e l’intolleranza. Hanno avuto una visione miope e inumana, ma anche poco patriottica. L’Italia subisce un vistoso declino demografico (con 1,35 figli a coppia è tra i primi al mondo per la bassa natalità) reso meno evidente dall’arrivo dei nuovi immigrati (in Italia sono 3.690.000 – il 6,2 per cento della popolazione) sulle cui spalle grava anche la salute malferma dell’Inps che – senza di loro – già ora non saprebbe come pagare la pensione ai nostri anziani (siamo tra i più longevi: l’età media, in costante aumento, è di 78 anni per gli uomini e 84 per le donne).
L’idea di Nazione ha a che fare con la cittadinanza, e i problemi si risolvono con l’inclusione nel sistema dei diritti, l’unico che può garantire un futuro a loro e a noi. Lo ha scritto nientemeno che Marzio Barbagli su “Il Giornale” (1° novembre 2007) invocando «norme che favoriscano l&rs
quo;integrazione degli immigrati nel tessuto nazionale, dotandoli anche di diritti politici». L’ex vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini – che “buonista” non è mai stato – ha chiesto per i Rom «l’impegno dei Comuni a offrire alloggi decorosi e occasioni di lavoro anche temporaneo» (“Il Giornale”, 15 agosto 2007).
L’Italia è all’ultimo posto in Europa per gli interventi verso le popolazioni zingare. In Spagna, il programma governativo “Acceder” ha consentito in pochi anni l’inserimento lavorativo di 35mila Rom e Sinti con l’aiuto di fondi europei, fondi che l’Italia non utilizza né richiede.
A Pavia sono mancate le politiche del lavoro e dell’inclusione. Le istituzioni non hanno mai sostenuto la nascita di cooperative Sinte e Rom, che avrebbero consentito la regolarizzazione di lavori come la raccolta del ferro o la cura del verde pubblico, la manutenzione delle strade o la custodia dei parchi, ecc. Manca anche una politica della formazione al lavoro, rivolta innanzitutto ai giovani. Al dunque, bisogna rispettare i diritti costituzionali delle persone  e far rispettare le regole: è la via che porta a risolvere i problemi. La messa in pratica della sollecitazione di Frattini (che rispecchia quelle che ebbi modo di esprimere – con Irene Campari – nel 2007 , per una soluzione umanitaria del «problema Rom» alla Snia, e che furono ignorate) favorirebbe la progressiva liberazione delle strutture comunali di via San Carlo e di Fossarmato, portando a soluzione un «problema Rom» che a Pavia è del tutto inesistente: sono 50 persone, e metà di loro sono bambini. Pavia può farsene carico.

Rinascimento pavese 1

7 febbraio 2009

Normal
0
14

false
false
false

MicrosoftInternetExplorer4

st1:*{behavior:url(#ieooui) }

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:10.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
mso-ansi-language:#0400;
mso-fareast-language:#0400;
mso-bidi-language:#0400;}

di Giovanni Giovannetti



La defunta giunta Capitelli era «appoggiata da consiglieri che sono stati tutti ricompensati»; il sindaco ha «pagato» le persone che le sono servite per restare a galla, così come ha fatto «con Mazzilli, Galliena, Cappelletti, Castagna, ecc.»; il segretario cittadino del Partito democratico Antonio Ricci è  pronto a «fare accordi» pur di favorire la sua «carriera professionale al San Matteo». Sono parole di un invelenito Ettore Filippi, ex assessore al bilancio, ex vicesindaco e futuro ex membro del Cda dell’ospedale San Matteo. E si capisce: Filippi dovrà rinunciare a oltre 40.000 euro l’anno (31.000 euro lordi e altri 200 a seduta) che andavano a sommarsi allo stipendio di vicesindaco e assessore, e alla pensione di ex poliziotto e ad altro ancora.

 

 

Non per soldi ma per denaro

 

L’ex vicesindaco non la racconta tutta: ha ripetuto storie, già sentite, di fintoambientalisti e fintoprogressisti, come lui  «ricompensati» dai quattro denari di qualche ben remunerato consiglio di amministrazione e come lui disponibili a chiudere un occhio, anzi due, sulle speculazioni immobiliari (circolano voci inquietanti, voci di mazzette milionarie), sulle bonifiche delle aree dismesse (una delle varianti locali dell’ecobusiness) e sugli interessi blindati di alcuni partiti, di alcuni assessori e persino di alcuni consiglieri comunali: cordate trasversali, con la destra e la sinistra “unte” nella lotta.

Filippi tace sulle delibere taroccate e sulle fatture mai viste della prima edizione del Festival dei Saperi; tace sull’abusivo abbattimento della parte monumentale della Snia, volto a favorire una speculazione immobiliare; tace la verità del Carrefour sulla Vigentina; tace sulla trasformazione delle aziende municipalizzate in una miriade di Spa, che ha peggiorato i servizi, che ha aumentato i costi e il numero delle poltrone nei consigli di amministrazione.

Tace su tutto questo e su molto altro ancora: del resto Filippi figurava tra i più famelici partecipanti a quel banchetto e ora, insieme agli altri, se ne andrà senza prima aver sparecchiato né aver rigovernato la cucina.

I risultati li misuriamo sulla nostra pelle: ci lasciano una città in declino, depressa, senza lavoro né passioni, in preda agli speculatori loro amici; una città dormitorio per oltre 12mila pendolari, la cui giornata lavorativa comincia all’alba e termina ben oltre il tramonto.

 

A Pavia diminuiscono gli abitanti (da 88.839 nel 1971 a 70.207) ma si continua ad edificare su ogni zolla di terreno vergine ancora disponibile, nonostante l’assenza di acquirenti. Non solo: secondo l’Agenzia del territorio, a Pavia ci sono 1.269 costruzioni abusive. Siamo quarti in Italia dopo Roma (6.000), Napoli (6.000), Catania (4.000) e Bari (1.337). Sono dati ripresi dal Rapporto Ecomafia 2008 di Legambiente (pag. 57). Se li rapportiamo alla popolazione residente (un edificio abusivo ogni 55 abitanti) Pavia si rivela prima assoluta, l’inarrivabile capitale dell’abusivismo edilizio nazionale.

Primeggiamo anche in altri settori. Ad esempio, in quello delle Slot machines: una ogni 55 abitanti (ancora il 55: nella cabala è il numero della musica, ma anche quello di chi porta la croce…), più del triplo della media nazionale. Non è dunque per caso se il Rapporto 2003 della Commissione antimafia rileva che «a Pavia il controllo criminale del territorio non segue la via del “pizzo” ma quella del videopoker» (pag. 382).

Il trasversale partito degli affari ha lasciato che le mafie edificassero e riciclassero il denaro sporco. Tutti loro sono in affari con i grossi gruppi commerciali e immobiliari, incuranti del calo occupazionale e della chiusura dei negozi di vicinato (per ogni posto di lavoro acquisito in un "iper" se ne perdono cinque nei negozi di vicinato), incuranti della qualità della vita che va peggiorando, soprattutto per la popolazione anziana. Con gente così nei posti di comando non si andrà mai da nessuna parte. Tuttavia…

 

 

Rinascimento pavese

 

A costo di sembrare ingenui, sì, nüm pödam. Noi possiamo…  ma ci vogliono amore e visioni. Amore per la città, idee ed un progetto condiviso: la politica della polis.

A parole avversiamo tutti il malaffare, ma nella pratica è richiesta l’assunzione di responsabilità. Al trasversale e carsico “partito degli affariloro” andrà opposto un l’altrettanto trasversale “partito del bene comune” che, al linguaggio menzognero del falso progresso, del falso sviluppo, della falsa crescita sappia opporre quello della città dei cittadini e parole di partecipazione. Un ribaltamento di prospettiva, che opponga l’interesse comune a quello degli speculatori e alle trame politico-mafiose che, passo dopo passo e nell’ombra, hanno devastato la città, azzerato l’occupazione industriale (la Necchi poteva essere salvata), tolto prospettive a migliaia di famiglie, emarginando disoccupati, giovani e anziani. Un progetto capace di collegare la realtà locale ai grandi temi, entro scenari e obbiettivi realisticamente perseguibili.

Ad esempio, investendo soldi e idee nella costruzione del locale Polo tecnologico, che qualcuno vorrebbe relegato al Cravino (su soli 15.000 mq!) quando l’area Necchi sembrerebbe la sede ideale. Al solito, i proprietari propongono edilizia residenziale e attività commerciali.  Al solito, le passate amministrazioni si sono rivelate inclini a favorire l’interesse dei proprietari, anche se il piano regolatore di Vittorio Gregotti ne aveva confermato la vocazione ad area per le attività produttive. Quanto potrebbe valere un “Polo” ben pensato? Quello di Cambridge ha portato 2.400 nuovi posti di lavoro, escluso l’indotto.

Ad esempio, imponendo il pubblico interesse a chi vuole spostare risorse dalle attività produttive alla speculazione finanziaria, in particolare quella immobiliare, il punto di origine della crisi, il ventre molle della nostra città.

Ad esempio, favorendo e quanto più rilanciando i negozi di vicinato, oggi minacciati dal modello “iper” che desertifica, la foglia di fico messa a coprire le grandi speculazioni immobiliari: aiuterebbe a migliorare la qualità della vita, in particolare nei quartieri di periferia.

Ad esempio, destinando l’1 per cento del bilancio comunale (800mila euro) al sostegno delle famiglie e degli anziani in difficoltà: una rete di protezione sociale che preveda anche la riduzione del costo di alcuni servizi e che possa restituire a Pavia il senso della comunità, della città solidale con gli “ultimi” non solo a parole.

Ad esempio, valorizzando e ottimizzando le risorse locali (l’ambiente, i monumenti, i musei, la pinacoteca, ecc.) entro progetti di più lunga durata. Alla futuribile città dei congressi e dei saperi serviranno alberghi, sì, ma ai visitatori e ai cittadini andranno offerte anche strutture permanenti per le attività culturali e ricreative: la nuova biblioteca e inediti spazi polivalenti e interattivi, dentro edifici vecchi e nuovi.

Ad esempio, avviando un piano strategico di promozione del territorio, che colleghi le tante iniziative, slegate tra loro, e portarle a fare ‘rete’. Un ‘piano’ affidato a persone disposte a dare, non solo a ricevere. 

Hanno periferizzato la nostra vita. Nei quartieri da ridestare non mancano gli spazi, e all’occorrenza altri ne andranno scovati: capannoni, vecchi cinema parrocchiali, aree dismesse, centri sociali… Ridisegnamoli, reinventiamoli, riutilizziamoli: saranno i contenitori delle nostre migliori idee. Le periferie ora sono lontane. Avviciniamole, ripensiamole come parte della città, decentrando la qualità.