Archive for the ‘Uncategorized’ Category

Crollano le new towns a l’Aquila

3 settembre 2014

“Le case delle new towns a L’Aquila cadono a pezzi. “Jaromil” lo ha scoperto nel 2010″.

di Marco Bonacossa

E’ brutto dire “l’avevamo detto”. Ma è vero e ci dispiace. Non per essere stati tra i primi in Italia, non per averlo scritto sul numero sette della nostra rivista e sulla nostra pagine facebook ma per il contenuto dello scoop.
Nell’ottobre 2010 io e gli altri redattori di “Jaromil”, periodico dell’Università degli studi di Pavia, Marco Magnani, Federico Rossi, Alessandro Civardi e Tommaso Marano, ci siamo recati a L’Aquila.
Lo abbiamo fatto spinti dalla volontà di scoprire, di scoperchiare la verità con quella dose di incoscienza e spirito di avventura che i nostri 23 anni ci suggerivano.
La città sembrava il risultato di un bombardamento di guerra: edifici sventrati, centro storico distrutto, transennato, chiuso e presidiato dai militari. Le voci dei giovani nei pochissimi locali aperti erano quelle dei sopravvissuti: ogni discorso era incentrato sul “prima” e sul “post” terremoto: “prima del 6 aprile ci trovavamo in quel bar là”, “il miglior aperitivo era in quel posto ma ora non c’è più”, quando c’era l’università qua era pieno”.
Siamo andati ad Onna e abbiamo visto la devastazione, abbiamo parlato con anziani e famiglie che tornavano in paese per recuperare qualcosa che il terremoto aveva loro sottratto: la vita.
Siamo andati a vedere le famose newtown del progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili). Gli aquilani che abbiamo incontrato le chiamavano “le case di Berlusconi”, ma nel loro tono la sottolineatura della paternità di quegli edifici non rappresentava nulla di positivo.
Diciannove complessi dislocati attorno al capoluogo e come prima tappa del nostro tour scegliemmo Bazzano 5. Quelle erano le case che il governo Berlusconi fece vedere al mondo il 29 settembre 2009, il giorno del suo sessantatreesimo compleanno. Se fossimo stati in una dittatura avremmo potuto pensare che quella data non era casuale. Quando arrivarono le telecamere delle televisioni di Berlusconi v’erano le bandiere tricolori attaccate ai balconcini, la torta e lo spumante nel frigorifero. Quando arrivammo noi le bandiere erano sparite e le telecamere, pure. La prima impressione che ho avuto è quella delle case che da bambini si costruivano con il lego: colorate, finte.
Gli unici presenti in quei complessi dormitorio erano alcuni anziani che vagavano senza meta nella newtown: negozi, edicole, bar…tutto scomparso. Soltanto un paio di panchine per sedersi. Alle nostre domande su come si vivesse in quelle case ci raccontavano dei primi problemi: dell’acqua corrente che non sempre c’era, delle prime infiltrazioni sui muri, degli spifferi. Nelle loro parole percepivamo la loro consapevolezza di essere stati strumentalizzati dalla propaganda di governo e l’insicurezza, il disagio di vivere in quelle strutture che rivelavano, soltanto dopo un anno di vita, i primi problemi.
Il Piano C.A.S.E. non nasce dopo il terremoto abruzzese ma prima, deposto in qualche cassetto e tirato fuori in occasione dell’emergenza aquilana. Una vera manna per i costruttori: i prezzi al metro quadro delle new towns valevano circa il triplo del prezzo medio di zona di prima del sisma.
Prima di tornare a casa abbiamo visitato altre new towns: stessi problemi, stesse prime avvisaglie di un crollo imminente, non soltanto strutturale ma umano. Una signora ci disse: “non stanno facendo niente”. Sono passati quattro anni, si sono susseguiti quattro governi e le new towns sono ancora lì, non è stato ancora fatto niente Nei giorni scorsi la notizia del crollo del balcone di una casa della new town è stata trasmessa da tutti i media nazionali. Siamo stati tra i primi a raccontare questa storia. Ma non avevamo meriti speciali o capacità particolari, non c’erano Biagi e Montanelli fra di noi, ma abbiamo soltanto deciso di usare i nostri occhi per vedere se quello che ci raccontavano era vero e abbiamo preso carta e penna per intervistare chi in quelle case ci abitava e affrontava i problemi di ogni singolo giorno. Abbiamo semplicemente deciso di dare ascolto alla gente, al popolo e meno a quei politici, a quei dirigenti che dal terremoto hanno tratto guadagni economici e/o mediatici.
Ancora una volta torna il nome di un cittadino pavese ovvero l’ing. Gian Michele Calvi, membro nel 2009 della Commissione Grandi rischi, che ha presieduto il Consorzio ForCase, a sua volta fautore del “Progetto C.a.s.e.”, composto dalla pavese Fondazione Eucentre – che fa capo alla Protezione civile ed è diretta dallo stesso Calvi – oltre a due imprese di costruzioni, la Icop (la ricordiamo a Pavia nel precario restauro del ponte della Becca) e Damiani costruzioni, la stessa che ha costruito il Green Campus al Cravino, a cui era demandato l’acquisto dei materiali e il coordinamento dell’attività di cantiere in Abruzzo. Progettazione e direzione lavori sono rimaste ben salde sotto la guida di Gian Michele Calvi (contemporaneamente controllato e controllore). A L’Aquila Calvi è stato condannato a 6 anni di reclusione in primo grado insieme ad altri componenti la Commissione grandi rischi colpevoli di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Provammo ad intervistarlo, nel 2010, ma non ci riuscimmo. Forse stavolta potrebbe essere lui il primo a parlare e magari a chiedere scusa agli aquilani. Lo ascolteremmo volentieri.

Renzi non vede, non sente, non parla

31 agosto 2014

L’ evasione fiscale imperversa

di Elio Veltri*

La guardia di finanza calcola che l’evasione da esportazione illecita di capitali equivale al 29% del totale dell’evasione del paese. Quindi, ogni anno da 50 a 70 miliardi di euro sotratti allo Stato, volano verso la Svizzera, il Lussemburgo, paradiso fiscale governato per venti anni dal neo-presidente della Commissione Europea, e verso altri paradisi fiscali. Il governo non se ne occupa e tace e così fanno in Parlamento maggioranza e opposizione. Tutti zitti perché gli evasori votano, sono circa 15 milioni e nessuno vuole rinunciare ai loro voti. Ma qui stiamo parlando dei grandi evasori annidati nell’economia sommersa e criminale, pari a 600 miliardi di PIL, che non sono certo milioni.
Lo Stato riesce a snidarli con difficoltà, ma anche quando ci riesce, non è capace o non vuole farsi pagare.
Qualche dato fa capire meglio la situazione. Il governo Letta, rispondendo a due “question time”, aveva informato il Parlamento che dal 2000 al 2012 su 807 miliardi di tasse accertate e messe a ruolo, lo Stato aveva incassato 69 miliardi pari a 9 euro su 100. Oltre 100 miliardi non erano esigibili per fallimenti vari e considerati altri impedimenti lo Stato rimaneva creditore di 540 miliardi di euro. Ma ministri, burocrati e Agenzia delle entrate hanno lasciato capire che quei soldi lo Stato non li avrebbe mai incassati. Questo perchè normalmente a fine contenzioso incassa il 3-4% di quanto dovrebbe. In qualsiasi paese europeo e negli Stati Uniti un governo che si comportasse allo stesso modo dovrebbe dimettersi. In Italia non succede nulla perchè non si riesce nemmeno a parlarne seriamente. Se si esclude Report di Milena Gabanelli, la televisione ignora il problema. Eppure i debitori con debiti maggiori di 500 mila euro valgono il 40% delle riscossioni complessive. Quindi non stiamo parlando del bar sotto casa e nemmeno di imprese familiari. Altro dato: chi deve al fisco più di 50 mila euro rappresenta circa il 3% delle rateizzazioni ma il 53% degli importi da incassare mentre i piccoli debiti fino a 5000 euro rappresentano l’11,3% dei debiti complessivi delle rateizzazioni in corso pari a 25,5 miliardi. I dati confermano che facendo pagare le tasse ai grandi e medi evasori si possono trovare i soldi da investire in scuola,ricerca, innovazione e servizi pubblici essenziali.
Una politica che ricava le risorse per mandare avanti il paese quasi esclusivamente dai redditi fissi sovverte anche i pilastri della democrazia liberale e la sua regola centenaria:” No representation without taxation”. Oltre a quelle dell’etica pubblica e della decenza quando include nel PIL i proventi del traffico di droga, della prostituzione e tratta egli esseri umani, del contrabbando.
Ma questa è una vergogna anche europea.

* Presidente Comitato provvisorio Costituente socialista

Diffidati

18 dicembre 2011

«Sei zelante? Applichi le norme con scrupolo e dunque rompi i coglioni? Allora sarai messo nella condizione di non nuocere». Lo deve aver pensato il sindaco pavese Alessandro Cattaneo detto Pupo nel conferire con il dirigente comunale del settore Ecologia Guido Corsato, che ora lui vuole trasferire alla direzione della Civica biblioteca Bonetta. E che c’entrano l’inquinamento di acque e suoli con la promozione della lettura? Al settore Ecologia fra l’altro Corsato è tenuto a vigilare sulle bonifiche, professionalità che deve avere più d’un punto in comune con le pagine dei libri, già che ora il sindaco “antimafia” nonché compagno di brindisi e merende di Pinot Neri, lo vuole elevare a quell’incarico quale sostituto di Felice Milani, lo storico direttore della Bonetta ormai prossimo alla pensione. 
Il motivo? Più d’uno. Fra l’altro sarebbero emersi non meglio precisati problemi relativi alla bonifica di una tra le maggiori aree dismesse cittadine. Problemi su cui non mancheremo di tornare anche se, al momento, può bastare la “diffida”, ripresa di seguito, inoltrata al sindaco dall’avvocato Franco Maurici, in nome e per conto di Corsato. (G. G.)

Scrivo nell’interesse del dott. Guido Corsato dirigente di codesto Spett.le Ente, che mi ha conferito apposito mandato al fine di significarLe quanto segue:
In data 13 dicembre 2011 il dott. Guido Corsato è stato convocato dalla S.V., che gli ha comunicato l’intenzione di trasferirlo a far tempo dal 1° gennaio 2012 alla Biblioteca Civica Bonetta in sostituzione del Direttore dott. Felice Milani che sarà collocato a riposo il 31 dicembre 2011.
Il dott. Corsato in tale sede ha esposto la propria contrarietà al ventilato trasferimento in quanto il conferimento della funzione dirigenziale relativa alla “Direzione del Servizio Sistema Bibliotecario” è palesemente illegittimo per violazione di legge eccesso e sviamento di potere per i seguenti motivi:
Il decreto del Sindaco di Pavia in atti P.G. n° 28162/2009 del 22/12/2009 affidò l’incarico di “Direzione del Servizio Bibliotecario” al dott. Felice Milani, (con la motivazione «avendo quest’ultimo maturato una lunga esperienza nella Direzione dei Servizi Bibliotecari essendo dal 1974 Direttore della Biblioteca Bonetta»). Il dott. Felice Milani divenne Direttore della Biblioteca Civica Bonetta, dopo aver vinto il concorso pubblico a seguito della pubblicazione nell’anno 1976 del Bando di concorso per tale posizione e vi partecipò essendo in possesso dei requisiti professionali richiesti per ricoprire il ruolo di direttore del Servizio Sistema Bibliotecario e precisamente idoneo titolo di studio (Laurea in lettere) e specializzazione (Diploma in archivistica Paleografia e Diplomatica rilasciato dall’Archivio di Stato). Orbene il dott. Guido Corsato avendo una laurea in Giurisprudenza ed una in Scienze Politiche (Politico-Amministrativo) e nessuna specializzazione in Archivistica Paleografia e Diplomatica non ha titolo idoneo e professionalità adeguata (Direttore della Biblioteca Civica Bonetta) per assumere l’incarico di Direzione del Servizio Sistema Bibliotecario. (more…)

Siete su “Scherzi a Parte”

7 dicembre 2011
I candidati comunali al Cda dell’Ospedale “San Matteo”
Scherzi a parte, c’è poco da ridere

da Pavia, Giovanni Giovannetti

Nove nomi per una molto ambita poltrona nel Consiglio d’amministrazione dell’ospedale “San Matteo”, a rappresentare il Comune di Pavia, ovvero i cittadini pavesi. Bei candidati, ma andiamo con ordine.
L’assessore Antonio Bobbio Pallavicini e Giovanni De Maria sostengono il consigliere uscente Ettore Filippi. Sì, è lo stesso Bobbio sorpreso nei migliori ristoranti della Locride in compagnia Pino Neri, il capo della ’Ndrangheta lombarda a cui lo stesso Filippi aveva più volte sollecitato volti e voti per la sua lista Rinnovare Pavia. Nonostante 251 preferenze, tale Francesco Rocco Del Prete, il candidato «nella piena disponibilità di Neri» fu il primo tra i non eletti della cordata Filippi. Così che Luca Filippi, figlio di Ettore e presidente di Asm Lavori (e più volte sorpreso in temerarie conversazioni con Carlo Chiriaco), nel maggio 2010 ne ha compensato la mancata elezione al Comune assumendolo in Asm.
E tra i candidati c’è l’assessore ai Lavori pubblici Luigi Greco, che le carte dell’inchiesta antindrangreta indicano quale socio in affari nonché presunto prestanome di Chiriaco. Un solo posto, eppure il presidente del Consiglio comunale Raffaele Sgotto – che a Greco dice di tirare la volata – si fa intanto proporre per lo stesso incarico dal consigliere comunale Armando Catarisano; quest’ultimo è figlio dell’ex direttore generale dell’ospedale milanese “San Paolo” Giuseppe Catarisano (il nosocomio recentemente perquisito dalla Dia per alcuni appalti sospetti tra il 2008 e il 2010) nonché ex componente, insieme a Chiriaco, del Cda della fallimentare “Dental Building” («la più negativa tra le ventidue forme di collaborazione pubblico-privato effettuate in Lombardia negli ultimi dieci anni»). Sua moglie ha mantenuto quote della “Azzurra Srl” (settore costruzioni) al fianco di Rosanna Gariboldi (in Abelli) e Barbara Magnani, moglie di Pier Paolo Brega Massone, il chirurgo condannato a 15 anni e 6 mesi per lo scandalo delle operazioni inutili al Santa Rita al fine di ottenere i rimborsi del servizio sanitario nazionale.
E tra i candidati c’è il consigliere comunale Valerio Gimigliano, amico da lunga data del capo della ‘Ndrangheta lombarda “compare Pino” Neri: lo hanno presentato Carlo Alberto Conti e Dante Labate. Secondo Chiriaco, Gimigliano deve a lui l’incarico nel Cda dell’Azienda servizi alla persona. Vero o falso che sia, certo è che nel 2008 Gimigliano e il collega di Consiglio comunale Carlo Alberto Conti (che lo ha sostituito all’Asp), definirono «superflua» l’introduzione di norme antimafia nel Piano generale del territorio. Lo stesso Gimigliano che nel 2007, dopo una lettera di Elio Veltri al Consiglio comunale (lettera in cui si denunciava la presenza delle cosche in città), invitò l’allora sindaco Capitelli di centrosinistra «a richiedere un parere legale per accertare se» in quella missiva o nei testi citati da Veltri sussistessero «gli estremi della diffamazione o altro per la valutazione di una eventuale azione legale con la conseguente costituzione di parte civile del Comune» (interpellanza del 26 novembre 2007). Tutto questo, scrisse Gimigliano, «a tutela del nome della città e/o dell’amministrazione cittadina».
Chi manca? Ah, tra i “padrini” di Gimigliano dimenticavo il consigliere comunale nonché ex presidente della Commissione Territorio Dante Labate: amico e socio in affari di sodali e parenti prestanome del Pino Neri, per Chiriaco lui era «come un fratello».
Cari pavesi, questo è il parterre des rois da cui il sindaco “antimafia” Alessandro Cattaneo detto Pupo indicherà il vostro rappresentante nel ben remunerato Cda dell’ospedale “San Matteo”. E non siete su “Scherzi a parte”.

Carlo Chiriaco: mafioso o mitomane?

2 dicembre 2011
di Giovanni Giovannetti

Secondo il Giudice per le indagini preliminari Andrea Ghinetti, che ne ha ratificato l’arresto, ad accusarlo sono «le sue stesse parole». E i fatti? Nelle carte dell’indagine “Infinito” si legge che Chiriaco «costituisce elemento di raccordo tra alti esponenti della ‘Ndrangheta e alcuni esponenti politici…», ma nessun politico tra i numerosi nella sua orbita è stato fino ad ora incarcerato o rinviato a giudizio (unico, l’ex consigliere provinciale milanese Antonio Oliverio, lo hanno assolto nientemeno che su richiesta dello stesso pubblico ministero); «…favorisce gli interessi economici della ‘Ndrangheta garantendo appalti pubblici e proponendo varie iniziative immobiliari…», ma dalle ricerche svolte dalla Commissione d’accesso prefettizia sull’Asl pavese non sembra che sia emersa alcuna responsabilità di rilievo penale (nel frattempo è anche decaduta l’aggravante mafiosa per l’appalto comunale taroccato a Borgarello in favore della Pfp, società della sua costellazione); «…si presta a riciclare denaro provento di attività illecite degli associati», ma restano le parole (e solo quelle) di una conversazione senza seguito tra Chiriaco e Pasquale Libri; «…procura voti della ‘Ndrangheta a favore di candidati in occasione di competizioni elettorali comunali e regionali…», ma il Tribunale di Pavia lo ha assolto perché “il fatto non sussiste”. (more…)

Così parlò il giudice

9 novembre 2011

Chiriaco e Trivi assolti dall'accusa di corruzione elettorale «perché il fatto non sussiste». E ora le Motivazioni: secondo i giudici, «è difficile spiegarsi perché sia stata portata a giudizio un'accusa che, per metà, più che infondata è inesistente». Dunque, manzonianamente il processo ai presunti corruttori non era da fare. Di seguito un più che ampio estratto.

Partiamo dall'accusa del pm a Chiriaco e Trivi, i quali «in concorso tra loro e con Galeppi Cosimo, per ottenere il voto elettorale del predetto e di altri soggetti non identificati, corrispondeva a Galeppi (che prometteva circa 100 voti) la somma di euro 2.000 in occasione delle elezioni amministrative di Pavia del 6 e 7 giugno 2009. Con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di favorire» la 'Ndrangheta.
I giudici precisano che «nessun collegamento con associazioni mafiose è ipotizzato per Trivi» né tanto meno per Galeppi. «Il pm ha inteso dimostrare l'accusa con prove orali e documentali, tra le quali va citato il verbale di perquisizione e sequestro a carico di Trivi. Sono stati acquisiti gli atti relativi alle intercettazioni ambientali disposte durante le indagini preliminari, intercettazioni sicuramente utilizzabili perché avvenute all'interno del medesimo processo, costituendo la separazione delle posizioni una vicenda processuale che incide sulla originaria legittimità e piena utilizzabilità di tali mezzi di ricerca della prova.
Dal canto loro le difese hanno prodotto documentazione e presentato tempestivamente lista testi. Tra la documentazione prodotta dalla difesa Trivi v'è la certificazione del Comune di San Martino Siccomario circa l'iscrizione di Galeppi nelle liste elettorali di quel Comune ed una serie di sentenze dalle quali risulta che Pietro Trivi, avvocato, era stato in più occasioni difensore di Chiriaco e ciò per illustrare la natura dei rapporti tra i due (rapporto professionale che dà ragione di due colloqui tra di loro due aventi ad oggetto fatti e personaggi legati alla 'Ndrangheta).
Le prove orali sono consistite nell'esame, ex art. 210 c.p.p., di Galeppi Cosimo e nella testimonianza degli ufficiali di polizia giudiziaria operanti Bogliani (del tutto irrilevante per il reato in contestazione) e Farris, nonché dei testi Cattaneo e Alcoraci, indicati dalle difese.
Gli imputati non hanno acconsentito all'esame, sicché il pm ha prodotto il verbale dell'interrogatorio da ciascuno reso durante le indagini preliminari.
Prove rilevanti per la decisione sono l'esame di Galeppi e alcune conversazioni intercettate, di cui il Tribunale ha deciso la trascrizione mediante perito, su indicazione delle parti, oltre ad una conversazione del 12 maggio 2009 tra Galeppi e Chiriaco ascoltata direttamente in aula.
Il Tribunale ha provveduto all'ascolto diretto anche di due delle conversazioni trascritte per rendersi conto del tenore di alcune discrepanze tra quanto sentito e trascritto dal perito appositamente nominato e quanto diversamente sostenuto dalla difesa di Trivi, in base al lavoro di un proprio consulente. L'ascolto ha permesso di constatare qualche differenza di non poco conto tra quanto riportato dal perito del Tribunale e quanto sostenuto dalla difesa Trivi, sulla base della consulenza di parte (consultata dal tribunale durante l'ascolto delle progressive nn. 3021-3035 entrambe del 20 maggio 2009).
[…] Le conversazioni nn. 3021 e 3035 riguardano il periodo di campagna elettorale. La numero 3566 è una conversazione tra Chiriaco e Dante Labate, a sua volta eletto consigliere comunale, intercettata il 13 giugno 2009, ad elezioni già avvenute.
[…] Va detto che l'ascolto, così come verificato durante l'esame di Galeppi, non è stato agevole. Le conversazioni sono state intercettate a bordo dell'autovettura di Chiriaco, la cui voce si percepisce solitamente meglio di quella dell'interlocutore, non sempre ben intellegibile.
Il teste Farris, ufficiale di p.g. Che aveva seguito le indagini su questo episodio non ha offerto elementi nuovi o diversi da quelle risultanti dalle intercettazioni. Semmai la sua deposizione va a favore degli imputati, nel momento in cui egli ha ammesso la mancata individuazione di qualsivoglia elettore eventualmente corrotto o avvicinato a tale scopo da Galeppi.
Dopo la testimonianza Farris le difese degli imputati hanno sollecitato una pronuncia di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p., ma il Tribunale ha ritenuto necessario esaminare due altri testi tra quelli indicati dalle difese e le ha invitate a citare i testi Cattaneo Alessandro, divenuto sindaco di Pavia all'esito delle elezioni del giugno 2009, e Alcoraci Giovanni, sindacalista a sua volta, sullo specifico episodio del “pranzo elettorale” organizzato da Galeppi per caldeggiare la candidatura di Trivi.
Entrambi i testi hanno confermato l'episodio del pranzo organizzato da Galeppi con 30/40 simpatizzanti Uil, per sostenere la candidatura di Trivi. Entrambi vi erano stati invitati da Galeppi.
Terminata l'assunzione delle prove, il Tribunale ha dichiarato chiusa l'istruzione dibattimentale e dichiarato utilizzabili gli atti acquisiti, con tutto ciò passando alla fase della discussione.
Il pm ha sollecitato una integrazione probatoria mediante il deposito di documenti, allegati a memoria esplicativa. Il Tribunale ha trattenuto la memoria, senza ammettere la produzione documentale a quel punto, perché dopo l'invito a iniziare la discussione l'unica possibilità di assumere nuove prove è quella concessa dall'art. 523 c.p.p., con riferimento all'art. 507 c.p.p., eventualità che il Tribunale ha comunque escluso, non ritenendo necessarie altre prove per decidere nel merito (la maggio parte delle osservazioni del pm riguardavano l'aggravante).
[…] Dal punto di vista oggettivo la corruzione elettorale è un reato a concorso necessario (corrotto e corruttore), che può riguardare anche l'eventuale intermediario.
È sostanzialmente il tipo di imputazione qui formulata, in cui Chiriaco e Trivi sono considerati come corruttori, mentre Cosimo Galeppi sarebbe alternativamente il corrotto e l'intermediario della corruzione di altri.
[…] Corrotto può essere solamente un elettore chiamato ad esprimere il voto proprio in quella competizione elettorale. Nel caso che ci interessa, soggetto destinatario della promessa o della dazione di denaro od utilità, e dunque potenziale corrotto, poteva essere solo una persona iscritta nelle liste elettorali del Comune di Pavia.
Nella discussione pm e difesa hanno a lungo dibattuto sulla necessità o meno della precisa identificazione o individuazione dei corrotti, sostenendo il pm la non necessità di tale accertamento.
Questo giudizio riguarda una corruzione ipotizzata rispetto ad elezioni comunali, perciò gli unici elettori eventualmente da corrompere erano quelli iscritti nelle liste elettorali del Comune di Pavia. L'accertamento del reato non può prescindere dalla verifica che fossero stati avvicinati elettori del Comune di Pavia e perciò non può prescindere da una loro compiuta identificazione, salvo correre il rischio di ipotizzare l'impossibile corruzione di chi, come Galeppi, non era iscritto nelle liste elettorali del Comune di Pavia, e dunque non poteva essere destinatario della norma incriminatrice.
[…] Ne consegue che organizzare incontri conviviali a scopo di propaganda elettorale è sicuramente lecito sia in caso di elezioni politiche che di elezioni amministrative, dato che in quest'ultimo caso non esiste una norma incriminatrice.
[…] Galeppi ha raccontato di essere stato per anni infermiere, impegnato nel sindacato, all'Ospedale San Matteo di Pavia, e di avere conosciuto e intrattenuto rapporti con Chiriaco per ragioni istituzionali. Entrambi erano simpatizzanti dell'area politica di riferimento dell'avv. Pietro Trivi, quest'ultimo appoggiato da Galeppi anche nelle precedenti elezioni amministrative.
Nel 2009 lo stesso Galeppi aveva concordato con Chiriaco e Trivi di impegnarsi nella campagna elettorale a favore di quest'ultimo. Trivi e Chiriaco erano assieme quando erano stati consegnati euro 2.000 che “servivano a sostenere le spese per andare in giro a fare propaganda per la campagna elettorale… li ho spesi andando in giro a distribuire volantini e santini. Dunque delle volte andavo in pizzeria… delle volte ho fatto un po' di benzina. Quello che ho avanzato me li sono tenuti io in tasca, non so quanto ho avanzato, non mi chieda questo”.
Galeppi ha anche riferito che i 2.000 euro gli erano stati consegnati senza un previo accordo economico: “L'unica cosa che c'eravamo messi d'accordo, si parlava, visto che si parla di accordo, era quello di avere le spese per sostenere la campagna elettorale, ma io non ho chiesto nessuna cifra” (così all'udienza del 4 aprile 2011).
A domanda del pm egli ha precisato di credere che Trivi e Chiriaco ignorassero che egli aveva “fatto la cresta” sui soldi avuti.
Per quella tornata elettorale era stata chiesta a Galeppi la disponibilità ad impegnarsi per altro candidato, ma egli aveva declinato quell'altro invito. Tra le attività svolte in campagna elettorale c'era stata anche l'organizzazione di un pranzo elettorale con simpatizzanti del centro destra, invitati tra quelli operanti all'Ospedale San Matteo. In quell'occasione Trivi aveva illustrato il proprio programma, dopo di che erano stati distribuiti i cosiddetti “santini”.
[…] È stata fatta sentire al teste la registrazione di una conversazione intercettata tra lui e Chiriaco, durante la quale egli aveva sollecitato un “contentino”. Incalzato dal difensore di Trivi, Galeppi ha ammesso che oggetto ne era il rimborso spese.
La dichiarazione trova pieno riscontro nella conversazione n. 2845 del 12 maggio 2009 tra Galeppi e Chiriaco, ascoltata in udienza e trascritta da pag. 39 del verbale stenoscopico (4 aprile 2011) [e dunque fino ad ora mai presa in esame (n.d.r.)]. Fu in questa occasione che i due concordarono come organizzare la campagna elettorale di Trivi: “Chiriaco: Sì Pietro è lì. Poi bisogna fare… io gli ho detto che è da organizzare una cena – Galeppi: Un paio almeno – Chiriaco: Sì? – Galeppi: Un paio? – Chiriaco: Non c'è problema. – Galeppi: E il contentino c'è o no? – Chiriaco: Sì c'è tutto – Galeppi: Ci pensi tu? Io non dico niente? – Chiriaco: Ci penso io, ci penso io – Galeppi: Bona Basta. Poi quando mi porta i santini… – Chiriaco: Vai da quello… Lodigiani… cosa c'è? – Galeppi: Il materiale quando ce l'ha pronto? – Chiriaco: Ce l'ha pronto, ce l'ho pure io.” Il testo della conversazione intercettata è chiarissimo e non si presta ad equivoci. Ciò che viene chiesto a Galeppi è un tipico impegno da campagna elettorale: distribuire materiale propagandistico, far conoscere la candidatura di Trivi, con attività da remunerare, cosa del tutto lecita.
La seconda conversazione rilevante, questa trascritta, è la 3021 del 25 maggio 2009 fra Trivi e Chiriaco. Qui si trova la prima divergenza tra perito e difesa.
Si riporta per esteso dapprima la parte su cui non v'è contestazione, che si collega e si spiega alla luce della precedente tra Chiriaco e Galeppi: “ Trivi: E come cazzo…? Una busta? No, no. – Chiriaco: Non hai capito, non si può… fanno così. – Trivi: Come si fa? – Chiriaco: Ora passiamo, passiamo dalla banca. – Trivi: dalla? – Chiriaco: Dalla banca. – Trivi: Ma non è… (inc.) – Chiriaco: Devono sembrare di più, nel senso così… – Trivi: Non sono mica scemi, li contano e sono quelli lì eh (ride). – Chiriaco: Passo dalla banca e me li faccio cambiare in pezzi da 50, me li metti in una busta, chiudo la busta e… (inc.). – Trivi: eh? – Chiriaco: Non gli dico mica quanti… “dai comincia a prendere questi e poi vediamo”.
Da questa conversazione non emerge che i 2.000 euro siano stati dati a Galeppi per qualcosa di diverso dalla campagna elettorale.
Si capisce che Trivi aveva già preparato una busta con delle banconote. Chiriaco aveva contestato che la busta era troppo “sottile”: doveva trattarsi evidentemente di tagli superiori a euro 50, se c'era la necessità di andarli a cambiare con tagli da 50 per farli sembrare di più e la cosa stupisce Trivi, che considera la scelta di Chiriaco un mezzuccio.
Contrariamente a quanto ritenuto dal pm questo spezzone di conversazione fa escludere che la destinazione della somma fosse per la compravendita di voti, tanto più che, proprio nella prospettazione dell'accusa un voto sarebbe dovuto costare 10 o 20 euro (con riferimento alle conversazioni 3035 e 3566). Se quella fosse stata la destinazione della somma tanto valeva utilizzare subito banconote del taglio giusto.
Ma c'è di più e su questo si deve concordare con l'osservazione della difesa. Se la busta doveva dare l'idea di una somma consistente significa che l'ammontare di 2.000 euro no era stato preventivamente concordato con Galeppi, con il che si dimostra l'attendibilità di quest'ultimo quando, all'esame dibattimentale, ha affermato che no n c'era stato alcun previo accordo economico.
Dunque quella somma non era il prezzo di voti (per la verità si fatica ad immaginare a quale ambiente di miseria o di sottoproletariato avrebbe dovuto rivolgersi Galeppi per scambiare un voto con 10 o 20 euro.
[…]Nella conversazione 3021 del 20 maggio 2009, secondo il perito del Tribunale v'è questa sequenza di frasi. Subito dopo la decisione di Chiriaco di andare in banca a prelevare la somma in banconote da euro 50: “Trivi: Ma guarda che ci sta aspettando – Chiriaco: Lascialo aspettare Pietro che problema c'hai – Trivi: Rischiamo un po' troppo – Chiriaco: Diglielo però, dici…”
secondo la difesa le parole di Trivi sono diverse: “Trivi: Ma guarda che ci sta aspettando – Chiriaco: Lascialo aspettare Pietro che problema c'hai – Trivi: adesso chiamo Luca Tronconi – Chiriaco: Diglielo però, dici… Ho incontrato la Sinistri”.
Nel contrasto tra le due trascrizioni, dopo l'ascolto in aula della conversazione invero non perfettamente percepibile, il Tribunale valuta decisamente più corretta quella proposta dalla difesa, perché all'inizio della conversazione si sente la dichiarata intenzione di effettuare una telefonata, perché si percepisce il nome di Tronconi e perché nella frase subito successiva a quelle riportate è lo stesso Chiriaco che si propone di parlare a sua volta con questo Luca (“Chiama Luca e passalo a me”), mentre il nome di tale Monica Sinistri compare in questa ed altre conversazioni come persona che a sua volta aveva un qualche interesse politico alle elezioni.
È poi rilevante la conversazione al progressivo 3035 del 25 maggio 2009 in cui Chiriaco conversa con […] Morabito Rodolfo. Essa si svolse dopo che i 2000 euro erano stati consegnati a Galeppi e contiene la frase seguente: “Chiriaco: […] Caro mio, ho avuto la certezza che Galeppi sta con noi e non cu iddu, come si futti i soldi che non ci dissi, due mila euro a busta, che cum ne pilia [inc.]. Allora, quanto vale otto mila euro con me? Venti euro a quota, cento euro su cinque voti, mille euro sono cinquanta voti, due mila euro sono cento voti. In questo caso valgono un po' di più, va bene? […]”
La conversazione è indubbiamente di difficile interpretazione e ambigua. Da un lato può essere interpretata come se i 2000 euro fossero un prezzo per l'impegno di Galeppi nella campagna elettorale, dall'altro sembra che Chiriaco faccia riferimento ad una sorta di tariffario per l'acquisto fatto. Oltretutto neppure Chiriaco riesce a immaginare o a individuare l'eventuale “serbatoio di voti” e fa solo personali ipotesi sul “valore” di dieci euro, tant'è vero che nella conversazione registrata al progressivo 3566 finirà per svolgere considerazioni del tutto contraddittorie con quelle testé citate.
La conversazione al progressivo 3566 è l'ultima rilevante. Si svolse il 13 giugno 2009, ad elezioni ormai avvenute, tra Chiriaco e Labate, nel frattempo eletto consigliere comunale.
La conversazione si riferisce non solo alle elezioni cittadine, ma anche a quelle per il parlamento europeo svoltesi contemporaneamente e si citano anche esponenti della Fondazione San Matteo, quali il Presidente dell'Ospedale Guglielmo ed il direttore generale Pietro Caltagirone.
Nel corso di questa conversazione, parlando di Galeppi, Chiriaco dice che i voti erano venuti perché a Galeppi erano stati dati i soldi (Chiriaco: “io, se non ci dava euro 2000 nonostante a cena che… u pranzu che ha fatto con Caltagirone e Galeppi e 40 sindacalisti”) frase che costituisce riscontro della dichiarazione di Galeppi relativa a questo episodio e di fatto che costui si era impegnato perché remunerato.
Anche su una frase di questa conversazione v'è stata discrepanza tra il perito e la difesa di Trivi, per una parola che il perito ha sentito e trascritto “comprato” mentre la difesa afferma essere “contato”. Pertanto questa conversazione è stata ascoltata in udienza. La parte rilevante è la seguente: “ Chiriaco: No, lui non li ha chiesti soldi, eh – Labate: Si, va beh, lui l'avrebbe fatto lo stesso perché… Abelli – Chiriaco: No, me l'hanno raccontato, lui non li ha chiesti i soldi. Questi, per motivarlo, gli hanno dato i soldi, che è una tecnica eccezionale – Labate: Si, è… – Chiriaco: Io, se non ci dava uuro 2.000, nonostante a cena che…, u pranzu che ha fatto con Caltagirone e Galeppi e 40 sindacalisti… – Labate: Non faceva un cazzo – Labate: Faceva un cazzo, va bene? Ci dette i soldi e i voti arrivarono. Che arrivano ca e ca, dissi: “basta?” “No, arrivano…” Unde disse che arrivarono trovarono i voti, eh. Per cui…, va beh mend futt, io sapea che me dava cinquanta voti e basta – Labate: Dopo ha detto che Piero era garantito, nel senso che anche se ne pigliava qualcuno in meno non è che cambiava un cazzo – Chiriaco: No no, era anche lui nella merda, sotto i 400 è una figura di merda, perché Niutta era sulle 600, i due Peppe…, sono 500, quindi sarebbe stata una figura…, meno male si supera 400, così come ho sperato fino all'ultimo e ho comprato i due voti [ho contato i suoi voti, secondo la difesa], spero supero 500, almeno quella non è sola”.
Anche in questo caso l'ascolto diretto fa ritenere che il verbo corretto sia “ho contato” e, ancora una volta, questa interpretazione è sorretta dalla logica con riferimento al momento della conversazione, posteriore alle elezioni, quando non si trattava più, eventualmente, di “comprare”, ma piuttosto di contare i voti ottenuti per misurare il successo dei candidati, come dimostra l'espressione “sotto i 400 è una figura di merda” e come dimostra l'altra frase “spero supero 500”.
Qui si trovano alcuni scambi di battute tra Labate e Chiriaco, ed è sempre Chiriaco a dare il tono alla conversazione, nei seguenti termini: “Chiriaco: Io con Giancarlo a sira, quando me telefona mi disse: “E quei voti là?” Ci dissi: “Pasotti…” – Labate: Ma è la verità – Chiriaco: Certo che è a verità – Labate: A metà sun i Paso…, più forse della… – Chiriaco: 150 – Labate: No, più, 200 – Chiriaco: 150 – Labate: 200, 200 – Chiriaco: Pigliava dieci mila euro a… tredici mila euro a idda cinque mila a Galeppi. Io ci detti due mila euro a Galeppi, va bene? E Galeppi mi disse: 40/50 voti, u'resto ci resta a Niutta, va bene? Lei prima di tutto… Lui ha convogliato l'odio – Labate: Sì, tutti quelli che erano contro quelli di Abelli… – Chiriaco: …Che erano contro Abelli, dico: “Scusa, questa ha preso 600 voti…” lo sai che non a e mezze parole, no” – Labate: È il rapporto degli… – Chiriaco: Eh, di questo qua… Ora chi facimo? U' premiamo perché ad un certo punto ha convogliato l'odio? Dimmi tu?! E poi da questo non ti aspettare un cazzo”.
Qui Chiriaco non solo offre una sua nuova personale versione dell'ipotizzato tariffario (2.000 euro per 40/50 voti, dunque 50/40 euro a voto contro 10 citati in precedenza), ma apre scenari diversi con riferimenti ad altri soggetti cui si sarebbe potuto sollecitare un interessamento per voti.
Nell'ultima conversazione trascritta, la 3415 del 6 luglio 2009, Chiriaco fa riferimento a Pino Neri (personaggio coinvolto nell'inchiesta principale) dicendo che tra lui e Dante (Labate?) hanno 700 voti. Solo che Dante Labate, l'interlocutore di Chiriaco nella conversazione 3566, di voti ne aveva presi 502 (il risultato definitivo dei candidati Labate e Trivi è stato prodotto all'udienza del 20 luglio 2011).
Nel corso del suo interrogatorio del 29 settembre 2010, acquisito agli atti, Trivi ha rimarcato la sua estraneità alle conversazioni in cui Chiriaco aveva formulato le diverse ipotesi dei tariffari e ciò a significare che egli non aveva mai pensato o concordato qualcosa di differente da un appoggio nella campagna elettorale.
Data la contradditorietà delle diverse ipotesi avanzate da Chiriaco, pare evidente al Tribunale che costui si fosse esibito in una serie di elaborazioni ed elucubrazioni sulle prospettive e sul risultato dei voti, rispondenti a sue aspettative e considerazioni ma non a fatti concreti.
Nell'interrogatorio di garanzia, in data 14 luglio 2010, Chiriaco aveva riferito la propria versione dei suoi rapporti con Galeppi, coincidente con quella di quest'ultimo e che, semmai, mette in evidenza che le campagne elettorali erano una buona scusa per Galeppi per andare a chiedere soldi come contropartita per il proprio impegno, proprio come emerge nella conversazione con Trivi, quando Chiriaco gli spiegava che la somma doveva apparire importante. Ciò significa inequivocabilmente che Chiriaco sapeva che Galeppi aveva (e voleva) trarre guadagno da quell'attività (di modo che non ha senso la suggestiva affermazione del pm secondo cui è credibile che Galeppi avesse “truffato” i suoi mandanti).
In tal senso sono rilevanti le seguenti sequenze dell'interrogatorio: “Giudice: Conferma quindi che lei ha effettivamente consegnato questi 2000 euro all'infermiere? – Chiriaco: Sì, si, e lui in realtà è il segretario della Uil e vende voti a tutti – Giudice: E siccome in campagna elettorale non si guarda tanto per il sottile… – Chiriaco: Lui li chiede. Guardi, io non sono andato per averli, lui tutte le volte che c'è una campagna elettorale, dice: 'Io ho delle spese, nel senso che devo fare delle cene con i miei amici, con i miei iscritti' […] È lui che mi chiede questo contributo, perché giustificato dal fatto che deve poi cioè pagare la benzina a chi va a fare una cena con almeno sette/otto sindacalisti eccetera”.
Dal canto suo Trivi, sempre nel corso dell'interrogatorio di garanzia, ha dichiarato d'avere verificato che effettivamente Galeppi aveva distribuito il suo materiale elettorale propagandistico.
Il pm ha sostenuto nelle sue conclusioni che vi sarebbe contraddizione tra la dichiarazione di Galeppi e quella di Trivi circa la presenza sua alla consegna dei soldi e che ciò andrebbe valutato come indizio.
L'osservazione non ha pregio. Trivi ha sempre ammesso di avere messo a disposizione di Galeppi quella somma per la campagna elettorale, così come lascia sicuramente intendere la conversazione Galeppi/Chiriaco del 12 maggio 2009, sicché l'imprecisione del ricordo su chi ci fosse a consegnare è assolutamente irrilevante.
[…]Alla luce delle prove citate si deve ritenere che Galeppi fu destinatario di un rimborso spese comprensivo anche di compenso, per lo svolgimento di attività tipica di campagna elettorale, quale la distribuzione di materiale elettorale come i cosiddetti “santini” e l'organizzazione di incontri, anche individuali, con simpatizzanti o attivisti del suo sindacato, attività tutte assolutamente lecite, costituendo niente più e niente meno che esercizio di campagna elettorale, intrinsecamente ed organicamente finalizzata a ricercare consenso tra gli elettori.
Di conseguenza, non solo non c'è la prova del fatto-reato, ma c'è anzi prova positiva della sua inesistenza, con conseguente obbligo di assolvere gli imputati per insussistenza dell'addebito.
Va da sé che, esclusa la sussistenza del reato, è superfluo trattare l'ipotizzata aggravante.
L'assoluzione comporta il dissequestro e la restituzione a Trivi Pietro di quanto, documenti e denaro (ad esclusione delle munizioni) sequestrate con verbale 13 luglio 2010 dalla Direzione investigativa antimafia di Milano in occasione di perquisizione domiciliare.
Visto l'art. 530 c.p.p., p.q.m. Assolve Trivi Pietro e Chiriaco Carlo Antonio dal reato contestato perché il fatto non sussiste».

Assolti

12 ottobre 2011
da Pavia, Giovanni Giovannetti

Assolti «perché il fatto non sussiste». Carlo Chiriaco e Pietro Trivi non si sono dunque macchiati della corruzione elettorale, né tanto meno vale qui l'aggravante mafiosa (Chiriaco, accusato anche del concorso esterno in associazione mafiosa, rimane sotto processo a Milano). Una sentenza giusta, l'epilogo di un dibattimento durato mesi senza che emergessero decisive prove in sostegno degli indizi.
Strano a dirsi ma all'udienza finale, a rappresentare l'accusa, è venuto il p.m. Paolo Storari, invece di Alessandra Dolci, adombrando orientamenti diversi in seno alla Dda milanese (saranno semplici voci, ma non è nuova quella che opporrebbe la “colomba” Dolci ai “falchi” Boccassini e Storari).
Ma allora perché questo processo? Perché i teoremi invece delle prove? «Fare i processi ai politici senza averne gli elementi è un grande vantaggio che si dà alla mafia. È quello che è successo quando si sono portate a processo persone che si sapeva non avrebbero potuto essere condannate in via definitiva». Sono parole di Giovanni Falcone, ripetute da Ilda Boccassini agli universitari pavesi il 3 ottobre scorso. Ovviamente concordo. E mi domando allora per quali motivi, stando alla “verità giudiziaria”, sono state «portate a processo persone che si sapeva non avrebbero potuto essere condannate in via definitiva».
Sullo sfondo del processo pavese c'è quello milanese alla 'Ndrangheta lombarda, in corso di svolgimento, frutto di un'inchiesta benemerita, durata anni e tanta fatica. Ma anche a Milano le accuse andranno sostenute con fatti e non teoremi, serviranno prove e non indizi. Dalle inchieste “Crimine” e “Infinito” sembra emergere la colonizzazione della politica da parte delle mafie. Un teorema assolutamente credibile nonché palpabile, che tuttavia non può specchiarsi in qualche “pesce piccolo” sovrastimato, da sacrificare in mancanza di altri elementi tali da poter dare l'assalto a quel potere politico-economico e forse criminale che trasversalmente occupa il nostro territorio, ben oltre un Chiriaco o l'«incolpevole» Trivi. Senza infine dimenticare che «fare i processi ai politici senza averne gli elementi è un grande vantaggio che si dà alla mafia». Con buona pace di Giovanni Falcone.

Boccassini

5 ottobre 2011

«Fare i processi ai politici senza averne gli elementi è un grande vantaggio che si dà alla mafia. È quello che è successo quando si sono portate a processo persone che si sapeva non avrebbero potuto essere condannate in via definitiva». Sono parole di Giovanni Falcone, ripetute da Ilda Boccassini agli universitari pavesi il 3 ottobre scorso. Concordo. E perciò mi domando quali elementi avesse la Dda in sostegno dell'accusa per corruzione elettorale a carico di politici come l'ex assessore Pietro Trivi, già che non tanto la piazza bensì un Tribunale si accinge ad assolverlo, cancellando anche l'art. 7 dell'aggravante mafiosa. Aggravante venuta meno anche per il sindaco di Borgarello Giovanni Valdes, a suo tempo incarcerato dopo aver truccato una gara d'appalto in favore della Pfp di Chiriaco; aggravante annullata in Cassazione il 6 aprile 2011, sentenza mutuata dal Tribunale del riesame il 22 luglio scorso.
Fra una settimana, il 12 ottobre, verosimilmente Trivi e Chiriaco andranno assolti perché non è stato possibile dimostrare in aula quel reato di corruzione (figurarsi l'aggravante). Dunque, stando alla “verità giudiziaria”, sono state «portate a processo persone che si sapeva non avrebbero potuto essere condannate in via definitiva».
Come ha detto la "garantista" Boccassini, «fare i processi ai politici senza averne gli elementi è un grande vantaggio che si dà alla mafia» e una grande pena per chi fa pratica di antimafia. Parola di Giovanni Falcone.  (G. G.)

Futuro sostenibile

28 settembre 2011
Ogni europeo utilizza 43 kg di risorse al giorno

L'umanità ha superato il budget naturale a sua disposizione per questo anno e da oggi, 27 settembre, è "in rosso". Questo secondo i dati del Global Footprint Network, l'organizzazione di ricerca internazionale che promuove la scienza della sostenibilità lavorando sull'impronta ecologica, con la quale il WWF pubblica dal 2000 il rapporto biennale "Living Planet Report" (prossima edizione nel 2012, prima della grande conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile che avrà luogo a Rio de Janeiro a giugno, 20 anni dopo il grande Earth Summit del 1992).
I calcoli del GFN dimostrano che – approssimativamente in nove mesi, ovvero il 27 settembre – il fabbisogno di risorse dell'umanità ha sorpassato il livello che il pianeta è in grado di fornire e rigenerare. Gianfranco Bologna direttore scientifico WWF Italia ha detto: «Il segnale che ci proviene dall'Overshoot Day del Global Footprint Network è molto chiaro e costituisce uno stimolo fortissimo per accelerare la trasformazione del nostro sistema economico verso una strada di sostenibilità e di una nuova economia che metta al centro il valore del capitale naturale, senza il quale non esiste benessere e sviluppo economico nelle nostre società».
Secondo i dati del Sustainable Europe Research Institute (SERI), oggi gli esseri umani estraggono e utilizzano circa 60 miliardi di tonnellate di materie prime l'anno (che diventano quasi 100 se consideriamo la mobilitazione di materia prima causata dalle attività minerarie e di estrazione). Il 50 per cento in più rispetto a solo 30 anni fa. Ciò equivale al peso di 40 miliardi di automobili che per essere parcheggiate richiederebbero uno spazio almeno delle dimensioni dell'Italia e Austria messe insieme. Oggi ogni essere umano utilizza in media oltre 8 tonnellate di risorse naturali l'anno, 22 kg al giorno. Se si includono i materiali di estrazione e inutilizzati, ogni abitante del pianeta utilizza quasi 40 kg di risorse al giorno. In Europa, vengono estratte circa 36 kg di risorse a persona al giorno, a cui vanno sommate le risorse estratte ma non utilizzate, arrivando così almeno a 43 kg di risorse consumate a persona al giorno. Gli europei beneficiano, quindi, di un significativo trasferimento di risorse dai paesi più poveri; infatti con quasi 3 tonnellate pro capite l'anno, l'Europa è il continente con il più elevato tasso di importazioni di risorse destinate a mantenere il proprio livello di consumi.
«Questa situazione è insostenibile – continua Gianfranco Bologna del WWF Italia – Per questo, tra le tante iniziative avviate dal WWF, una è orientata proprio a "trasformare i mercati", per ridurre significativamente il nostro consumo di materie prime quali il legno, la carta, il cotone, l'olio di palma, il pesce. Una trasformazione necessaria e urgente a tutti i livelli della società, dalla vita quotidiana dei singoli, fino alle filiere produttive delle imprese».

Come alleggerire la propria impronta

Per facilitare questo compito sul sito www.improntawwf.it il WWF Italia ha elaborato due programmi interattivi per calcolare quanto "pesano" sul pianeta le nostre abitudini quotidiane, dando indicazioni molto concrete su come fare per alleggerire il carico:

Il carrello della spesa – Tutti possono calcolare il prezzo ambientale del cibo che arriva sulle proprie tavole grazie al "carrello della spesa" sul sito del WWF, un supermercato virtuale attraverso cui si può calcolare quanto le nostre scelte alimentari siano responsabili di emissioni di gas a effetto serra e da quest'estate (grazie alla collaborazione con Mutti) anche quanta acqua "mettiamo nel piatto". Attraverso questa piattaforma, i consumatori possono acquistare virtualmente frutta, verdura, carne, pesce e altri prodotti, ricevendo alla cassa uno "scontrino" che riporta l'impronta idrica e di carbonio dei propri acquisti, insieme a consigli su come ridurre il proprio impatto ambientale scegliendo menù "green" a basso consumo di acqua e CO2.

Il calcolatore dell'impronta al carbonio – Per scoprire quanto le attività quotidiane contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica nell'arco di un anno e dunque incrementano i cambiamenti climatici. Il calcolatore misura l'impronta di carbonio e mostra la differenza tra il tuo stile di vita, quello dell'italiano medio e quello dell'abitante medio del pianeta, raffrontati con l'obiettivo di forte riduzione auspicato dal WWF e dalla comunità scientifica internazionale per contrastare i cambiamenti climatici.

Una lettera dal carcere

7 settembre 2011

Questa lettera è stata indirizzata un mese fa da alcuni detenuti nel carcere di Monza al vicepresidente del Consiglio d'Europa Mario Mauro, lettera in cui si elencano i non pochi problemi di quella struttura carceraria.

Come Lei saprà, i problemi delle carceri ma soprattutto dei detenuti, in Italia hanno oltrepassato ogni limite di sopportazione e di decenza, uccidendo l'unica e ultima cosa che rimane a un detenuto: la dignità di essere uomo.
In questo carcere in maniera particolare viviamo ammassati in tre per ogni cella ovvero con un letto a castello per due persone ed una brandina volante per la notte con spazi di movimento che non superano il metro quadro per detenuto. Tre persone, o quello che rimane di loro, condividono un bagno (locale cieco) di un metro quadro. L'acqua calda non esiste se non di tanto in tanto in due docce, mal funzionanti, per settanta “persone”.
Le celle dell'ultimo piano sono incrostate d'umidità, come le altre, ma con un optional in più: piove dentro ad ogni temporale (che in questa zona per grazia di Dio non mancano) tale per cui si dorme con teli di plastica addosso.
Esistono nelle celle anche persone debilitate per la depressione, magari ancora in attesa del primo grado di giudizio (le statistiche dicono che il 50 per cento di queste saranno poi assolte), che no reggono la situazione ed optano per una scelta di “libertà estrema”.
Gli oltre 900 detenuti, cioè il doppio di quelli per cui questa “galera” è stata costruita, sono costretti per 20 ore in 7,5 metri quadri tutto compreso. Il rapporto col personale di sorveglianza è gerarchicamente malsano. Nessuno è responsabile di niente tranne che della sua funzione di schiavettare mille volte al giorno come se da questa parte delle sbarre ci fossero animali.
Da detenuti di passaggio sappiamo che la situazione è abbastanza simile in tutte le carceri d'Italia; una omologazione aberrante eccetto qualche isola felice (Bollate e Rebibbia, per ciò che concerne il personale). Tra tutti però il carcere di Monza si colloca certamente nei primissimi posti di questa aberrazione.
Le comunicazioni (colloqui, telefonate) con l'esterno, l'unico ed il solo momento di “libertà”, sono regolati dai modelli peggiori, cioè il minimo consentito.
La situazione è ormai esplosiva. Tempo fa  avevamo sperato, dopo una “ispezione” dell'onorevole Renato Farina [più d'una; l'ultima visita è del 15 agosto scorso], che qualcosa cambiasse. È sì cambiato ma in peggio; forse per fare un dispetto anche all'onorevole Farina che si era dimostrato particolarmente sensibile alle nostre condizioni; un vero galantuomo.
Un detenuto ci ha parlato di Lei come di una persona speciale; pertanto qualunque cosa potrà fare e vorrà fare, avrà comunque la nostra eterna gratitudine.

Monza, 4 agosto 2011

Sciopero Generale

31 agosto 2011
martedì 6 settembre 2011

Crisi?

13 agosto 2011

Crisi? Secondo la Corte dei conti in Italia la corruzione muove 60 miliardi l'anno, il triplo di quanto – stando a Tremonti – servirebbe al Paese nel 2011 per raggiungere entro il 2013 il pareggio di bilancio.

Crisi? Il Fondo monetario internazionale stima in 118 miliardi di euro l'ammontare del denaro mafioso riciclato ogni anno in Italia.

Crisi? Mafie spa fattura 175 miliardi di euro l'anno, circa l'11 per cento del Pil. Economia criminale e illegale sommate fanno una cifra che supera il 40 per cento della ricchezza nazionale. Almeno in questo caso siamo primi assoluti in Europa e tra i primi al mondo.

Crisi? Nelle sole regioni del nord, oltre 8000 negozi sono gestiti direttamente dalle mafie inabissate dei colletti bianchi. In Italia 180.000 esercizi commerciali sono sottoposti all'usura, con tassi di interesse in media del 270 per cento: un movimento in denaro di 12,6 miliardi che va a sommarsi al ricavato delle estorsioni (circa 250 milioni di euro), della droga (59 miliardi di euro), delle armi (5,8 miliardi), della contraffazione (6,3), dei rifiuti (16), dell'edilizia pubblica e privata (6,5), delle sale gioco e scommesse (2,4), della compravendita di immobili, della ristorazione, dei locali notturni, ecc. Uomini cerniera mantengono i collegamenti con il mondo dell'economia, della politica e della finanza. Le mafie condizionano l'intera filiera agroalimentare (7,5 miliardi di euro), interagendo con segmenti della grande distribuzione (fonte: Sos impresa)

Crisi? Solo il 10 per cento dei beni di Mafie spa risulta sequestrato, e solo il 50 per cento di questo 10 (ovvero il 5 per cento) figura infine confiscato…

La somma di economia criminale, economia illegale, corruzione costa ad ogni italiano circa 5.500 euro annuali, neonati inclusi.

Le ceneri rimosse

12 agosto 2011

Cade oggi – 12 agosto 2011 – l'anniversario della strage nazifascista di Sant'Anna di Stazzema, entroterra della Versilia, 1944, una delle più efferate per modalità e numero di caduti civili: uomini, donne, bambini massacrati e poi bruciati, cancellati con il lanciafiamme.
Sono passati 67 anni dai fatti di San'Anna, che precede di poco altre feroci stragi terroristiche nazifasciste, ad opera degli stessi reparti, come a Fivizzano (19 agosto 1944, 340 morti) o a Monte Sole presso Marzabotto (29 settembre-5 ottobre 1944, 700 morti). Sant'Anna: le nostre "ceneri rimosse", un crimine per il quale nessuno pagherà.
Nel 1994 – ben cinquant'anni dopo – dall'armadio "della vergogna" (rinvenuto girato negli scantinati romani di palazzo Cesi) usciranno i fascicoli con i nomi e i cognomi dei responsabili. Dalla memoria dei sopravvissuti emerge anche la presenza di fascisti collaborazionisti – rimasti ignoti – sul posto al fianco delle truppe naziste.
Dieci ufficiali tedeschi verranno processati e infine condannati all'ergastolo: una sentenza, sia pure dall'alto valore simbolico, a carico di persone ormai ultraottantenni, che non varcheranno mai le porte di un carcere. Ma una volta tanto la verità storica ha potuto specchiarsi, nella sostanza, in quella giudiziaria.
Le ceneri rimosse è il titolo di un libro di Francesco Belluomini. Pubblicato una prima volta nel 1989, è l'unico romanzo pienamente ispirato alla strage, ben prima che l' "armadio della vergogna", il romanzo di James McBride Miracle at St. Anna (2003) e l'omonimo film di Spike Lee (2008) dessero eco mondiale all'eccidio. Di seguito ripropongo un recente saggio di Angelo Paoluzi dedicato al massacro e un estratto da Sant’Anna di Stazzema, Storia di una strage di Paolo Pezzino (Il Mulino, pp. 66 e sgg.), la ricostruzione storica a oggi più esaustiva. In Memoriam. (G.G.)

Sant’Anna di Stazzema, 12 agosto 1944. Fu strage terroristica di Angelo Paoluzi

Separiamo la finzione dalla realtà: è il consiglio che Paolo Pezzino impartisce nel suo saggio Sant’Anna di Stazzema, sottotitolo Storia di una strage (collana Intersezioni dell’editrice il Mulino, Bologna, 2008, 12 euro). La realtà è che in quella località della Versilia attorno ala metà di agosto del 1944 reparti delle SS e della Wehrmacht avevano sterminato centinaia di persone, esercitato violenze e incendiato abitazioni. La finzione riguarda le polemiche sul film Miracolo a Sant’Anna, del regista americano Spike Lee, il cui valore si limita al modo cinematografico con cui la vicenda è raccontata e non pretende di fare storiografia. Ci si era risentiti per l’episodio, inserito nella pellicola, di un partigiano che, per vendicarsi di un suo capo, aveva condotto a Sant’Anna i tedeschi per dare una lezione a chi proteggeva i ribelli. Hanno protestato i congiunti delle vittime e le associazioni della Resistenza, anche perché di tradimenti di partigiani non si era parlato nel processo, celebratosi nel 2005, contro i responsabili, ritenuti colpevoli e condannati all’ergastolo. Pezzino contesta la falsità della pretesa delazione e racconta gli avvenimenti con rigore documentario. In quell’angolo della Versilia i tedeschi applicarono una prassi sperimentata in altri paesi occupati: lo sterminio come mònito contro eventuali tentazioni di aiuto ai partigiani. A Sant’Anna di Stazzema si consumò la seconda strage, per numero di civili, fra le circa settecento che si verificarono in Italia: la cifra dei sacrificati nel borgo versiliese non si è ancora potuta esattamente calcolare, ma certamente non è inferiore a 310 persone, sino a salire a 560, in maggioranza donne, vecchi e 118 bambini. Del carnaio non ci sono altre spiegazioni se non quella, appunto, del terrorismo pianificato, che vide protagonisti reparti delle SS e della Wehrmacht, questi ultimi non meno feroci, alla faccia della leggenda (presto diffusasi specialmente in Germania) che considererà “umano” il soldato tedesco non arruolato nei corpi speciali hitleriani. La validità del libro di Pezzino, docente di storia contemporanea all’università di Pisa e autore di altri saggi sull’argomento, sta nel rispetto dei fatti accertati e nella mancanza di enfasi nel raccontarli, anche se è sottesa l’umana partecipazione alle sofferenze delle vittime innocenti. E la descrizione della dinamica degli eventi è completata dal resoconto sulle indagini che furono svolte dopo la guerra e che portarono, come s’è detto, a un processo conclusosi con la condanna all’ergastolo di dieci ex appartenenti alle SS – peraltro tutti contumaci – oltre cinquant’anni dopo i tragici avvenimenti. Anche la sentenza di Sant’Anna di Stazzema fa parte di una pagina nera della nostra storia: quella della mancata celebrazione in tempo utile dei processi contro i massacratori. C’è tutta una letteratura sull’“armadio della vergogna”: nel quale furono ritrovati alla fine del secolo scorso 695 fascicoli di procedimenti contro criminali di guerra che, per motivi di opportunità politica (il recupero della Germania di Konrad Adenauer nell’Alleanza atlantica), erano stati, volutamente, “dimenticati” da qualche esponente dei governi del tempo. Pezzino denuncia un atteggiamento che ha alimentato l’amarezza dei superstiti e dei parenti delle vittime per la giustizia negata, al di là dal riconoscimento – tardivo, va detto – del sacrificio di tanti innocenti. Alle celebrazioni in loro memoria non hanno mai partecipato (anche questo non deve essere dimenticato) esponenti dei governi di destra succedutisi dal 1990 a oggi. L’autore, infine, contesta la diffusa leggenda, che le rappresaglie naziste si svolsero soltanto in risposta ad attacchi dei partigiani contro gli ccupanti. Ricerche storiche (fra esse quelle di uno scrupoloso studioso tedesco, Lutz Klinkhammer) hanno provato che in una percentuale minima di casi la repressione era motivata da quegli attacchi, mentre per lo più si trattava di azioni dimostrative in aree di interesse strategico, come ad esempio nelle “zone nere”, dove era consentito sparare contro tutti coloro che vi si trovavano e che venivano considerati nemici, neonati compresi. Alla strage di Sant’Anna non parteciparono (come in molte altre occasioni, per esempio a Marzabotto) reparti italiani militarmente organizzati. Ci furono presenze a, diciamo, “titolo personale”, come fu ricordato nel processo contro i massacratori. Un testimone al processo ricordò uno che «non era un tedesco… penso che fosse un italiano perché parlava bene il versiliese». Un altro descrisse due, fra i soldati, che «avevano il volto nascosto da una rete, e uno di essi parlava italiano, con inflessione dialettale della zona». Una donna raccontò che un soldato, vestito da tedesco, dopo averle sferrato un calcio, le intimò «in italiano, e precisamente in versiliese» di andare «al muro con gli altri». Senza contare il contributo fornito da collaborazionisti e spie. Nessuno di loro è stato mai identificato.
Peccato. Perché a questi “militi ignoti” si potrebbe attribuire l’“Ordine del Tricolore”, la più recente iniziativa di un gruppo di parlamentari del Popolo della Libertà tendente a riconoscere «la pari dignità di una partecipazione al conflitto di molti combattenti, giovani e meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e imperiale del ventennio, che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente».
(Europaquotidiano.it)

Indagine sulla strage di Paolo Pezzino

La prima delle spiegazioni che i sopravvissuti si dettero fu quella dell’eccidio casuale. Che la strage non fosse stata programmata, ma rappresentasse l’evoluzione improvvisa di un’azione di rastrellamento, era ipotesi di cui parlava esplicitamente già nel 1946 il vicecommissario di pubblica sicurezza Vito Majorca, che però del fatto che avrebbe provocato il brusco cambiamento di atteggiamento dei tedeschi non era riuscito a trovare prove certe. Egli aveva tratto probabilmente l’informazione da Alfredo Graziani, testimone oculare degli eventi, che nel suo scritto pubblicato in occasione del primo anniversario della strage, scriveva testualmente:
Si disse che, nei pressi della «Vaccareccia», fosse stato sparato un colpo di fucile contro i tedeschi di cui un ufficiale sarebbe stato ferito. L’eccidio sarebbe stato, quindi, una conseguenza imprevista per gli stessi tedeschi i quali – si dice – si sarebbero altrimenti limitati alla distruzione delle abitazioni per «punire» gli abitanti della connivenza che avevano o avevano avuto coi partigiani. Una barella con un ufficiale ferito, da alcuni, fu infatti veduta scendere a Valdicastello, e ciò fu confermato anche dall’interprete di una Commissione Alleata che, nell’ottobre scorso, si portò a Sant’Anna per una inchiesta preliminare, il quale disse appunto che erano in mani alleate alcuni delle SS partecipanti all’eccidio, fra cui l’ufficiale ferito che, a quel tempo, era degente in un ospedale militare a Livorno.
La voce quindi si diffuse subito dopo l’eccidio, e rappresentava una risposta plausibile alle domande sul perché della strage, tanto più che le testimonianze su quel tedesco ferito erano più d’una […] A questa tesi fu subito contrapposta quella di un ferimento accidentale, da fuoco «amico». Così continuava Graziani la sua esposizione:
Il fatto in se stesso non prova nulla, però. Eran così nutrite le raffiche di mitragliatori e così fitti i colpi di moschetto che i tedeschi, sfociati nella valle, sparavano all’impazzata a scopo intimidatorio, per cui nulla di più verosimile che l’ufficiale ferito lo sia stato dagli stessi compagni di spedizione. […] Secondo un appartenente alla 6a compagnia, Ludvig Göring, interrogato nel marzo 2004, un commilitone sarebbe stato ferito dallo sparo di un partigiano. Ma è difficile credere a questa versione di un colpo singolo di fucile: i partigiani non c’erano a Sant’Anna il 12 agosto, ed è ancora più problematico dare credito a quanto si sussurrava a Sant’Anna, di un colpo sparato, magari dallo «scemo» del paese, o comunque da un qualche abitante della Vaccareccia che, all’arrivo dei tedeschi, avrebbe tirato fuori il fucile da caccia: nessuno dei sopravvissuti della Vaccareccia, o di altrove, ha sentito questo sparo (che avrebbe dovuto essere precedente alle raffiche dei tedeschi) e non si capisce bene a quale scopo, essendo fin troppo ovvia l’evidente inutilità di tale gesto.
Inoltre appare poco convincente che un eccidio di tali proporzioni sia stato la risposta al ferimento di striscio di un solo soldato: per Sant’Anna si mosse, come appurò l’inchiesta della commissione crimini di guerra della V armata, l’intero II battaglione del 35o reggimento della XVI SS Panzer- Grenadier Division, composto di 4 compagnie (ed infatti i due soldati feriti appartenevano all’8a compagnia), armato con mitragliatrici pesanti, con parecchie munizioni (tanto da utilizzare almeno 14 civili come portatori delle munizioni), e con mortai (che però non sembra siano stati usati): si trattava, a seconda delle stime, dai 150 ai 300 uomini, in assetto da combattimento. Il tutto è assolutamente sproporzionato per una semplice operazione di rastrellamento, tanto più se si afferma che i tedeschi erano consapevoli che nella zona non vi erano più partigiani.
Che l’azione fosse invece programmata come «rastrellamento finalizzato al massacro» (così lo storico Lutz Klinkhammer ha definito le successive operazioni di fine settembre contro la brigata partigiana «Stella Rossa» a Monte Sole), lo dimostrerebbe non solo tutto l’andamento delle operazioni in quella giornata, ma anche la testimonianza di Gianfranco Quilici, resa nel corso del processo Simon: il cuoco della villa di Nozzano San Pietro, dove era stato fissato il comando di Simon, gli preannunciò l’operazione di Stazzema («mi disse che stavano andando a Stazzema ed altri villaggi per un’operazione di rastrellamento e che potevano uccidere civili»).
[…] La stessa considerazione fu svolta da Graziani (e fu poi ripresa alla lettera dal vicecommissario Majorca), altro scampato all’eccidio: «sia per il numero rilevante delle SS che vi presero parte, che per il piano di attacco che svilupparono, è chiaro [che] tutto era già stato previsto prima e che le pattuglie andarono lassù col preciso scopo di fare quello che fecero». Ed oggi che conosciamo le dichiarazioni di alcuni soldati delle SS presenti a Sant’Anna, si conferma questo carattere programmatico: così Ignaz Alois Lippert ha ricordato che, durante il tragitto per raggiungere Sant’Anna di Stazzema, videro due uomini anziani che camminavano nella loro stessa direzione. Qualcuno nella sua squadra disse che erano partigiani, lui invece ritenne fossero abitanti del villaggio. Senza chieder loro nulla, un sottufficiale estrasse la pistola e li uccise sparando un colpo alla nuca, lasciandoli morti sul bordo della strada.
Ancora più chiara l’intervista rilasciata da Horst Eggert, con lo pseudonimo di Alfred Otte, a Christiane Kohl nel 1999: Eggert, che aveva 18 anni, ricorda che erano acquartierati vicino a Pietrasanta. L’ordine riguardante quella che venne presentata come operazione contro le bande venne dato la sera prima: «si trattava di annientare i partigiani», e come tale veniva considerato di fatto chiunque si trovasse nell’area delle montagne, gli uomini ma anche le donne, che «potevano essere molto pericolose», e diversi ordini della Wehrmacht includevano l’uccisione della popolazione civile, per esempio se quest’ultima forniva ai partigiani generi alimentari. Infine lo stesso Göring ha ammesso che il presunto ferimento del suo commilitone da parte di un partigiano sarebbe avvenuto solo dopo che la sua squadra aveva già ucciso un gruppo di donne. Rimane da affrontare un’ultima questione, il diverso comportamento dei soldati nelle frazioni più lontane dal centro del paese (Argentiera, Sennari), dove le persone furono rastrellate e indirizzate verso il paese (all’Argentiera) o a Valdicastello (a Sennari). Alcuni borghi poi non furono interessati dall’azione tedesca (Bambini, Case di Berna e Vallecava). Si è dedotto da tale circostanza un cambio di atteggiamento dei tedeschi: fino ad un certo momento la loro azione si sarebbe limitata all’incendio di case o capanne, e al rastrellamento di persone inviate verso Valdicastello o alla Vaccareccia, dopo lo sparo del fantomatico colpo di fucile il rastrellamento si sarebbe trasformato in strage. Ma, oltre alle considerazioni sopra svolte, è difficile individuare un’ora precisa dopo la quale il massacro sarebbe cominciato (le testimonianze in merito sono comprensibilmente poco precise); inoltre altre considerazioni, di natura più strettamente tattica, potrebbero spiegare un simile comportamento, ad esempio l’esigenza di restringere il perimetro del campo di operazioni prima di dedicarsi ad operazioni di sterminio di massa, che comunque avrebbero occupato tempo ed attenzione dei reparti impegnati. Si consideri che Argentiera è sull’altro versante rispetto alla foce che immette nell’anfiteatro di Sant’Anna, Case di Berna sono il gruppo di abitazioni, sulle pendici del monte Gabberi, più lontane dal centro del paese, e Vallecava è un colle relativamente periferico (oggi vi è situato l’ossario). In ogni caso, una differenza di comportamento delle truppe è rilevabile anche fra le varie località dove non furono commesse uccisioni: all’Argentiera le persone furono avviate verso Vaccareccia, ai Bambini non fu commesso alcun atto di violenza e anche le abitazioni furono risparmiate (tanto da giustificare il sospetto degli abitanti di Sant’Anna che ciò fosse dovuto alla presenza in quelle case di parenti di fascisti), le Case di Berna e Vallecava furono evitate, a Sennari l’intervento di un ufficiale evitò la strage già decisa.
È difficile, oggi, dare conto di queste differenze di comportamento, che non trovano una spiegazione, tuttavia, neanche secondo la tesi di chi vorrebbe trovare in esse la dimostrazione di un cambiamento di atteggiamento da parte tedesca nel corso delle operazioni a Sant’Anna. Un’ipotesi potrebbe essere quella avanzata da Carlo Gentile: «la parte di gran lunga più consistente delle uccisioni si svolse nel settore occidentale, quello più vicino alla zona d’accesso del battaglione Galler. Questo potrebbe significare che nel settore orientale furono impegnate altre unità, con un diverso atteggiamento verso i civili». L’ipotesi è peraltro applicabile alle borgate di Sennari e Case di Berna, non a quella ai Bambini.
Le modalità dell’azione di rastrellamento-sterminio di Sant’Anna di Stazzema sono d’altra parte le stesse che verranno attuate qualche giorno dopo, il 19 agosto, a Valla, e il 24 agosto a Vinca (entrambe in comune di Fivizzano, sulle Apuane), e oltre un mese dopo a Monte Sole: la zona da «rastrellare», che in molte testimonianze viene indicata come «zona nera», rappresenta il perimetro entro il quale chiunque venisse trovato, fosse bambino, anziano o donna, era considerato un «nemico» da eliminare. Essa veniva circondata da uno schieramento di forze più o meno imponente, a seconda della sua ampiezza; quindi vi penetravano truppe scelte, normalmente appartenenti ai reparti più «agguerriti» in questo genere di azioni finalizzate allo sterminio. Una volta arrivati in posizione i vari reparti, cosa segnalata spesso da razzi, il massacro aveva inizio.

 

La Camorra borghese

4 agosto 2011
di Piero Treccagnoli

Riprendo queste poche righe dal “Mattino” di Napoli, dalla rubrica “l'arcinapoletano” dell'amico Piero Treccagnoli. Se anziché Napoli leggiamo Pavia, se invece di Camorra leggiamo 'Ndrangheta, invertendo l'ordine dei fattori il risultato non sembra cambiare.

Proviamo a fare un’analisi paradossale per provare a stanare un ceto che sta condannando Napoli al declino. È un ragionamento che va preso con le molle, attenzione. Ma i paradossi, soprattutto se sgradevoli, contengono più verità delle discussioni convenzionalmente indignate.
La camorra a Napoli fa da supplente a una borghesia assente, malata, assistita e legata quasi esclusivamente alle rendite immobiliari. I camorristi, invece, sono diventati imprenditori puri che investono il denaro incassato con il sangue altrui e con la loro fetente e infame criminalità in attività produttive (anche se in gran parte speculative) e commerciali.
La borghesia napoletana, in grandissima parte (ci sono sempre le lodevoli eccezioni), è ferma, congelata. Da decenni e decenni tradisce il suo secolare ruolo storico e civile, accontentandosi dei ricavi del mattone o aspettando aiuti e fondi dall'alto. La camorra, accettando senza scrupoli le leggi del mercato selvaggio, spacciando tutto quello che il cliente vuole (soprattutto se proibito), intimidendo e avvelenando, si è trasformata nell’unico ascensore sociale in funzione, il solo strumento dinamico per produrre ricchezza, a beneficio esclusivo di un piccolo gruppo delinquenziale e dei suoi accoliti (sfruttati, spremuti e, quando non servono più o si oppongono, eliminati). Il tutto fuori dalla legge e in quindi con risultati più efficaci e rapidi.
La borghesia, quindi, ha più colpe della camorra. Anche perché, in teoria, sta dalla parte della ragione e non del torto. La camorra, al netto della violenza assassina, pratica una tecnica economica primitiva che Karl Marx già a suo tempo aveva studiato codificandola e che alle nostre latitudini resta ancora attuale: l’accumulazione originaria della proprietà che sta alla base dell’impresa e, secondo il modello capitalista, della crescita sociale.
Così, per inquadrare, oggi più che mai, il ceto medio napoletano, ma anche la sua presunta borghesia imprenditoriale, resta tristemente valida una definizione di Ippolito Nievo nelle Confessioni d’un italiano, capolavoro della metà dell’Ottocento preunitario. Il «medio ceto», scriveva, «si credette democratico perché incapace di ubbidire validamente al pari che servire utilmente». Ecco.