Scendo all’edicola. Da un’auto ferma a motore acceso e lampeggianti qualcuno chiama: «Giovàni… Giovàni Giovanèti» Mi giro, la riconosco: nel 2007 era tra i Rom della Snia. L’abbraccio, non ricordo il suo nome: «sai – dice – adesso siamo cittadini italiani, un lavoro, i figli vanno a scuola. Voglio dirti anche questo. Grazie. Se non era per quello che tu e Irene avete fatto per tutti noi, oggi non saremmo qui». Mi commuovo, l’abbraccio e la saluto. Tutto prende senso.
Archive for the ‘zingari’ Category
Tutto prende senso
30 Maggio 2014Ebrei e zingari
16 aprile 2014di Mattia Laconca *
Credo che il mio pensiero sarà condiviso da migliaia di antifasciste ed antifascisti, quando intendo affermare la pericolosità sociale del tronfio populista schizoide Giuseppe Grillo e del suo ipertricotico anfitrione Gianroberto Casaleggio. Associo il mio pensiero alle condivisibili riflessioni della comunità ebraica italiana, cortese ad esprimere in maniera pacata e forse eufemistica la linea politicamente schizofrenica di chi ha gettato in passato così tanto fango sui cosiddetti (da loro) «zingari».
A ciò si aggiunga a titolo d’esempio la penosa campagna pentastellata per la giornata della memoria, nella quale si affermava che «anche Anna Frank oggi avrebbe votato per il M5S». Appare a questo punto come minimo una punta di capziosità, e chissà cosa di più articolato e visceralmente folle, nelle sottili trame dei due deliranti soggetti e del loro grottesco esercito della domenica.
A chi non fosse sufficientemente convinto, ribadisco che anche Mussolini iniziò il suo percorso politico da socialista rivoluzionario, concludendo il suo percorso politico e di vita come tutti ben sappiamo. Alle ventilate ronde grillesche andrebbe contrapposta una pronta e tenace Avanguardia antifascista, per stroncare certi lucidi deliri sul nascere, senza rischiare di perdere altre preziose vite di innocenti in un futuro sempre meno improbabile.
* operaio, Pavia
A cosa servono i Rom
21 marzo 2013Stefano Galieni intervista Alessia Candito*
Basterebbe sostituire Letizia Moratti con Piera Capitelli, Riccardo De Corato con Ettore Filippi o Francesco Brendolise e quanto scrive Alessia Candito in Chi comanda Milano calza alla perfezione con quanto si è visto a Pavia solo qualche anno fa: pubblici amministratori intenti a invocare l’ordine e la sicurezza allo scopo di coprire i privatissimi interessi di un immobiliarista d’area. Uno scopo odioso, così come la strumentalizzazione della paura del diverso, fiancheggiata da mesi di irresponsabile tambureggiamento mediatico: un’emergenza umanitaria spacciata per un problema di ordine pubblico, la via intrapresa da questi criminali perbene per far digerire all’opinione pubblica l’illecita distruzione di una fabbrica monumentale per farne un supermercato circondato da residenze. Sinistra e destra: quali differenze? Nel suo libro, Alessia Candito ripropone il triste copione nel milanese, la stessa speculare messinscena delle persone mantenute nel degrado più assoluto, sopra terreni che si vogliono rendere edificabili. Un fenomeno diffuso, che l’ex sindaco di Pioltello Mario De Gaspari (centrosinistra) ha acutamente definito la «finanziarizzazione dei Rom». L’intervista alla Candito che segue, di Stefano Galieni, è ripresa dal Corriereimmigrazione. (G. G.)
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Alessia Candito
Chi comanda Milano
Castelvecchi 2013, euro 15
Nel lato oscuro dei grandi eventi che modificano il volto delle città ricade anche la finanziarizzazione dei rom. Ne parla Alessia Candito nel suo libro Chi comanda Milano. Chi comanda Milano è un’inchiesta vecchio stile che si snoda attorno agli aspetti visibili, gli intrecci opachi o letteralmente mafiosi e criminali che gravitano attorno a Expo 2015. Nel libro, edito da Castelvecchi, Candito ricostruisce sette anni di azione politica, si fanno nomi e cognomi dei personaggi che sono stati e sono parte di speculazioni immobiliari, progetti di cementificazione, devastazione ambientale e urbanistica. Ma in queste pagine si parla anche dell’utilizzo cinico di rom e migranti.
Cos’è la finanziarizzazione dei rom cui dedica un capitolo del libro?
Arbeit macht frei
4 febbraio 2013Per gli zingari Sinti un moderno lager oltre la tangenziale
da Pavia, Giovanni Giovannetti
La Giunta cattoleghista Cattaneo vuole deportare i pavesi zingari Sinti in un campo oltre la tangenziale, contiguo al canile. L’attuale allocazione di piazzale Europa andrà “liberata” per consegnarla agli appetiti di faccendieri e immobiliaristi, ma sul fronte dell’opposizione comunale non aspettatevi barricate da parte del Partito democratico. E si capisce il motivo.
Assessori e dirigenti comunali pavesi in missione a Bruxelles. Obbiettivo: trovare i fondi necessari al piano di deportazione degli zingari Sinti pavesi verso Cura Carpignano, oltre la tangenziale, vista canile, nel villaggio “le corti”: come riferisce l’assessore ai Servizi sociali Sandro Assanelli al quotidiano locale, «nel villaggio che abbiamo immaginato ogni famiglia avrà il proprio stallo, con servizi igienici, docce, allacciamento con l’energia elettrica e tutti i servizi necessari. È previsto, poi, uno spazio comune che potrà essere utilizzato per vari scopi, come le funzioni religiose o momenti di aggregazione tra i bambini. Infine, vorremmo aggiungere degli orti a corona del villaggio, in modo che i residenti possano coltivarli». Insomma, un moderno campo di concentramento, purché i Sinti si tolgano da dove sono ora. (more…)
Piera Capitelli: «Abbattete quel monumento»
24 novembre 2012Pavia, 25 luglio 2007, ex Snia Viscosa le ruspe della banda Filippi-Capitelli abbattono un edificio della storica fabbrica.
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Il sindaco Piera Capitelli (centrosinistra) aveva disposto l’abbattimento di uno dei quattro fabbricati sotto tutela dell’ex Snia Viscosa, ignorando il vincolo del Piano regolatore (successivamente anche la Soprintendenza ai Beni monumentali) e senza il sostegno di perizie asseverate. Proprietà e pubblica amministrazione lo avevano già deciso da molto tempo, già nel corso dell’amministrazione Albergati (sindaco dal 1996 al 2005), ben prima dell’emergenza Rom che – numerosi – alla Snia mantenevano una temporanea nonché abusiva dimora. Anzi, ancora una volta furono le vittime, l’appiglio che giustificò le ruspe: criminalizzare i Rom rumeni per poi invocare «l’ordine la sicurezza e la legalità».
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Il Piano integrato di intervento messo a punto nel 2004 da Tema Engineering di Michele Ugliola («consulente di fiducia» di Luigi Zunino, arrestato nel luglio 2011 per una storia di tangenti a Cassano d’Adda e per un giro di fatture false intorno all’area Falk di Sesto San Giovanni, oltre alle mazzette al leghista Boni) per conto della proprietà, la Tradital – società del gruppo Risanamento di Zunino – venne approvato semiclandestinamente dalla Giunta pavese il 24 marzo 2006: nonostante i vincoli, scompariva la fabbrica e al suo posto disegnava un bel Centro commerciale, in aggiunta all’incremento di 15.000 mq della parte residenziale.
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Sono trascorsi cinque anni, ora l’epilogo: la suprema Corte di Cassazione ha infatti annullato l’archiviazione disposta dal Tribunale di Pavia il 25 settembre 2009 del procedimento penale a carico di Capitelli, all’epoca indagata per quell’abusivo irresponsabile abbattimento, preludio al successivo sgombero di 222 persone – di cui 84 minori – da parte di un sindaco che aveva altresì ritirato gli operatori sociali da quell’area – creando all’ex Snia una condizione di extraterritorialità – e negato ai bambini l’accesso ad asili e scuole («nessuno di questi bambini verrà prossimamente inserito nelle scuole perché costituirebbe un incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio»). Non a caso, Capitelli venne plaudita in particolare dai nazi di Forza Nuova (stessa faccia, stessa razza).
Ritorniamo a quei giorni attraverso alcune poesie di Anna Ruchat.
Anna è stata tra chi nel 2007 più si è speso nell’invocare una soluzione ponderata all’emergenza umanitaria in corso dentro la Snia. (G. G.)
* * *
Batte il sole di luglio
mentre i muri crollano
e non sono le bombe
e la terra non trema
vengono giù a tranci
le lastre di cemento
mentre le bocche spalancate delle ruspe
con i loro denti di ferro
si mangiano via i mattoni
e la storia
* * *
Come rossi dinosauri nella polvere
aggrediscono
con artigli metallici
i muri della vecchia fabbrica
cadono
i cornicioni merlettati
Pezzi di realtà in riuso
precipitano su un presente distratto
e arrogante
* * *
Si allunga la notte
dentro questo relitto di naufragio
uno sgusciare di topi segna
il confine tra il nostro mondo
e il ventre cieco della città
di quanta casa ha bisogno un uomo?
di quanta vita
meglio delle fogne di Bucarest
dicono loro
una stanza di cartone
e bambini che corrono
a chiedere scarpe e colori
* * *
E ora tocca a noi affrontare il vento
a noi uomini d’argilla
con il cuore stretto tra i binari
a noi arruolati per un altro destino
che fermi
con le domande di sempre sul precipizio
di una terra senza grammatica e piena di segreti
rimaniamo a bocca chiusa
poi
oltre la soglia di casa
la mia voce tira dritto
tra rumori di pentole
e un mondo di fotografie troppo belle
per essere di carta e raccontare
soltanto fantasmi
* * *
Miei angeli senz’ombra
custodi di un mondo protetto
guardiani del lutto
aprite i cancelli
guardate l’avreste mai detto?
la vita è la fuori
tra quelle macerie
che non hanno visto la guerra
tra i mattoni e la calce
dentro la terra
impregnata di benzene
sulle facce sporche dei bambini
guardate
è qui la vita
nella passione tardiva
nell’amore che si confessa
e tradisce
nella tenerezza che strappa
altre lacrime
L'ampolla
10 novembre 2011Certi leghisti l'acqua ce l'hanno nella testa, ragion per cui si sono bevuti il cervello, tanto che a loro sembra "normale" plaudire all'alluvione quando è devastante per persone e cose, a patto che le persone siano di etnia Rom e le cose stessero tutte lì dentro il loro campo. Eppure questo ci tocca, per bocca di un deputato leghista, l'ennesimo episodio di scellerato odio razzista, in questo ventennio di berlusconismo a tratti non dissimile da un altro ventennio: quello fascista delle leggi razziali che in Italia hanno poi favorito la deportazione e lo sterminio di migliaia di ebrei, zingari, omosessuali e testimoni di Geova. È raro rileggere in questo blog articoli già apparsi sulla stampa cartacea. Questa volta ne replichiamo uno volentieri, di Antonio Tabucchi, ripreso da "il Fatto quotidiano" . (G. G.)
Da alcuni anni abbiamo in casa un partito fortemente ostile al nostro Paese, e il cui scopo è la secessione dall’Italia: la Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Sta in una contea inesistente dai confini inesistenti, immaginaria come la Cacania di L’uomo senza qualità di Robert Musil, che è il regno della fantasia. Nel loro caso una fantasia limitata, ma sufficiente a creare altre fantasie. Li ispirano le teorie razziali che in Italia ebbero fortuna durante il fascismo, e in un paese come il nostro, che risulta da una mescolanza di popolazioni della nostra lunga storia (pre-romani, romani, etruschi, normanni, arabi) pretenderebbero di essere una razza a parte, discendenti dai mitici celti. Da questi hanno preso simboli anch’essi mitici con i quali hanno sostituito i veri simboli nazionali; insultano la nostra bandiera e chiamano “terroni” gli altri italiani.
E come i presunti celti vorrebbero essere biondi e con gli occhi azzurri, ma sono smentiti dal loro stesso soma. Sono piuttosto bellicosi, e più di una volta hanno minacciato di prendere le armi e di invaderci. Cosa che ovviamente non possono fare perché noi siamo qualche milione e loro una sparuta minoranza, e una cosa del genere gli andrebbe male. Gli episodi di intolleranza verso coloro che considerano “stranieri”, nelle loro zone sono frequenti, ma hanno mano libera su tutto il territorio italiano. Per un paradosso, tre di loro sono stati nominati ministri, e uno di essi, ministro degli Interni, Roberto Maroni. L’Italia è l’unico paese al mondo i cui affari interni sono gestiti da un ministro che non si considera appartenente al proprio paese. Ma c’è poco da ridere, perché il ministro Maroni, pur considerandosi straniero in Italia, ha messo in opera dure misure contro gli stranieri in Italia.
La più feroce è stata, in accordo con il defunto dittatore Gheddafi, il cosiddetto “respingimento in mare” delle persone che fuggivano dalla Libia o dai paesi vicini, da altri dittatori amici del presidente Berlusconi. I “respingimenti” erano operati con il cannone o la mitragliatrice, con imbarcazioni italiane e militari italiani al comando di ufficiali libici. Pare che il fondo del Mediterraneo di fronte a noi sia un tappeto di cadaveri. Il ministro leghista ha rivolto particolare ostilità ai rom, arrivando a violazioni del diritto internazionale che ci hanno attirato perfino il biasimo dell’Onu. La più clamorosa è una schedatura dei campi rom fatta dalla polizia con il rilevamento delle impronte digitali dei bambini.
Il sentimento di xenofobia dalla Lega Nord si è diffuso rapidamente come una malattia, contagiando la popolazione, come è sempre successo nella storia. E una parte degli italiani rivolge il proprio odio non ai mafiosi, ai corrotti, ai gangster, ai faccendieri, agli evasori fiscali, alle associazioni segrete che mirano a scardinare le istituzioni democratiche della repubblica, ma ai rom. Cioè, a una minoranza etnica ridotta allo stremo, alloggiata in povere baracche di campi spesso privi di acqua e di corrente elettrica, verso la quale l’Unione Europea raccomanda una serie di misure di protezione, come si fa con le creature in estinzione (e in effetti lo sono). Ma in un’Europa che solo pochi anni fa ha bruciato nei forni nazisti sei milioni di ebrei e circa (le stime sono difficili) 800 mila zingari e 500 mila omosessuali, in Italia, che al genocidio dette il suo valido contributo, in questo ventennio di berlusconismo si teme e si odia più lo zingaro che il mafioso, il camorrista o lo stragista.
Così, anche da parte delle amministrazioni comunali, sono cominciati gli “sgomberi” (questa la gentile parola) dei campi rom. Ma gli “sgomberi” si sono estesi a macchia d’olio. È che spesso le aree comunali dove sorgono i campi sono terreni di costruzioni appetibili. Ed ecco che in questi giorni di terribili piogge, di disastri, di morti, di tragedie come a Genova, alle Cinque Terre e altrove, ci giunge il pensiero solidale dell’onorevole Davide Cavallotto, deputato della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania. L’on. Cavallotto ha in uggia un campo rom di Torino lungo lo Stura perché è “abusivo”. In Italia il presidente del Consiglio ha ricevuto decine di sindaci che hanno devastato il paesaggio con migliaia di costruzioni abusive, e “condona”. Ma il piccolo campo abusivo, che il sindaco di Torino non ha il cuore di sgomberare, non si tollera: dà molto fastidio all’on. Cavallotto. Ma, fortunatamente piove, arrivano questi alluvioni mostruose che devastano il paese.
Il campo rom lungo la Stura è in pericolo, gli abitanti se ne devono andare per forza. L’onorevole Cavallotto esulta: finalmente, dice, la pioggia è riuscita laddove non è riuscito il sindaco Fassino. Evviva le alluvioni, dunque, se servono a cacciare i rom. Forse l’immunità parlamentare ha dato talmente alla testa ai nostri deputati che si credono immuni perfino dai disastri naturali. L’on. Cavallotto, non ha capito che se piove sui rom piove anche sugli onorevoli. Stiamo sotto lo stesso cielo, e al cielo non si comanda, e neppure alla divina provvidenza. Magari lui ha una casa in collina, e si sente al riparo dall’acqua. Ma ci sono sempre le frane, gli smottamenti, i crolli. Quando diluvia è pericoloso, e poi non sai mai da dove la bomba d’acqua spunta, neppure in collina.
Così incerto e fragile è il nostro stare su questa crosta del mondo, la Terra è stanca e anche i cieli sono avversi. Tragica è l’epoca. Troppi i morti che ci circondano, troppe le carestie, la fame, i massacri. Almeno ci siano risparmiate le bestemmie.
* da “Il Fatto quotidiano”, 9 novembre 2011
Okkei, il posto è giusto
3 aprile 2011da Pavia, Giovanni Giovannetti
Il primo si dice cattolico; del secondo si ricordano le crociate antiabortiste in tutela della vita ancor prima della vita. Ma se per disgrazia sei già al mondo e versi nel disagio, se sei anche straniero, per loro sei colpevole di povertà e la tua vita vale meno, molto meno di quell'embrione. Lo si è visto con lo sgombero illegale di donne, uomini e bambini rumeni dal Centro che si diceva di accoglienza presso Fossarmato. L'orripilante messinscena va ora in replica al campo Sinti di via Bramante.
«Blindare il problema, fare in modo che non si ampli». A queste parole del sindaco Alessandro Cattaneo detto Pupo fa rumorosa eco l'assessore ultracattolico Sandro Assanelli: «noi vogliamo che il fenomeno non si espanda più». Il «fenomeno da arginare»non è l'invasiva colonizzazione delle mafie nella società e nella pubblica amministrazione cittadina; sono gli zingari Sinti, italiani da più di 700 anni, cittadini pavesi da molto prima che i due nascessero.
E perché mai dovrebbero espandersi? Secondo Cattaneo, «gli sgomberi dei campi milanesi spingono le carovane verso l'hinterland metropolitano e quindi anche verso Pavia». Carovane? A parte qualche giostraio, i Sinti pavesi sono ormai stanziali. Sgomberi? Negli ultimi due anni a Milano abbiamo assistito allo sgombero di 360 campi abusivi, quasi tutti abitati da immigrati balcanici e rumeni. Al solito il sindaco amico degli amici confonde Rom rumeni, Rom slavi e Sinti italiani, e prova a fare di tutta l'erba un fascio littorio.
Assanelli va persino oltre. Tutti uguali davanti alla legge? No, grazie; per l'assessore ultracattolico è vietato prendere moglie o marito, pena la perdita della residenza: «se qualcuno dovesse sposarsi o comunque convivere con persone che non sono residenti, dovrà trasferirsi». Poco importa se l'art. 16 della “Dichiarazione dei diritti dell'uomo” afferma che «Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione» e se, tra gli oneri, né la Costituzione italiane né il Codice civile prevedano la perdita della residenza per chi «senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione» abita in un campo “nomadi”.
Sottoponendo i Sinti (cittadini pavesi) a regole più restrittive e discriminatorie, sindaco e assessore introducono la razzista e anticostituzionale discriminante etnica dello zingaro colpevole in quanto tale: colpevole di essere zingaro o – peggio – colpevole di essere povero e marginale. Polvere da nascondere sotto il tappeto. Rifiuti umani da spostare cinque metri più in là, come nel caso di Slavoljub, sua moglie Nadezda e i figli Jovan, Cristina, Kristian, Tatiana e Zivorat: pur risiedendo a San Martino, dimoravano nel campo di via Bramante al confine tra Pavia e il comune del Siccomario. La polizia locale pavese li ha banditi dall'area e spostati oltre la strada, lì nel comune limitrofo: come ha urlato l'assistente sociale Marisa Camola «prendi i tuoi figli e vai sulla strada»; come direbbero Cattaneo e Assanelli, «andate pure dove vi pare, ma non qui nel mio cortile».
E per gli altri? I 470 Sinti ora nei tre campi di piazzale Europa e di via Bramante saranno presto deportati in un moderno lager lungo la strada Paiola, oltre la tangenziale, dalle parti di Prado, vicino al canile. Okkei, il posto è giusto.
Lasciateli nel ghetto ancora un po'
19 dicembre 2010da Pavia, Giovanni Giovannetti
Ora per il Comune diventa urgente un nuovo campo per i Sinti di Piazzale Europa (e quelli “parcheggiati in via Bramante”? Rientrano anche loro tra le priorità comunali?). In quella zona lungo il fiume, soggetta alle esondazioni, si prevedono residenze e un parcheggio multipiano sotterraneo. Guarda il caso, il progetto che piace al sindaco, singolarmente, somiglia a quello descritto da Carlo Antonio Chiriaco nelle intercettazioni; guarda il caso, la proposta «che più convince» reca la firma di Alberto Pio Artuso, l'ex presidente della Commissione comunale territorio e membro del Cda di Asm (in quota al Partito democratico), lo stesso a cui Chiriaco si era rivolto per una «consulenza» sulla nuova Chiesa evangelica, poi rivelatasi abusiva. Quando la finiranno?
Urbanistica e diritti delle minoranze. Da una parte stanno i progetti per la “riqualificazione” del piazzale Europa, su cui Comune, Asm e Camera di commercio – proprietari dell'area – sono chiamati a decidere; dall'altra, le poche idee ma confuse della pubblica amministrazione (sia la Giunta Cattaneo, sia le precedenti) sulle soluzioni abitative da considerare per i Sinti di Pavia.
Al solito quando si tratta di zingari, a Pavia la soluzione sembra arrivare da un bel campo cintato in cui rinchiuderli tutti quanti, un campo con le torrette, possibilmente con il filo spinato e le guardie armate, possibilmente oltre la tangenziale, possibilmente in luoghi ancora più ameni e lontani degli attuali. Posto che oggi le priorità potrebbero anche essere altre (alcune le ha elencate Ottini), che ne è del progetto delle microaree, dell'autoedificazione e di tutte quelle soluzioni abitative civili, alternative al campo-ghetto e marginalizzante, con tutti dentro? Dove avete nascosto i progetti, quelle proposte peraltro pagate con il pubblico denaro, ovvero le soluzioni alternative su cui si è a lungo dibattuto? E poi: la priorità va data allo spostamento dei Sinti da piazzale Europa o vengono prima le famiglie confinate in via Bramante, il vero ghetto, con un cesso male in arnese per oltre cento persone?
Alcune proposte
L’Italia è all’ultimo posto in Europa per gli interventi verso le popolazioni zingare. In Spagna, il programma governativo “Acceder” ha consentito in pochi anni l’inserimento lavorativo di 35mila Rom e Sinti con l’aiuto di fondi europei, fondi che l’Italia non richiede né utilizza.
A Pavia sono mancate le politiche del lavoro e dell’inclusione. Le istituzioni non hanno mai sostenuto la nascita di cooperative Sinte e Rom, tali da consentire la regolarizzazione di lavori come la raccolta del ferro o la cura del verde pubblico, delle manutenzioni viarie, della custodia dei parchi, ecc. Manca anche una politica della formazione al lavoro, rivolta innanzitutto ai giovani. Al dunque, noi siamo per il rispetto dei diritti costituzionali, per il rispetto delle regole, per risolvere i problemi.
Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si perdono di vista le comunità tzigane come appartenenti da secoli alla nostra storia urbana e rurale. in assenza di indicazioni nazionali, gli enti locali adottano politiche basate sulla segregazione e sul modello del campo nomadi, che hanno relegato Rom e Sinti fuori dalla vita pubblica. Sono inerzie demagogiche e violente, basate su assistenzialismo e repressione. E sgomberi. A loro volta, gli sgomberi hanno dato luogo ad altri campi. Un cane che si morde la coda: la segregazione e la perdita dell’identità culturale aprono alla deriva delinquenziale, al giustizialismo, al rifiuto. Un costo sociale ed economico elevatissimo, ben superiore a quello delle politiche d’inclusione, scolarizzazione e inserimento lavorativo, le uniche in grado di garantire la sicurezza sociale.
A Pavia risiedono due comunità di zingari Sinti italiani e Rom rumeni, questi ultimi arrivati recentemente. Non sono più nomadi da molto tempo, ma 386 Sinti vivono nei “campi” di via Bramante e piazza Europa. I Rom – un centinaio – abitano in case d’affitto. Le istituzioni locali sembrano inclini a considerare i Sinti culturalmente portati a vivere in roulotte o in baracche: non è così. Tra i Sinti c’è la richiesta diffusa di casette più stabili, di micro-aree in cui sperimentare forme di autogestione responsabile del territorio. Tutto il contrario della deresponsabilizzazione a cui di fatto sono portati dagli interventi assistenziali, o dai “privilegi”, come il mancato pagamento delle utenze pubbliche. Proviamo ad elencare alcune possibili alternative residenziali al modello del campo nomadi:
Piccole unità abitative diffuse, alternative ai campi, in cui sperimentare forme di autogestione responsabile. Gruppi famigliari allargati acquistano un terreno o ne ricevono uno dalla pubblica autorità (contratto di enfiteusi) sul quale costruire una casa.
La casa popolare. Accesso delle famiglie Sinte e Rom pavesi che dispongono dei requisiti necessari alle liste d’attesa per le case popolari o a canone convenzionato. Può rappresentare una soluzione quando i legami sono monofamigliari. Ma vivere nei campi comporta punteggi molto bassi.
L’affitto di una casa sul mercato privato (modello bolognese: in questo modo sono stati chiusi tre campi, con un risparmio dei ¾ di quanto il Comune spendeva nella gestione dei “campi nomadi”). All’occorrenza il Comune può affittare gli appartamenti e poi subaffittarli ai destinatari, garantendo così i proprietari. Sono politiche con un orizzonte di almeno 8 anni. Le condizioni potranno variare ogni 4 anni.
L’acquisto di una casa (modello torinese): anche in questo caso si rendono necessari dei garanti, persone autorevoli disposte a garantire l’accesso al credito. In alternativa, il Comune svolge la funzione di mediatore con le banche per l’accesso ai mutui.
In tutti questi casi vanno previste forme di accompagnamento, anche da parte di operatori provenienti dalle comunità Rom e Sinti.
Non andrebbero dimenticate una o più micro-aree riservate alla sosta temporanea dei gruppi in transito. Gli zingari lombardi hanno ormai perso le abitudini itineranti, ma alcuni sono ancora dediti al piccolo commercio, ad attività artigianali, all’attività di giostrai, ecc. Le aree di sosta richiedono un coordinamento con gli altri siti a disposizione. Al riguardo, è ottimo il modello francese.
Da subito si provveda alla sistemazione urgente dell’area di via Bramante (un bagno per 150 persone!), e contemporaneamente si predisponga un piano di dismissione del campo.
Questi Sinti noi li interniamo
16 dicembre 2010
«Le priorità di Pavia sono altre, non il nuovo campo dei Sinti al Vallone». Così Davide Ottini (consigliere comunale del Partito democratico) ieri ha commentato l'intenzione della pubblica amministrazione di sottolineare come prioritario lo spostamento dei due campi “nomadi” di piazzale Europa (insieme – supponiamo – a quello di via Bramante) in un'area «oltre la tangenziale». La Giunta comunale annuncia una spesa di 500mila euro, soldi che, osserva Ottini, in tempi grami sarebbe meglio destinare alla sicurezza delle periferie, al miglioramento del trasporto pubblico o per contenere gli effetti della crisi su quelle famiglie che oggi devono misurarsi con la perdita dei posti di lavoro, «in vista di un anno particolarmente difficile, in cui bisognerà raschiare il fondo del barile».
La discussione si sposta su Facebook. Interviene Niccolò Fraschini (Futuro e Libertà): «Ammettilo Ottini, anche a voi non è che faccia proprio piacere averli alle porte di casa! ;)». Con me, a Fraschini replica Jolanda Nanni del Movimento 5 stelle. Ripropongo i nostri interventi; un tema meritevole di approfondimento. (G.G.)
Giovanni Giovannetti E allora il prode Fraschini cosa propone? Al solito quando si tratta di zingari, a Pavia la soluzione sembra arrivare da un bel campo cintato in cui rinchiuderli tutti e quattro-cinquecento, un campo con le torrette, possibilmente con il filo spinato e le guardie armate, possibilmente oltre la tangenziale, possibilmente in luoghi ancora più ameni e lontani degli attuali. Posto che oggi le priorità potrebbero anche essere altre (alcune le ha elencate Ottini), che ne è del progetto delle microaree, dell'autoedificazione e di tutte quelle soluzioni abitative civili, alternative al campo-ghetto e marginalizzante, con tutti dentro? Dove avete nascosto i progetti, quelle proposte peraltro pagate con il pubblico denaro, ovvero le soluzioni alternative su cui si è a lungo dibattuto? E poi: la priorità va data allo spostamento dei Sinti da piazzale Europa o vengono prima le famiglie confinate in via Bramante, il vero ghetto, con un cesso male in arnese per oltre cento persone? Forza Fraschini, dicci qualcosa di destra…
Iolanda Nanni Ma se invece di preoccuparci dello sfollamento degli zingari ci preoccupassimo di AVVIARE STA BENEDETTA RACCOLTA DIFFERENZIATA PORTA A PORTA A PAVIA? Se mettessimo a posto questa città: i trasporti che mancano, le strade dissestate, le scuole che cadono a pezzi, l'assenza totale di una politica di sviluppo sostenibile!!! Sono allarmata davvero per quanto l'amministrazione locale sia ferma ad un immobilismo totale che porterà la nostra città ad una paralisi totale!
Niccolò Fraschini Noto una punta di vaga ironia da parte di Giovannetti! ;) Beh, va fatta la premessa che la mia era palesemente una battuta, anche se è sempre vero il proverbio 'Alecchin scherzando diceva sempre la verità'. Penso che, a causa di certi comportamenti tenuti da alcuni rom, sia giustificato che a molti pavesi possa non piacere troppo l'idea di avere un campo nomadi vicino a casa. Detto questo, penso che in effetti le priorità siano altre (Iolanda ne ha indicate alcune che condivido) e che comunque questo problema potrebbe essere affrontato in modo umano. I progetti elencati dallo stesso Giovannetti andrebbero approfonditi. Concordo poi al 100% sul fatto che la priorità sia intervenire su Viale Bramante. A mio avviso quell'area andrebbe restituita alla funzione per cui era stata pensata: un posteggio di interscambio, utile affinchè coloro che vengono dall'Oltrepò lascino lì la macchina e possano poi venire in centro coi mezzi pubblici. Al di là della voluta provocazione riguardo i campi con torrette e filo spinato, penso invece che ragionare su microaree poste all'esterno della tangenziale non sarebbe una scelta da scartare a prescindere. Certamente da liberale penso che tutte le questioni complesse possano essere risolte con 2 armi che alla sinistra extraparlamentare a volte sono mancate: il buon senso e un dialogo in buona fede, tentando (tutti noi!) di mettere da parte per un momento le conseguenze elettorali delle nostre scelte amministrative.
Giovanni Giovannetti Ma la responsabilità non è individuale? (art. 27 della Costituzione). Allora il “liberale” Fraschini faccia nomi, citi fatti, e soprattutto si documenti: esca dai luoghi comuni quali zingaro uguale ladro, impari la differenza che passa tra un Sinti (italiano) e un Rom (rumeno o slavo, per dire), colga la differenza tra i semplificatori processi di emarginazione (forieri di delinquenza) e quelli più faticosi dell'inclusione: casa, scuola, salute, lavoro…, gli unici a garantire davvero la sicurezza tanto blablanata dai banani di destra. Gli stessi che, girato l'angolo, ritrovi culo e camicia con i Neri e i Chiriaco, due criminali (loro sì); gli stessi che muovono l'indignazione parolaia dei Fraschini quando, nei fatti, il giovane finiano rimane lì in Consiglio comunale a reggere il codone biforcuto degli amici degli amici.
Al dunque, caro Fraschini, ghettizzare il mondo Sinti in un unico campo periferico (o immaginando le micro aree solo al di là della tangenziale) per dirla con Villaggio è una cagata pazzesca, nel solco della migliore tradizione xenofoba e razzista, che ha fatto degli zingari italiani e degli immigrati in generale una rendita elettorale per la politica accattona, quella che per decenni non ha risolto il problema (o non ha voluto risolvere il problema: no problem no party), favorendo la marginalizzazione su basi etniche: secondo loro, il nostro problema sono gli zingari e non i mafiosi, e non una cifra esentasse pari al 40 per cento del Pil in economia criminale e illtegale, e non i politici ladri e corrotti, e non i mariti e i padri violenti (gli unici reati in crescita esponenziale sono quelli tra le mura domestiche), e non i faccendieri che hanno assoldato la malapolitica e insieme lucrano sul consumo del territorio (e sulle rendite finanziarie e parassitarie), e non chi favorisce la variazione di destinazione d'uso dei suoli (ovvero il business dell'urbanistica “creativa” che moltiplica il valore fondiario) e l'interesse particolare. No, il problema sono gli zingari e i poveri e gli stranieri su cui irresponsabilmente spostano l'attenzione e le paure delle persone, mentre lorsignori sono intenti agli affari. Gli zingari disturbano (invece degli speculatori e della criminalità sommersa); allora interniamoli in luoghi ameni e “controllabili”, il più lontano possibile dagli occhi e dunque dal cuore. Interniamo prima quelli accampati in via Bramante, non tanto perché quel campo offende la dignità umana, ma in quanto, per dirla con Fraschini, «l'area andrebbe restituita alla funzione per cui era stata pensata: un posteggio di interscambio».
A sentir loro, anche quello dei Sinti di piazzale Europa non sembra un problema da risolvere con dignità e di per sé, ma come subordinata degli appetiti immobiliari in emersione su questa o quell'area (ne recano testimonianza anche le intercettazioni della Dda che hanno condotto in carcere l'uomo delle cosche Carlo Antonio Chiriaco, l'amico degli amici di Fraschini).
Detto questo (e al di là di ogni legittima ironia) Fraschini fa bene a sottolineare la corresponsabilità della pseudosinistra nei processi di emarginazione. Non fu Capitelli a favorire nel 2007 l'affermarsi di una “zona franca” Rom oltre i cancelli della Snia? E sapete perché? Serviva a legittimare l'illegale abbattimento della storica fabbrica (Capitelli e l'assessore Brendolise: «volete che i rom se ne vadano? Allora bisogna abbattere la Snia») nell'interesse del costruttore Zunino, che in luogo dell'antica fabbrica aveva disegnato un bel centro commerciale (ahiloro incompatibile con quelle volumetrie) e disdegnato i vincoli del Prg (e ora della Soprintendenza). Del resto, di torrette, di filo spinato e di guardie carcerarie a buttare un occhio ne aveva già parlato un tale Beltramelli, consigliere comunale Margherita ai tempi di Albergati, il quale aveva propsosto l'edificazione di un bel lager sotto le mura del carcere a San Gallo, con ingressi separati per Rom e Sinti. E qualcuno, invece di proporne l'internamento, lo aveva pure preso sul serio.
Davide Ottini Vorrei spiegarti, caro Niccolò, che la comunità sinta di Pavia nulla ha a che vedere con la popolazione Rom, cono due cose ben diverse. I Sinti sono cittadini pavesi avviati da tempo verso un obiettivo, quello dell'integrazione completa che si realizza (a parer mio) non certo con un campo posizionato all'estrema periferia nord est della città, bensì in altro modo.
Il mio post voleva solo richiamare l'attenzione sul fatto che, visto il 2011 di vacche magrissime che ci si prospetta, possiamo ritenere prioritario l'intervento sui Sinti di Piazzale Europa? Poiché sono a rischio, per il prossimo anno, questioni cruciali come il trasporto pubblico locale, la sicurezza, i fondi per aiutare tutte quelle famiglie che a causa della crisi verseranno in cattive condizioni economiche ecc. ecc. lo spostamento dei Sinti da Piazzale Europa è una priorità oppure no? Oppure questi 500 mila euro decidiamo di spenderli per altre iniziative? Io penso che oggi non sia una priorità lo spostamento dei Sinti.
Dopodiché se invece la tua Giunta deciderà altrimenti allora ragioneremo su quale sarà la soluzione più confacente alle esigenze dei Sinti ed alle esigenze dei cittadini: da questo punto di vista se si vorrà fare davvero un passo avanti sulla strada dell'integrazione totale di queste persone allora il campo-ghetto al di là della tangenziale non è certo una risposta intelligente. Per due motivi: primo perché in tutto il resto del mondo si abbandona la politica dei campi a favore di quella di micro-insediamenti associati a politiche tese ad aiutare i Sinti ad autofinanziare la costruzione dei loro villaggi. Eppoi perché tra tutti i luoghi di Pavia collocare la comunità sinta a Pavia Nord Est (ovvero un quartiere che presenta già numerose criticità di natura sociale e numerose carenze sul fronte dei servizi pubblici) è la cosa peggiore che si potrebbe fare.
Niccolò Fraschini Davide e Giovannetti, badate bene che io non ho detto che tutti i nomadi sono dei delinquenti, ma che alcuni di essi (molto probabilmente si tratta di una netta minoranza) hanno tenuto dei comportamenti che molti cittadini non hanno apprezzato. E sono il primo a dire che la responsabilità è personale, tuttavia ci sono stati episodi in cui la comunità ha coperto chi ha sbagliato. Detto questo, detesto le generalizzazioni dunque possiamo cambiare argomento. Come ho detto ad Ottini nel precedente post, anche io penso che quei soldi potrebbero essere spesi meglio per altre priorità della città e che se proprio fossero da spendere per i cosiddetti 'nomadi', meglio sarebbe spenderli per risolvere il problema di via Bramante. Quel posteggio deve tornare al più presto nella disponibilità della cittadinanza.
Sulla questione 'amici degli amici' avrei parecchio da dire ma via FB la cosa diventa lunga e quasi noiosa. In sintesi, ho già fatto un gesto molto rischioso dal punto di vista personale, lasciando un partito in cui era facile essere eletto (viste le percentuali che prende) per aderire per meri motivi ideali a un partito piccolo e di cui nessuno può sapere esattamente quanto prenderà anche in termini di seggi. Parlando proprio in termini spicci, venire rieletto in Fli sarà quasi impossibile alla mia età, visto che io non ho i bacini di voti dei miei colleghi di partito Adenti e Losurdo. Di fatto, ho lasciato il certo per l'incerto, e questo anche perché ero rimasto allibito di essere l'unico che aveva contestato con indignazione la vicenda Chiriaco, che invece il Pdl aveva fatto passare sotto silenzio.
Però un conto è cambiare partito in nome della rivoluzione liberale mancata e dalla Legalità violentata, un conto è sfiduciare un sindaco che mi sono impegnato a sostenere di fronte agli elettori. E poi, sinceramente, se anche un giorno dovessi sfiduciare la giunta e questo fosse determinante per mandarla a casa, tornerebbe al potere la 'pseudosinistra' citata da Giovannetti, che ha realizzato 14 anni di autentico malgoverno (e lo sapete tutti e due), dando concessioni edilizie a cani e porci e trasformando la città in un terreno fertilissimo per le cosche calabresi, che come ben sapete hanno i loro interessi nell'edilizia. Dove si può costruire a mani basse, questi schifosi arrivano come le api sul miele. Beh questo miele non l'abbiamo messo noi ma chi ci ha preceduto. Per cui se devo scegliere tra la lealtà al mandato elettorale (visto che questo mi consente di fare entro gennaio nuove proposte sul fronte della trasparenza amministrativa, e qui vedremo chi è con la Legalità e chi chiacchiera) e far andare su di nuovo chi ha mal governato, scelgo la lealtà. Questo si, un valore di destra liberale.
Giovanni Giovannetti Caro Fraschini, tutto ciò è molto encomiabile. Peccato che intorno al sindaco, a cui fai la ruota del pavone o quella di scorta, ancora oggi alberghino i Greco e i Labate, i componenti del clan dei calabresi amici degli amici. Peccato che intorno a “Pupo” gravitassero gli interessi particolari di molti, compresi tale Neri e tale Chiriaco. Peccato davvero.
Quanto alla pseudosinistra, intendiamoci, non si intende tutto il centrosinistra, tanto meno la sinistra (come ben sottolinei, le generalizzazioni sarebbero da detestare) bensì alcune sue componenti affaristiche ben radicate oggi a destra (e non sembri accorgertene) così come ieri a pseudosinistra, gente che pianta le tende là dove li porta il soldo.
Niccolò Fraschini Sorvolando sul concetto di 'ruota di scorta', almeno su quest'ultima analisi siamo d'accordo. Gli affaristi, di destra o di sinistra, sanno fare ottimi affari tra di loro e un'intesa opaca la trovano sempre. Ci vuole qualcuno sia in maggioranza che in opposizione a tenere alta la guardia. Beh, diamoci da fare.
Circolo Zaninello La posizione della maggioranza dei consiglieri e della Giunta di Pavia sui Sinti è evidente al di fuori da quello che Fraschini – che gia' su altre cose aveva sostenuto tesi irripetibili – dice in blog o messaggi privati. La dott.ssa Carena – servizi sociali – ha chiesto formalmente al governo di Pavia di provvedere a «installare un distributore con 8-10 rubinetti a pulsante» e soprattutto «a porre in sicurezza tutti gli allacciamenti elettrici e la rete idrica esistente» nel campo di via Bramante. La risposta della giunta è stata, in accordo a quanto suggerito dal dirigente LL.PP. che «trattandosi di interventi di modesta entità se ne valuterà la possibilità di esecuzione in corso d'anno (2011). Insomma, la sicurezza, in un campo abitato da Sinti sfigati, anche se costa poco garantirla, anche se è un intervento di modesta entità, può essere rimandata a data da destinarsi. Meglio. Si può rimandare ad una data qualsiasi del 2011, la valutazione della possibilità di metterla in sicurezza. La salute di un Sinti, di un Rom, o di chiunque possa essere usato come allarme sociale per raccogliere voti, è un aspetto secondario.
Viva l’Italia
10 dicembre 2010Per tre anni ho ospitato da me in casa mia una famiglia allargata composta da 13 Rom rumeni. Nel frattempo sono nate Vanessa e Chiara, i bambini sono finalmente andati a scuola con successo e alcuni adulti hanno ora un’occupazione. Quest’anno tutti insieme festeggeranno il Natale in una casa d’affitto. Li saluto con affetto.
Poveri solidali
9 giugno 2010di Giovanni Giovannetti
Irene Zappalà ha perso il lavoro e – rimasta senza un soldo – rischia ora di perdere anche la casa. In Comune allargano le braccia: nessun contributo per lei e per i suoi figli, nemmeno per gli alimenti. Singolarmente, l'unico aiuto le arriva dai Sinti accampati lungo il torrente Terdoppio che, ogni settimana, le portano il pane. La storia di questa inedita solidarietà dal basso tra marginali “doc” – gli zingari – e i nuovi marginalizzati, in un Paese privo di Welfare sociale.
Devastante. Nella provincia di Pavia oltre duemila famiglie sono a rischio di sfratto. Per la precisione, tra sfratti pendenti (844) e richieste di esecuzione (1.172) si sommano 2.016 casi. Aumentano del 27 per cento gli sfratti per morosità (nel 2009 se ne sono avuti 790, di cui 127 a Pavia); calano del 10 per cento quelli per finita locazione. Da una parte il legittimo diritto dei proprietari; dall'altra le ragioni di molte famiglie, soprattutto quelle monoreddito o improvvisamente senza lavoro.
Prendiamo il caso della signora Irene Zappalà di Gambolò. Quarant'anni, due figli, lavorava come addetta alla cucina presso la casa di riposo “Fratelli Carnevale” di Marcianò. Dopo una vertenza sindacale nel 2006 nonostante l'asma, si ritrova relegata alle pulizie degli scantinati («per rappresaglia»), e infine licenziata nel 2008. Da quel momento per lei solo attività lavorative saltuarie, pagate in nero (ad esempio, lavora come inserviente di cucina al ristorante “Quattro stagioni” di Remondò. Venti ore mensili per 360 euro quando, per il solo affitto, ne dovrebbe esborsare 330) e il progressivo scivolare giù, nell'indifferenza generale fino allo sfratto ormai esecutivo, rimandato per la quarta volta – l'ultima – all'8 luglio.
Soluzioni abitative ce ne sarebbero: in attesa di un alloggio popolare (era dodicesima; un anno dopo si è ritrovata diciottesima…) la signora potrebbe trovare provvisoria dimora alla stazione ferroviaria di Remondò, che il Comune detiene in comodato d'uso; Irene si è offerta di curarne apertura e pulizia. C'è poi un alloggio presso la Fondazione Fratelli Carnevale, in ristrutturazione.
Irene Zappalà chiede pane e lavoro; in Comune allargano le braccia. Così l'unico aiuto concreto le è oggi offerto dai Sinti. Sì, gli zingari residenti a Gambolò, che ogni tanto le portano alimenti. Come racconta Franco Ovara Bianchi, «quando vado a comprare il pane per le famiglie che vivono nel campo lo prendo anche per Irene». Il portavoce della comunità Sinti gambolese si è anche offerto di ospitarla in una delle roulottes del campo lungo il torrente Terdoppio.
Insomma, una inedita solidarietà tra marginali “storici” – come appunto gli zingari – e questi nuovi marginalizzati, la cui interazione supera finalmente le categorie peraltro mobili di “etnia”, “cultura”, “identità”. Interazione che smentisce l'artificio dei presunti “conflitti culturali”, branditi come clave da élite politiche che soffiano sul fuoco dell'intolleranza e del pregiudizio, istigando all'odio “razziale” nei confronti degli zingari e degli stranieri.
In Lomellina e in particolare in paesi come Tromello e Gambolò troviamo “gagi” che sembrano Sinti (ovvero gli zingari lombardo-piemontesi) e Sinti che sembrano “gagi”. Il processo di assimilazione è favorito anche dai numerosi matrimoni tra zingari e gambolesi. Per chi non lo sapesse, nel gergo degli scarpinanti i gagé («contadini») sono coloro che non appartengono al popolo dei Rom (gli «uomini» per antonomasia); dunque gagé sono tutti gli «altri».
La storia dei primi insediamenti viene raccontata da Nevina Andreta in un saggio (“Nel paese dei dritti”, ne L'albero del canto) di cui sono stato lontano editore nel 1985. Andreta li colloca al 1879, «quando vennero in territorio gambolese gli appartenenti alle famiglie Allegranza e Vinotti, che s'imparentarono con altri ceppi di nomadi, famiglie che in seguito richiesero la residenza a Gambolò». Erano giostrai, artisti da circo, suonatori ambulanti, sensali di cavalli, maniscalchi… Insomma, il mondo dei marginali – Sinti o gagi – contiguo a quello della piazza, modo frequentato dai cantastorie di Tromello Giacinto Cavallini e Vincenzina Mellini, o Adriano Callegari di Pavia, o Antonio Ferrari di Belgioioso; quel microcosmo della “leggera” magistralmente raccontato dall'imbonitore mantovano Arturo Frizzi nell'autobiografico Il ciarlatano (1902). Un mondo altrettanto contiguo ad altre figure di marginali: ad esempio i cercatori d'oro, i ghiaiaroli e i navaroli di Po e Ticino; ad esempio i cordai di Calvatone nel cremonese e Castelponzone nel mantovano. Insieme a Gambolò, Castelponzone viene ricordata da Glauco Sanga come il «paese dei dritti». L'elenco comprende anche Sant'Angelo Lodigiano, Pozzolo Formigaro in provincia di Alessandria e Vescovato presso Cremona. Sono paesi popolati da marginali borderline, in continuo movimento, «quelli che nel periodo di passaggio dall'età medievale all'età moderna non vivevano del lavoro della terra, ma si dedicavano ad altre svariate attività che si potrebbero definire “di servizio”» (Sanga) o peggio, attività alternative alle consolidate forme di reddito o agricolo o industriale. Gli abitanti di questi paesi erano considerati «“ladri e furfanti” […] Né Castelponzone né gli altri “paesi di ladri” sono paesi di contadini; le attività economiche erano altre»: ad esempio, lo spettacolo; come a Gambolò, il paese dei giostrai.
Il Paese dei giostrai e – nonostante divisioni e contraddizioni – il paese della convivenza e della solidarietà. Lo sottolinea Nevina: il Comune aveva «la fama di grande lungimiranza nel concedere l'iscrizione all'interno delle proprie liste anagrafiche a nomadi di ogni categoria» tanto che ne arrivavano persino dall'estero: ai nuclei storici delle famiglie ormai sedentarie degli Allegranza, Vinotti, Picci, Bianchi, Sambiase, Ruffini, Sabino, Costantini, Delli, Vacchina si sono poi aggiunti gli Hudorovich e gli Offman, originari di San Pietro del Carso (la slovena Pivka) e Budapest; persone che, prima di trovare asilo a Gambolò, erano apolidi.
Da 84 anni la comunità Sinti di Gambolò dimora in riva al Terdoppio, poco fuori il paese. Lungo il torrente incontriamo cinque delle numerose famiglie qui residenti, ma ancora pochi anni fa tra queste roulottes c'erano più di venti casati: sono giostrai, venditori ambulanti di scope centrini fiori e piante; alcuni vanno per ferro; altri stagionalmente lavorano nell'allestimento invernale delle luminarie natalizie o, in agricoltura, nella raccolta di pomodori uva e ortaggi; qualcuno ha trovato impiego nell'edilizia.
Se questo è il retroterra, allora non deve stupire la solidarietà fra compaesani in sostituzione della pubblica amministrazione di centrodestra, che oggi non prevede welfare locale, arrivando persino a minacciare la chiusura della fontana a cui vanno i Sinti del campo.
Del resto viviamo in Italia, Paese che, nell’Europa a 15, è penultima nella classifica delle spese sociali per il contenimento del rischio di povertà e l’unica – insieme alla Grecia – a non prevedere un assegno minimo per chi versa nel disagio: l’aiuto arriva solo al 4 per cento della popolazione, mentre in Svezia, Da
nimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda la percentuale sale al 50 per cento. In Italia, una famiglia su cinque è oggi in seria difficoltà. L’indebitamento totale dei 23 milioni e mezzo di famiglie italiane ammonta a 490 miliardi di euro (dal 2002 al 2007 è quasi raddoppiato), per una media di 15.764 euro a famiglia.
In Europa e negli Stati Uniti la perdita della casa – per l’impossibilità di pagare il mutuo – sta spingendo milioni di famiglie nell’indigenza. In Italia va anche peggio. Anche in provincia di Pavia molti anziani con la pensione sociale «non si possono più permettere di mangiare due volte al giorno e altri in estremo tentativo di risparmio la sera diluiscono la scodella del latte con un po’ d’acqua», come ha rilevato Fabrizio Merli (“ La Provincia Pavese, 3 maggio 2008). E Maria Grazia Piccaluga così scrive: «Alla mensa dei poveri si è presentato solo una volta a mezzogiorno. Quando il bisogno ha superato la vergogna. Ha mangiato a testa bassa, guardando solo il suo piatto. E non è più tornato […] Il pensionato timido e imbarazzato non si è più fatto vedere. “Sono in tanti gli anziani che hanno bisogno, ma in genere non chiedono. Piuttosto vanno a rovistare tra gli scarti del mercato” spiega una volontaria corrucciando la fronte. Un dato però è significativo: gli italiani che siedono alla mensa dei poveri sono ormai diventati numerosi quanto gli stranieri. Anziani soli, ma anche giovani senza lavoro, uomini (e qualche donna) con un vissuto travagliato alle spalle che non riescono più a reinserirsi nel mondo del lavoro» (20 agosto 2008).
La precarizzazione dei lavoratori imporrebbe alle amministrazioni locali politiche volte a contenere la disoccupazione, e la ricerca di una via che porti al reinserimento nel mondo del lavoro. Quanto meno servirebbe il tampone di un fondo sociale di solidarietà.
Invece piove sul bagnato. Nei primi mesi di quest'anno in provincia di Pavia sono andati in cassa integrazione altri 1.600 lavoratori. In crisi sono 75 aziende edili e meccaniche, che vanno a sommarsi alle 237 dei mesi scorsi, 160 delle quali appartenenti al settore artigianato. Si salvano i settori lattiero-caseario, risiero e viti-vinicolo; sono in sofferenza le imprese con meno di 50 dipendenti, il 90 per cento delle fabbriche della provincia.
In Italia, in un anno la cassa integrazione è cresciuta del 443 per cento! Ma è più inquietante il destino dei 4.121.000 lavoratori precari – il 15 per cento della forza lavoro – 300.000 dei quali rischiano la disoccupazione. Analogamente ai dati nazionali, sono precari il 15 per cento di quanti lavorano in provincia; sono altresì precari buona parte dei 12.000 pendolari che lavorano a Milano.
Il già sterile tessuto produttivo pavese si deve così misurare con la crisi globale e patisce un calo degli ordini tra il 20 e il 25 per cento. Meno soldi in busta paga significa meno consumi durevoli (auto -16 per cento; elettrodomestici -6,9) e non poche difficoltà ad affrontare gli aumenti delle tariffe di alcuni servizi: a Pavia si sono avuti rincari per trasporti, refezione scolastica, centri estivi delle materne e delle elementari, scuole materne a tempo pieno, parcheggi, ecc.
Se a Pavia si piange, a Roma c'è poco da ridere. Le retribuzioni italiane sono oggi inferiori di 8 punti rispetto alla media europea, ma il calo complessivo è del 13 per cento (nel 2000 erano di oltre 4 punti sopra) e, come lamenta Guglielmo Epifani, «cresce sempre di più il senso di insicurezza della popolazione, la precarietà del lavoro, la sfiducia nel futuro e la paura di perdere il benessere e la qualità delle proprie condizioni di vita».
Tuttavia qualcosa non quadra: negli ultimi vent’anni 120 miliardi di euro – l’8 per cento del Pil – sono passati dai salari ai profitti, 5.200 euro in media all’anno a lavoratore, 7.000 euro se escludiamo i lavoratori autonomi. La crisi finanziaria era da tempo in incubazione. La casta politico-economica ha pensato di spalmarla sui lavoratori e sulla piccola e media borghesia al collasso, e sposta su comodi capri espiatori l’«eccesso di paura» di chi si sente scivolare lungo la china della povertà. La frammentazione sociale, la politica del rattoppo, della finta “sicurezza”, delle “ordinanze creative” e la pressione mediatica sono strumenti per nascondere la portata ideologica e politica della crisi a cui siamo di fronte: una crisi di civiltà che, allargando lo sguardo, porta a muovere gli eserciti per il controllo delle fonti energetiche, dell’acqua e del cibo.
Sfratto
6 giugno 2010Vi scrivo da Gambolò (Pavia) per segnalarvi un caso di sfratto coattivo, che sarà eseguito irrevocabilmente il 10 giugno, nei confronti di una famiglia indigente, costituita dalla signora Irene Zappalà, disoccupata ormai da due anni, madre di due figli, di cui il maggiore, ventiseienne, infortunato dopo un incidente automobilistico, è inattivo da quattro anni né percepisce reddito, mentre la sorella diciassettenne, attualmente studentessa, non può lavorare a causa della cardiopatia da cui è affetta.
Tutto ciò avviene nella totale indifferenza del sindaco di Gambolò Elena Nai e dell'ufficio Affari sociali del Comune, che hanno rifiutato a questo nucleo familiare, a partire dal 2009, ogni forma di assistenza prevista in tali circostanze, nonché del locale Partito democratico, unica forma di opposizione politica in paese il quale – eccezion fatta per l’interpellanza in consiglio comunale del 19 aprile scorso – è semplicemente rimasto a guardare, nonostante fosse stato più volte sollecitato in merito. La signora Zappalà non intende beneficiare di mera assistenza ma vuole restituire ogni forma di contributo erogato in termini di lavoro socialmente utile, nonché richiede di essere aiutata a gestire autonomamente e dignitosamente la propria vita tramite un’occupazione stabile.
Il comune di Gambolò possiede locali atti ad una temporanea sistemazione della famiglia in questione, onde evitar loro di finire per strada, non utilizzati a tale scopo a causa della loro presunta inagibilità, constatata dal locale assessore all’urbanistica, valutazione che sarebbe comunque di competenza dell’ASL. Fra questi vi è un appartamento facente parte della stazione ferroviaria della frazione di Remondò di cui l’ente Ferrovie dello Stato ha concesso il comodato d’uso gratuito all’amministrazione comunale. Quest’ultima ha ipotizzato la consegna in gestione di detti locali alla signora Zappalà, condizionatamente ad una sua disponibilità di elevata somma da utilizzare al fine di riattarli.
Le proposte abitative a tutt’oggi avanzate dal Comune sono consistite in un appartamento di privati il cui canone d’affitto è superiore al 50 per cento del salario medio mensile di un operaio, dunque al di là delle possibilità dell’interessata, nonché di un unico ambiente appartenente alla Fondazione Fratelli Carnevale, a sua volta da riattare, cosa irrealizzabile entro i termini ultimi fissati per lo sfratto.
Alla sistemazione di detti problemi il sindaco di Gambolò si era impegnata ufficialmente nella seduta di Consiglio comunale del 19 aprile.
* Comunità Sinti di Gambolò
Fate schifo
26 Maggio 2010da Pavia, Giovanni Giovannetti
«Bluffano sui dati, raccontano balle…» Ricordate? Cominciava così un mio articolo del dicembre scorso, poco dopo lo sgombero “politico” del Centro comunale di prima accoglienza a Fossarmato, «uno sporco gioco sulla pelle di uomini donne e bambini rumeni» cacciati in mezzo a una strada. Quello sgombero fu un atto di puro arbitrio, senza il supporto di un'ordinanza del sindaco (obbligatoria in questi casi) preceduta dalla divulgazione di falsi dossier e da un'infamante campagna di criminalizzazione orchestrata dal sindaco Cattaneo e dall'assessore Assanelli, due che si dicono cristiani.
I falsi dossier erano opera di Carla Galessi, la superpagata dirigente dei Servizi sociali (96 mila euro annuali in pubblico denaro), superpagata per raccontare balle galessiche ai cittadini pavesi e al Prefetto che, fidandosi, ha poi firmato sette decreti di allontanamento a carico di persone appartenenti a cinque famiglie (di famiglie il Comune ne ha infine cacciate dieci).
In solitudine, dalle colonne di questo blog, avevo denunciato l'incredibile misto di razzismo e menzogne; sei mesi dopo, la conferma arriva da una sentenza del Tribunale di Pavia, a cui Radu Romeo – assistito dalla Camera del lavoro e dagli avvocati Francesca Segagni e Sara Brusoni – unico tra loro, si era fiduciosamente rivolto. Un verdetto giusto ed esemplare: accolto il ricorso, annullato il provvedimento.
La sentenza commenta anche le false carte comunali: in una nota del 7 settembre 2009 la dirigente dei Servizi sociali ha sostenuto che Radu «non è immune da precedenti penali e di polizia, conduce un tenore di vita non idoneo alla sua situazione, ha rifiutato una borsa lavoro […] non è integrato nella società italiana». Dunque «si sospetta che il suddetto possa trarre il proprio sostentamento da attività illecite». Né sugli aggiornatissimi certificati dei “carichi pendenti” né sul “casellario giudiziale” sono risultati procedimenti penali a suo nome, così come non troviamo gli sbandierati precedenti giudiziari. Normalmente si dovrebbe sentire il dovere di esibire prove, documentare fatti, invece in Comune «si sospetta…» e in Prefettura nemmeno si sospetta che si tratti di una sòla costruita ad arte, così come è stato infine accertato.
La banda Galessi-Cattaneo-Assanelli infierisce anche sui tre figli di Romeo: «I maggiorenni non risultano inseriti nel tessuto nazionale. Il Comune di Pavia ravvisa, per loro, gli estremi di una situazione di “drop-out”» ovvero «il rifiuto dei predetti di seguire un percorso di integrazione, probabilmente dettato dall'esempio del padre». Insomma, per i contaballe comunali Romeo è un mostro. Allora forse stupiranno nell'apprendere che il Tribunale pavese ha accertato che è vero esattamente il contrario; e bene hanno fatto e fanno i figli di Romeo a seguire l'esempio del padre: il maggiore frequenta assiduamente e con profitto un istituto professionale; i voti – recita la sentenza – sono «spesso al di sopra della sufficienza», dimostrando un costante «impegno, volontà di apprendere, buona conoscenza della lingua italiana e perfetta integrazione nel tessuto scolastico e sociale». La secondogenita, pur avendo perso l'anno a causa dello sgombero «ha in programma di iscriversi a giugno ad un corso serale». Quanto al più piccolo, la certificazione rilasciata al giudice Confalonieri dal dirigente scolastico sottolinea «l'ottimo rendimento in tutte le materie» e una più che «buona disponibilità a relazionarsi con gli altri nel rispetto delle regole di convivenza». Su rispetto delle regole e della civile convivenza è dunque il caso che Cattaneo, Assanelli e Galessi prendessero lezioni da questi piccoli Rom e dai loro genitori: come si legge nella sentenza, «il loro comportamento dimostra quanto la famiglia li stia educando in maniera corretta, insegnando loro l'importanza dello studio e il rispetto delle regole di buona convivenza».
Non è finita: leggiamo altresì che Radu Romeo è un «lavoratore autonomo integrato nel tessuto socio economico del Paese, dispone per se stesso e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti per la conduzione di un'esistenza dignitosa, non è un onere a carico dell'assistenza sociale […] e non rappresenta un pericolo per la società»: sono motivi sufficienti per annullare il provvedimento prefettizio, emesso il 12 novembre 2009, dodici giorni prima che Radu – in forza di quella cartastraccia – venisse cacciato dal centro di Fossarmato insieme a moglie e figli.
La Prefettura ha perso, Romeo ha “vinto”. La sentenza restituisce dignità a lui e credibilità allo Stato di diritto.
Ma quale dignità potrà fingere di avere ora la bugiardissima Carla Galessi? Come dimenticare quell'altro falso dossier infamante su presunti episodi di prostituzione minorile tra i Rom ospitati nel Centro di San Carlo? Che dire poi dell'altrettanto bugiardo sindaco Cattaneo, secondo cui quelli come Romeo «non si vogliono integrare»? E l'assessore Assanelli? Aveva ritagliato su di loro la menzogna degli «uomini difficilmente difendibili». E ora?
– Parte lesa è la Prefettura, che ha creduto ai falsi dossier di sindaco e assessorato, esponendosi così a una sonante figuraccia.
– Parte lesa sono i cittadini, di fronte alla sistematica irrisione delle norme da parte di chi invece ne dovrebbe garantire il rispetto.
– Parte lesa sono le dieci famiglie rumene illecitamente sgomberate da Fossarmato e da San Carlo, a cui il Comune dovrebbe ora chiedere pubblicamente scusa. Coltivando non infondati pregiudizi verso istituzioni così profondamente illiberali e antidemocratiche, sfiduciate, queste famiglie hanno subìto la violenza comunale senza nemmeno provare a far valere i loro diritti di esseri umani prima che di cittadini.
– Parte lesa sono le istituzioni democratiche, quelle rese astratte da chi erige muri – a Fossarmato come in Borgoticino – di fronte a ogni realtà dinamica e fuori dal coro.
– Parte lesa è il Comune, nell'accezione di Casa di tutti, trasformato in bivacco dei diffamatori istituzionali. Diffamazioni contro cui ora Romeo potrà rivalersi sia civilmente che penalmente. Se così fosse, paghino Galessi Cattaneo e Assanelli, ma di tasca loro.
– Parte lesa è la ragione, sistematicamente derisa da chi coltiva la cultura dell'odio, promuovendo conflitto anziché reciprocità tra culture, promuovendo Pavia come terra di frontiera senza più spazi sociali né sensibilità umane.
Miserie e povertà
25 dicembre 2009Un assessore debole, umanitario solo quando era all’opposizione e razzisti erano gli altri; una dirigente comunale che ne approfitta per intraprendere avventurose iniziative di carattere politico, in contrapposizione con alcuni assessori. L’incredibile miserevole intreccio che da un mese tiene otto famiglie in mezzo a una strada nel gelido inverno.
Con la scriteriata gestione degli sgomberi di San Carlo e Fossarmato, al Comune di Pavia si sono fatti male da soli. Sarebbe bastato non prendere iniziative, informare gli ospiti dei due centri di accoglienza che entro la fine dell’anno scolastico avrebbero dovuto andarsene. Quelli ‘del mestiere’ (volontariato e chi ha come riferimento la carta costituzionale) avrebbero nuovamente constatato l’assenza a Pavia anche delle più semplificate politiche di inclusione (con gergo da imbonitori in Comune li chiamano “percorsi”), ma solo loro, mentre adesso lo sanno tutti: tutti hanno letto e qualcuno anche incontrato queste otto famiglie in mezzo a una strada nel gelo; molti hanno compreso che, se non si farà qualcosa, i loro figli, undici bambini, dovranno lasciare le scuole pavesi, frequentate con profitto, e perdere così l’anno scolastico. Tutto questo non è solo razzismo; è anche, soprattutto, distillato di miope stupidità coperto da ipocrisia e menzogne.
Fateci caso: il ‘piano freddo’ predisposto dal Comune di Pavia insieme con alcune associazioni sostanzialmente prevede l’assistenza ai ‘senza fissa dimora’ purché non siano Rom! La locale amministrazione sembra non prevedere assistenza nemmeno alle famiglie senza un tetto, a maggior ragione se sono famiglie Rom. Motivo: mancherebbero le strutture (eppure soldi ne girano: il Comune dona ai privati d’area milioni di euro per assistere i bisognosi). Eppure, in questo gelido inverno, con la temperatura scesa a meno otto-dieci gradi, in mezzo a una strada ci sono otto-dieci famiglie, e ce le hanno messe loro. Fossero cani troverebbero un canile, ma sono Rom, i randagi ‘scarti’ del mondo globalizzato, e poco importa che i figli frequentino con successo le scuole pavesi: se hanno freddo o invocano un tetto, peggio per loro. Per sindaco e assessori (assessori ‘umanitari’ solo quando stavano all’opposizione) le ‘non-persone’ possono anche crepare.
Dopo lo sgombero senza paracadute dai Centri comunali di accoglienza di Fossarmato e San Carlo, venerdì 27 novembre queste famiglie avevano bivaccato davanti al Municipio e infine ottenuto rassicurazioni. Gli assessori ai Servizi sociali e ai Lavori pubblici Sandro Assanelli e Luigi Greco si erano impegnati a favorire o almeno a non avversare una soluzione che le togliesse dalla strada: «pazientate fino a lunedì – ha più volte ripetuto Assanelli ai capofamiglia Rom chiamati in Comune – sistematevi per tre giorni da qualche parte e lunedì qualcosa faremo». Un mese dopo, queste parole – dette davanti a consiglieri comunali e provinciali, segretari di partito, sindacalisti e volontari – si sono rivelate una crudele presa in giro per i cittadini rumeni e per i sindacalisti Antonio Floriano (Cisl) e Franco Vanzati (Cgil), che hanno condotto la mediazione e condiviso la soluzione: i sindacati e il mondo del volontariato avrebbero gestito fino a giugno l’emergenza tetto e scuola, senza ostacoli dal Comune. Invece tutto si è fermato per una incredibile distonia non tanto con la razzista Lega Nord (che ha taciuto) ma tra alcuni assessori e la superpagata dirigente dei servizi sociali Carla Galessi, un tecnico (sic!) che inspiegabilmente aveva intrapreso iniziative di carattere politico – che ovviamente non le competono – in opposizione al faticoso annodare di Comune e sindacati, senza che il suo assessore né altri sapessero fermarla. Sembra assurdo, invece è la verità.
Ma allora la politica e l’assessore Assanelli che ci stanno a fare? «Galessi lo ha ipnotizzato, lo teleguida, gli fa fare tutto quello che vuole lei», rivela un collega dell’assessore ai Servizi sociali; e infatti Assanelli era tornato a ripetere come un mantra che intendeva farsi carico dei soli minori senza le famiglie; minori da internare come di consueto nella Casa madre di Belgioioso (in collegio, come Assanelli da giovane, così come lui stesso ama ripetere) sottraendoli ai loro genitori, ovvero a persone che non si drogano, non hanno disturbi mentali, non sono avanzi di galera ma uomini e donne colpevoli del reato di povertà e senza più un posto dove stare. Famiglie che non sono state sgomberate da un accampamento o da una casa occupata abusivamente, ma da luoghi pubblici destinati all’accoglienza (subito dopo aver cacciato i Rom, il Comune ha murato l’ingresso del Centro di Fossarmato), in pieno inverno e con l’anno scolastico ormai avviato.
Otto delle dieci famiglie hanno dovuto dormire chi in auto chi presso parenti o amici, in attesa di buone nuove. Invece sono arrivati il freddo pungente e la neve (un momentaneo ricovero lo hanno avuto solo una coppia in attesa di un bambino e una famiglia con un neonato).
Disperati e comprensibilmente incazzati i Rom sono tornati davanti al Mezzabarba, questa volta con il supporto – fra gli altri – di Cgil, Cisl e Uil, della Cub, dell’Unicef, del Comitato Fuoriluogo, della Federazione per la Sinistra pavese, di Insieme per Pavia, di Sinistra e Libertà, della Lista Albergati e del Partito democratico, il cui segretario cittadino Antonio Ricci aveva presenziato alla prima fase delle trattative ed era stato testimone del vaniloquio di Assanelli. Chi tra gli sgomberati già passava la notte in luoghi di fortuna ha infine reso visibile la sua condizione dormendo dentro a un’auto di fronte al Comune. Un atto di disobbedienza civile contro l’ordinanza del sindaco che lo vieta, ordinanza emanata insieme al “piano freddo”: un “piano” che include i penultimi – e cioè i barboni – ma non loro.
Mentre in strada si teneva il presidio, nelle stanze del Mezzabarba gli amministratori erano intenti a scambiarsi auguri e doni natalizi. Abbiamo visto funzionari, dirigenti e amici del sindaco carichi dei pacchi fendere il piccolo drappello Rom; assessori allontanarsi in auto tenendo il telefonino incollato all’orecchio, accompagnati dal saluto dei militi della Polizia municipale; consiglieri comunali di maggioranza parcheggiare in luoghi a loro vietati… Una delegazione ha infine ottenuto udienza, ma solo dopo la sollecitazione del Prefetto al Comune; accolta da Assanelli, l’assessore non ha potuto che ripetere l’intendimento comunale a non ostacolare sindacati e volontariato nel soccorso umanitario a queste famiglie in sostituzione delle istituzioni, ovvero in sostituzione di Assanelli. Come nel gioco dell’oca, siamo così tornati alla casella dello zero, e sarebbe già qualcosa se non fosse che l’allucinante partita si gioca sulla pelle di alcuni poveracci infreddoliti. La lotta di queste famiglie senza un tetto nel rigido inverno, nelle prossime settimane rappresenterà anche una verifica della coesione locale sul tema dei diritti umani – civili e costituzionali – da parte di chi fra noi pretende il rispetto delle regole dai migranti, sì, ma singolarmente si vede costretto a pretendere un comportamento analogo dalle istituzioni.
In questi mesi ho lavorato assiduamente a un libro su Romano Bilenchi, il grande autore di capolavori come Il gelo e Conservatorio di Santa Teresa. Tutta la sua opera focalizza sull’età più incerta dell’uomo e cioè l’adolescenza. A pagina 172 del volume lo scrittore argentino Enrique Butti si confronta con i ragazzi di Bilenchi, alla scoperta di «uno dei peggiori orrori della condizione umana» ovvero «infliggere agli altri il dolore che abbiamo sofferto». Vero assessore Assanelli?
A Natale Mugurel B., un Rom di Pavia, ha raccontato la sua storia a “Fahreneit”, in onda su Radio 3 Rai. Gli hanno chiesto se avesse un sogno; ha risposto: «un futuro migliore per mia figlia». In mattinata il Papa aveva ripetuto il suo invito all’accoglienza. Vero assessore Assanelli?