Renzi è allegro ma non troppo

di Paolo Ferloni

Il pavese Carlo M. Cipolla, illustre storico dell’economia, divideva l’umanità in quattro tipi: gli intelligenti, che portano vantaggi a se stessi e agli altri; gli sprovveduti, che fanno danni a se stessi e portano vantaggi agli altri; i banditi, che fanno danni agli altri per avvantaggiare se stessi; e gli stupidi, che danneggiano sia gli altri sia se stessi, dunque sono i peggiori di tutti.
Il bello di Matteo Renzi è che nei suoi mille giorni di governo è riuscito a rappresentare tutti e quattro i tipi della teoria di Cipolla.
Alla partenza nel 2013 appariva intelligente, e vinse le primarie per la segreteria del Pd con parole d’ordine popolari come rottamazione, lotta alla casta e ai suoi privilegi, legge elettorale per ridare potere di scelta ai cittadini, dimezzare il numero e lo stipendio dei parlamentari, abolire il finanziamento pubblico ai partiti, no a inciuci con Berlusconi e compagnia: il che gli permise di avvantaggiare se stesso e gli altri, e di essere subito premiato col 40.8% alle elezioni Europee.
Ma poco dopo passò invece tra i banditi, danneggiando gli italiani per avvantaggiare se stesso: Italicum con capilista bloccati perché pre-nominati; riforma costituzionale per abolire le elezioni dei senatori, nominati dai consigli regionali; Jobs Act per togliere l’articolo 18 ai lavoratori; ‟buona scuola” per mettere in riga le scuole pubbliche e così via.
Nell’ottobre 2015 poi sceglie il tipo stupido, danneggiando non solo gli altri, ma anche se stesso: mentre il suo partito governa il Comune di Roma e tutti e 14 i suoi municipi, fa cacciare il sindaco Marino e dimettere i presidenti dei 14 municipi: così nel 2016 si torna alle urne e il Movimento 5 Stelle si prende il Comune e 12 municipi su 14, risultato del tutto geniale.
La quarta figura è quella dello sprovveduto, che fa danni a se stesso e dà vantaggi agli altri: per stravincere il referendum del 4 dicembre sulla sua controriforma costituzionale, Renzi fa in modo che in Rai e Mediaset non parlino mai i Comitati del No, e parla solo il Sì, cioè lui, la Boschi e Napolitano, per dirci che ci saranno governi stabili, leggi eccellenti, il Senato sparirà, e si faranno risparmi di miliardi, mentre chi vota No si attacca alle poltrone e sta con Casa Pound, anche se per caso fosse dell’ANPI. Così gli altri – i 5Stelle, il centrodestra e la sinistra, sia quella al di fuori del PD sia quella interna al PD – che sommati assieme hanno il doppio dei suoi voti, votano tutti No, anche perché mesi prima l’imprudente aveva detto che, se avesse vinto il No, egli sarebbe andato a casa, lasciando il governo e la politica per ritirarsi con Boschi e Padoan a vita privata, e dopo le sue quotidiane apparizioni in ogni TV a molti non è parso vero di assecondarlo.
In queste condizioni, è stata istruttiva e patetica la riunione del PD pavese di del 29 aprile al Broletto in cui Alberto Lasagna, Alessandro Alfieri e Maria Elena Boschi hanno cercato di spiegare perché alle primarie del giorno dopo i pavesi potrebbero andare a votare per Matteo Renzi e Maurizio Martina. Sono emerse dai loro pacati e gentili interventi da imbonitori soltanto la volontà di far dimenticare la catastrofe del referendum costituzionale, di cui non hanno ancora capito il perché, e di cui non hanno cercato né trovato né conoscono ragioni. E parole chiave come ‟avanti insieme”, ‟orgoglio di essere un grande partito” e nessuna mala parola contro gli antagonisti Emiliano e Orlando, con i quali ritrovarsi per ‟lo sviluppo e la crescita del Paese”, contro i cattivi 5 Stelle e Salvini.
Vista tutta la saga Renzi – Boschi – Gentiloni, si comprende la disaffezione che, in dieci anni, ha portato a ridurre di quasi la metà il numero dei votanti alle primarie del PD. E dopo che, nel 2013, in tanti premiarono Renzi sperando che egli, oltre che giovane, fosse ‟intelligente” nel senso di Cipolla. E che si sarebbe speso non soltanto per dare vantaggi a piccoli e grandi confindustriali, banchieri e petrolieri, ma anche un poco per i beni comuni, rispettando i risultati dei referendum precedenti.


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