di Mattia Laconca *
Sono stati depositati in Cassazione i testi dei tre referendum che chiedono di riconoscere l'acqua come bene comune, universale ed inalienabile. Come promesso, il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, con tutto il corollario di Associazioni e Comitati nazionali che lo compongono, hanno ufficialmente presentato in Cassazione tre proposte di legge da sottoporre al giudizio del popolo italiano. Ieri "Il Manifesto" ne ha dato notizia notizia con un'intera pagina dedicata, unitamente ad un editoriale di Angelo Mastrandrea (QUI).
Dubbi sulla campagna di mobilitazione sono stati espressi dai democristiani italiani di sinistra: secondo Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, Partito Democratico, «la strada referendaria non appare quella adatta». Tradotto dal politichese, il referendum se non è dannoso, è quantomeno inutile.
Il PD, trascinato sul tema della ripubblicizzazione dell'acqua solo dopo la grande mobilitazione nazionale sfociata nella grande manifestazione dello scorso 20 marzo, punta evidentemente sugli strumenti ancor più democratico-borghesi del Parlamento: infatti, due giorni dopo la manifestazione nazionale a Roma del Forum, il capogruppo in Commissione Industria, Filippo Bubbico, aveva presentato un ordine del giorno (approvato) con il quale si impegnava a garantire le istituzioni pubbliche come titolari delle concessioni delle fonti di risorse idriche.
Un intervento tardivo, quello della politica, nettamente anticipato dalle grandi manovre di decine di Associazioni e Comitati locali, fermamente intenzionati a bloccare quel processo di privatizzazioni del bene fondamentale per la vita partito nel 1994 con l'abominevole Legge 36/94 (Legge Galli) e che oggi vede progressivamente la luce, incontrastato da quella stessa politica che si arroga di sostituirsi al cittadino comune, sino al primo concreto passo di privatizzazione idrica in Toscana, nell'Aato di Arezzo. Le multinazionali dell'oro blu Acea e Suez sono già state sanzionate dall'Antitrust nel 2006 (si attende il verdetto definitivo del Consiglio di Stato), mentre Veolia conquista l'Aato di Latina (aumentando le tariffe sino al 1000 per cento) e conquista gradualmente terreno nel Mezzogiorno. Tutto questo mentre i vicini francesi fanno marcia indietro rispetto alle privatizzazioni nel settore avviate da Chirac nel 1984: Parigi da quest'anno, insieme a Grenoble, ha ripubblicizzato il servizio idrico, mentre altre grandi città come Bordeaux e Lione si avviano a decisioni equipollenti gradualmente, cominciando con la rinegoziazione al ribasso con le società private di distribuzione.
Le riserve esplicitate dal Partito Democratico passano anche dagli accordi economici del passato intercorsi, nel caso più clamoroso, dalle gestioni di Rutelli e Veltroni nel Comune di Roma, ramificandosi sino alla Provincia. Lo scontro sul tema acqua, dal punto di vista politico, non è altro che l'ennesimo conflitto di interessi capitalista tra i due blocchi che compongono il nostro beneamato bipolarismo, fondamenta italiane del sistema borghese, sostenuto ad ogni scadenza elettorale dagli "accordi organici" delle potenze "esterne".
Sarà quindi utile partecipare e vedere come si esprimerà il popolo italiano, sperando che quell'embrionale coscienza bipartisan di contrarietà alla privatizzazione dell'acqua cresca e diventi adulta e consapevole, e non principalmente per mere questioni di portafoglio.
Cliccando QUI è possibile visionare la relazione introduttiva al referendum ed il testo dei tre quesiti referendari.
* Cub Pavia
2 aprile 2010 alle 12:06 |
Ti ringrazio Giovanni. Non sarà scritto bene come i preziosi articoli di Rossanda & co, ma spero che il senso arrivi a tutt*.Come potrai leggere dai commenti arrivati sul mio blog, pare che l'IdV abbia intenzione di indire un referendum "tutto suo". Non mi sorprende, intendiamoci. Ma teniamo presente il tallone della politica su ogni inziaitiva partita dal basso, con centinaia di persone che si sono sbattute e si sbattono non poco per ottenere sacrosanti diritti. Attendiamoci dunque i tre referendum con la variante "gabbianella", sempre che non ne arrivano altri…quanto ci scommettiamo?!Saluti, Mattia
9 aprile 2010 alle 15:51 |
APRILIA, L'ACQUA TORNA PUBBLICA Settemila famiglie che da anni non pagano le bollette al gestore privato, un «tesoretto» nelle casse del comune. Come i cittadini di un comune del basso Lazio riescono a invertire la rotta delle liberalizzazioni.Nelle sede del comitato acqua pubblica di Aprilia oggi ci sono almeno una trentina di persone in attesa. Una fila paziente, silenziosa, con le cartelline in mano, davanti al lungo tavolo bianco dove i militanti del comitato preparano le contestazioni della gestione di Acqualatina. Una scena che si ripete da quattro anni, da quando settemila famiglie decisero di non pagare l’acqua al gestore privato, ma di versare i soldi sul conto corrente del Comune. «Verificammo che il conto corrente della gestione comunale dell’acqua era ancora attivo – ricordano oggi – facendo un versamento di un euro». Poi fu una valanga: contestazione della bolletta inviata dai privati e, contestualmente, pagamento dell’acqua al Comune, con le tariffe che erano state decise dal consiglio comunale.Oggi, però, è una giornata differente e in molti sorridono. Mostrano le decine di assegni firmati Acqualatina, simboli dei tanti ricorsi già vinti dal comitato, dalle settemila famiglie, avendo come controparte un colosso come Gerit Equitalia, il riscossore che sta cercando di recuperare i soldi per conto di Acqualatina.Ma c’è di più. Il presidente del consiglio comunale ha convocato le principali tre commissioni, con all’ordine del giorno «la riconsegna dell’impianto idrico comunale da parte di Acqualatina S.p.a.». L’amministrazione comunale – fatta di liste civiche elette un anno fa dopo un lungo governo del centrodestra – ha dunque deciso: la prossima settimana chiederà indietro le chiavi dell’acquedotto al gestore partecipato dalla multinazionale francese Veolia. E loro, i settemila firmatari delle contestazioni, che per anni hanno denunciato le conseguenze della gestione privata dell’acqua, continuando a pagare a quel comune fatto di rappresentanti eletti e non nominati dai consigli di amministrazione francesi, hanno raggiunto un traguardo neanche immaginabile fino a poco tempo fa. Hanno dimostrato che la mobilitazione dei cittadini – al di fuori dei partiti, basata solo sul senso civico e su quel sentimento profondo che respinge le ingiustizie – può cambiare le cose, può rimandare a casa una multinazionale potente come la Veolia.Tecnicamente la decisione che verrà discussa dal consiglio comunale di Aprilia la prossima settimana è l’attuazione di una sentenza del Consiglio di Stato depositata lo scorso anno. Parole scritte dai giudici amministrativi che riconoscono alcuni principi fondamentali sulla gestione dei beni comuni. Primo, i cittadini non sono semplici sudditi e hanno tutto il diritto – in gergo giuridico si chiama legittimazione – di chiamare in causa una multinazionale quando questa non rispetta i diritti fondamentali. Secondo, l’acqua non è un bene qualsiasi, gode di una tutela superiore. E, terzo, i comuni hanno il pieno titolo di decidere come gestire le risorse idriche, senza dover subire interventi dall’alto. Dunque, conclude il Consiglio di Stato, il comune di Aprilia può decidere a chi affidare la propria acqua senza doversi inchinare alle decisioni prese dalla Provincia di Latina – che di fatto ha voluto imporre la scelta di un gestore privato – guidata dal centrodestra.La sentenza ha segnato positivamente la storia della gestione dei beni comuni in Italia, ma mancava il primo e fondamentale passo. Da mesi il comitato acqua pubblica chiedeva alla giunta e al consiglio quella decisione che attendeva pazientemente da anni e che ora sta per arrivare. E Aprilia apre la strada a tantissimi comuni, stretti tra acquedotti che non possono più governare e una popolazione sempre più inferocita, che in ogni caso continua a rivolgersi ai primi cittadini, ai loro eletti. È questo il vero paradosso della privatizzazione, che non potrà che peggiorare con il decreto Ronchi. Cosa farsene della mera proprietà delle reti se l’acqua che scorre è gestita da consigli di amministrazione non eletti dai cittadini e non sottoposti ai principi della democrazia rappresentativa?Acqualatina non ha commentato la decisione del Comune di Aprilia. Fino ad oggi l’azienda ha risposto duramente alle contestazioni: prima mandando pattuglie con vigilantes per ridurre l’acqua a chi contestava, poi affidando ad Equitalia la riscossione delle bollette. In entrambi i casi a nulla è servita la mano pesante, mentre il comitato acqua pubblica si è rafforzato, arrivando a determinare – nelle ultime comunali – la sconfitta del Pdl. E la decisione di riprendersi gli impianti idrici rappresenta un precedente estremamente pesante per la società controllata per il 49% da Veolia. Dunque, la partita non sarà semplice.Il Comune di Aprilia si prepara a riprendere la gestione degli acquedotti e delle fognature con un vantaggio venuto proprio dagli utenti. Oggi nei bilanci comunali ci sono più di un milione di euro versati dalle settemila famiglie in questi anni. Soldi che se fossero finiti ad Acqualatina oggi sarebbero assorbiti da un bilancio dove pesano i debiti con la banca Depfa, lo stesso istituto sotto inchiesta a Milano per i derivati venduti all’amministrazione comunale. Quei soldi potranno da domani essere immediatamente usati dalla giunta di Aprilia per riavviare la gestione del servizio idrico integrato. Un vero tesoretto messo da parte con determinazione da chi non ha mai accettato le multinazionali e la gestione privata del bene più prezioso. Ad Aprilia da domani la parola democrazia tornerà ad avere senso."Il Manifesto", 9 aprile 2010
10 aprile 2010 alle 10:47 |
Di Pietro forza la mano e rompe con il Forum di Andrea PalladinoAntonio Di Pietro nello stanzone del comitato acqua pubblica di Aprilia non ha mai messo piede. Non conosce le tante storie che sono cresciute dietro i tanti comitati spontanei nati negli ultimi cinque anni in Italia, per contrastare – spesso da soli – l’avvio della privatizzazione dell’acqua.Anzi, spesso l’Italia dei Valori – soprattutto in provincia di Latina – si è trovata dall’altra parte della barricata. Sarà forse per questo che sulla questione dei referendum per la ripubblicizzazione ieri ha sbattuto la porta in faccia al Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica, presentando in Cassazione un proprio quesito referendario su due temi delicatissimi: acqua e nucleare.«Un vero scippo», commenta Paolo Ferrero. «Una cannibalizzazione dei movimenti», spiega un furioso Angelo Bonelli. E una spaccatura tutta interna all’Italia dei Valori, visto che la decisione Antonio Di Pietro l’ha presa il giorno prima di un esecutivo che – oggi – dovrà discutere del tema. Con una posizione dichiaratamente contraria di Luigi De Magistris e di Sonia Alfano, che hanno chiesto pubblicamente di rispettare l’autonomia del movimento per l’acqua pubblica.Ieri il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha ricevuto la risposta alla lettera che qualche giorno prima era stata recapitata al leader dell’Italia dei Valori, dopo l’annuncio della promozione di un secondo – e contrapposto – referendum sull’acqua. Una lettera dai toni glaciali, quasi formali, rifiutando l’incontro chiarificatore e confermando la presentazione di un proprio quesito. Il Forum aveva cercato nei giorni scorsi in tutti i modi di recuperare i rapporti con Di Pietro, inviando centinaia di email agli eletti nelle liste dell’Idv. Una prima risposta, positiva, era arrivata da De Magistris, contraddetto però da Di Pietro. La chiusura della lettera suona poi come una beffa: siamo disponibili ad ospitare anche i vostri moduli nei nostri banchetti.Il tema dello scontro è in realtà molto profondo. I due quesiti referendari si differenziano sul modello di gestione delle risorse idriche che viene proposto. Per il Forum – e per il comitato di giuristi come Rodotà e Mattei – l’acqua dovrà ritornare pubblica, escludendo la gestione privata o quell’ibrido ancora più pericoloso che è la partnership pubblico-privata, elaborata nei think-tank delle multinazionali francesi alla fine degli anni ‘90. Con il quesito presentato ieri in Cassazione Antonio Di Pietro riconferma, invece, la sua posizione del 2006: nessuna preclusione alla gestione privata, va solo abolita l’obbligatorietà della scelta introdotta dal decreto Ronchi. «Ricordo bene la posizione di Di Pietro durante il governo Prodi – racconta Angelo Bonelli, presidente dei Verdi – quando in consiglio dei ministri, assenti i rappresentanti della sinistra – passò una prima bozza del decreto Lanzillotta, che prevedeva l’affidamento ai privati della gestione dell’acqua». Il progetto venne poi bloccato grazie all’opposizione di Verdi e di Rifondazione comunista, che imposero l’esclusione dei servizi idrici dalle liberalizzazioni.È il senatore Paolo Brutti, responsabile ambiente dell’Italia dei Valori, a spiegare qual è il vero senso dell’iniziativa referendaria proposta da Di Pietro: «È vero, la nostra proposta è vicina a quella del Pd – racconta – perché per noi è prioritario respingere il decreto Ronchi». Ovvero l’obiettivo sembra essere più la politica anti Berlusconi che l’acqua pubblica. «Vogliamo riportare lo stato delle cose a prima del decreto Ronchi, lasciando scegliere i comuni tra le tre forme di gestione, quella pubblica, quella mista e quella privata, come aveva già stabilito il governo Prodi», spiega. Brutti va poi oltre nell’analisi dello strappo con i movimenti, spiegando quali saranno i prossimi passi: «La Corte costituzionale di fronte a due quesiti sullo stesso tema potrà convocare i due comitati per farli convergere su un unico referendum. E la nostra proposta è più vicina alla sensibilità del Pd, che sui referendum del Forum ha qualche perplessità». Dunque un assist a Bersani, con in mano lo scalpo del movimento per l’acqua pubblica, rafforzando così un’alleanza che Di Pietro oggi ritiene sempre più importante, soprattutto in vista delle elezioni del 2013. Una partita comunque aperta, dove i comitati e le associazioni del Forum potranno giocare un ruolo da protagonisti, soprattutto dopo la vittoria di Aprilia."il Manifesto", 9 aprile 2010
10 aprile 2010 alle 10:56 |
La politica fa acqua di Stefano RodotàIl comune di Aprilia decide di riprendere il controllo della sua acqua. Tagliando fuori la privatizzata Acqualatina. È il risultato di una lunga battaglia nel territorio, il primo caso in Italia, il secondo in Europa dopo Parigi. Intanto Di Pietro presenta i suoi referendum: libertà di scelta tra pubblico, misto e privato. E litiga con i movimenti.Nel vaniloquio su «come stare sul territorio» e «come stabilire rapporti con le persone» piomba questa iniziativa del comune di Aprilia e ci dice che la politica è ancora possibile.È persino troppo semplice dire che cosa significhi «politica» in un caso come questo. È qualcosa che riguarda grandi questioni di principio, riconoscibili però nella materialità degli interessi. È qualcosa che non frammenta la società (non abbiamo capito le partite Iva, non abbiamo capito il nordest…), ma la unifica, ci trascina al di là dei localismi e delle corporazioni.È qualcosa che non contrappone cittadini e istituzioni, ma trova il modo per tenerli insieme, dunque l’antidoto migliore contro l’antipolitica (categoria che, ad ogni modo, dovrebbe essere adoperata con cautela e rigore). Troppo per una iniziativa locale? Non credo. Mi pare, anzi, che vi siano altri insegnamenti da trarre, e provo ad indicarli sinteticamente.La costruzione dell’agenda politica, in primo luogo, non affidata esclusivamente alla volontà delle maggioranze di governo, ma determinata anche dalle iniziative di una molteplicità di soggetti. Una controprova? Non voglio dire che l’iniziativa di Aprilia sia il frutto del nuovo clima creato dalla proposta di un referendum sull’acqua come bene comune, perché proprio in quel comune vi erano già state azioni giudiziarie in questa direzione e mobilitazioni dei cittadini. È vero, tuttavia, che la questione dell’acqua è oggi un tema ineludibile per la discussione pubblica.Lo dimostrano anche alcune resistenze che già si manifestano, come quelle di due senatori del Pd che dicono di ritenere impropria la via referendaria, poiché sarebbeil Parlamento il luogo dove affrontare una questione così rilevante.Questa reazione, però, segue la proposta di referendum, sì che si potrebbe facilmente obiettare che proprio questa proposta ha svegliato il loro interesse e la loro voglia di fare, mentre totale era stata la disattenzione di fronte al atto che in questa materia esistevano già una proposta di legge d’iniziativa popolare firmata da quattrocentomila cittadini.Una proposta di legge presentata proprio al Senato per iniziativa della Regione Piemonte che indicava l’acqua tra i beni comuni e un analogo disegno di legge d’iniziativa del gruppo Pd.Si vuole cominciare ad agire subito, senza rinviare tutto al voto referendario? Ma il successo di una azione parlamentare, in questa come in tutte le altre materie che dovrebbero entrare a far parte di una grande agenda politica, è ormai legato a metodi che innovano rispetto al passato. Muoversi in Parlamento? Certamente. Ma usando convintamente gli strumenti offerti dai regolamenti parlamentari alle minoranze per far sì che le loro proposte vengano davvero discusse. Questo, però, non espone le iniziative della minoranza alla dura legge dei numeri parlamentari, condannandole alla bocciatura? E allora è indispensabile attivare altri circuiti politici.Nel momento in cui si decide di far diventare il tema dell’acqua bene comune l’oggetto di una azione parlamentare è indispensabile che l’intero partito venga mobilitato intorno ad esso, stabilendo rapporti seri con tutti i gruppi e i movimenti già attivi. Ma questo non può essere chiuso nella logica tradizionale dei rapporti politici. Deve divenire l’oggetto di manifestazioni pubbliche in cui il Pd, ad esempio, «ci mette la faccia», senza tuttavia pretendere alcuna esclusività o monopolio. E, soprattutto, deve divenire l’oggetto di una discussione aperta al massimo, sfruttando tutte le potenzialità di Internet, che tante vicende recenti hanno rivelato, e che possono trovare forme diverse, comprese quelle di un forte lobbismo dal basso verso partiti, parlamentari, mezzi di informazione con sms, e-mail, reti sociali, siti specifici. E l’appoggio alla raccolta delle firme per il referendum diviene una forma ulteriore di mobilitazione. Cambiando così l’agenda politica, non sulla carta ma nella realtà, crescono le possibilità di successo delle stesse iniziative dei parlamentari e, soprattutto, si crea quell’ambiente politico e sociale finalmente propizio al successo di ogni altra iniziativa, da quella del comune di Aprilia e di altri comuni che vorranno seguire il suo esempio fino a quella referendaria."Il Manifesto", 9 aprile 2010